1 - La sentenza n. 916/2014 della sesta sezione, con la quale la cassazione ha annullato l’ordinanza sui NO TAV del tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, ha aggiunto un importante tassello alla tormentata interpretazione della nozione di finalità di terrorismo, rilevante ex art. 270 sexies c.p.
I precedenti contributi della cassazione sul tema non potevano dirsi esaustivi. Non certo, in particolare, la sentenza n. 12252 del 2012, con la quale – con riferimento all’art.270 bis c.p. - si era esclusa la finalità terroristica di condotte rivolte a colpire ‘’obiettivi di elezione’’ anziché, indiscriminatamente, la popolazione per suscitare terrore, panico e insicurezza. Tesi non convincente, anche perché conduceva ad escludere dalla nozione tutti quei reati che, pur essendo dalla legge definiti come terroristici, e tali considerati nella coscienza collettiva, sono, tuttavia, ontologicamente rivolti contro obiettivi di elezione, come il sequestro di persona a fine di terrorismo (art. 289 bis c.p.): si pensi al caso, molto frequente, in cui si chieda il rilascio di prigionieri in cambio della liberazione di un personaggio di rilievo (indubbio obiettivo di elezione): è quanto avvenne quando le vecchie BR rapirono Aldo Moro.
Nel caso che si commenta il provvedimento cautelare si riferiva all’attacco, recato da oltre venti persone, al cantiere del c.d. cunicolo di Chiomonte, aperto nell’ambito delle opere concernenti la linea ferroviaria ad alta velocità fra Torino e Lione.
In relazione ai fatti erano state elevate contestazioni cautelari relativamente ai delitti di Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280, commi 1 e 3 c.p. ) e Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280-bis commi 1, 2 e 4 c.p.).
Il fine, considerato pacifico, di impedire o ritardare l’avanzamento dei lavori si era risolto, secondo il tribunale, in un potenziale grave danno al Paese, anche alla luce delle sollecitazioni provenienti dalle Istituzioni europee in rapporto ai ritardi nella progressione dell’opera ed alle conseguenze che potevano sortirne quanto ai finanziamenti dell’UE. Dovevano ravvisarsi, comunque, per l’Italia, danni attuali di immagine e di carattere economico, connessi questi ultimi alle spese sostenute dallo Stato per la garanzia dell’ordine pubblico.
La Corte ravvisa alcuni essenziali difetti di motivazione in ordine alla sussistenza della finalità di terrorismo, con riferimento principalmente:
a) Alla nozione di ‘’contesto’’ rilevante ai sensi dell’art. 270 sexies, nella parte in cui si fa riferimento a condotte che ‘’per loro natura o contesto possono arrecare grave danno a un Paese’’: secondo la S.C. nel ‘’contesto’’ non può essere compresa la pressione legittimamente esercitata da movimenti politici e gruppi di cittadini. La ‘’costrizione’’dei poteri pubblici, che in base all’art. 270 sexies rappresenta una delle due finalità terroristiche tipiche, deve essere indebita, ed anzi propriamente connessa alla natura terroristica della azione. Inoltre, e per quanto non sia necessaria una responsabilità personale per i fatti illeciti confluenti nel ‘’contesto’’, occorre che l’idoneità sia misurata con riferimento al tempo in cui il fatto viene commesso, e con riguardo ad attività conosciute dall’agente, che può quindi rappresentarsele come fattori causali concorrenti nella produzione del rischio tipico.
b) Ai parametri di misurazione della idoneità dell’atto. Quest’ultimo, nella sua specifica ed esclusiva valenza di condotta illecita, deve rendere attendibile la prospettiva di ‘’costrizione’ del potere pubblico, ma nel contempo creare attualmente e concretamente il rischio che si determini un grave danno per il Paese. Occorre una valutazione stringente della effettiva potenzialità lesiva della condotta, diretta in particolare a stabilire se si sia creata una apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera TAV, e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia o, comunque, all’azione indebitamente mirata a quel fine.
c) Alla identificazione dell’evento ‘’costrizione’’, che costituisce il principale elemento di novità della nozione vigente di finalità terroristica: la decisione imposta al potere pubblico deve essere relativa ad un affare particolarmente rilevante, capace di influenzare le condizioni della vita associata, per il suo oggetto o per l’ implicazione che ne deriva in punto di tenuta delle attribuzioni costituzionali.
2 - La pronuncia mira essenzialmente ad impedire derive interpretative verso la qualificazione ‘’terroristica’’ di ogni reato politicamente motivato, e in questo risiede la sua importanza. Essa si affianca, sotto questo profilo, alla sentenza che anni fa aveva annullato la pronuncia che aveva considerato terroristici alcuni gravi fatti di devastazione commessi dai tifosi di una squadra calcistica (Sez. 1, n. 25949/2008).
Vale la pena di ripercorrere brevemente la tormentata vicenda della definizione di ‘’finalità terroristica’ nella giurisprudenza italiana, per tentare di trarne conclusioni rilevanti nel caso in esame.
Fino a che il terrorismo era un fenomeno esclusivamente interno allo Stato, non si sentiva un particolare bisogno di definire le nozioni di finalità terroristica e terrorismo: erano considerate terroristiche quelle organizzazioni o condotte che esercitavano, nei confronti dello Stato, una minaccia qualificata in un determinato momento storico.
Nel nostro ordinamento la finalità di terrorismo veniva identificata con quella di eversione. Quando, soprattutto per distinguere l’art. 270 dall’art. 270 bis c.p., la dottrina e la giurisprudenza iniziarono a distinguere le due finalità, si disse che mentre la finalità di eversione era quella di sovvertire l’ordinamento, quella propriamente terroristica era quella di intimorire la popolazione, di incutere terrore nella collettività con azioni dirette ‘’non contro le singole persone ma contro quello che esse rappresentano o, se dirette contro la persona indipendentemente dalla sua funzione nella società, miranti ad incutere terrore per scuotere la fiducia nell’ordinamento costituito e indebolirne le strutture’’ (S.U. 23 novembre 1995, n. 2110).
La collocazione dei reati di terrorismo nel capo relativo ai reati contro la personalità dello Stato caratterizzava naturalmente la relativa finalità e segnava la distinzione rispetto ad analoghi reati (ad esempio un omicidio o sequestro di persona), compiuti per finalità di lucro o altra finalità, ad esempio passionale.
L’atto – che doveva essere di violenza – minacciato o compiuto o in generale la condotta (ad esempio una condotta associativa) doveva avere comunque come obiettivo lo Stato, anche se il fine non era propriamente quello di sovvertirlo, come avviene nella finalità di eversione. Il bene giuridico tutelato era infatti, comunque, la personalità politica dello Stato (e non, ad esempio, le finanze statali). Era chiaro, all’epoca, anche in assenza di una definizione codificata di finalità terroristica, che se ad esempio veniva chiesta la liberazione di prigionieri politici allo Stato italiano, in cambio del rilascio di un ostaggio, questo era un atto di terrorismo, mentre non lo era la minaccia, perpetrata da antiabortisti, di attentati ad un ospedale pubblico dove venivano effettuati aborti: solo nel primo caso, infatti, il tipo di alternativa posta riguardava una funzione (il potere di coercizione ) rispetto alla quale lo Stato agisce jure imperii. Per motivi diversi, era considerato atto di terrorismo rapire un Primo ministro, chiedendo un riscatto allo Stato, perché comunque (anche a prescindere dalla considerazione che il finanziamento sarebbe servito normalmente a finanziare un’associazione in sé eversiva) il rapire un premier colpisce la personalità politica dello Stato, perché l’azione è idonea a scuotere, potenzialmente, la fiducia nell’ordinamento costituito, e ad indebolirne le strutture.
Proprio perché l’obiettivo dell’azione terroristica è sempre lo Stato, non era ritenuta sufficiente una finalità genericamente politica (ad esempio un attentato ad un Mac Donald’s da parte di animalisti); inoltre era chiaro che l’atto doveva essere idoneo a mettere in pericolo l’ordinamento statuale in modo grave.
Dopo l’11 settembre 2001 l’esigenza di intervenire a livello di normativa internazionale – ONU e UE – mise indirettamente in discussione alcune di queste certezze.
Quando la Decisione Quadro sul terrorismo dell’Unione Europea fu riversata pedissequamente nell’art. 270 sexies c.p., la nozione penalmente rilevante di finalità terroristica ne risultò corrispondentemente modificata anche con riferimento al terrorismo interno. L’appiattimento sulla norma europea fu cieco, con le inevitabili, negative conseguenze: per il legislatore europeo, infatti, la finalità di eversione era un tutt’uno con quella più propriamente terroristica, e ciò contrastava con la consolidata tradizione giuridica italiana che, invece, teneva ben distinta, anche nella formulazione di alcuni reati, la finalità di eversione da quella terroristica. In questo modo, invece, entrambe furono accomunate sotto la rubrica ‘’condotte con finalità di terrorismo’’, e la finalità di eversione divenne un genus di quella di terrorismo. Il tutto si riversò sulle norme che facevano espresso riferimento sia alla finalità di terrorismo che a quella di eversione, il cui titolo e contenuto divennero, anche a prescindere da ogni altra considerazione, intrinsecamente incoerenti.
L’oramai compiuta definizione della finalità più propriamente terroristica come quella di ‘’intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto ‘’comportò il superamento dell’interpretazione che la giurisprudenza aveva, in precedenza, offerto dell’espressione ‘’finalità di terrorismo’’ contenuta nella legge penale italiana, come quella di incutere terrore nella collettività con azioni miranti a scuotere la fiducia nell’ordinamento costituito e indebolirne le strutture.
Tanto i giudici di merito, quanto la cassazione, da quel momento fecero esclusivo riferimento alla lettera dell’art. 270 sexies nella individuazione del requisito, sia come elemento costitutivo del reato, sia come aggravante (la finalità di terrorismo e/o di eversione è, infatti, nel nostro ordinamento, circostanza aggravante di tutti i reati, ai sensi della l. 15/1980).
L’aggancio al tenore letterale dell’art. 270 sexies produsse gravi inconvenienti: fu, in particolare, smarrita, da alcuni giudici di merito, la portata complessiva dell’istituto, ed in particolare il collegamento con il carattere lato sensu politico – istituzionale del finalismo terroristico, reso evidente dalla collocazione nel capo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato e dal suo parallelismo con la finalità di eversione (la cui interpretazione autentica, ex art. 11 l. 304/82, è quella di ‘’eversione dell’ordine costituzionale’’), quest’ultima concordemente identificata nel fine di sovvertire l’ordinamento costituzionale e di travolgere l’assetto pluralistico e democratico dello Stato.
3 - L’ordinanza del tribunale di Torino annullata dalla cassazione è tipica espressione di questo smarrimento.
Bene fa, quindi, la S.C., a riportarsi, al di là del senso delle parole, alla valenza ‘’sociale’’ del concetto di terrorismo, e all’esigenza di una particolare conformazione del finalismo politico sottostante alla condotta: è inammissibile, per la Corte, ‘’la deriva dell’ordinamento verso la qualificazione terroristica di ogni reato politicamente motivato’’, così come l’eversione penalmente rilevante è solo quella che ‘’miri al sovvertimento dei principi fondamentali, che formano il nucleo intangibile dell’assetto ordinamentale’’.
Anche l’identificazione del ‘’grave danno per il Paese’’, rilevante ai sensi dell’art. 270 sexies, va collegata, per la Corte, al carattere politico – istituzionale del finalismo terroristico. La ‘’costrizione‘’ del potere pubblico a tenere o ad omettere un determinato comportamento , che – delle tre finalità dell’art. 270 sexies – è quella che qui rileva, deve essere, quindi, perseguita con un atto ‘’suscettibile di creare una grave lesione degli interessi presi di mira (il sereno svolgimento della vita pubblica, il fisiologico esercizio del potere pubblico, la stabilità e la esistenza stessa delle istituzioni di una società pluralistica e democratica)’’.
La cassazione, tuttavia, non porta queste inappuntabili considerazioni a tutte le possibili conseguenze: si afferma, è vero, (ma quasi incidentalmente) che il danno grave di cui all’art. 270 sexies ‘’sembra’’ incompatibile ‘’con la fisionomia patrimoniale dell’offesa , per la sua entità e per la sua stessa natura’’. Ma non si dice chiaramente il perché. Non si prende esplicitamente posizione circa la riconducibilità nell’alveo dell’art. 270 sexies, di quel danno di immagine ed economico derivante dall’impedimento o ritardo dei lavori, ritenuto rilevante dai giudici del riesame. Tanto è vero che si conclude invitando il giudice del rinvio a verificare se ‘’si sia creata una apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera TAV, e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia’’.
Non si esclude, in altre parole, che la rinuncia all’opera TAV possa integrare il grave danno di cui all’art. 270 sexies, anche se neppure lo si afferma.
La cassazione non fa ciò che avrebbe potuto fare, trattandosi di punto di diritto: dire chiaramente che cosa esattamente debba intendersi per ‘’grave danno allo Stato’’ a norma dell’art. 270 sexies e, in particolare, se danni patrimoniali o di immagine possano essere ricompresi nella nozione.
Per giungere a conclusioni sul punto, la Corte avrebbe dovuto essere più rigorosa nella identificazione dell’evento ‘’costrizione’’, che giustamente viene identificato come l’ ‘’aspetto più delicato della reiudicanda’’. Si sottolinea, è vero, che ‘’dovrà trattarsi di un affare particolarmente rilevante, capace di influenzare le condizioni della vita associata, per il suo oggetto o per l’implicazione che ne deriva‘’, in quanto, si dice, solo una costrizione che abbia ad oggetto una decisione di tale importanza potrebbe causare allo Stato il grave danno imposto dalla norma. Ma in questo modo si definisce la natura della costrizione in funzione del danno potenzialmente causato, ciò che non soddisfa dal punto di vista ermeneutico.
4 - Occorre, pertanto, meglio delimitare le caratteristiche della costrizione a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto, esercitata sui poteri pubblici ai sensi dell’art. 270 sexies. Più precisamente, interessa stabilire quale tipo di atto dei poteri pubblici sia rilevante ai fini dell’integrazione del requisito.
In proposito, appaiono tuttora validi i principi enucleati in anni di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, e sopra richiamati: solo gli atti compiuti nell’esercizio dei poteri di sovranità dello Stato, in altre parole gli atti compiuti jure imperii, sembra possano entrare in considerazione. Quando si parla di ‘’costringere lo Stato a compiere o astenersi dal compiere qualcosa’’, non ci si può che riferire ad un atto che coinvolga in modo rilevante le funzioni sovrane dello Stato, perché altrimenti la condotta non recherebbe potenziale danno alla ‘’personalità interna‘’ dello Stato, e questa finalità non sarebbe accostata allo scopo di ‘’intimidire una popolazione’’ o di ‘’destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali ‘’dello Stato stesso. Solo un atto del tipo considerato potrebbe ‘’scuotere la fiducia nell’ordinamento costituito e indebolirne le strutture ‘’, secondo l’insegnamento risalente della cassazione in tema di finalità più propriamente terroristica . Il ‘’grave danno ‘’ ha, correlativamente, ad oggetto una funzione sovrana dello Stato.
Una condotta volta ad imporre allo Stato il rilascio di prigionieri, ad esempio, incide sicuramente sui poteri di sovranità dello Stato, ed in particolare sul potere di coercizione, ad esso riservato. E’ assai dubbio, invece, che la realizzazione di una linea ferroviaria coinvolga – oltre tutto in modo incisivo – le funzioni sovrane dello Stato e che il conseguente danno di immagine o patrimoniale assuma una qualche rilevanza.
Spiace che la cassazione non abbia sciolto questo dubbio con chiarezza. Sul caso dei No TAV forse non è ancora detta l’ultima parola.