Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

"Copia e incolla" e valutazioni
di professionalità

di Daniele Cappuccio
magistrato dell'Ufficio Studi del CSM
Note a margine della delibera del Consiglio giudiziario di Genova sul "copia e incolla"
"Copia e incolla" e valutazioni<br>di professionalità

Il progresso tecnologico, in apparenza inarrestabile anche nel campo della giustizia, comporta, oltre a tangibili vantaggi, rischi non trascurabili che derivano, il più della volte, dall’eccessiva disinvoltura nell’utilizzo degli strumenti innovativi posti a disposizione di magistrati ed avvocati e degli altri operatori della giurisdizione.

Così, ad esempio, il ricorso alla – comoda e pratica – tecnica redazionale del c.d. “copia-incolla”, ovvero alla trasposizione, nella motivazione di provvedimenti giurisdizionali, di interi brani tratti dagli atti di parte o da quelli già emessi in altre fasi del giudizio, è stato sindacato, in materia penale e, specificamente, di misure cautelari, sotto il profilo della mancanza di una autonoma valutazione da parte del giudice e del conseguente vulnus in termini di imparzialità.

Con la delibera – della quale non constano precedenti - del 3 dicembre 2013, il Consiglio Giudiziario di Genova abborda la questione dal versante dell’incidenza del distorto utilizzo della motivazione per relationem sui livelli di professionalità oggetto di verifica quadriennale e detta alcune regole di indirizzo a valere per i dirigenti degli uffici giudiziari all’atto della redazione del prescritto rapporto informativo e, in particolare, della compilazione della voce “Provvedimenti giudiziari. Tecnica redazionale ed espositiva”.

Il Consiglio Giudiziario, chiarito, in premessa, che, lungi dallo stimolare un inammissibile controllo sul merito delle decisioni e degli atti di impulso (quale la richiesta di applicazione di misure cautelari), intende promuovere l’acquisizione di informazioni sempre più complete ed utili ai fini della valutazione, nel circuito dell’autogoverno, della professionalità del magistrato, ravvisa, dunque, l’opportunità che i capi degli uffici segnalino i casi che, nel settore civile come in quello penale, si distinguano per l’assenza della necessaria verifica critica del materiale proveniente aliunde da parte dell’autorità giudiziaria che lo ha fatto proprio.

Il tema è complesso e articolato e si presta ad approcci differenziati, ed è facile pronosticare la delibera qui pubblicata non mancherà di suscitare commenti di segno opposto.

Correttamente, il Consiglio Giudiziario pone l’accento sul rapporto tra tecnica di redazione dell’atto e professionalità del magistrato, che appare centrale pure a fronte di concorrenti ambiti di rilevanza, quali quello deontologico-disciplinare e quello della eventuale patologia dell’atto.

Il punto di maggiore sensibilità attiene, piuttosto, alla non agevole determinazione del contenuto minimo dell’autonomo vaglio critico che mette il magistrato al riparo dalla censura, concetto che, se portato, in un senso o nell’altro, alle estreme conseguenze, può assecondare la diffusione di prassi comportanti la necessità di inutili e defatiganti parafrasi ovvero, al contrario, la sufficienza di cenni di pigra e vacua integrale condivisione della prospettiva abbracciata dall’estensore dell’atto copiato ed incollato.

D’altro canto, fermo restando che il valore che si intende preservare, attraverso il richiamo alla professionalità, è, innanzitutto, quello dell’indipendenza del giudicante rispetto alle parti, non può trascurarsi, in ottica di sistema, che la tendenza all’impiego di tecniche motivatorie semplificate sembra sempre più diffusa, per come dimostrato, da ultimo, dalla proposta, contenuta nello “Schema di disegno di legge di delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, la riduzione dell'arretrato, il riordino delle garanzie mobiliari, nonché altre disposizioni per la semplificazione e l'accelerazione del processo di esecuzione forzata” appena presentato dal Governo, che prevede, tra l’altro, all’art. 2, norma rubricata “Misure per la maggiore efficienza del processo di cognizione”, che “la motivazione dei provvedimenti che definiscono il giudizio in grado d'appello possa consistere nel richiamo della motivazione del provvedimento impugnato”, disposizione che, pur afferendo alla relazione tra le valutazioni operate da diversi giudici (e non dal giudice e dalle parti del procedimento), costituisce senza dubbio un punto di svolta sul piano, in primo luogo, culturale.

Lo scenario che si è ormai aperto, e nel quale si innesta la delibera genovese, è, allora, destinato a mettere in discussione certezze che, ancora pochi anni orsono, apparivano granitiche.

Se, invero, la motivazione resta – e non potrebbe essere altrimenti – ineludibile presidio dello spirito autenticamente democratico della giurisdizione e ne legittima l’esercizio, l’evoluzione, anche tecnologica, ed il processo di integrazione sovranazionale, fecondo di interazioni e contaminazioni con realtà assai distanti da quella italiana, impongono di riconsiderare le modalità di adempimento dell’obbligo motivazionale.

Del pari, ove si muova dall’aspirazione alla giustiziabilità universale dei diritti (di tutti i diritti, di tutte le persone), non può eludersi, in un panorama connotato da risorse via via più limitate, il tema della diffusività della motivazione, l’autorevolezza e l’accettazione sociale della decisione fondandosi anche su parametri diversi da - e concorrenti con – quelli di matrice tradizionale.

16/01/2014
Altri articoli di Daniele Cappuccio
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
La giustizia e la performance

La credibilità e l’efficacia della giurisdizione e la professionalità del magistrato si misurano e sono riconosciuti dalla collettività in base alla capacità di rendere giustizia. Ciò ha poco a che vedere con una performance individuale del magistrato, con parametri di rendimento e di risultato che assumono significato soprattutto nell’ottica della selezione individuale e di progressioni di “carriera”. Tra criticità e opportunità della riforma Cartabia, prospettive sulla valutazione della professionalità dei magistrati.

16/09/2022
La delega Cartabia in tema di valutazioni di professionalità del magistrato: considerazioni a prima lettura

L’art. 3 della legge delega 17 giugno 2022, n. 71 introduce, nella disciplina delle valutazioni di professionalità, novità – sul piano sia procedurale che dei parametri di riferimento – che suscitano non marginali perplessità. 
Il legislatore – animato dall’intento di ovviare alle carenze dell’istituto riscontrate nei quindici anni di sua applicazione – affianca a talune modifiche, opportune e coerenti con la sua collocazione sistematica nel contesto dell’architettura ordinamentale, altre che, invece, sono idonee a incidere sul carattere orizzontale della magistratura, instillando pericolosi germi di carrierismo e gerarchizzazione. 
Al cospetto di un dibattito polarizzato, almeno in parte, dalla vexata quaestio della partecipazione degli avvocati ai lavori del Consiglio giudiziario in materia di valutazioni di professionalità – che deve, in linea di principio, essere vista con favore – occorre piuttosto mettere in evidenza, da un canto, la quantomeno discutibile attribuzione di giudizi distinti per valore in ordine alla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro e, dall’altro, l’assunzione di centralità, nel contesto del procedimento, del rapporto del capo dell’ufficio.  
Analogamente, va segnalata, ancora in chiave critica, la singolarità del reiterato accenno alle «gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio» che, al di là della valenza fortemente simbolica dell’espressione, appare difficilmente armonizzabile con il fondamentale principio per cui l’attività interpretativa in diritto del giudice è, per regola costituzionale, libera e quella di valutazione della prova è insindacabile per legge.

15/09/2022
La delega Cartabia in tema di valutazioni di professionalità del magistrato: considerazioni a prima lettura

Le linee della riforma ordinamentale in tema di valutazioni di professionalità dei magistrati, pur in un quadro generale di avvertita necessità di contenimento dei tempi di trattazione degli affari giudiziari e prevedibilità delle decisioni, rischiano di innescare effetti indesiderati in punto di conformismo giudiziario e riduzione degli spazi di autonomia interpretativa connaturali alla giurisdizione. Quali saranno gli spazi concreti di apprezzamento delle gravi anomalie derivanti dallo sviluppo del procedimento? Quali sono le attuali criticità del ruolo del giudice? 

13/07/2022
Fugaci impressioni sul disegno di legge-non delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario

Forte della sua lunga e ricca esperienza di professore universitario e delle conoscenze maturate sul campo come componente del Consiglio Superiore della magistratura, l’autore affronta il tema, dibattuto e controverso, delle valutazioni di professionalità alle quali, nei primi 28 anni della loro carriera, sono sottoposti gli appartenenti all'ordine giudiziario. E lo fa scegliendo di concentrare l’attenzione sulla composizione e sulle attività degli organi competenti a pronunciarsi nella fase istruttoria-consultiva e sui metodi correttamente utilizzabili ai fini delle valutazioni. 

02/05/2022
La nomina dei dirigenti: problema dei magistrati o del servizio?
La nomina dei dirigenti è problema di grande rilevanza che riguarda il servizio giustizia. Centrale non può essere l’interesse alla carriera del magistrato. Questo per un ruolo di direzione dell’Ufficio giudiziario che è diventato sempre più complesso e che richiede specifiche attitudini oltre ad una governance condivisa. L’attuale sistema di nomina dei dirigenti che dà una fortissima discrezionalità al Consiglio è figlio di scelte operate nel 2002, con un sistema elettorale del C.S.M. personalistico, e nel 2006 con la strutturazione di una carriera che stimola l’arrivismo, scelte che hanno inoculato veleno nel sistema.  La direzione non può essere di tornare all’anzianità, criterio che già si è rivelato in passato fallimentare, ma di dotare il Consiglio tramite competenze esterne di un organo consultivo tecnico esperto in valutazione dei candidati e di individuare le caratteristiche e capacità di ciascuno, verificando i risultati avuti sul campo e non i titoli astratti
09/06/2020