Lo scorso 11 gennaio, in occasione di un incontro di studio organizzato tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e le Corti italiane sul tema Il dialogo tra le Corte di Strasburgo e le Corti italiane, svoltosi presso la Corte costituzionale, è stato firmato il Protocollo d’intesa fra la Corte costituzionale e la Corte Edu.
Alla ricerca delle origini dei Protocolli d’intesa fra le Corti nazionali e la Corte Edu
Per capire il significato e le possibili prospettive dei protocolli d’intesa firmati fra le giurisdizioni superiori e la Corte europea dei diritti dell’uomo può essere di utilità soffermarsi sulla prima di queste intese in ordine temporale risalente all’11 dicembre 2015 stilata dalla Corte di cassazione e dalla Corte Edu, presiedute rispettivamente da Giorgio Santacroce e da Guido Raimondi.
Apparve subito necessario individuare le basi, anche giuridiche, che avrebbero dovuto supportare un progetto di dialogo fra le due Corti.
Innanzitutto, la presa d’atto del ruolo sussidiario del sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nel senso che è imposto prima di ogni altro ai giudici nazionali il compito di assicurare l’applicazione concreta ed effettiva dei diritti contemplati dalla Cedu, rappresentando la verifica della Corte europea dei diritti dell’uomo una garanzia aggiuntiva tesa a valutare e ponderare la coerenza del controllo operato a livello nazionale con i diritti di matrice convenzionale.
Accanto a questa prima coordinata, se ne affacciava un’altra, assai complessa, tutta interna alla Corte di cassazione. Una Corte chiamata ad una progressiva apertura verso sempre più pressanti occasioni di confronto, non sempre indolori, con altre corti, nazionali e sovranazionali, capaci di cambiarne il volto a legge invariata, visto che essa è pur sempre tenuta ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, insieme all’unità del diritto oggettivo nazionale – come recita testualmente l’art. 65 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 sull’ordinamento giudiziario.
Giudice di ultima istanza chiamato sì a curare e gestire i rapporti con il suo ordinario interlocutore, il giudice di merito appunto, ma sempre più assillato dal trovarsi all’interno di quel circuito di corti nelle quali “inventa” il diritto vivente insieme alle altre Corti, per dirla con Paolo Grossi [1].
Dunque, una Cassazione che avvertiva sempre di più la necessità di un’apertura al dialogo [2], non solo interno – ancorché “blindato”, almeno fra singole sezioni e le Sezioni unite per effetto dell’art. 374 comma 3 cpc, in penale, dell’art.618 comma 1-bis cpp, introdotto dalla legge n. 103/2017 – ma anche esterno, con la Corte costituzionale, la Corte di giustizia – obbligata per come è al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, in assenza di atto chiaro – ed appunto con la Corte Edu, rispetto alla quale essa sarebbe stata legittimata a richiedere pareri non vincolanti non appena fosse entrato in vigore e reso esecutivo per l’Italia il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu [3].
Il mutare delle coordinate rappresentato dall’avvento del diritto di matrice sovranazionale – diritto Ue, Cedu, trattati internazionali che riconoscono diritti fondamentali, in relazione a quanto previsto dall’art. 117, comma 1 Cost. – rendeva così viepiù evidente il cambio di prospettiva della funzione nomofilattica e, in definitiva la mutazione genetica della Corte di cassazione, ormai «giuridicamente obbligata» a garantire – anche – l’uniforme interpretazione della legge come reinterpretata alla luce della Cedu e delle altre Carte dei diritti fondamentali. Ciò, con specifico riferimento al sistema convenzionale, in forza di un principio ordinante che impone «...al giudice nazionale l’obbligo di garantire, conformemente all’ordinamento Costituzionale vigente e nel rispetto del principio della certezza del diritto, il pieno effetto delle norme della Convenzione, nell’interpretazione loro data dalla Corte» [4].
Una Corte di cassazione chiamata così a fronteggiare le criticità connesse al fatto di essere l’ultimo gradino, oltrepassato il quale si aprono, a favore di chi assume di avere subito un torto dall’istanza giudiziaria ordinaria, le porte della giurisdizione sovranazionale di stanza a Strasburgo. Da qui la necessità di affrontare, in caso di condanna dello Stato italiano per una violazione convenzionale, tematiche complesse in fase di ritorno, correlate alla necessità di verificare quali effetti potrebbero o dovrebbero prodursi in esito alla condanna pronunziata a Strasburgo sul giudicato nazionale “corrotto”, per effetto della pronunzia della Corte Edu [5].
Ambiti, questi ultimi, vissuti per lunghi anni dalla stessa Corte con atteggiamenti a volte di indolenza e indifferenza, altre di più o meno manifestato svilimento delle istanze giurisdizionali sovranazionali, ritenute non adeguate a fronteggiare il diritto interno e la “grandezza” della blasonata Corte di cassazione italiana e, altre ancora, con atteggiamenti di supina osservanza o “deificazione” – secondo taluni – delle stesse istanze giudiziarie sovranazionali.
Facendo perno sull’elaborazione dottrinale maturata a proposito del ruolo e dell’importanza del dialogo [6], sembrò che l’assenza di canali formali di comunicazione fra giudice nazionale e Corte Edu dovesse ridursi in via amichevole, soft.
In questa prospettiva composita circa il ruolo della Cassazione, venne naturale ipotizzare la creazione di periodici momenti di confronto fra Corte Edu, quale interprete massimo della Cedu, e la Corte di cassazione, la quale non poteva comunque che mantenere il proprio ruolo di garante dell’interpretazione del quadro giuridico nazionale e la sua funzione nomofilattica, in una prospettiva che la pone tuttavia al centro di un sistema di protezione multilivello che amplia il concetto di diritto “interno”.
Questi momenti di confronto, d’altra parte, sembravano dovere tendere a realizzare scambi di conoscenze capaci di offrire ai dialoganti, in una posizione di perfetta equiordinazione, elementi di riflessione sugli aspetti nazionali e convenzionali rilevanti rispetto a questioni già esaminate o da esaminare. Tutto ciò considerando che tale prospettiva avrebbe potuto, nel medio periodo, favorire il recupero del valore della certezza del diritto e della tendenziale stabilità e prevedibilità dei precedenti nazionali, sempre meno in tal modo destinati a subire aggiustamenti di rotta per effetto delle pronunzie della Corte europea che, per statuto, è destinata ad intervenire dopo l’esaurimento dei ricorsi interni e, dunque, quando già il giudice di ultima istanza (generaliter) ha chiuso il giudizio sul piano nazionale.
Senza che ciò potesse, peraltro, vulnerare l’autonomia delle due istituzioni, che non potevano in alcun modo essere vincolate dai confronti informali a margine degli incontri bilaterali.
Questa necessità di dialogo, ancora, nasceva dalla necessità di soddisfare un’esigenza particolarmente avvertita dai giudici italiani, visto che i rapporti fra il sistema interno e la Cedu non hanno mai trovato, a differenza che in altri Paesi – per esempio, Regno Unito – una dettagliata disciplina positiva, ma sono stati affidati all’interpretazione che la Corte costituzionale e gli stessi giudici nazionali hanno, nel tempo, offerto del quadro costituzionale (artt. 2, 11 e 117 Cost.; legge n. 848/1955 di ratifica della Cedu) e sovranazionale.
In questo senso, le “storiche” sentenze gemelle del 2007 rese dalla Corte costituzionale, ma anche la più recente sentenza n. 49/2015 in tema di confisca, sembravano dimostrare quanto dovesse svilupparsi all’interno della giurisdizione di ultima istanza il dialogo circa il peso e il senso attributo alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e, dunque, il ruolo stesso del giudice nazionale “comune”.
Parve ancora chiaro che lo scambio di conoscenze che il Protocollo intendeva favorire avrebbe potuto rappresentare un’occasione importante anche sul versante della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in quanto garante della corretta interpretazione della Cedu, intesa come strumento “vivente”, aperta al dinamico mutamento del suo significato in dipendenza di vari fattori, anche provenienti dalle giurisdizioni nazionali, non avrebbe potuto nemmeno prescindere dal ruolo di queste ultime nell’interpretazione della stessa Convenzione europea e dei diritti fondamentali, esse pure attingendo ad un ceppo di principi comuni che erano stati considerati all’atto di stilare le Carte dei diritti fondamentali – e la Cedu, in particolare – approvate a livello sovranazionale e nazionale nell’immediato dopoguerra. In questo senso, il processo non poteva intendersi come unidirezionale, poiché la sinergia fra plessi nazionali e sovranazionali, se si intende garantire in modo efficace la protezione dei diritti fondamentali, impone che anche la Corte Edu abbia conoscenza approfondita e completa dal “diritto vivente” dei Paesi contraenti che essa valuta nell’accertamento delle eventuali violazioni, avendo la stessa di mira non il significato della disposizione, ma l’attuazione che di esso ha fatto il giudice nazionale creando la norma del caso concreto.
Apparve, così, chiaro che la possibilità di confronto diretto avrebbe potuto consentire di accelerare e migliorare i meccanismi di emersione ed inclusione della giurisprudenza della Corte dei diritti umani nell’ordinamento nazionale, offrendo altresì l’opportunità di un interscambio sui “conflitti” –già in atto o potenziali – destinati a presentarsi rispetto ai casi concreti, favorendo la comprensione piena delle rispettive posizioni. Il tutto, ancora una volta, nel pieno rispetto dell’autonomia delle due istituzioni giudiziarie.
La firma del Protocollo pose così la Corte di cassazione come seconda alta giurisdizione nazionale aderente ad un progetto sperimentale –iniziato fra Corte Edu, Corte di cassazione e Consiglio di Stato francesi– di creazione di una piattaforma virtuale con accesso diretto, riservato alle corti supreme, che avrebbe consentito ai giudici delle corti nazionali di conoscere in tempo reale la giurisprudenza europea con i report redatti a cura della stessa corte e, al contempo, alla Corte Edu di ottenere notizie circa la legislazione e la giurisprudenza relative alle questioni all'esame della Grande Camera. Ciò che, quando la rete fra le corti fosse stata a regime – come in effetti avvenne attraverso l’individuazione del referente della Cassazione per i rapporti con la rete, individuato in Valeria Piccone –, avrebbe consentito ad ogni Corte suprema di acquisire importanti materiali di conoscenza degli altri Paesi, dando una spinta significativa alla comparazione.
Per altro verso, l’altro versante sul quale il Protocollo avrebbe potuto operare era quello del “dialogo” fra giudici e giuristi su temi concreti e della “formazione-informazione”.
Il coinvolgimento, in sede di creazione del gruppo di attuazione del Protocollo, di tutte le sezioni e dell’Ufficio del massimario, prima forma di interscambio intersettoriale ed intersezionale realizzato in Corte di cassazione, era dunque destinato a realizzare un laboratorio in progress sulla Cedu e sugli effetti che questa produce a livello nazionale [7].
Un gruppo che, sotto la direzione discreta ed attenta dei primi presidenti, anche nel vaglio preventivo dei report volta per volta predisposti e nella direzione di tutte le attività, ha svolto il suo compito sulla medesima linea dell’equiordinazione, al punto da essere coordinato dal più giovane dei consiglieri senza che questo abbia mai rappresentato un problema per i componenti delle Sezioni unite e i presidenti che lo compongono in ragione delle loro alte competenze in materia di protezione dei diritti fondamentali.
La Corte di cassazione riusciva, dunque, a scrollarsi l’abito di “imputato condannato” a Strasburgo, indossando quello, ad essa più consono, di garante della protezione dei diritti fondamentali e dialogante in via diretta ed informale con il giudice di Strasburgo.
A distanza di tre anni dalla firma di quel Protocollo qualcosa si è fatto, in termini di diffusione ragionata delle giurisprudenze nazionali e sovranazionali in tema di diritti fondamentali, anche grazie all’apporto dell’Ufficio relazioni internazionali istituito presso la Corte di cassazione e diretto dal vice segretario generale Lina Rubino che ha reso possibile uno degli obiettivi già individuati all’indomani della costituzione del gruppo, predisponendo una raccolta semestrale del materiale predisposto dal gruppo consultabile anche sul sito Internet della Corte.
Vale la pena di ricordare i diversi incontri che hanno messo di fronte colleghi e giuristi della Corte Edu a discutere, giù dal piedistallo, di questioni spinose e concrete, scelte da noi stessi consiglieri e con l’accordo della Corte europea. Tra queste, la vicenda del diritto alla conoscenza delle origini, fu oggetto di confronto fra le due corti prima che le Sezioni unite (sent. n. 1946/2017) decidessero il ricorso nell’interesse della legge proposto dalla Procura generale della Cassazione, dedicando specificamente un apposito paragrafo alle relazioni fra la decisione adottata ed il diritto di matrice convenzionale [8].
Costante e feconda è stata la sinergia del gruppo oltre che con il punto di contatto della Corte Edu, Roberto Chenal, che molto si è speso nell’ideazione ed attuazione dei Protocolli, soprattutto con il presidente della Corte Mammone, che ha costantemente offerto il proprio apporto in termini di direzione e coordinamento delle sue attività, mostrando di volere credere ed investire risorse per implementare le iniziative che ruotano attorno all’intesa con la Corte Edu.
Due pubblicazioni hanno raccolto il lavoro del gruppo in preparazione di due incontri di studio organizzati fra le due corti [9] mentre un ulteriore seminario, organizzato in una feconda ed equiordinata sinergia con il Consiglio di Stato, è stato dedicato al tema dell’attuazione delle sentenze della Corte Edu nell’ordinamento interno [10].
Non è mancato l’interesse alle attività del gruppo mostrato dalla dottrina, che ha pure auspicato l’estensione di quell’esperienza a tutte le giurisdizioni superiori nazionali [11].
Manca, sicuramente, un indicatore metrico per stabilire l’incidenza delle attività di disseminazione della giurisprudenza della Corte Edu in ambito interno e di quella nazionale con profili convenzionali sulla giurisprudenza di Strasburgo, ma sembra difficilmente confutabile, se si guarda all’attenzione espressa dalla Cassazione alla giurisprudenza convenzionale in plurime occasioni, che stia maturando un nuovo comune sentire rispetto al ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo e, dunque, dei diritti all’interno della Corte di legittimità.
In questo contesto [12] hanno visto la luce, in successione, analoghi protocolli sottoscritti dalla Corte dei conti, dal Csm, dal Consiglio di Stato ed, infine, dalla Corte costituzionale, che l’11 gennaio 2019 ha formalizzato, presso il Palazzo della Consulta, la firma del Protocollo fra le due Corti da parte del presidente Lattanzi e del presidente Raimondi [13].
Quale la matrice di queste intese con la Corte Edu?
A sommesso giudizio di chi scrive, è stata proprio la stessa magmatica giurisdizionalizzazione del diritto, alimentata di continuo da processi di scambio di giurisprudenze nazionali e sovranazionali, a rendere quasi naturale un cambio di passo della Corti nazionali, orientato dalla stella polare costituita dal principium cooperationische, per dirla con Antonio Ruggeri, suggerisce di considerare tutti i giudici come “orizzontali”, siccome distinti tra di loro unicamente per le funzioni esercitate o, se si preferisce, per la tipicità dei ruoli, comunque bisognosi di essere espressi al massimo rendimento possibile ad ogni livello istituzionale, senza dunque alcuna “graduatoria” tra di loro: siano giudici comuni e siano pure giudici costituzionali o materialmente costituzionali, quali ormai in modo sempre più marcato e vistoso vanno conformandosi le stesse corti europee [14].
Il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu e la richiesta di parere preventivo alla Grande Camera della Corte Edu da parte delle Alte giurisdizioni nazionali. Brevi cenni
Alle forme di dialogo appena descritte si è affiancato il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu [15].
Lo stesso è stato adottato dal Comitato dei ministri nella seduta del 10 luglio 2013, aperto alla firma degli Stati contraenti dal 2 ottobre 2013, entrato in vigore lo scorso 1° agosto, dopo che il 12 aprile 2018 la Francia ha depositato il proprio strumento di ratifica, seguendo l’iniziativa in precedenza intrapresa da altri nove Paesi [16].
Il Protocollo in esame che ha introdotto la possibilità delle Alti corti nazionali di rivolgersi direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, prima della decisione finale che gli stessi andranno ad adottare, per chiedere un parere «non vincolante» in ordine all'interpretazione del diritto della Cedu. Esso è destinato ad innovare in modo significativo i rapporti fra alte giurisdizioni nazionali e Corte Edu. Tradizionalmente, infatti, si sottolinea il ruolo di istanza ultima della Corte di Strasburgo, chiamata a intervenire quando nessun altro rimedio giudiziario interno è possibile sperimentare a tutela di un diritto fondamentale protetto dalla Cedu.
Il nodo problematico era dato, appunto, dalla posizione asimmetrica del giudice nazionale rispetto alla Corte Edu, non essendo il primo munito di quel fondamentale strumento rappresentato dal rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, che costituisce il paradigma fondamentale dei rapporti fra giudice nazionale e Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il Protocollo n. 16 nasce, dunque, dalla proposta del Comitato dei saggi nominati dal Consiglio d’Europa, muovendo dalle prese di posizione formali assunte nelle Dichiarazioni espresse dai 47 Paesi del Consiglio d’Europa sul futuro della Corte Edu in occasione della Conferenza di Izmir – del 26/27 aprile 2011–e della Conferenza di Brighton del 19/20 aprile 2012, nonché del documento di riflessione adottato dalla stessa Corte dei diritti dell'uomo [17].
Si tratta di un provvedimento di particolare rilievo, che chiama le giurisdizioni superiori allo svolgimento di un ruolo che, nell'ottica europea, dovrebbe avere un duplice effetto.
Per un verso, infatti, verrebbe implementato il ruolo e la funzione dei diritti di matrice convenzionale, resi più concretamente efficaci ed effettivi attraverso un meccanismo che, in modo equilibrato, induce le istanze nazionali a sviluppare al massimo le dirette conoscenze in ordine alla giurisprudenza della Corte europea e, in definitiva, a evitare l'intervento della Corte europea al momento dell'esaurimento delle vie di ricorso interne.
Il solo fatto di mettere in collegamento il giudice interno e la Corte europea dovrebbe indurre il primo a compiere una ricognizione completa – e anche se, a volte, laboriosa, per il numero delle decisioni e per la lingua nella quale esse possono reperirsi – della giurisprudenza della Corte Edu.
Per altro verso, lo strumento del parere preventivo riduce significativamente il rischio di interpretazioni convenzionalmente orientate solo nella forma, proprio attraverso il meccanismo introdotto dal Protocollo di cui si è qui detto.
Il Protocollo n. 16 mette in luce il rapporto di complementarietà fra giudice interno e giudice di Strasburgo, correlato all'atteggiarsi della richiesta di parere non vincolante come strumento preventivo che parte dal giudice nazionale.
Non sembra perciò inutile sottolineare, ancora una volta alla luce del canone della sussidiarietà che governa i rapporti fra ordinamento nazionale e Corte Edu, la “centralità” del giudice nazionale, essendo quest’ultimo non soltanto l’unico ad avere piena conoscenza dei fatti di causa, ma anche questi trovandosi nella situazione più idonea per valutare la pertinenza delle questioni di principio sollevate e la necessità di una pronuncia interlocutoria rispetto al procedimento pendente.
Se, infatti, la pronunzia della Corte Edu resa in sede di richiesta di parere non vincolante entrerà nel circuito decisorio che verrà definito, a livello interno, dalla sentenza del giudice nazionale di ultima istanza, l'intervento del giudice interno finirà con l'assumere importanza notevole tanto, a monte, nella fase di proposizione della richiesta di parere, che, a valle, in quella successiva di recepimento del parere, come detto non vincolante, della Corte europea.
In entrambi i casi il giudice domestico avrà la possibilità di svolgere, in maniera equiordinata con la Corte europea – o, addirittura, per effetto di una sorta di capovolgimento, da posizione privilegiata – il proprio ruolo di interprete del diritto interno e di quello di matrice convenzionale.
Quanto all’Italia, non risulta depositato lo strumento di ratifica, sicché lo stesso non può dirsi in alcun modo vincolante.
Va semmai sottolineato che la Corte Edu, nell’ambito della rete dalla stessa creata con le Corti supreme nazionali che vi hanno aderito, ha da poco sperimentato un meccanismo di collegamento fra giudici nazionali e Corte di Strasburgo volto a favorire la conoscenza della giurisprudenza rilevante rispetto ai casi all’esame delle dette corti.
Si tratta di uno strumento che è stato già in un’occasione sperimentato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione attraverso la predisposizione di un breve resoconto della causa con la richiesta di notizie in merito alla giurisprudenza della Corte Edu, al quale la divisione della Corte Edu competente, sotto la supervisione del giureconsulto, ha fornito risposte esaurienti.
Quanto all’operatività del Protocollo, va ricordato che già in sede di approvazione del primo progetto di legge presentato nel corso della precedente legislatura e, in quello più recente, approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati – progetto di legge n. 35 C., presentato il 23 marzo 2018 – è stato previsto che la Corte costituzionale possa provvedere con proprio regolamento sull’applicazione del Protocollo in conformità agli artt. 14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge n. 87/1953.
Occorre ricordare che il Protocollo n. 16 non ammette la formulazione di riserve alle sue disposizioni, in difformità a quanto previsto dall’art. 57 della Cedu, impegnando ciascun Paese a depositare, all’atto del deposito dello strumento di ratifica, l’elenco delle autorità giudiziarie nazionali competenti per richiedere parere consultivi.
I possibili nodi problematici connessi alla piena efficacia del Protocollo n. 16
Nel rinvolgere il quesito alla Corte Edu, l’autorità giurisdizionale nazionale deve tenere presente quanto indicato nelle apposite Linee guida [18]. ll quesito proposto, sottoposto ad un collegio di cinque giudici della Grande camera della Corte Edu, potrà essere dichiarato irricevibile con provvedimento motivato ovvero, ove ritenuto ricevibile, sarà deciso nel merito dalla Grande camera.
Il rischio che la Corte Edu possa essere sommersa da richieste di pareri preventivi – che saranno decise da una particolare sezione della Grande camera – facendo perdere di effettività quella stessa Corte quanto ai tempi di decisione – spesso lunghi – che ne contraddistinguono l’operato, dovrà probabilmente indurre ad un uso accorto dello strumento che tenda comunque a considerare il ruolo nomofilattico riservato alle Sezioni unite della Cassazione (art. 65 ord. giud.) – e a quello, per certi aspetti similare, dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e delle Sezioni riunite della Corte dei conti – sulle questioni che attengono a contrasti interni fra diversi indirizzi giurisprudenziali o di massima rilevanza.
In ogni caso, investire la Corte dei diritti umani di una questione di massima importanza che involge la qualificazione di un diritto fondamentale pure riconosciuto dalla Cedu significherebbe rafforzare il peso e il valore della decisione che verrà successivamente data dal giudice nazionale. Rafforzamento che potrebbe raggiungere l’apice ove fossero le Sezioni unite della Cassazione a rivolgersi direttamente alla Corte europea con la richiesta di parere consultivo ove investito di una questione di massima di particolare rilevanza.
Occorrerà ricercare delle linee direttive bilanciate per evitare che lo strumento resti una “mera lustra”, ovvero divenga luogo indiscriminato di trasferimento di contenzioso dai giudici nazionali a Strasburgo, ove il carico di richieste di pareri non potrebbe certo essere visto con particolare favore.
In questa prospettiva, lo strumento in esame potrebbe, forse, essere utile se si rivolge alla Corte Edu una richiesta incidente vuoi su vicenda “sistemica” – perché correlata al peculiare atteggiarsi della legislazione ovvero della giurisdizione che della stessa ha fornito una certa interpretazione che appare necessario confrontare con il sistema di protezione convenzionale per verificarne la tenuta – vuoi su questione di particolare rilevanza. Ipotesi, in definitiva, capaci di potere avere “effetti di rimbalzo” sia su fasci di ricorsi omologhi che presentano un problema comune – esempio, cause seriali – sia su questioni che involgono, in generale, l’applicazione di principi di ordine processuale e sostanziale di spiccato rilievo.
Potrebbero essere quindi di ausilio i meccanismi che la Corte europea ha tratteggiato per determinare i casi di cd. “sentenza pilota” proprio per determinare se sia o meno opportuno il ricorso alla richiesta di parere.
Anche in caso di indirizzo consolidato – e magari datato – della Corte europea dei diritti dell’uomo, il giudice nazionale di ultima istanza potrebbe, peraltro, ad essa rivolgersi per suscitare un revirement in relazione al diverso quadro normativo formatosi a livello dei Paesi contraenti, facendosi così portavoce di un’interpretazione evolutiva.
Tale strumento sembrerebbe potere avere una qualche utilità anche per i casi nei quali un indirizzo su un diritto di matrice convenzionale della Corte europea si sia formato con riferimento a decisioni nelle quali non era parte lo Stato al quale appartiene il giudice nazionale chiamato ora a fare applicazione di quello stesso principio, al fine di verificarne la tenuta in relazione al quadro normativo interno non coincidente con quello considerato nel caso in precedenza deciso dal giudice europeo. Ciò in relazione alle indicazioni offerte dalla sentenza n. 49/2015 della Corte costituzionale, alle quali è seguito il paragrafo n. 252 della sentenza della Grande camera della Corte Edu resa nel caso Giem c. Italia del 28 giugno 2018.
In definitiva,l’esistenza di un parere della Corte europea potrebbe accrescere il ruolo dell’interpretazione convenzionalmente orientata riservata al giudice nazionale, riducendo al minimo la necessità di ricorrere al meccanismo della caducazione della norma per incostituzionalità, secondo le rime fissate, a livello interno, dalla Corte costituzionale.
Questo è, dunque, uno dei punti più delicati che si pone, all’orizzonte, nei rapporti fra alte giurisdizioni interne.
Prospettive dei Protocolli. Un tutto inscindibile
La prima richiesta di parere preventivo che la Corte di cassazione francese ha avanzato nell’ottobre dello scorso anno [19], denota in modo significativo le potenzialità che lo strumento è in grado di fornire alle giurisdizioni nazionali di ultima istanza nel processo di progressiva affermazione dei diritti fondamentali, qualunque ne sia la matrice, nazionale e sovranazionale, chiamando gli operatori a soluzioni al contempo prudenti e coraggiose.
Occorrerà peraltro riflettere sull'impatto che il ricorso al meccanismo della richiesta di parere potrà avere sui rapporti interni alle giurisdizioni superiori – e segnatamente sulla Corte di cassazione – e sul modo con il quale occorrerà utilizzarlo.
La possibilità riconosciuta di avvalersi di tale strumento, pur non vincolante per le Alte giurisdizioni nazionali, mostra all’orizzonte il pericolo che i giudici comuni decidano di prediligere la strada “mite” di Strasburgo quando sono in gioco diritti fondamentali, a fronte del sindacato accentrato sulla conformità della legge nazionale ai diritti fondamentali protetti dalla Costituzione.
La natura non vincolante del parere reso dalla Corte Edu, infatti, mette in chiaro la libertà del giudice richiedente in fase discendente, questi potendosi non solo conformare o meno alla decisione della Corte europea, ma arricchire la propria decisione, qualunque ne sia il verso, in relazione ai contenuti del parere.
I chiaroscuri emersi, oggi, della sentenza n. 269/2017 a proposito dei rapporti fra giudice comune, Corte costituzionale e Corte di giustizia a proposito del ruolo della Carta Ue dei diritti fondamentali [20], confermati dalla recentissima ordinanza della Sezione lavoro della Corte di cassazione n. 419/2019 che ha mostrato di non allinearsi ai principi espressi dalla Corte costituzionale, a fronte della più mite – almeno in apparenza – posizione espressa da Cass. n. 3831/2018 e da altre pronunzie del giudice di legittimità [21] potrebbero riproporsi, domani, a proposito della strada della richiesta di parere preventivo prescelta dal giudice comune, laddove al suo esame dovessero presentarsi diritti fondamentali di matrice convenzionale in tutto o in parte coincidenti con quelli protetti dalla Costituzione (pur ovviamente presentando le questioni problematiche appena accennate tratti sempre sovrapponibili, proprio in relazione alla natura non vincolante del parere).
Resta il fatto che proprio i protocolli d’intesa di cui si è detto potrebbero essere uno dei luoghi ove discutere (anche) degli effetti di sistema del Protocollo 16, dimostrando essi stessi di essere complementari rispetto al primo, in quanto capaci approfondire i temi e confrontare le rispettive opinioni attraverso un metodo che, non ponendo in discussione, ovviamente, l’autonomia di ciascun plesso giurisdizionale ed il suo momento decisorio, possa alimentarsi e arricchirsi proprio dei frutti di quel confronto.
D’altra parte, particolare attenzione occorrerà prestare anche alle ipotesi di possibile intersezione fra questione che può essere oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte europea di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE e richiesta di parere non vincolante alla Corte Edu – visto che anche in sede di parere della Corte di giustizia sull’ipotesi di adesione della dell’Unione europea alla Cedu la questione ebbe una certa rilevanza [22].
Anche questo aspetto dimostra in modo palpabile quanto l’analogo protocollo “dialogico” concluso con la Corte di giustizia e la Corte di cassazione potrebbe essere anch’esso essere sede di approfondimento e riflessione comune fra tutti i plessi decisionali coinvolti.
Ne esce, a sommesso avviso di chi scrive, la conferma del fatto che le due prospettive, quella dialogico-culturale dei protocolli d’intesa fra le corti nazionali e sovranazionali e quella decisionale del Protocollo n. 16 sono in apparenza diverse ed autonome, ma in realtà tendono – recte, dovrebbero tendere – anch’esse, ad unirsi e ad essere interdipendenti se si guarda all’esigenza, comune per tutti i dialoganti, di fornire risposte quanto più armoniche, prevedibili e persuasive, in un contesto reso estremamente complesso per tutti gli utenti.
Se, infatti, appaiono evidenti le difficoltà operative che la compresenza di diversi rimedi, nazionali e sovranazionali, pongono ai decisori di turno, dotati comunque di apparati interni capaci di affrontare tecnicamente le questioni problematiche, notevolmente maggiori risultano le stesse difficoltà, se viste dalla prospettiva dell’utente della giustizia e del suo difensore.
Anche il Protocollo 16 potrebbe, in conclusione, costituire il termometro della reale capacità fra le Corti di dialogare, in nome di quel principium cooperationis di cui si è detto.
Sembra allora nel giusto Renato Rordorf quando ci ricorda che: «Il diritto, oggidì, non è più fatto solo da disposizioni cogenti di legge e non è più solo espressione della sovrastante volontà dello Stato legislatore (ammesso che mai davvero così sia stato), ma sempre più è integrato da strumenti complementari (che li si voglia o meno definire di soft law), che nascono dal basso e sono destinati ad indirizzare il comportamento degli operatori tutti, compresi i giudici; ed i protocolli d’intesa, in questo come in molti altri campi, sono ormai sempre più presenti nella cassetta degli attrezzi del giurista. Talvolta fanno storcere un po’ il naso ai tradizionalisti, ma assai più proficuo è prenderne atto e cercare di utilizzarli al meglio» [23]. Egli chiama tutti i giudici a marciare sulla via del dialogo investendo nelle possibilità offerte dai protocolli d’intesa, come lui stesso ci ricorda, pur essendo questi ancora da affinare, esplorare e sperimentare in tutte le loro potenzialità [24].
Il protocollo fra Csm e Corte Edu
Di particolare rilievo appare, poi, l’apertura dimostrata alle tematiche che ruotano attorno ai diritti fondamentali dal Csm, autorevolmente rappresentato nelle sue diverse componenti all’incontro dell’11 gennaio scorso in Corte costituzionale ed anch’esso già firmatario di un protocollo di dialogo con la Corte europea.
Presenza, quella del Consiglio superiore, che ha reso tangibile quanto il tema dei diritti fondamentali appartenga pleno iure all’intera giurisdizione ordinaria e non soltanto alla sua articolazione di ultima istanza.
Ad individuare, maneggiare e conformare in vivo diritti fondamentali sono, prima di ogni altro, i giudici di merito, a fronte di una verifica spesso solo in vitro e postuma della Corte di legittimità.
Sono, dunque, quelle stesse esigenze di certezza e prevedibilità, unite a quella primaria che impone allo Stato di offrire una protezione massima ed effettiva dei diritti fondamentali, a rendere necessario che il dialogo coinvolga altresì la giurisdizione di merito, con attività che il Csm e la Scuola della magistratura potrebbero orientare all’informazione e formazione adeguata, periodica e coordinata, anche capaci di sfruttare, attraverso la predisposizione di linee programmatiche, nel migliore modo possibile i frutti raccolti dai protocolli d’intesa fra le corti.
Una sfida che, dunque, si apre davanti a chi ha in mano le sorti dell’autogoverno della magistratura e della formazione ed all’intera giurisdizione, rispetto alla quale anche la Cassazione, non quale giudice supremo, ma semplicemente come giudice, potrebbe, ove richiesta, offrire il proprio contributo, mettendosi essa stessa al servizio dei diritti.
[1] P. Grossi, L’invenzione del diritto, Laterza, Bari-Roma, 2017, p. 82 e p. 115.
[2] Vds., sulla centralità del dialogo per il giudice federale americano, ma in una prospettiva che non è molto diversa da quella del giudice di ultima istanza nazionale, G. Calabresi, Il mestiere di giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna 2014, pp. 66 ss. Anche l’ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale, appena pubblicata, sulla vicenda Cappato, è sintomatica di quanto le corti superiori tendano, quasi naturalmente, a favorire soluzioni che presuppongono un dialogo con il legislatore o le altre corti. Dialogo cercato addirittura forzando prassi secolari ed attingendo ad esperienze oltreoceaniche, pur se proprie di sistemi giuridici che la tradizione giuridica colloca in ambiti diversi da quelli nostrani.
[3] Vds., ancora, R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, in http://www.giurcost.org/studi/conti2.pdf.
[4] Corte Edu, GC, Fabris c. Francia, p. 19.
[5] Questione, quella accennata nel testo, che evoca il tema, diverso rispetto alla cd. efficacia di cosa giudicata della sentenza di Strasburgo, teso a comprendere in che misura un precedente della Corte Edu possa determinare un revirement rispetto a precedenti indirizzi interpretativi interni – cd. efficacia di cosa interpretata delle sentenze della Corte Edu –.
[6] P. Gaeta, Giudici europei: dialogo ascendente e discendente. La prospettiva della Corte costituzionale, Relazione tenuta all’incontro di studio organizzato dal Csm sul tema I giudici e la globalizzazione: il dialogo tra le Corti nazionali e sopranazionali, Roma, 22-24 giugno 2009, in www.csm.it, p. 4 del dattiloscritto: «In particolare, Grice [Logica e conversazione. Su intenzione, significato e comunicazione n.d.r.] individua quattro regole che dovrebbero improntare il dialogo in modo da soddisfare il principio di cooperazione: 1) la regola della quantità (ovvero, dare la quantità di informazione richiesta); 2) la regola della qualità (dare un contributo veritiero al dialogo); 3) la regola della pertinenza (dire solo cose pertinenti); 4) infine, la regola della modalità (esprimersi in forma chiara, non ambigua, concisa ed ordinata)».
[7] Può essere utile ricordare le parole espresse da Giovanni Canzio e dal primo presidente aggiunto Renato Rordorf sul ruolo del Protocollo d’intesa firmato da Cassazione e Corte Edu nel dialogo fra le due corti, secondo i quali «Il Protocollo “Cassazione Corte edu”, marginalizzando l’idea che i rapporti fra le due Corti siano improntati ad una prospettiva di subalternità del giudice nazionale rispetto e quello di Strasburgo intende dimostrare, non con declamazioni astratte, ma in concreto, che la chiave di volta per un sempre più compiuto appagamento dei bisogni elementari dell’uomo è dato dall’interazione pariordinata delle Carte dei diritti fondamentali e, di conseguenza, degli organi che ne sono istituzionalmente garanti, i giudici », in Dialogando sui diritti, Cassazione e Corte edu a confronto, (a cura di) AA.VV., Napoli, 2016, 1.
[8] Cfr. R. G. Conti, Diritto all’anonimato versus diritto alla conoscenza delle proprie origini dell’adottato, in Fattore tempo e diritti fondamentali, AA.VV., I.P.Z.S., 2017, p. 77.
[9] AA.VV., Dialogando sui diritti, Cassazione e Corte EDU a confronto, Napoli 2016; AA.VV., Fattore tempo e diritti fondamentali, Ist. Pol. Zecca dello Stato, 2017.
[10] Gli atti del convegno svolto presso il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione nei giorni 16 e 17 novembre 2017, reperibili sul sito della giustizia amministrativa, sono stati raccolti nel numero 3/2017 della rivista I diritti dell’uomo.
[11] A. Di Stasi, Corte di Cassazione e Corti europee; in A. Didone e F. De Santis (a cura di), I processi civili in Cassazione, Milano, 2018, pp. 356 ss.;M. Barnabò, L’Italia si unisce alla rete delle corti supreme a Strasburgo, in I diritti dell’uomo, 3, 2015, p. 525; R. Conti, Protocolli d’intesa tra la Corte di cassazione e la Corte dei diritti dell’uomo. Introduzione, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2, 2016, p. 103; E. Lamarque, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo a uso dei giudici italiani, in Scritti in ricordo di Paolo Cavaleri, Napoli, 2016, p. 510.
[12] Va ricordata anche l’organizzazione, grazie al prezioso contributo del Ced, di due sessioni di approfondimento in videoconferenza da Strasburgo, dedicate alla conoscenza della banca dati della Corte Edu – sistema HUDOC – con la distribuzione ai partecipanti del manuale di apprendimento tradotto in lingua italiana dal Ministero della giustizia.
[13] Va altresì sottolineato che sempre l’11 gennaio 2019 la Procura generale della Corte di cassazione ha anch’essa formalizzato un Protocollo di dialogo con la Corte Edu.
[14] A. Ruggeri, Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. XVI. Studi dell’anno 2012, Torino, 2013, p. 246.
[15] Il paragrafo che segue ed il successivo riproducono una parte del report predisposto da chi scrive il 13 ottobre 2018 nell’ambito delle attività del gruppo di attuazione del Protocollo d’intesa concluso fra Cassazione e Corte Edu, a commento della prima decisione di richiesta di parere preventivo avanzata dall’Adunanza plenaria della Corte di cassazione francese il 5 ottobre 2018, per come si dirà in seguito nel testo.
[16] Si tratta dei seguenti Paesi: Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina. L’art. 8 del Protocollo stabilisce che lo stesso entra in vigore il primo giorno del mese successivo ai tre che seguono la ratifica del decimo Stato.
[17] Vds. Reflection Paper on the proposal to extend the Court’s advisory jurisdiction, in www.echr.coe.int.
[18] Documento reperibile all’indirizzo https://www.echr.coe.int/Documents/Guidelines_P16_ENG.pdf
[19] Occorre ricordare, in limine, che il rimedio introdotto nel sistema francese dalla legge n. 2016-1547 del 18 novembre 2016 in relazione alle ipotesi di contrasto fra giudicato nazionale formatosi su questioni di stato delle persone e sentenze della Corte Edu, ha determinato una modifica del code de l’organization judiciaire, per effetto della quale è consentito il riesame (réexamen en matière civile) nei casi in cui la violazione di una delle garanzie fondamentali della convenzione ha determinato un danno non risarcibile con l’equa soddisfazione. Si tratta di rimedio da proporre entro un anno dalla pronuncia della Corte europea dinanzi alla Cour de cassation, la quale decide in una peculiare composizione (cd. cour de réexamen) e, in caso di accoglimento, rinvia al giudice di pari grado rispetto a quello che emise la decisione dichiarata contrastante con la Cedu dal giudice di Strasburgo. Orbene, nel caso concreto la Cour de réexamen, richiesta di dare attuazione alla sentenza della Corte Edu dai soggetti vittoriosi a Strasburgo ha ritenuto di rimettere la decisione all’Adunanza plenaria della Corte di cassazione francese. Quest’ultima, con la decisione interlocutoria n. 638 del 5 ottobre 2018, ha quindi deciso di promuovere una richiesta di parere preventivo alla Corte Edu, al fine di verificare la compatibilità del diritto vivente transalpino, nella parte in cui non consente la trascrizione dell’atto di nascita in favore della madre sociale – mère d’intention –. Nel comunicato predisposto dalla Cassazione francese all’atto del deposito della richiesta di parere preventivo, viene particolarmente sottolineata l’utilità della richiesta di parere, precisandosi che: «Il s’agit de la première application par la Cour de cassation du Protocole n° 16 à la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, entré en vigueur le 1er août 2018. La Cour de cassation s’inscrit ainsi pleinement dans la démarche de dialogue des juges institutionnalisés entre la Cour européenne des droits de l’Homme et les juridictions nationales, objectif premier de ce Protocole».
[20] Per tutti, A. Ruggeri, Una prima, cauta ed interlocutoria risposta della Cassazione a Corte cost. n. 269 del 2017 (a prima lettura di Cass., II sez. civ., 16 febbraio 2018, n. 3831, Bolognesi c. Consob), in Consulta on-line, 1/2018, 23 febbraio 2018, pp. 82 ss.; id., Dopo Taricco: identità costituzionale e primato della Costituzione o della Corte Costituzionale? In Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018. Vds., volendo, anche R. Conti, An, quomodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia quando è ‘in gioco’ la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo Corte cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. n. 3831/2018, in www.giudicedonna.it, 4/2017, 7 aprile 2018.
[21] Per le quali vds., ampiamente, A. Cosentino, Il dialogo fra le Corti e le sorti (sembra non magnifiche, né progressive) dell’integrazione europea, 1 ottobre 2018, in questa Rivista on-line, http://questionegiustizia.it/articolo/il-dialogo-fra-le-corti-e-le-sorti-sembra-non-magnifiche-ne-progressive-dell-integrazione-europea_01-10-2018.php.
[22] Vds. la presa di posizione dell’Avvocato generale della Corte di giustizia Kokott, in http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=160929&doclang=IT, p. 139.
[23] R. Rordorf, La Corte di Cassazione e la corte europea dei diritti umani, in corso di pubblicazione sullo Speciale di questa Rivista dedicato alla Corte Edu.
[24] In questa direzione, assai pieno di contenuti e di proposte risulta l’intervento svolto dal cons. Franco De Stefano in rappresentanza della Corte di cassazione all’incontro svoltosi l’11 gennaio 2019 presso la Corte costituzionale, del quale si è riferito all’inizio.