Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

Dal tirocinio all'accesso alla magistratura onoraria e togata - Parte seconda e terza *

di Marco Ciccarelli
coordinatore giudice onorari di pace, Tribunale di Torino
La formazione di stagisti e gop negli uffici giudiziari. Riflessioni conclusive su un possibile percorso

Parte seconda - La “nuova” magistratura onoraria

1. I principi ispiratori della riforma della magistratura onoraria

La legge di riforma della magistratura onoraria è una delle più significative riforme ordinamentali degli ultimi anni, destinata ad avere un rilevante impatto sulla complessiva organizzazione della giurisdizione. La legge n. 57/2016 ha delegato al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi per una completa rivisitazione delle modalità di accesso e dei tempi di permanenza, della retribuzione, del regime delle astensioni e delle incompatibilità, della formazione, della competenza, dell’autogoverno. E, prima ancora, per ridurre a unità le diverse figure di magistrato onorario, prevedendo un’unica figura, da inserire in un solo ufficio giudiziario. La delega è stata esercitata con il d.lgs n. 116 del 13 luglio 2017.

Il principio cardine cui la riforma si ispira è quello di ricondurre a un regime di effettiva «onorarietà» la carica di magistrato onorario, cancellando la diffusa figura del «magistrato onorario professionista a vita» di larghissima diffusione nella realtà degli uffici giudiziari. Il nuovo inquadramento prevede dunque:

- la natura «inderogabilmente temporanea» dell’incarico;

- la necessaria compatibilità fra questo incarico e lo svolgimento di attività lavorative o professionali; e la previsione – a presidio di questa compatibilità – di un impegno massimo richiedibile al magistrato onorario di due giorni alla settimana;

- la durata dell’incarico di 4 anni, rinnovabili una sola volta, e il limite massimo di 8 anni, anche non consecutivi, in cui può essere ricoperto l’incarico, indipendentemente dalle funzioni esercitate.

Queste nuove caratteristiche dell’incarico hanno quale naturale portato l’esigenza di prevedere uno stringente e articolato regime di incompatibilità, a presidio della terzietà del magistrato che svolge, contemporaneamente, un’altra professione (normalmente quella di avvocato). E poi l’esigenza di strutturare un sistema di formazione permanente, per assicurare un adeguato e costante livello di professionalità ai gop.

2. La formazione dei magistrati onorari e il ruolo degli Upp

La legge delega e il decreto attuativo danno rilevo centrale alla formazione dei giudici onorari, prevedendo una formazione iniziale e una permanente. La prima si sostanzia in un tirocinio (non retribuito) della durata di sei mesi, da svolgere in parte presso il tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio del Giudice di pace a cui saranno destinati i gop, e in parte attraverso la frequentazione di appositi corsi teorico-pratici, della durata di almeno 30 ore, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura. Il tirocinio è diretto da un magistrato collaboratore (dotato di «adeguata esperienza» e di «elevato prestigio»), che si avvale di magistrati affidatari per consentire ai got lo svolgimento della «pratica giudiziaria».

La formazione permanente consiste (art. 22 d.lgs 116/17):

- nella partecipazione alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del Tribunale per l’esame delle questioni più rilevanti trattate dai gop, per lo scambio di esperienze giurisprudenziali e prassi innovative; riunioni a cui devono partecipare anche «i giudici professionali che si occupano delle materie di volta in volta esaminate»;

- nella frequentazione di “corsi dedicati”, organizzati con cadenza almeno semestrale dalla Ssm;

- per i soli gop inseriti nell’Upp, nella partecipazione alle riunioni ex art. 47-quater og per la trattazione delle materie di loro interesse.

Il nucleo della formazione permanente consiste dunque in affiancamento e momenti di condivisione (riunioni) con i giudici professionali. La finalità è evidentemente quella di “avvicinare” la giurisdizione professionale e quella onoraria: sia per condividere con i giudici onorari specifiche competenze tecnico-giuridiche; sia per renderli partecipi di una “sensibilità istituzionale” e dei “valori fondanti” della giurisdizione (terzietà, rispetto del contraddittorio, …); sia per ricondurre a omogeneità prassi organizzative e interpretative. Il legislatore si è dunque mostrato ben consapevole che la “lontananza” (culturale e organizzativa, prima ancora che logistica) fra le giurisdizioni ordinaria e onoraria ha condotto in passato all’applicazione di discutibili prassi organizzative e interpretative (specialmente negli uffici del Giudice di pace, fino a ieri dotati di un’ampia autonomia, anche direzionale).

D’altra parte, una chiara manifestazione della volontà del legislatore di mantenere la giurisdizione onoraria nell’alveo di quella professionale è la scelta di affidare al presidente del Tribunale la direzione dell’Ufficio del Giudice di pace, compresa l’attività di vigilanza (art. 8 d.lgs 116/17). E, ancor più, la scelta di assegnare i gop di nuova nomina, per i primi due anni, agli uffici per il processo costituiti presso i tribunali.

È ragionevole ritenere che la “vera” formazione iniziale dei gop si svolgerà proprio all’interno di queste strutture, destinate a diventare, per molteplici motivi, uno snodo cruciale per l’organizzazione degli uffici.

a) L’Upp è il luogo in cui va coordinata l’attività dei soggetti che, a vario titolo, concorrono all’esercizio della giurisdizione. I gop inseriti (obbligatoriamente, nei loro primi due anni di attività) nell’UPP sono chiamati a svolgere le attività – di crescenti impegno e responsabilità – indicate dall’art. 10 d.lgs 116/17: si va dalle attività di supporto (o preparatorie), svolte sotto la direzione e il coordinamento del giudice professionale (studio dei fascicoli, approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, predisposizione di minute); alle attività giurisdizionali a contenuto non decisorio, o comunque “più semplici” (assunzione di testimoni, tentativi di conciliazione, ordinanze per somme non contestate, liquidazione compensi agli ausiliari); ai provvedimenti definitori, la cui delega è indirettamente consentita dal comma 12 dell’art. 10 con formulazione “in negativo” («non può essere delegata la pronuncia di provvedimenti definitori, fatta eccezione…»). I tirocinanti, come previsto dai mansionari adottati dagli uffici, svolgono oggi le medesime attività preparatorie cui sono chiamati i gop. Da qui la necessità di un coordinamento che, per non essere “casuale” ed eterogeneo, non può essere lasciato al singolo magistrato, ma va discusso e deciso nelle riunioni di sezione ex art. 47-quater og. Ciò è quanto prevede infatti l’art. 12 comma 13 d.lgs 116/17, norma che lascia emergere in modo evidente il raccordo tra l’attività formativa (di cui le riunioni sono espressione) e l’attività giurisdizionale svolta nell’UPP (che deve essere orientata “all’esito” di quelle riunioni).

b) L’UPP è il luogo in cui devono essere organizzate le banche dati di giurisprudenza di merito previste dall’art. 7 dm 1 ottobre 2015. I dirigenti degli uffici stabiliscono, con cadenza annuale, i criteri per la selezione dei provvedimenti da inserire in queste banche dati. I tirocinanti ex art. 73 sono chiamati a svolgere le attività di materiale inserimento dei provvedimenti nelle banche dati. Ora, se la formazione dei gop deve avvenire anche attraverso lo scambio di esperienze giurisprudenziali e con la necessaria partecipazione dei giudici professionali, non può sfuggire l’importanza di queste banche dati anche nell’ottica di formare i gop. Gli stagisti dunque concorrono a realizzare quelle raccolte di giurisprudenza dell’ufficio destinate a essere (anche) uno strumento per la formazione dei gop.

c) L’Upp nasce per valorizzare «i vantaggi conseguenti alla diffusione della digitalizzazione … al fine di garantire un complessivo miglioramento dei servizi» (art. 8 dm 1 ottobre 2015). L’impatto della nuova struttura organizzativa sulla produttività dell’ufficio e sulla durata dei procedimenti è soggetto a monitoraggio ad opera del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (art. 6 dm). Va anche ricordato che l’indennità prevista per i gop (art. 23 d.lgs 116/17) si compone di una parte variabile (fra il 15 e il 30% dell’indennità fissa) erogata «in relazione al livello di conseguimento degli obiettivi assegnati a norma del presente articolo, verificato e certificato». L’organizzazione concreta dell’UPP diventa quindi rilevante anche per conseguire l’incremento di produttività a cui è legata l’indennità dovuta ai gop.

d) L’efficienza dell’Upp dipende, a sua volta, anche dalle prassi lavorative adottate: sia quelle a contenuto giuridico-interpretativo; sia quelle a contenuto organizzativo (come, per esempio, quelle riguardanti l’utilizzo degli applicativi, il raccordo fra le attività di cancelleria e quelle dei magistrati, il coordinamento fra l’attività preparatoria e quella giurisdizionale). Le riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale (e quelle di sezione previste dall’art. 47-quater og) sono destinate anche alla discussione delle “prassi innovative”. E – come si è detto – costituiscono il momento più qualificante per la formazione dei gop.

Il complesso di questi elementi – che si traggono da indicazioni normative primarie e secondarie – mostra una stretta interdipendenza fra le attività formative e quelle giurisdizionali che si svolgono nell’ambito dell’Upp. L’ufficio per il processo dunque si pone come articolazione cruciale per l’organizzazione dei tirocini e dell’attività dei gop, per il rilievo dei bisogni formativi e per la risposta ad essi, anche attraverso il ragionato impiego della giurisprudenza dell’ufficio stesso, organizzata in banche dati.

3. Gli ex stagisti come possibili candidati alla nomina a gop

Come si è visto, le attività di supporto e preparatorie che possono essere delegate ai gop coincidono con quelle che possono essere svolte dagli stagisti. Il che pone un duplice problema: di coordinamento e di duplicazione di attività formativa. Infatti, gli uffici in cui sono presenti stagisti dispongono già di “collaboratori” del giudice in grado di svolgere le medesime “attività preparatorie” cui sono chiamati i gop; e ne dispongono perché hanno impiegato tempo e risorse per reclutarli e formarli.

Guardando la questione sotto un diverso profilo, il legislatore del 2016-2017 ha tracciato un percorso “di progressività” dei giudici onorari verso il (pieno) esercizio della giurisdizione: dalle attività preparatorie, a quelle giurisdizionali delegate (interinali prima e decisorie dopo), alla gestione in autonomia di un ruolo (nell’ambito dello stesso Upp, nei limiti consentiti dall’art. 11 d.lgs 116, o nell’Ufficio del Giudice di pace, che costituisce il “naturale approdo” per la maggior parte dei gop). Questo percorso non è casuale o arbitrario, ma è stato pensato nella prospettiva di una “vicinanza” fra la magistratura professionale e quella onoraria, che può derivare solo da una prolungata condivisione dell’esercizio della giurisdizione. È però evidente che questa scelta richiede un lungo apprendistato: per ben 2 anni (sui 4 di durata del primo mandato) i gop non potranno essere destinati al pieno esercizio della giurisdizione, né negli Upp né negli uffici del Giudice di pace.

La gravità di questo effetto si coglie considerando il rilevante aumento di competenza per materia e per valore previsto dalla riforma (destinato a entrare in vigore nel 2021): ogni nuovo gop non potrà essere destinato agli uffici del Giudice di pace (i cui organici, com’è noto, sono oggi gravati da pesantissime scoperture) se non dopo due anni e mezzo dalla sua nomina (6 mesi di tirocinio + due anni nell’Upp). Ed è ragionevole domandarsi come possa un ufficio che sconta così rilevanti scoperture far fronte a una riforma che aumenta la sua competenza per valore di 10 volte rispetto a quella attuale.

E allora è ragionevole chiedersi: l’apprendistato dei giudici onorari non potrebbe essere abbreviato attingendo a quelle “risorse” che gli uffici giudiziari hanno già (a loro spese) formato? A coloro cioè che hanno completato il tirocinio ex art. 73 e che sono portatori di una competenza, di una “sensibilità alla funzione” e di una professionalità che potrebbero essere pienamente valorizzate nello svolgimento delle funzioni giurisdizionali onorarie?

Oggi questo complesso di competenze va (almeno temporaneamente) sprecato; oppure va a vantaggio di quegli studi professionali che riescono ad accaparrarsi la collaborazione di un ex stagista.

Come si è detto, il positivo completamento del tirocinio formativo costituisce già oggi un titolo preferenziale per la nomina a gop: l’art. 4 comma 3 lettera g) del d.lgs 116/17 indica infatti fra i titoli di preferenza «lo svolgimento, con esito positivo, dello stage presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69». Ma questo titolo è, nell’ordine, soltanto al settimo posto. E ciò comporta che agli ex stagisti sono preferiti: gli ex magistrati professionali e onorari; gli avvocati e gli ex avvocati; i notai e gli ex notai; i professori e gli ex professori in materie giuridiche; gli ex funzionari di cancelleria. Tutti soggetti portatori di una rilevante professionalità, probabilmente superiore a quella maturata da un neo-laureato all’esito di un tirocinio di 18 mesi. Il punto però non è quello di “preferire” (per la nomina a gop) il profilo professionale di maggior rilievo in astratto; ma è quello di individuare il soggetto che, per il suo percorso formativo concreto, appare più vicino al profilo di magistrato onorario tratteggiato dalla legge di riforma. In questa prospettiva, le competenze di chi per 18 mesi ha svolto attività di ricerca e preparatoria accanto a un magistrato professionale, ha preso parte alle camere di consiglio, si è misurato con la stesura di bozze di provvedimenti di difficoltà via via crescente, non possono non essere debitamente valorizzate.

Vi sono anche altri elementi che portano a individuare negli ex stagisti il “profilo ideale” di gop.

Un primo è l’attitudine allo studio e alla ricerca, propri di chi si trova nella fase finale-specialistica di un percorso di studi.

Un secondo, più importante, è la “prospettiva temporale”, che collima, sia sotto il profilo dell’impegno richiesto, sia sotto quello della durata dell’incarico, con quella indicata dall’art. 1 della legge di riforma. L’incarico di magistrato onorario ha natura inderogabilmente temporanea (4 anni, rinnovabili una sola volta) e non può richiedere un impegno superiore a due giorni settimanali. Questo impegno e questa durata sono adeguati alle esigenze di un giovane in attesa di sostenere un esame o un concorso, attratto verosimilmente da un impiego che, oltre ad essere adeguatamente remunerativo e consono alla sua formazione, non sottragga troppo tempo allo studio.

Un terzo elemento è dato dal fatto che per un giovane non ancora professionalmente “avviato” (tanto più se ancora dedito allo studio per superare il concorso da mot), si presentano minori problemi di compatibilità alla professione di magistrato onorario rispetto a quelli che pone un professionista nel pieno della sua carriera, in particolare un avvocato.

Il complesso di questi elementi dovrebbe indurre il legislatore – magari in sede della prospettata riforma della legge 57/16 e del d.lgs 116/17 – ad attribuire maggiore importanza quale titolo di preferenza per l’accesso alla magistratura onoraria al positivo completamento del tirocinio formativo ex art. 73, collocandolo se non al primo posto, almeno fra i primi titoli preferenziali.

Parte terza - Qualche considerazione sull’accesso alla magistratura togata

1. L’accesso al concorso da mot

La nomina dei magistrati togati avviene per concorso (art. 106 Costituzione). L’accesso alla magistratura è disciplinato dal d.lgs 160/2006. Il concorso è oggi strutturato sulla falsariga di un concorso di secondo grado. Alle prove scritte sono ammessi, infatti, coloro che già hanno accumulato esperienze professionali (magistrati amministrativi e contabili, avvocati, pubblici dipendenti con specifiche funzioni o qualifiche, professori universitari, magistrati onorari) o formative (diplomi postuniversitari di perfezionamento, dottorati di ricerca in materie giuridiche, tirocinio presso gli uffici giudiziari ex art. 73 dl 69/13).

I titoli richiesti per accedere al concorso garantiscono una elevata professionalità dei candidati mot. Tuttavia conseguire questi titoli richiede un lungo periodo di tempo: due anni di frequentazione della SSPL, oppure un anno e mezzo di pratica forense e il superamento del successivo esame, oppure ancora un anno e mezzo di tirocinio ex art. 73, solo per ricordare i casi più “tipici”. Ciò comporta un innalzamento, rispetto al passato, dell’età media di accesso alla magistratura (che oggi si aggira intorno ai 30 anni); e richiede un impegno formativo che – per durata e costi – può essere sostenuto solo da famiglie in grado di mantenere allo studio il proprio figlio per diversi anni dopo la laurea.

Da qui la proposta, condivisa da molti, di tornare a un concorso “di primo grado”, a cui sia possibile accedere senz’altro titolo che la laurea in giurisprudenza.

È una proposta che, da un lato, risponde a ragioni di equità sociale, perché vuole garantire pari opportunità di accesso a tutti i laureati in giurisprudenza, e vuole evitare “selezioni indirette” dei candidati sulla base del censo. Dall’altro, persegue il ritorno a una magistratura “più giovane” e come tale – si suppone – più duttile e aperta, più vicina alla società e alla realtà di cui deve conoscere e su cui deve giudicare; più disponibile, anche, agli adattamenti e ai sacrifici che può richiedere lo svolgimento delle funzioni, soprattutto nei primi anni di carriera, in luoghi lontani dalla propria città e, magari, anche disagiati.

Sono motivazioni serie e condivisibili. E proprio per questo vanno analizzate più a fondo, evitando semplificazioni di prospettiva.

In primo luogo: garantire pari opportunità di accesso al concorso da mot non equivale a garantire pari opportunità di superare questo concorso. Le prime possono essere ottenute in modo relativamente semplice con l’eliminazione di titoli e requisiti per l’iscrizione. Le seconde sono direttamente proporzionali al livello di preparazione con cui il candidato si presenta al concorso. E quest’ultimo dipende, a sua volta, dal tempo dedicato allo studio e dal livello dei percorsi formativi seguiti. A tal fine la capacità della famiglia di sostenere il figlio in un percorso di studi impegnativo gioca – in questo, come in pressoché tutti gli ambiti professionali – un ruolo ineliminabile.

L’esperienza (anche precedente all’introduzione dei titoli abilitativi attualmente previsti) insegna che il tempo normalmente necessario per preparare il concorso da mot difficilmente può essere compresso al di sotto dei 18-24 mesi. Anche quando al concorso si poteva accedere subito dopo la laurea, l’età media di accesso alla magistratura si aggirava tra i 27 e i 28 anni: se si tiene conto della precedente durata quadriennale del corso di laurea in giurisprudenza (in luogo degli attuali 5 anni per la equivalente laurea magistrale), è facile calcolare, al netto dei tempi di espletamento del concorso, che i vincitori di concorso, laureatisi a 23-24 anni, avevano alle spalle almeno un paio d’anni di studio prima di presentarsi a sostenere le prove.

Il livello di difficoltà e selettività del concorso da mot è peraltro ben noto agli studenti che spesso, dopo aver conseguito il titolo abilitativo (tirocinio, titolo di avvocato o altro), mettono in bilancio ancora uno o due anni di studio prima di tentare il concorso (laddove per “tentare” si deve intendere non solo iscriversi all’esame, ma anche consegnare le prove scritte).

Non va poi dimenticato che la possibilità di “accesso diretto” al concorso comporta l’iscrizione di un numero così elevato di candidati da rendere difficilmente gestibile l’esame e da allungarne sensibilmente i tempi. Proprio per ovviare a questo problema erano stati introdotti, alcuni anni prima della riforma che ha reso “di secondo grado” il concorso, i “quiz” di preselezione per l’ammissione alle prove scritte: una modalità di (pre)selezione pressoché unanimemente considerata “ingiusta”, perché inadeguata a dar conto della effettiva preparazione giuridica dei candidati. Ampliare la rosa di candidati comporta la necessità di farsi carico di questi problemi.

Va detto poi che tornare al concorso “di primo grado”, significherebbe cancellare di fatto, con un tratto di penna, l’intera esperienza dei tirocini formativi e la loro duplice dimensione di supporto per gli uffici giudiziari e di momento di crescita e formazione per i giovani laureati. Come si è detto sopra, il numero dei tirocini attivati ai sensi dell’art. 73 d.lgs 69/13 era prossimo allo zero fino a quando a questi tirocini non è stato riconosciuto (con il dl 90/2014) valore di titolo abilitativo per accedere al concorso.

E dunque, prima di muoversi in questa direzione vale la pena di domandarsi se davvero il ritorno a un concorso di primo grado avrebbe come effetto un significativo abbassamento dell’età media dei vincitori. E, poi, quali strade percorrerebbero i neolaureati aspiranti magistrati durante i due anni circa necessari per prepararsi a sostenere l’esame. Non è difficile prevedere che andrebbero a ingrossare le fila degli iscritti (già oggi molto numerosi) a uno dei tanti corsi di specializzazione post-laurea gestiti da privati; nel cui ambito si svolgerebbe una naturale selezione – per lo più legata alla durata del corso – sui candidati “pronti” a sostenere il concorso e quelli che ancora devono proseguire il percorso di preparazione. Questi stessi giovani – alternativamente o contemporaneamente – andrebbero poi ad aumentare il numero dei praticanti procuratori (e, dopo il superamento dell’esame, degli avvocati).

Questo scenario rappresenterebbe uno spreco di dimensioni incalcolabili e la perdita di un’occasione, almeno sotto un duplice profilo. In primo luogo, perché la formazione delle nuove leve di magistrati verrebbe a svolgersi interamente al di fuori della realtà giudiziaria, della “dimensione giurisdizionale”, in cui i magistrati sono chiamati a operare. L’esperienza, offerta dai tirocini, della “giurisdizione vissuta”, della realtà dell’ufficio giudiziario, non farebbe più parte del percorso tipico degli aspiranti magistrati; mentre ne continuerebbero a far parte l’esperienza accademica e quella forense. Quel nucleo di conoscenze che sono oggi trasmesse, quasi per osmosi, agli stagisti (e che – come si è detto sopra – attengono più al “saper essere” che al “saper fare”) non potrebbero più essere raggiunte dal giovane in questa fase, così importante e formativa, del suo percorso di vita e professionale.

In secondo luogo perché i giovani formati all’interno della giurisdizione sono un’eccezionale risorsa, che deve essere adeguatamente valorizzata, per la giurisdizione stessa.

2. Ripensare l’accesso alla magistratura

Nel mondo della magistratura togata è diffuso il “tabù” secondo cui l’unico accesso possibile alla carriera di magistrato professionale è e deve restare il concorso per esami, nella sua configurazione attuale. Particolare attenzione è sempre stata rivolta a evitare forme, palesi o striscianti, di “stabilizzazione” della magistratura onoraria. Le leggi di riforma del 2016 e 2017 sono espressione di questa filosofia nella parte in cui dettano i principi generali – sopra sommariamente richiamati – di temporaneità e di “necessaria compatibilità” delle funzioni onorarie con altre attività professionali.

Si tratta di un’impostazione condivisibile, nella misura in cui è espressione del principio costituzionale secondo cui «le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso». E tuttavia è un’impostazione che merita di essere ripensata nella misura in cui aprioristicamente rifiuta ogni forma di “valorizzazione” del percorso onorario ai fini dell’accesso a quello professionale.

La magistratura onoraria così com’è concepita dalla legge di riforma è infatti estremamente “vicina” a quella ordinaria: si forma attraverso un tirocinio iniziale di sei mesi nei tribunali, esercita le proprie funzioni sotto la direzione di magistrati togati, con i quali è chiamata a confrontare i propri orientamenti e prassi operative, attinge la propria formazione periodica alla medesima istituzione (la Ssm) che la eroga ai magistrati professionali. E, soprattutto, opera necessariamente, per i primi due anni, all’interno dell’ufficio per il processo, che è un’articolazione organizzativa dei tribunali, prendendo parte a tutte le dimensioni in cui si svolge la giurisdizione.

Il giudice onorario riceve dunque dall’ufficio a cui appartiene (e dalla Ssm) una formazione specifica. E di quell’ufficio, delle sue prassi, delle sue dinamiche, della sua giurisprudenza, matura una conoscenza approfondita nel corso di 4 anni (rinnovabili per altri 4) di svolgimento delle funzioni.

Qualora poi il giudice onorario provenga dai ranghi degli ex stagisti (e – come detto sopra – è fortemente auspicabile che questo canale di accesso sia rafforzato e reso “preferenziale”), queste competenze e quella “sensibilità” sono ancor più presenti e radicate.

Se ciò è vero, fermo restando che l’accesso alla magistratura ordinaria deve avvenire per concorso, e ferma anche l’opportunità che debba trattarsi di un concorso per esami – che permette una valutazione dei candidati più obiettiva, completa e omogenea rispetto a un concorso per soli titoli – il pregresso percorso nella magistratura onoraria (successivo all’entrata in vigore della legge di riforma) potrebbe e dovrebbe essere maggiormente valorizzato quale titolo per accedere alla magistratura professionale.

Il modo più semplice può essere quello di riservare in ogni concorso per mot una quota di posti ai candidati che hanno svolto, con valutazione positiva, funzioni onorarie per almeno un mandato quadriennale. In questo modo i giudici onorari vedrebbero aumentate le possibilità di accesso grazie (non alla semplicità delle prove d’esame, che resterebbero identiche per tutti i candidati, ma) alla sensibile riduzione della base di candidati che concorrono per quella quota di posti. Per questa via si realizzerebbe una selezione che aprirebbe le porte della magistratura professionale ai migliori fra i giudici onorari.

Una simile riforma dell’accesso alla magistratura avrebbe numerosi pregi.

Anzitutto quello di arricchire il ventaglio di provenienza dei giudici togati: accanto a una quota maggioritaria che proviene dal tradizionale percorso formativo accademico e scolastico (nel cui ambito molti hanno anche svolto un’esperienza negli studi legali, come praticante e/o come avvocato), si darebbe accesso a un’altra quota che proviene da un percorso formativo interno agli uffici, da un’esperienza di giurisdizione vissuta.

In secondo luogo, il vantaggio di disporre di una magistratura onoraria altamente selezionata e fortemente motivata dalla prospettiva di poter accedere, al termine dell’esperienza onoraria, alla quota riservata dei posti messi a concorso.

In terzo luogo, una forte compatibilità fra la figura di magistrato onorario prevista dalla legge (che si caratterizza per il tempo limitato dedicato alla funzione e per la durata temporanea dell’incarico) e le prospettive di sviluppo professionale degli ex stagisti candidati a ricoprire questo incarico.

In quarto luogo, un netto risparmio sui tempi e i costi per la formazione dei giudici onorari (con possibile più rapida immissione nelle funzioni giurisdizionali “piene”, anche presso l’Ufficio del Giudice di pace), nella misura in cui i gop, avendo già svolto 18 mesi di affiancamento come stagisti, necessitano di una formazione più “breve”.

In quinto luogo, il pregio di mantenere alta la “capacità attrattiva” dei tirocini formativi, e mettere così a disposizione degli uffici giudiziari un ampio numero di collaboratori con elevato profilo di preparazione.

In sesto luogo, il vantaggio di recuperare agli uffici giudiziari la formazione che essi stessi hanno erogato e di non sprecare quella professionalità di cui i tirocinanti, al termine dello stage di 18 mesi, sono portatori.

Infine, se si considera che i tirocinanti ex art. 73 possono fruire di una borsa di studio; e che i giudici onorari ricevono un compenso (per il loro impegno di due soli giorni alla settimana) commisurabile a un modesto stipendio (in concreto si va da un minimo di € 14.848 lordi annui, per i gop nei primi due anni dalla nomina e con parte variabile del compenso calcolata nella misura minima del 15%; fino a un massimo di € 20.982, per il gop dopo i primi due anni e con parte variabile del compenso calcolata nella misura massima del 30%), questo canale di accesso alla magistratura si rivelerebbe anche altamente “democratico”, perché darebbe modo ai giovani di “mantenersi agli studi” per un periodo di tempo adeguato alla preparazione del concorso.

In conclusione.

Le riforme che negli ultimi anni hanno toccato l’organizzazione degli uffici, la magistratura onoraria e i tirocini formativi hanno genesi diverse e rispondono a finalità eterogenee. Se però si guardano nel loro complesso appaiono come le tessere di un mosaico ancora incompiuto, che chiede di essere ricondotto a unità. Le chiavi di riflessione per completarlo vanno probabilmente colte, per un verso, nel nuovo assetto degli uffici e nella finalità formativa che sono chiamati a svolgere; e, per altro verso, nel nuovo disegno della magistratura onoraria, che il legislatore ha voluto molto più vicina a quella professionale per sensibilità, formazione e organizzazione.

[*] Vds. M. Ciccarelli, Dal tirocinio all'accesso alla magistratura onoraria e togata - Parte prima, in questa Rivista on-line, 16 luglio 2019, http://questionegiustizia.it/articolo/dal-tirocinio-all-accesso-alla-magistratura-onoraria-e-togata-parte-prima_16-07-2019.php

17/07/2019
Altri articoli di Marco Ciccarelli
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024
Test psicoattitudinali per i magistrati
a cura di Redazione

Ovvero: “ le stesse cose ritornano”, a dispetto delle critiche razionali degli esperti 

25/03/2024
I nodi del costituzionalismo contemporaneo e la sfida per l’Associazione Nazionale Magistrati

Il costituzionalismo contemporaneo è segnato da una serie di nodi ancora tutti da sciogliere: il depotenziamento della funzione costituzionale di indirizzo fondamentale ed il parallelo potenziamento della funzione di garanzia; quale equilibrio fra la sovranità popolare ed il potere dei giudici di interpretare la legge; l’imparzialità dell’interprete ed i confini della libertà di espressione del magistrato. A quasi cinquanta anni dal congresso di Gardone, il prossimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati può essere l’occasione per un contributo della magistratura associata alla risoluzione di questi nodi. 

27/02/2024
I tempi della giustizia. Avvocatura, magistratura e società. Riflessioni su «Una ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati»

Il contributo – partendo dal rapporto di ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati, che compone il fascicolo n. 4/2023 della Rivista trimestrale – esplora due delle principali cause dei lunghi tempi della giustizia in Italia: un eccessivo carico di lavoro dei magistrati, ulteriormente gravato da un arretrato “patologico”, e un elevato turnover. I rimedi non vanno tanto cercati in una nuova riforma del processo, né tantomeno in un contenimento della domanda giudiziaria, quanto piuttosto in una soluzione che coinvolga tutti gli stakeholder del settore giustizia, puntando su potenziamento dell’organico, tecnologia e innovazione.

15/02/2024