Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Da “gusci vuoti” a “officine dei diritti”

di Roberto Braccialini
giudice del Tribunale di Genova
Pubblichiamo la relazione svolta all'incontro di studi organizzato dal Csm il 21 novembre 2017 sul tema: “Problematiche applicative ed organizzative derivanti dall'entrata in vigore della riforma della magistratura onoraria”

Questo contributo è affettuosamente dedicato a Claudio Viazzi, amico confuciano e maestro, cui l’imminente pensionamento non impedirà di illuminarci ancora sulle sorti magnifiche e progressive della magistratura onoraria (e togata). Un caro pensiero anche per Daniela Intravaia e Stefano Zan con i quali, a margine del convegno Anm su Processo e Organizzazione (Roma, dicembre 2003), è stata estratta e sintetizzata in laboratorio la “molecola portentosa”.

R. B.

Prima di aderire a questa iniziativa consiliare mi sono posto lo stesso interrogativo di quel noto viaggiatore e scrittore inglese che, ai confini tra Patagonia e ultima Thule, si domandava: «Che ci faccio io qui?». Poi ho capito che questa tavola rotonda è una straordinaria occasione offerta dal Csm a quelle anime belle che, compreso il sottoscritto, hanno per qualche tempo vagheggiato un modello “leggero” o “relazionale” di ufficio per il processo (di seguito, Upp): un’organizzazione, cioè, sostanzialmente coincidente con le sezioni giudicanti in cui normalmente è articolato un tribunale, nel momento in cui queste strutturano le loro risorse umane e tecniche in funzione di bisogni e progetti.

Questo genere di sezioni e di relazioni organizzative esisteva in natura, nel nostro variegato panorama giudiziario, anche prima dell’art. 50 del dl 90/2014 o della legge 57/2016 che formalmente hanno istituito l’ufficio per il processo; ma forse non facevano sciato, come si dice dalle nostre parti, perché sopra quelle sezioni non c’era appesa l’insegna magica con l’esatta dicitura di “ufficio per il processo”. Il che spiega perché statisticamente siano poche le esperienze con tale precisa denominazione di origine controllata censite dal ministero, anche se di acqua se ne era macinata tanta a varie latitudini.

Queste anime belle hanno fatto qualche fatica a riconoscersi del tutto nell’art. 50 del dl 90/2014 e nel dm 1 ottobre 2015, istitutivi ed attuativi dell’Upp, in primo luogo per l’indigeribile “zeppa” delle risorse economiche invariate come stigma genetico. Chi non ricorda il primo ordine di servizio del presidente del Tribunale di Genova con tutti i punti interrogativi nelle posizioni funzionali da ricoprire con il personale amministrativo, per il semplice fatto che quei posti esistevano solo sulla pianta organica ma non erano coperti? E creava disamore anche quella visione di una sovrastruttura “pesante” che sta nell’impianto della legge (finalmente) istitutiva, calata dall’alto come una pietra tombale sullo “spontaneismo creativo” dei giudici sul terreno organizzativo.

Dicevamo: alle mosche cocchiere è offerta un’ottima occasione per lucrare almeno le generiche spiegando ai colleghi con responsabilità dirigenziali e semidirettive, più o meno inferociti dal post-riforma, che noi credevamo veramente ad una normale relazione collaborativa tra protagonisti e soggetti della giurisdizione, senza creazione di nuove strutture o uffici, mentre la tabellarizzazione dell’ufficio del processo non faceva parte del nostro orizzonte ipotetico.

Le cose sono andate un po’ come quando, nel campo farmaceutico, si passa dalla scoperta di una molecola prodigiosa alla sua commercializzazione: c’è un prezzo da pagare se vuoi la medicina. Se ne era già avuto sentore con il progetto Mastella del 2007, che serviva a sanare inaccettabili ritardi sul versante della riqualificazione del personale amministrativo, ma la decisa virata verso il modello istituzional/burocratico dell’Upp impartita dall’art. 50 del dl 90/2014 è stata più accentuata.

Il connubio tra ufficio per il processo e riassetto della magistratura onoraria è una delle mosse più avvedute della riforma e brilla tra le luci della legge 57/2016, ma anche questo ha un prezzo. L’esigenza di controllo sull’impiego delle risorse finanziarie da utilizzare per stagisti e magistrati onorari è quanto basta a spiegare perché si sia imboccata la strada più formale della “istituzionalizzazione” e tabellarizzazione degli uffici per il processo, quanto meno per incardinarvi la magistratura onoraria che opera nei tribunali e quella, in fase formativa, che transiterà negli uffici del giudice di pace (di seguito Ugp).

Ecco dunque che l’Upp è diventato oggi lo “scatolo magico”, senza il quale non si può fare conto su risorse aggiuntive nei nostri uffici. Bisogna farsene una ragione ed è inutile recriminare; anche perché non c’è ufficio giudiziario che non possa permettersi un suo ufficio per il processo.

Non è facile fornire indicazioni propositive sulle nuove strategie di impiego della magistratura onoraria nei tribunali, che è l’oggetto immediato della tavola rotonda. Il quadro di riferimento nell’ultimo biennio è cambiato decisamente e il segno più tangibile è l’abrogazione dell’art. 43-bis Ordinamento giudiziario; arrivare al livello delle proposte operative presuppone una minima ricognizione di alcuni problemi preliminari a monte.

Siamo stati recentemente congedati dai corsi di formazione per dirigenti con questo viatico di Baumann: «L’incertezza è l’habitat naturale della condizione umana». Se questo è vero, la riforma della magistratura onoraria – che come a tutti noto si incastra profondamente con la disciplina dell’Upp – è uno degli ecosistemi di eccellenza per l’incertezza, come dimostrano alcune domande, tanto semplici quanto imbarazzanti, che pongo ad un consesso così qualificato. Lascio deliberatamente a parte il “non quesito”, o meglio la vera bufala che a settembre per qualche ora ha gettato nel panico alcuni tribunali del Nord Ovest: quella secondo cui anche i “vecchi” Got non avrebbero potuto tenere più di due udienze settimanali. Un chiaro errore di lettura delle norme transitorie…

Le questioni serie sono piuttosto:

1) con quali risorse finanziarie paghiamo il tirocinio dei nuovi Gop reclutati prima dell’entrata in vigore del decreto delegato, quelli che ricadono nell’art. 32.8 delle norme transitorie del decreto delegato? Se è retribuito in base all’art. 8 della delibera consiliare P 793/2016, di contro alla gratuità del tirocinio “a regime” (art. 7.12, d.lgs 116/17) per i “nuovi” Gop, dove sta la copertura economica?

2) come possiamo incardinare i vecchi Got – ma anche a domanda i GdP in servizio – negli Upp? Tale possibilità è prevista dall’art. 30.1, lett. a) per funzioni di collaborazione al togato in veste di “Cot” (nuovo acronimo che per certa dottrina dovrebbe indicare i collaboratori onorari nella fase degli artt. 9.4 e 10 del d.lgs 116/2017): ma come possiamo remunerare il loro contributo se non si riescono a delegare attività d’udienza? Visto che l’udienza è ancora, nel primo quadriennio della riforma, il metro di indennizzo delle prestazioni degli ex Got;

3) parliamo della supplenza, che ha una sua disciplina solo nella riforma a regime e non risulta normata nella fase transitoria. Possiamo ammettere, in base al dato letterale dell’art. 13 del decreto delegato, che la sostituzione del magistrato togato impedito operi senza limiti di sorta, dopo l’abrogazione dell’art. 43-bis, oppure sono normalmente efficaci i vincoli oggettivi di cui all’art. 12 del decreto delegato, all’art. 2.5, lett. b) della Legge delega e, comunque, quello dei due giorni a settimana? Nella fase transitoria, abrogato l’art. 43-bis Ordinamento giudiziario, che regime applicativo ha la supplenza dei togati impediti ad opera dei “vecchi” Got?

4) e soprattutto, poniamo la “madre di tutte le domande”. Che fine ha fatto nel decreto delegato la previsione dell’art. 2.17, lett. b) n.1 della Legge delega, che disponeva il passaggio dei “vecchi” Got nell’Ufficio del giudice di pace al quinto anno dall’entrata in vigore della riforma? Vogliamo interrogarci per un attimo sulle ragioni politiche di questa “dimenticanza”, che avrebbe comportato il trasferimento di tutte le risorse di magistratura onoraria dai tribunali all’ufficio del giudice di pace, nel momento stesso in cui sarebbero partite le nuove norme sulla competenza che attribuivano maggiori responsabilità all’Ugp?

I pro e i contro di una tale previsione organizzativa si sprecano ma, se mai si volesse riprendere l’argomento – perché la norma desaparecida aveva una sua chiara logica, determinava pesanti ipoteche ma comportava almeno un paio di aspetti decisamente positivi – sarebbe importante esaminare le ragioni della sua opportunità/inopportunità alla luce non solo degli interessi della magistratura onoraria già in servizio, della magistratura togata o delle casse ministeriali, ma principalmente nell’interesse della giurisdizione; considerando anche cosa avrebbe significato tale previsione rispetto al momento di effettivo decollo di una riforma che trasferisce alla giurisdizione onoraria la metà del carico contenzioso civile, ma allo stesso tempo limita la possibilità di impegno settimanale individuale del singolo magistrato onorario.

Infine: non rischiamo già oggi una fuga in massa dai tribunali per effetto della norma transitoria su supplenze/applicazioni di cui all’art. 32.9 sempre del decreto, a fronte di vuoti organici presso il GdP non fronteggiabili – anche dopo la condivisibile scelta di copertura prioritaria dell’Ugp operata con la recentissima delibera consiliare del 13 novembre – per un biennio almeno?

Che fare?, si chiedeva nel 1902 un noto capo politico che proprio 100 anni fa, di questi tempi, si era dato una sua risposta. Sabotare o aderire? Sparare a palle incatenate sulla riforma in corso di attuazione ha poca utilità ma, per non dare l’idea di un’adesione fideistica e acritica, mi siano consentite due apparenti divagazioni.

A me pare che il treno di una “vera” e “coerente” riforma sia stato perso già da molti anni andando dietro alla domanda sbagliata, tanto che oggi i nostri giudizi sulla riforma sono diversificati, per cui generalmente teniamo ben distinto il giudizio sulla riforma a regime, da quello sul periodo transitorio. Per troppo tempo non ci siamo più chiesti a cosa serviva la magistratura onoraria, per interrogarci su cosa servisse a quella togata per una minima ripresa di efficacia e credibilità.

Da qui, la curvatura del magistrato onorario giurisdicente dal “giudice cittadino” al neo “superpretore onorario”, così efficacemente descritta dal mio prossimo ex presidente in un recente scritto, che vorrei richiamare per la precisa ricostruzione storica e critica politica del quadro involutivo. Anzi direi, per completare quella riflessione tenendo conto dei due campi di impiego della magistratura onoraria giudicante, che la parabola intrapresa all’inizio degli anni ’90 si è conclusa oggi con il “togato bonsai” ed il “superpretore part-time”, a seconda che ci collochiamo dall’angolo visuale dell’Upp o dell’Ugp.

Il tutto, lo dico sinceramente, con un rimpianto solo per la coerenza del modello originale di magistrato onorario disegnato nel 1991, ma senza ignorare che quel modello è fallito nella pratica perché sono fallite la giurisdizione d’equità e la conciliazione endogiudiziale, in un mondo che anche per gli small claims pretende la decisione secondo diritto, l’idoneità professionale del decidente, nonché moduli processuali tutt’altro che informali.

E poi, per la magistratura onoraria dentro i tribunali, abbiamo avuto la crescita incontrollata delle presenze e le proroghe degli incarichi fino quasi alla maggiore età. Si poteva fare qualcosa di diverso? Forse, nel 1998, la previsione di un regime di convenzionamento temporaneo con professionisti provenienti dal foro, sul modello adottato nel comparto sanitario, avrebbe evitato in radice l’autentico dramma attuale del precariato giudiziario? Inutile chiederselo nel 2017, con una riforma che ha già tracciato i tempi del lungo addio rispetto ai magistrati onorari già in servizio.

La seconda citazione che mi consentirà di procedere oltre in termini propositivi e in chiave di adesione necessitata alla riforma, ma non mascherata dietro ipocrisie da “migliore dei mondi possibili”, è riferita al parere del Csm del 15 giugno scorso sullo schema di decreto delegato, che mi sembra totalmente condivisibile nella sua completa sottolineatura di luci ed ombre della riforma, con precisa evidenziazione dei punti di frizione più critici: vogliamo parlare ad esempio della misura delle indennità lorde previste per i magistrati onorari a regime? Speriamo vivamente che nel prossimo quadriennio tali spunti possano essere dissepolti dal dimenticatoio, se non arriveranno prima gli organi comunitari a rendere il conto molto più salato.

Per impostare in termini concreti la relazione tra risorse magistratuali e modelli organizzativi nei tribunali, bisogna partire dalla generale constatazione che con la legge 57/2016 ed i suoi decreti delegati si attua un disegno recessivo di impiego della magistratura onoraria nei tribunali: il ricorso a tale risorsa temporanea non è davvero incentivato, rispetto al forte impulso verso la funzione monocratica onoraria che sta alla base delle vasta platea di materie attribuite all’Ugp alle due scadenze del 2021 e del 2025.

Non so se la magistratura togata e la stessa avvocatura, che costituisce il principale bacino di reclutamento della magistratura onoraria, abbiano realmente compreso, metabolizzato e mai condiviso il significato politico della riforma, che muterà radicalmente la pelle della giurisdizione di primo grado ma anche, inevitabilmente, dell’appello. Alla tappa del 2021 (e più ancora nel 2025) ci attende, nel settore civile, una decisa svolta monocratica in favore della giurisdizione onoraria, che trasformerà il tribunale fondamentalmente nel giudice dei casi più difficili e delle materie specializzate, per il primo grado, con una forte componente di collegialità; mentre il magistrato togato sarà giudice monocratico di appello sulle materie del giudice di pace.

Il Csm ha palesato qualche riserva sulle conseguenze di questa devoluzione, ma dubito che siano state fatte proiezioni sull’esatta portata della nuova architettura ordinamentale, come pure sul carico di lavoro che ritornerà nei tribunali per effetto degli appelli sulle decisioni del giudice di pace. In attesa che le conseguenze del nuovo assetto delle competenze siano messe a fuoco nelle loro esatte conseguenze e, possibilmente, ci si attrezzi per tempo, due anticipazioni con i temi oggi in discussione sono già oggi possibili.

La nuova declinazione delle competenze esalterà la funzione di coordinamento togato dell’Ugp, che costituisce un altro punto di forza della riforma e, se è permessa una piccola punta di sciovinismo locale, è preciso frutto di un’idea messa in circolo dal convegno sulla magistratura onoraria che l’Osservatorio locale e l’Anm ligure organizzarono a Genova nel lontano 2004.

Ciò significa che i dirigenti dei tribunali dovranno preoccuparsi di assicurare il più preciso flusso informativo tra il primo ed il secondo grado nelle materie trasferite al giudice di pace, e non solo del normale scambio di esperienze giurisprudenziali “endosezionali”, soprattutto nella prospettiva di evitare conflitti giurisprudenziali inconsapevoli e “vaganti” che, com’è noto, alimentano gratuitamente il contenzioso.

Da qui, la proposta che un ufficio del processo con sostanziale funzione di “massimario locale”, anche ai sensi dell’articolo 7 del decreto ministeriale dell’ottobre 2015, sia realizzato presso le presidenze dei tribunali. In questo modo potremmo avere per queste materie ciò che la magistratura togata non ha mai stabilmente ottenuto per i casi suoi: l’esatta conoscenza degli indirizzi giurisprudenziali processuali e di merito tra primo grado e appello.

Siamo agli antipodi della visione lamarckiana dell’evoluzione: qui è l’organo, cioè la presidenza, che deve creare la funzione. Se l’art. 50 del dl 90/2014 non prevede la costituzione di uffici per il processo presso l’ufficio del giudice di pace, cosa impedisce che utilità concrete di tipo informativo siano trasferite dagli Upp presidenziali e da quelli endosezionali verso l’Ugp, a beneficio dei giudici onorari?

La seconda proposta fa riferimento alle attività di dettaglio presso le singole sezioni giudicanti da parte degli Upp, i quali potrebbero essere anche qui impiegati per quel lavoro di catalogazione e analisi dei filoni contenziosi, preparazione e studio dei fascicoli singoli, che nel grado di appello può costituire una delle ragion d’essere di questo presidio organizzativo e un intelligente impiego delle risorse aggiuntive.

Chiusa la parentesi, che dovrebbe indurre a qualche riflessione sull’idoneità di stagisti e Gop ad assolvere da soli tutte le funzioni di collaborazione “preparatoria” in assenza di assistenti di studio stabili, ma anche sulla prioritaria esigenza di adeguata copertura degli organici del personale amministrativo, riprendiamo il nostro corso.

Nel contesto dato, le scelte tempestivamente fatte dall’autogoverno sui reclutamenti prioritari condizionano le risposte organizzative con forti ipoteche sui futuri assetti. Detto per inciso, mi sembra saggia la scelta del Csm di coprire prioritariamente gli uffici del giudice di pace, non solo per le pesanti vacanze esistenti in essi ma, suppongo, anche per il problema che si sarebbe originato da un doppio regime di riconoscimento delle indennità ai magistrati onorari nell’ambito delle stesse funzioni e uffici, se si fossero reclutati “nuovi” Gop da inserire subito negli uffici per il processo in coabitazione con i “vecchi” Got, dopo il primo biennio trascorso dai primi nelle funzioni di “Cot” (l’incrocio delle sigle ci fa risparmiare un mezzo paragrafo di testo), secondo lo schema progressivo degli artt. 9.4 e 10 del decreto delegato.

Il secondo aspetto da tenere in considerazione è la dimensione cronologica del percorso riformatore, il cronoprogramma che sul piano organizzativo è imposto al nostro “vertice bicefalo” Csm/Ministero ed agli uffici giudiziari.

Qui bisogna fortemente contrastare l’idea che nel primo quadriennio della riforma non succederebbe quasi niente. È vero che si è cercato di conservare quanto più possibile l’esistente per quanto riguarda l’assegnazione ai magistrati onorari già in servizio dei fascicoli vecchi e nuovi, ma per il resto in questo primo lasso di tempo succede di tutto: è un vero “stress test” della riforma che ha funzione preparatoria di possibili interventi correttivi. Questo, senza considerare il valore organizzativo e culturale della “fase uno”, in cui la pressione della disciplina transitoria è più forte, tanto da sembrare essa stessa la “vera” riforma.

Se prendiamo in esame il cronoprogramma istituzionale, vediamo una fitta sequenza di tappe scandite principalmente dagli artt. 3 e 32 del decreto delegato già nel primo semestre dall’entrata in vigore della novella:

- 15 agosto 2017 (art. 32.2): Inserimento dei magistrati togati già in servizio negli uffici di attuale appartenenza;

- Senza termine e perciò immediatamente esigibile (art. 32.10):

Delibera del Csm sul numero minimo di procedimenti da fissare ad ogni udienza per i magistrati onorari;

- 15 novembre 2017: delibera del Csm sulle coperture dei posti onorari vacanti (impegno adempiuto con atto del 13 novembre scorso, che ha individuato le principali scoperture presso Ugp escludendo le funzioni onorarie nei tribunali);

- 15 febbraio 2018: decreto interministeriale (preceduto da parere del Csm) per determinare la dotazione organica degli uffici in coerenza con i limiti di impiego settimanale dei magistrati onorari; determinazione della pianta organica e determinazione numerica dei magistrati onorari destinati a Ugp e Upp.

Nei singoli uffici, il percorso costruttivo della riforma non è meno impegnativo: già dall’agosto scorso è efficace la nuova funzione presidenziale di direzione e coordinamento degli uffici del giudice di pace (art. 8).

Di non semplice applicazione sarà la norma transitoria dell’art. 30, che impegna i presidenti dei tribunali ad attribuire ai magistrati onorari in servizio le funzioni collaborative, delegate o di gestione dei procedimenti assegnati – oltre a stabilire eventuali destinazioni a funzioni collegiali, con disposizioni che limitano l’assegnazione dei nuovi procedimenti nel primo quadriennio ai magistrati in servizio.

Nell’art. 32.1 troviamo stabilita l’immediata applicabilità delle regole sulla formazione e la partecipazione dei Gop ai momenti di scambio giurisprudenziale “tipo art. 47-quater” dell’Ordinamento giudiziario. Ma anche le direttive, che i magistrati referenti degli uffici del processo dovranno impartire per l’esercizio dell’attività delegata e che passeranno al vaglio del Csm per le modalità documentative, non potranno aspettare certo l’esaurimento del primo quadriennio: con tutto il problematico corredo di quesiti che la dottrina già si è posta sulla legittimità costituzionale dell’art. 2.5, lett. a) n. 2 della legge delega e dell’art. 10.13 del decreto delegato.

Criticità saranno poi innescate abbastanza presto – è prevedibile – dall’art. 32.9 del decreto 116/17, che prevede supplenze/applicazioni degli ex Got presso gli uffici del giudice di pace, dai contorni economici più interessanti dell’attuale indennità d’udienza che al momento percepiscono nei tribunali.

A questo punto, di fronte a questa lunga sfilza di punti interrogativi su come fare a rispettare tutte queste scadenze ed impegni, vien voglia di alzare le braccia in segno di resa e citare quel cantautore ottimista che diceva: «Io di risposte non ne ho!». Salvo poi scoprire (grazie alla prole) che un altro musicista ancora più radicale aggiunge alla strofa: «Mai ne ho avuto e mai ne avrò».

Cerchiamo invece di uscire dallo scetticismo cosmico sui temi di questa tavola rotonda dicendo che, rispetto alla riforma in via di costruzione, non esiste un’unica risposta organizzativa “di merito” valida per tutti gli uffici e tutte le situazioni.

Gli uffici per il processo vanno costituiti ovunque e subito: se ieri era una facoltà per la gioia di pochi avanguardisti, un fiore all’occhiello di poche sedi e anime elette, adesso diventano la condizione necessaria per poter utilizzare la risorsa della magistratura onoraria nei tribunali. Tutto ciò va fatto entro i prossimi sei mesi per consentire, per il biennio successivo al tirocinio iniziale, di utilizzare negli uffici per il processo i neo-Gop che entreranno in servizio con la delibera 13 novembre 2017 e inizieranno il loro progressivo percorso professionale come “Cot”.

La risposta, allora, è di metodo e non di merito, ma non ci coglie del tutto impreparati. Noi siamo abituati almeno dal 2011 a ragionare per progetti, a ciò costretti dall’art. 37 della legge 111 che ci ha consegnato un metodo ed un procedimento che si snodano attraverso passaggi obbligati: l’analisi/censimento dei bisogni; l’individuazione delle risorse disponibili; le alchimie modulari per combinare i primi con le seconde. Il tutto, all’interno delle sezioni giudicanti che, da questo punto di vista, sono le nostre vere unità operative, se non proprio le nostre officine dei diritti: i luoghi dove, nel contraddittorio e per mezzo del processo, si assemblano e si testano le tutele sostanziali.

Gli uffici territoriali hanno già fornito, con questo modo di procedere e in questi anni, una pluralità di esempi di metodo e percorsi decisionali coerenti, per cui il “guscio vuoto” chiamato ufficio per il processo si è qualificato, di volta in volta, e arricchito di operatività concrete grazie ad una diversa combinazione dei medesimi ingredienti (magistratura professionale, magistratura onoraria, dirigenza e personale di cancelleria, stagisti, presidio tecnologico) in funzione di esigenze e obiettivi quanto mai diversi.

Abbiamo avuto vari esempi virtuosi che talora hanno preceduto la disciplina positiva dell’Upp, a cominciare dai casi di impiego della magistratura onoraria già in chiave di sostanziale delega di alcuni snodi processuali per consentire o consolidare progetti di “stralcio interno” del contenzioso più datato nei vari “progetti Strasburgo” localmente adottati.

Grazie alla riforma è facilmente prevedibile un futuro utilizzo, consentito dal sistema di indennità economiche non più legate ad attività d’udienza, per la creazione delle banche dati della giurisprudenza di merito, non solo presso gli “Upp presidenziali” di cui abbiamo poc’anzi parlato: un’attività, a cui la magistratura onoraria partecipa a pieno titolo in base all’art. 7 del dm 1 ottobre 2015.

Arriveremo in un futuro abbastanza prossimo a progetti ancora più evoluti, come quelli che si stanno imbastendo presso alcune regioni (Piemonte, Toscana, Liguria) per portare più vicino agli utenti una serie di servizi relativi alla protezione di soggetti deboli (amministrazioni di sostegno, tutele), in una dimensione coordinata tra giurisdizione e amministrazione, in cui le potenzialità dell’art. 10 del d.lgs 116/17 saranno portate a limiti inediti: pensiamo al possibile contributo di consulenza dei magistrati onorari per far funzionalità degli sportelli informativi di prossimità per i cittadini.

C’è poi tutta la valenza pedagogica degli Upp, come culla genetica di nuove professionalità (per gli stagisti) o per conferme/irrobustimento di professionalità già esistenti (per i neo-Gop), su cui è inutile soffermarsi perché già molti interpreti l’hanno da tempo sottolineata.

Indubbiamente oggi il quadro si complica perché il differente regime di utilizzabilità dei magistrati onorari vecchi e nuovi, dentro i tribunali, è un dato di realtà con cui bisogna misurarsi, che necessariamente porterà a privilegiare per le funzioni  di “Cot” i magistrati onorari di nuova designazione, perché sono gli unici che possono essere immediatamente indennizzati per le sole funzioni collaborative dell’art. 10 del decreto; ed a ricorrere ai magistrati onorari già in servizio quando sia necessaria la gestione di ruoli con i noti limiti previsti dall’art. 30.

Insomma, il percorso è sempre quello, solo che lo slalom si è fatto più impegnativo perché i margini di flessibilità nell’impiego delle risorse umane sono diventati più stringenti e bisogna evitare di produrre sovrapposizioni disfunzionali, non solo tra le due tipologie di magistrati onorari in servizio ora e prossimamente, ma anche con altre figure collaborative previste nella stessa dimensione organizzativa: come ha fatto presente chi ha esaminato da vicino il contributo che stagisti, personale amministrativo e magistrati onorari possono dare nell’ambito dell’ufficio per il processo. Confido che non dovremo arrivare alla nomina di un responsabile della sicurezza per la compresenza di troppe figure operative nel cantiere vivo delle nostre sezioni…

Mi avvio alla conclusione. Non so se e quali attenuanti sono riuscito a guadagnarmi, ma ho per certo – nel momento stesso in cui passavo velocemente in rassegna le nuove “regole di ingaggio” della magistratura onoraria uscita dalla riforma del 2016, confrontandole con il tessuto organizzativo istituito dal dl 90/2014 e irrobustito dal suo decreto attuativo – che l’ufficio per il processo nella sua versione light, uscito dalla porta, rientra prepotentemente dalla finestra, perché è chiarissimo che esso può esistere e funzionare in concreto solo se concepito come telaio organizzativo di supporto alle sezioni giudicanti. Sono queste ultime che devono interrogarsi e darsi risposte su come potrebbero essere utilizzate al meglio le risorse aggiuntive disponibili, con tutti i loro limiti ma anche con le loro potenzialità che, sicuramente, per la dimensione “collaborativa” e di studio nell’Upp sono molto maggiori rispetto a quello che consentivano i “vecchi” artt. 42-ter e seguenti dell’Ordinamento giudiziario.

Speriamo che ne guadagni non solo l’aspetto acceleratorio dei processi, che è esigenza “immanente” all’Upp, ma che le esperienze sul campo possano progressivamente dimostrarne l’utilità anche per il profilo qualitativo della giurisdizione; ad esempio, per tutto ciò che concerne la conoscenza e conoscibilità del prodotto giurisprudenziale, fondamentale per orientare le scelte ed i comportamenti degli operatori giudiziari e dei cittadini: un profilo, per il quale l’Upp ha ancora molto, moltissimo da dire. 

09/01/2018
Altri articoli di Roberto Braccialini
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Uno come tanti

La recensione al libro di Ennio Tomaselli (Manni, 2024)

07/12/2024
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024