1. La sentenza della Corte di giustizia UE del 16 luglio 2020
La sentenza della Corte di giustizia UE 16 luglio 2020, UX contro Governo della Repubblica italiana (causa C-658/18), in materia di rapporto di lavoro dei magistrati onorari[1] ha, da un lato, opportunamente chiarito l’aspetto della qualificazione dei medesimi secondo il diritto euro-unitario del lavoro; ma soprattutto ha fornito lo spunto, nel nostro ordinamento, alla successiva giurisprudenza di merito per rafforzare le tutele e ribadire i diritti dei giudici onorari.
Secondo la Corte di giustizia, il magistrato onorario (nella specie, si trattava di un giudice di pace) può rientrare nella nozione di “lavoratore” ai sensi dell’art. 7 della direttiva n. 2003/88/CE (sull’organizzazione del lavoro) e dell’art. 31, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (punto 113 della decisione). Di più, ai sensi dell’Accordo quadro europeo sul lavoro a termine e della direttiva n. 1999/70/CE, il giudice onorario rientra nella nozione di “lavoratore a tempo determinato”, alla condizione (da verificarsi a cura del giudice nazionale) che, nell’ambito delle sue funzioni, egli svolga prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie e per le quali percepisca indennità a carattere remunerativo.
Infine, ad avviso della Corte, i magistrati ordinari possono fungere da “lavoratori comparabili” ai fini del rispetto del divieto di discriminazione, normativa ed economica (nella specie si discuteva del diritto a un periodo di ferie annuali retribuite). Disparità di trattamento tra magistrati onorari e ordinari sarebbero quindi giustificate unicamente dalla presenza di ragioni oggettive (soggette al vaglio del giudice nazionale), fondate sulle qualifiche richieste (nei due casi) per l’accesso alla funzione giudicante, delle mansioni attribuite e delle connesse responsabilità.
Anche se l’esito del giudizio avanti la Corte di giustizia ha un impatto limitato, in via diretta, sull’ordinamento italiano, nondimeno i giudici nazionali mostrano di aver subito una notevole influenza da questa decisione, che è ripetutamente menzionata nelle più recenti pronunce di merito.
2. I giudici onorari come lavoratori (a termine)
La giurisprudenza nazionale successiva alla pronuncia della Corte di giustizia si è concentrata su due aspetti prevalenti, e cioè la qualificazione del rapporto di lavoro dei giudici onorari (e i diritti che ne derivano) e l’abuso dei contratti di lavoro a termine, con conseguenti profili risarcitori.
Il primo dei due profili è naturalmente quello più difficile da risolvere. Infatti, anche volendo considerare i giudici onorari – come ha sostenuto la Corte di giustizia – quali lavoratori, e in particolare come lavoratori a termine, secondo le direttive n. 2003/88 e 1999/70, la controparte datoriale è l’amministrazione della giustizia, quindi un apparato statale; ne deriva che non è possibile qualificare i giudici onorari (come del resto gli altri “precari” della P.A.) quali pubblici dipendenti, mancando il presupposto costituzionale del pubblico concorso (art. 106, commi 1 e 2 Cost.; art. 97, comma 4 Cost.). Anzi, i giudici onorari non possono essere considerati né dipendenti pubblici, né lavoratori parasubordinati[2].
Come si sa, peraltro, talora in giurisprudenza, e più di frequente in sede normativa, è stata sostenuta o avallata la possibilità di un ingresso per via “indiretta” dei precari della pubblica amministrazione nei ruoli della P.A., vale a dire senza un vero concorso pubblico ovvero in via sanzionatoria, come conseguenza dell’abuso dello strumento del contratto a termine. Tuttavia, mentre la scarsa giurisprudenza che si è spinta sino a tal punto[3] non ha avuto seguito nei superiori gradi di giudizio (trovando un esplicito ostacolo nell’art. 36, comma 5 d.lgs. n. 165/2001), da parte sua il legislatore ha emanato, in modo più o meno ricorrente, leggi di “stabilizzazione” dei precari del pubblico impiego[4], intenzionalmente ignorando l’eccezionalità di simili provvedimenti[5].
Una simile operazione non è però percorribile (né opportuna), come si vedrà, per la magistratura onoraria, perché la preclusione posta per la magistratura dall’art. 106, comma 1 cost. è ancor più stringente di quella, di carattere generale, dell’art. 97, comma 4 Cost.[6].
Torneremo in conclusione di queste brevi note sull’eventualità di un nuovo intervento legislativo sull’assetto della magistratura onoraria, a distanza di pochi anni dalla legge organica di riforma del settore (d.lgs. n. 116/2017). Per il momento, esaminiamo alcune tra le decisioni di merito emanate appena prima, o subito dopo, la decisione della Corte di giustizia del luglio 2020.
3. Magistrati onorari, diritti e tutele nella più recente giurisprudenza di merito
In primo luogo va ricordata la pronuncia, in qualche modo antesignana, del Tribunale di Sassari, sez. lavoro, 24 gennaio 2020, giud. Angioni: il Tribunale si è pronunciato sul ricorso di un VPO, il quale si limitava a chiedere l’accertamento delle concrete modalità di svolgimento del suo rapporto di lavoro. Il giudice, premesso che il rapporto di lavoro del ricorrente si è «di fatto svolto, per molti anni, con le caratteristiche proprie della subordinazione e non certo con quelle dell’onorarietà pretesa con l’attribuzione dell’incarico», si orienta nel senso della qualificazione dei VPO come “lavoratori”, opinione che poi la Corte di giustizia avrebbe, di lì a poco, autorevolmente avallato in via generale. Tale connotazione viene desunta, oltre che dal concreto svolgimento del rapporto di lavoro, anche “a posteriori” dal dato normativo che ha dotato i magistrati onorari di una tutela previdenziale, mediante iscrizione alla gestione separata INPS (art. 25, comma 3 d.lgs. n. 116/2017).
Il Tribunale di Sassari dichiara di non voler «prendere posizione decisionale» sulla qualificazione del rapporto di lavoro in termini di autonomia o subordinazione, in quanto il giudizio instaurato in quel caso ha «natura meramente accertativa», ed evita quindi di porsi l’ulteriore e ancor più difficile problema derivante dalla natura sostanzialmente pubblica del rapporto di lavoro. Nondimeno, il giudice fa chiaramente trasparire la sua opinione, allorché afferma in maniera netta che «di autonomo il lavoro del VPO non ha niente», in quanto egli è incardinato nell’ufficio, è assoggettato a direttive del capo dell’ufficio giudiziario e finanche al potere disciplinare dei superiori.
Viene alla mente, per analogia, la recente decisione della Suprema corte n. 1663/2020 sul rapporto di lavoro dei “riders”, poiché anche in quel caso la Cassazione (cfr. punto 14 della motivazione) ha potuto evitare di pronunciarsi sul delicato tema della qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, non riproposto dai lavoratori mediante il ricorso incidentale, pur facendo chiaramente intendere il suo orientamento favorevole (punto 42 della motivazione). La differenza sostanziale, però, sta nella circostanza che per i “riders” il dibattito è riconducibile alla più tradizionale dicotomia lavoro autonomo-lavoro subordinato, tanto che una parte della giurisprudenza ha ritenuto di oltrepassare la qualificazione data dalle parti nei contratti individuali di lavoro e anche quella contenuta nell’art. 47-bis, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, pronunciandosi senz’altro a favore della subordinazione[7]. Invece, nel caso dei giudici onorari, l’ostacolo maggiore al riconoscimento giuridico della subordinazione è costituito, come detto, dalla natura sostanzialmente pubblica del datore di lavoro (nonché delle funzioni esercitate).
Tra le pronunce recenti successive alla decisione della Corte di giustizia del luglio 2020 merita ricordare Trib. Napoli, sez. lavoro, 26 novembre 2020, giud. Picciotti, la quale, muovendo dal riconoscimento dei giudici onorari quali “lavoratori” secondo il diritto euro-unitario del lavoro ai sensi della sentenza della Corte UE, ha condannato il Ministero della giustizia ad erogare ai ricorrenti le differenze stipendiali rispetto al magistrato ordinario, in quanto “lavoratore comparabile”, nonché al risarcimento del danno per l’abuso dei rapporti di lavoro a termine (art. 28, comma 2 d.lgs. n. 81/2015, e già art. 32, comma 5 l. n. 183/2010), nella misura di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Da identica premessa muove Trib. Vicenza, 16 dicembre 2020, giud. Campo, la quale, su ricorso di un GOT, ha riconosciuto la natura di “lavoratore” ai sensi del diritto comunitario e l’equiparabilità al magistrato togato ai fini retributivi, prendendo quale parametro retributivo, nel caso di specie, la classe stipendiale HH03, vale a dire quella del magistrato «nel periodo tra la fine del tirocinio e il riconoscimento della prima qualifica di professionalità[8]». L’amministrazione è stata quindi condannata al pagamento delle differenze stipendiali dalla data dell’assunzione dell’incarico onorario sino al deposito del ricorso[9]. Il Tribunale di Vicenza ha inoltre ravvisato anch’esso una condotta abusiva, e non giustificata da “ragioni obiettive”, nella prolungata reiterazione degli incarichi alla ricorrente, la quale, nonostante la natura “inderogabilmente” temporanea dell’incarico (art. 1, comma 3 d.lgs. n. 116/2017), aveva di fatto prestato attività continuativa per oltre 14 anni presso il medesimo ufficio giudiziario. Il Ministero è stato pertanto condannato al versamento, a titolo risarcitorio, di sette mensilità di retribuzione, da calcolarsi secondo il parametro stipendiale suddetto (HH03).
Molto articolata è infine Trib. Roma, II, 13 gennaio 2021, giud. Papoff, resa a seguito di ricorso da parte di numerosi magistrati onorari (giudici di pace, VPO e GOT). Dopo una lunga e ampia disamina della situazione esistente, comprese Corte UE 16 luglio 2020 e Corte cost. n. 267/2020 – della quale si dirà in seguito – il Tribunale ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento del danno (da determinarsi in separato giudizio) per inadempimento dell’amministrazione, nel periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 116/2017, a una serie di direttive: la n. 2003/88/CE per quanto riguarda il diritto alle ferie retribuite; la n. 92/85/CEE, per quanto attiene al mancato riconoscimento del diritto al congedo di maternità; la n. 1999/70/CE, per la mancata tutela previdenziale e assistenziale e la copertura INAIL. La limitazione del risarcimento al periodo anteriore al 15 agosto 2017 è invece stata esclusa dal Tribunale per quanto riguarda il diritto al risarcimento del danno (sempre da quantificarsi separatamente) da abusiva reiterazione di contratti a termine e per disparità di trattamento rispetto ai lavoratori comparabili.
Infine Trib. Napoli, 7.10.2020, giud. Lucantonio, ha quantificato, in modo per la verità opinabile[10], il c.d. “danno comunitario” da mancata conversione del contratto a termine di un giudice di pace sommando l’importo di 15 mensilità in luogo della retribuzione, ai sensi dell’art. 18 commi 3-4 St. lav., all’indennità ex art. 32, comma 5 l. n. 183/2010, giungendo così a un ammontare complessivo, a titolo risarcitorio, pari a 21 mensilità di retribuzione.
4. Alcune considerazioni riassuntive
Il quadro che emerge dalla complessiva analisi della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, anche dopo la riforma del 2017 della magistratura onoraria, è tuttora di grande incertezza, non tanto e non solo in termini qualificatori, quanto sul piano concreto del riconoscimento dei diritti dei giudici onorari e soprattutto delle tutele contro l’abuso della temporaneità e della “onorarietà” degli incarichi.
L’ostacolo rappresentato dalla necessità del concorso per l’ingresso nei ruoli della P.A. impedisce, ancor più della differenziazione di mansioni e responsabilità, la stabilizzazione dei rapporti di lavoro dei giudici onorari, come del resto hanno riconosciuto anche di recente Corte cost. n. 267/2020 e soprattutto Corte cost. n. 41/2021, che ha fissato al legislatore un termine preciso (31 ottobre 2025) per la completa attuazione dell’art. 106, comma 2 Cost. La perdurante differenza tra le due categorie (magistrati ordinari e onorari) impedisce di conseguenza anche l’estensione a questi ultimi della giurisdizione amministrativa in caso di contenzioso (artt. 63 e 3 d.lgs. n. 165/2001[11]).
Delle difficoltà qualificatorie sono ben consapevoli sia i medesimi ricorrenti che i giudici del lavoro che sono stati investiti del contenzioso in esame. Da questo punto di vista, la richiamata decisione del Trib. Sassari[12], che, sia pure in via di mero accertamento, ha riconosciuto l’esistenza della subordinazione “di fatto”, è non solo praeter legem, ma priva di effetti pratici; effetti che invece scaturiscono dalla (più semplice) qualificazione dei giudici onorari quali “lavoratori” e anzi quali “lavoratori a termine” secondo il diritto euro-unitario. Infatti, proprio su tali presupposti, difficilmente contestabili, si fonda l’estensione ai giudici onorari di una serie di diritti connessi al rapporto di lavoro sans phrase[13], al fine di colmare un divario che solo in parte è stato ridotto dal d.lgs. n. 116/2017 (cfr. ancora Trib. Roma, 13 gennaio 2021).
Il vero punto critico sta nel contrasto alle condotte illegittime da parte dell’amministrazione, consistenti nell’indebita reiterazione degli incarichi (solo di nome) temporanei e onorari. Per contrastare una simile situazione, non c’è riforma che tenga, poiché sarebbe difficile escogitare un’affermazione più netta di quella (pur disattesa) sulla natura «inderogabilmente temporanea» dell’incarico (art. 1, comma 3 d.lgs. n. 116/2017). L’unico approdo rimane dunque quello giurisprudenziale. In questo senso, è indiscutibile la decisione del Trib. Vicenza 16 dicembre 2020, che, unitamente a quasi tutte le altre pronunce di merito sopra ricordate, ha riconosciuto ai ricorrenti una somma a titolo di risarcimento del danno per abuso del contratto a termine, applicando (in linea con le indicazioni di Cass., S.U., n. 5072/2016 per il pubblico impiego) l’indennità forfettaria di cui all’art. 32, comma 5 l. n. 183/2010 (ora art. 28, comma 2 d.lgs. n. 81/2015).
E’ tuttavia persino scontato osservare come un simile meccanismo, per i giudici onorari come del resto per qualsiasi altro lavoratore, produca inevitabilmente un’inadeguata differenziazione di tutele, oltre ad essere, nei fatti, quasi mai realmente dissuasivo rispetto ai comportamenti abusivi.
5. Prospettive de iure condendo
Una possibile soluzione ai problemi qui sommariamente trattati non è certo una legge, sia pure eccezionale, di stabilizzazione dei giudici onorari nei ruoli della magistratura[14]. Non tanto perché un simile meccanismo sia ignoto (tutt’altro) all’ordinamento italiano dell’ultimo quindicennio, quanto perché in questo caso si ha a che fare con funzioni giurisdizionali, per le quali la previsione costituzionale del pubblico concorso è particolarmente rafforzata, non solo nel contesto ordinamentale (art. 106, comma 1 cost.; art. 1, comma 3 d.lgs. n. 116/2017) ma anche – per così dire – nel comune sentire, sociale e giurisprudenziale[15]. In un settore così strategico, una stabilizzazione dei precari, sul modello degli ultimi anni, sarebbe insomma non solo di difficile tenuta costituzionale, ma anche inopportuna sotto l’aspetto della politica del diritto.
Un rafforzamento legislativo dei diritti dei giudici onorari in quanto “lavoratori” – e lavoratori a termine – è invece non solo possibile ma anzi ormai inevitabile (cfr. ancora Corte cost. n. 41/2021), nella prospettiva della piena (sia pure tardiva) attuazione del disegno costituzionale di cui all’art. 106, comma 2. Le preannunciate novità legislative potrebbero estendersi alla riconfigurazione stessa della magistratura onoraria, ad esempio mediante il rafforzamento dell’osmosi da altri settori dell’impiego pubblico e privato, ovvero tramite la creazione di veri e propri uffici di supporto alla funzione giudicante ordinaria, come pare ci si stia orientando in ambito governativo[16].
L’importante, a mio avviso, è che un’eventuale riscrittura della categoria del giudice onorario avvenga, al di là di espressi divieti (art. 1, comma 3 d.lgs. n. 116/2017), tanto necessari quanto ineffettivi, in modo tale da creare un contesto sfavorevole a prassi abusive, ad esempio per mezzo di sanzioni indirette a carico dei responsabili, sul modello dell’art. 36, commi 3 e 5, d.lgs. n. 165/2001. Solo così si potrà evitare il frequente ricorso all’extrema ratio della tutela risarcitoria in sede giurisprudenziale, certamente importante ma altrettanto non risolutiva in un settore così delicato come quello in esame.
[1] Per un commento alla sentenza della Corte di giustizia, cfr. M. Del Frate, Giudici di pace e nozione “comunitaria” di lavoratore, in Dir. rel. ind., n. 4/2020, 1203; A. Abbasciano, I giudici di pace al vaglio della corte di giustizia: diritto alle ferie retribuite o apertura verso la subordinazione?, in Giustiziacivile.com, 16 marzo 2021.
[2] Cfr. da ultimo, Cass., sez. lav., 5 giugno 2020, n. 10774; v. anche Cons. Stato, sez. V, 4 febbraio 2021, n. 1062, sul diritto al porto d’armi senza licenza.
[3] Con riferimento ai precari della scuola statale, cfr. la famosa pronuncia del Trib. Siena, 27 settembre 2010, giud. Cammarosano.
[4] Da ultimo, cfr. l’art. 20 d.lgs. n. 75/2017.
[5] Sottolineata a più riprese dalla giurisprudenza: cfr. ad esempio Cons. Stato, VI, 12 ottobre 2012, n. 5269.
[6] In questo senso Cons. Stato, V, 4 febbraio 2021, n. 1062.
[7] Cfr. Trib. Palermo, sez. lav., sent. n. 3570/2020, giud. Marino, in linea con la recente giurisprudenza spagnola in materia.
[8] Una decisione analoga, nel senso cioè del diritto all’equiparazione retributiva con il magistrato ordinario comparabile, è stata assunta, a quanto si legge, anche da Trib. Napoli, 11 gennaio 2021, n. 6035, citata da V. A. Poso, Ufficiale (di complemento) e gentiluomo, ma anche subordinato? Iudex honorarius, de te fabula narratur, in Rivistalabor.it, 23 gennaio 2021: https://www.rivistalabor.it/ufficiale-complemento-gentiluomo-anche-subordinato-iudex-honorarius-de-fabula-narratur/
[9] Viceversa, non è stato riconosciuto il danno da omessa contribuzione, perché l’oggetto della domanda non era (e non avrebbe potuto essere) la costituzione di un rapporto di pubblico impiego.
[10] In quanto non è stata considerata l’espressa “onnicomprensività” dell’indennità ex art. 32, comma 5 l. n. 183/2010 e ora di quella, analoga, di cui all’art. 28, comma 2 d.lgs. n. 81/2015. Di sentenza «eccentrica rispetto all’impostazione comunitaria» parla G. Ferraro, I giudici onorari secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, in corso di pubblicazione in Riv. giur. lav., n. 2/2021, p. 13 del dattiloscritto.
[11] Sul punto cfr. Trib. Napoli, 26.11.2020, est. Picciotti, cit., pag. 4 della decisione.
[12] Per la verità anche Trib. Napoli 26.11.2020, cit., afferma che «non vale ad escludere il vincolo di subordinazione la mancanza di un pubblico concorso» per il reclutamento dei giudici onorari.
[13] Cfr. M. Pedrazzoli, Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori. Ipotesi sul lavoro autonomo, in Riv. it. dir. lav., 1998, I, 49.
[14] Sul punto si vedano le attente e articolate considerazioni svolte da G. Ferraro, I giudici onorari secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, cit., p. 13 del dattiloscritto.
[15] Si v. la giurisprudenza citata supra, nota n. 2.
[16] Cfr. G. Campo, Nuovi percorsi per la magistratura onoraria?, in questa Rivista on line, https://www.questionegiustizia.it/articolo/nuovi-percorsi-per-la-magistratura-onoraria