1. In data 13 gennaio 2015 il Governo ha presentato il disegno di legge delega n. 1738 alla Presidenza del Senato della Repubblica in tema di “Riforma organica della magistratura onorario e altre disposizioni sui giudici di pace”.
Il disegno di legge è ora in discussione in Parlamento e, nei suoi tratti principali, prevede quanto segue:
a) sarà istituita un’unica figura di giudice onorario, che superi l’odierna distinzione tra “giudici di pace” e “giudici onorari di tribunale”, da inserire in un solo ufficio giudiziario. Questo nuovo giudice onorario si chiamerà “giudice onorario di pace”, e confluirà nell’ufficio del Giudice di pace, coordinato tuttavia dal Presidente del tribunale, il quale provvederà a tutti i compiti di gestione del personale di magistratura ed amministrativo. I “Giudici onorari di pace” dureranno in carica, a seconda dell’età, tre o quattro quadrienni.
b) I nuovi giudici onorari di pace potranno poi essere inseriti nell’ufficio del processo presso i tribunali ordinari. In questo caso i giudici onorari potranno/dovranno coadiuvare i giudici professionali nella compilazione degli atti preparatori per l’esercizio della funzione giurisdizionale; potranno/dovranno svolgere le attività e adottare i provvedimenti che il giudice professionale delegherà loro, da porre in essere secondo le direttive impartite dal giudice professionale; potranno/dovranno definire i procedimenti giurisdizionali delegati dal giudice professionale tra quelli individuati in considerazione della loro semplicità; potranno/dovranno andare a formare i collegi nei casi in cui il decreto legislativo consentirà al Presidente del tribunale di formare collegi con la partecipazione di giudici onorari.
c) I giudici onorari riceveranno una indennità differenziata per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali rispetto a quelle para/giurisdizionali svolte in seno all’ufficio del processo: le funzioni para/giurisdizionali saranno determinate in misura inferiore rispetto a quelle giurisdizionali, e le giurisdizionali saranno corrisposte previa verifica dei capi degli uffici (Presidente del Tribunale e Procuratore della Repubblica) “del raggiungimento degli obiettivi stabiliti”. Per quanto riguarda la previdenza il disegno di legge delega prevede, sic et simpliciter, di: “individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica”.
d) I giudici onorari potranno poi essere trasferiti “ad altro ufficio giudiziario della medesima tipologia per esigenze organizzative oggettive del tribunale”, dovranno partecipare “alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale, per l’esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali”, e dovranno altresì partecipare “ai corsi di formazione decentrata organizzati con cadenza almeno semestrale”.
e) La competenza del Giudice di pace verrà poi ampliata quanto al valore ed estesa alla “volontaria giurisdizione”, soprattutto in materia di condominio degli edifici e in materia delle successione, nonché ai diritti reali, quando le controversie siano “connotate da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria”, nonché in materia di procedimenti di espropriazione mobiliare e presso terzi, sotto le “specifiche direttive” impartite loro da giudici professionali individuati dal Presidente del tribunale.
f) Infine dall’attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Questi, in estrema sintesi, i punti principale della riforma.
Chi abbia un minimo di dimestichezza con questi temi, nel leggere il disegno di legge delega ora riassunto, percepisce subito che esso mira, più che a riformare l’ordinamento dei giudici onorari, a costruire l’ufficio del processo, già introdotto con l’art. 50 l. 114/2014.
E’ evidente la cosa, e con pari evidenza va sottolineata.
I magistrati professionali hanno la necessità e l’interesse di strutturare l’ufficio del processo, per avere personale che provveda allo studio dei casi, all’attività di ricerca giurisprudenziale, e alla predisposizione di minute dei provvedimenti.
L’ufficio del processo al momento non è strutturato, e salve sporadiche esperienze, non funziona, essendo insufficiente la partecipazione in esso del personale amministrativo (peraltro impegnato in altre cose) e dei tirocinanti.
Si è pensato allora di far confluire in esso, in modo massiccio e sistematico, i giudici onorari, che possono risolvere il problema, e far partire, una volta per tutte, l’ufficio del processo.
Per ottenere un simile risultato, però, era necessario porre mano alla disciplina dei giudici onorari, e così si è data una riforma generale dei giudici onorari.
Ai nuovi giudici onorari resteranno sì compiti giurisdizionali, ma questa sarà in futuro, per loro, un’attività secondaria; l’attività principale sarà invece quella di adiuvare i giudici professionali, trasformandosi in loro assistenti e collaboratori.
Peraltro, chiamare questo ufficio “Ufficio del processo” è scorretto, perché si tratta dell’ufficio del giudice, non del processo.
Il processo è un concetto più ampio, il processo comprenderebbe tutte le parti del processo, non solo il giudice.
Questo è l’ufficio del giudice.
Siamo in presenza di un legislatore furbo, che fa tutto indirettamente: per dare struttura all’ufficio del giudice provvede alla riforma dei giudici onorari, e per non sottolineare troppo che si tratta dell’ufficio del giudice, lo chiama ufficio del processo.
3. Certamente, in primo luogo, questa non è la riforma per i giudici onorari.
I giudici onorari chiedevano tre cose: la stabilizzazione dei magistrati onorari in servizio, l’assistenza previdenziale, il mutamento dei criteri di liquidazione del compenso.
Non sono stati accontentati in niente.
La stabilizzazione non viene riconosciuta, e solo il periodo quadriennale di servizio può essere confermato in un numero limitato di quadrienni successivi. La previdenza è esclusa, considerato che la riforma non deve comportare nuovi o maggiori oneri per lo Stato, e solo si autorizza i giudici onorari a farsi una previdenza personale e privata, come se per far ciò vi fosse la necessità di essere autorizzati dalla legge.
Nemmeno i criteri di liquidazione del compenso sono stati modificati.
Anzi, le prospettive retributive dei giudici onorari andranno (probabilmente) a peggiorare, se si tiene conto che i giudici onorari riceveranno una indennità minore per le funzioni para/giurisdizionali svolte in seno all’ufficio del processo, e riceveranno una indennità incerta per le funzioni giurisdizionali, atteso che queste saranno subordinate al “raggiungimento degli obiettivi stabiliti” per come certificati dai capi degli uffici.
Certamente questa legge non valorizza i giudici onorari, anche se si è avuto il coraggio di sostenerlo.
Non si valorizza una categoria che fino ad oggi ha svolto funzioni giurisdizionali inserendola nell’ufficio del processo a compenso ridotto; ne la si valorizza prevedendo che ogni sua attività sia sottoposta alle direttive dei giudici professionali, che avranno il controllo pieno dell’operato dei giudici onorari in seno all’ufficio del processo, e avranno egualmente il potere di indirizzo, di controllo e di vigilanza della funzione giurisdizionale dei giudici onorari anche fuori dall’ufficio del processo, prima con le riunioni trimestrali per l’esame delle questioni giuridiche e per la discussione delle soluzioni adottate, e poi con le “specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative” e con la vigilanza “sull’attività dei giudici onorari di pace”, così come espressamente previsto dal comma 15 dell’art. 2 del disegno di legge.
Disposizione, quest’ultima, che appare palesemente incostituzionale, perché anche i giudici onorari sono soggetti solo alla legge ex art. 101 Cost., cosicché è impensabile che “Il presidente del tribunale attribuisce ad uno o più giudici professionali il compito di impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e di vigilare sull’attività dei giudici onorari di pace” (così, espressamente, art. 2, comma 15, ultima parte).
4. Egualmente, direi, che questa non è la riforma per i cittadini, o per gli avvocati, che rappresentano i cittadini in giudizio.
Agli utenti della giustizia sarebbe interessata una riforma in grado di assicurare una più rapida soluzione (almeno di una parte) delle liti, senza danno per la qualità.
Ciò si poteva perseguire professionalizzando i giudici onorari, ed affidando loro una maggior fetta del contenzioso.
Anche questo, però, non è stato fatto.
In verità, il disegno di legge prevede un aumento della competenza dei giudici di pace; ma le norme sulla competenza sono (a mio parere) talmente improponibili da portare a ritenere che con esse, di nuovo, si sia voluto perseguire un diverso scopo.
Il disegno di legge attribuisce infatti al giudice di pace le controversie di “volontaria giurisdizione” se “connotate da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria” (art. 2, comma 15 del disegno di legge).
Parimenti sono attribuire al giudice di pace ogni controversia di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici, successione, nonché tutte le controversie sui diritti reali, sempre a condizione che queste siano “connotate da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria”.
Ora, è fuori discussione che le norme sulla competenza devono individuare il giudice in modo chiaro e preciso, in base all’oggetto del contendere, e non alla “complessità” o meno dell’oggetto del contendere.
L’attore, per scendere al concreto, deve sapere se una causa va instaurata nell’ufficio del giudice di pace o in tribunale, e non può certo farlo dando una pre-valutazione della complessità istruttoria e decisoria della controversia.
Non può farlo non solo perché non è pensabile che un giudizio del genere sia rimesso all’attore che deve introdurre la causa, ma anche perché per stabilire se una controversia è semplice o complessa sotto il profilo istruttorio e decisorio è quanto meno necessario attendere il contraddittorio e valutare anche la posizione del convenuto, che potrebbe (anche) proporre domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi, ecc...
La novità allora sembra questa: la competenza non sarà più individuata dalla parte con l’atto introduttivo del giudizio in base all’oggetto del contendere, ma dal giudice in base alla complessità della lite; la competenza non si determinerà più in limine litis, ma solo a seguito del contraddittorio.
Ciò avverrà parimenti, e in modo analogo, anche con riguardo all’art. 2, comma 5, relativo alla disciplina dell’ufficio del processo: se le questioni istruttorie o decisorie sono semplici, il giudice professionale potrà delegarle al giudice onorario, altrimenti no.
In estrema sintesi, allora:
a) il legislatore ha voluto che il giudice professionale possa attribuire al giudice onorario le controversie e/o le questioni semplici dal punto di vista istruttorio e/o decisorio;
b) il legislatore ha previsto che il giudice professionale possa esercitare questo potere in due modi: ba) o nell’ufficio del processo per le controversie di competenza del tribunale; bb) oppure anche con il trasferimento delle controversie semplici da un ufficio all’altro nell’ipotesi di competenza del giudice di pace, atteso che si è reso criterio di competenza quello relativo alla semplicità o complessità della controversia (e, probabilmente, le controversie indicate saranno in prima battuta tutte di competenza del tribunale, e la parte che le instauri dovrà sempre e comunque rivolgersi necessariamente al tribunale; saranno poi i giudici del tribunale a stabilire se la causa è semplice o complessa, e, in caso sia semplice, a trasferirla al giudice di pace).
5. Ora, ci si potrebbe divertire a rilevare come, per attribuire al giudice togato il potere di trasferire al giudice onorario le controversie e le questioni “semplici” per tenersi quelle “complesse”, si siano violati tutti i criteri processuali sulla competenza, e, in una certa misura, se si vuole, si sia creato un ibrido tra competenza e sistema tabellare, tutto disciplinato per legge, che non mi sembra abbia precedenti.
Ma sarebbe un gioco fin troppo semplice che preferisco non fare.
Propongo invece un altro gioco (e preciso che sto giocando, per non urtare la sensibilità di nessuno): come farà il giudice togato a stabilire quali siano le controversie o le questioni semplici rispetto a quelle complesse?
Perché il rischio è evidente, ed è quello che il giudice togato, invece di trasferire al giudice onorario le controversie semplici, gli trasferisca quelle più lunghe, noiose, litigiose, e magari anche complesse, dando le “direttive” previste dalla legge.
D’altronde, se continuiamo nel gioco, per quali ragioni il giudice togato dovrebbe trattenere le cause più complesse per sé e dare al giudice onorario quelle più semplici?
Non è il giudice onorario “assistente” di quello togato?
E’ naturale allora che il giudice onorario debba prendersi tutte le rogne (o un buon numero di esse).
Diciamo, anche qui, che la legge non poteva dire che il giudice togato potrà utilizzare il giudice onorario nel modo che riterrà più opportuno.
Allora ha statuito che possa trasferirgli le controversie e le questioni più semplici.
Dopo di che, si sa bene che un buon giudice è in grado di motivare come “semplice” una qualsiasi controversia, attesa l’elasticità e la relatività di questa espressione.
I più abili, saranno quelli che meglio riusciranno a liberarsi delle cause più pesanti, e il gioco poi si completerà ritenendo che l’atto di delega, fors’anche in molti casi orale, è atto interno non impugnabile, in ogni caso insindacabile nelle fasi successive se correttamente motivato, e in ogni caso non soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per la competenza.
6. A questo punto credo sia chiaro per chi sia stata scritta questa riforma, che non può dirsi per i giudici onorari, per i cittadini, per gli avvocati.
Questo disegno di legge struttura e dà corpo all’ufficio del giudice chiamandolo ufficio del processo; per esso trasforma i giudici onorari in adiuvanti dei giudici professionali; consente il controllo, l’indirizzo e la vigilanza del giudice professionale sul giudice onorario anche nei momenti in cui questo mantiene funzioni giurisdizionali; e infine consente al giudice professionale di delegare e attribuire al giudice onorario tutto ciò che non gli piace.
Sono anni che le riforme in tema di giustizia, soprattutto civile, sono fatte da giudici dal punto di vista del giudice.
Il “giudice” non è la “giustizia”, ma solo una parte di essa; le leggi sulla giustizia devono essere fatte da tutte le parti, e non solo da una, e devono avere come riferimento gli utenti.
Non possiamo più andare avanti con leggi che invece di affrontare i problemi della giustizia affrontano i problemi che hanno i giudici nell’amministrare la giustizia, o che non mirano a migliorare il servizio giustizia, bensì le condizioni di lavoro dei giudici.
E’ chiaro che nessuno è contrario all’ufficio del giudice, però è altrettanto chiaro che il cittadino deve pretendere che l’ufficio del giudice sia ancorato ad incrementi di standard di produttività, che in questo disegno di legge non vi sono da nessuna parte.
Peraltro non si capisce perché i guadagni dei giudici onorari debbano essere condizionati al “raggiungimento degli obiettivi stabiliti” per come certificati dai capi degli uffici, mentre i giudici togati debbano avere un ufficio di collaboratori senza previsione predeterminate di standard in aumento di produttività.
Penso si debbano allora ribadire i seguenti punti:
a) Questo disegno di legge è scritto nell’interesse dei magistrati.
Le leggi sulla giustizia non possono essere affidate solo ai giudici e devono essere scritte e pensate nell’interesse dell’utente. Fare le riforme in materia di giustizia nell’interesse dei giudici è come fare la riforma della sanità per i medici anziché per i malati, o della scuola per gli insegnanti anziché per i discenti.
b) E’ interesse degli utenti aumentare la produttività del sistema giustizia. La produttività si persegue lasciando i giudici onorari a decidere il contenzioso minore, non inserendoli nell’ufficio del giudice.
c) I giudici onorari non devono allora andare a formare l’ufficio del processo, che deve chiamarsi ufficio del giudice. I giudici onorari sono magistrati del contenzioso minore e devono continuare a svolgere pienamente funzioni giurisdizionali, senza rendersi assistenti dei magistrati.
d) I magistrati onorari hanno ad oggi dato un contributo insostituibile all’amministrazione della giustizia. Non meritano di essere degradati a collaboratori dei togati, a compenso ridotto, assoggettati alle loro direttive anche nelle funzioni giurisdizionali, senza previdenza ne’ altro.
e) Il riparto della competenza per materia si fa in base all’oggetto del contenzioso, non certo sulla “complessità” o meno dell’oggetto del contenzioso. E' quest'ultima una cosa bizzarra e inaccettabile; e solo un modo per consentire alla magistratura togata di scaricare ad altri tutto ciò che non le piace.
f) L’ufficio del giudice deve trovare un bilanciamento in standard di produttività prefissati, che non possono essere rimessi a circolari del CSM*.
*Il presente scritto costituisce stesura con integrazioni dell’intervento tenuto in una tavola rotonda su medesimo argomento organizzato presso il Palazzo di Giustizia di Firenze dall’Unione distrettuale degli Ordini forensi della Toscana in data 22 giugno 2015.
Esso è dedicato a Sua Ecc. Dr. Fabio Massimo Drago, Presidente della Corte di Appello di Firenze, nel momento in cui lascia l’Ufficio, come segno della mia più autentica stima.
Al dr. Fabio Massimo Drago un ringraziamento particolare per come in questi anni ha diretto il Consiglio giudiziario: grande capacità organizzativa, massimo rispetto per tutti, sempre con il sorriso.