La collocazione della magistratura onoraria all’interno dell’ordine giudiziario è al centro del dibattito politico e istituzionale, segnato da numerosi interventi, di giudici di merito nazionali, della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale, che contribuiscono a riscriverne e aggiornarne la figura.
Due sono i temi di riflessione, che hanno chiara incidenza anche sull’organizzazione degli uffici giudiziari e sul lavoro quotidiano che siamo chiamati a svolgere.
Il primo attiene ai compiti che l’ordinamento assegna alla magistratura onoraria. La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 41/2021, pubblicata il 17 marzo, indica la strada da percorrere in termini piuttosto chiari. Nell’esaminare la questione di costituzionalità degli articoli da 62 a 72 del decreto legge n. 69/2013, convertito con legge n. 98/2019, che hanno istituito la figura del giudice aggregato presso le corti d’appello, la Corte ne afferma l’incostituzionalità per contrasto con la previsione dell’art. 106, secondo comma, della Costituzione. La Corte, come ha fatto in altre occasioni, pronuncia una sentenza additiva ed inserisce nella normativa censurata un termine finale, entro il quale il legislatore è chiamato ad intervenire. Questo termine è individuato nella data prevista dal D. Lgs. n. 116/2017 (cosiddetta legge Orlando, di riforma della magistratura onoraria) per la sua completa entrata in vigore (31 ottobre 2025).
La Corte Costituzionale conferma così, a pochi mesi dalla sentenza n. 267/2020, la sua significativa partecipazione al dibattito politico e parlamentare di modifica della riforma Orlando e lo fa riconducendo la figura del magistrato onorario ai compiti assegnati dalla Costituzione. È particolarmente rilevante il passaggio contenuto nel punto 19 della motivazione, laddove la Corte, nel chiarire la portata dell’art. 106, secondo comma, della Costituzione, traccia «un perimetro invalicabile della magistratura onoraria, identificata nella figura del giudice monocratico di primo grado» e riduce a casi eccezionali e in via di supplenza la partecipazione a funzioni collegiali di tribunale. Analoghe considerazioni si trovano in altri passaggi della motivazione, ad esempio nel punto 17 («Si è meglio delineata così la figura di magistrato onorario già prevista dalla Costituzione (art. 106, secondo comma), compatibile con la regola generale che vuole che le nomine dei magistrati abbiano luogo per concorso (art. 106, primo comma): è quella di un giudice singolo, perché monocratico di primo grado, che solo in via eccezionale e transitoria, può comporre i collegi di tribunale»), tutti caratterizzati dall’attribuzione alla magistratura onoraria di funzioni giurisdizionali, sia pure solo monocratiche e di primo grado.
La lettura di questo intervento della Corte Costituzionale porta a ricondurre la magistratura onoraria alla sua funzione storica, che la Corte opportunamente ricostruisce a partire dal paragrafo 7, quella di esercizio della funzione giurisdizionale, nei casi previsti dall’ordinamento e con i limiti precisati.
Pressoché contestuale alla sentenza è l’intervento della ministra della Giustizia in sede di audizione parlamentare alla Commissione Giustizia del Senato, il giorno 18 marzo.
La Ministra, illustrando le linee degli interventi normativi e ordinamentali che guideranno le scelte governative sull’utilizzo dei fondi del Recovery Fund, riscrive l’organizzazione dell’ufficio per il processo, escludendone la partecipazione dei giudici onorari e delineandolo come ufficio di supporto dell’attività del giudice ordinario. In questo senso si muove l’idea, esposta dalla Ministra, di partecipazione all’ufficio per il processo, diretta alla creazione di una nuova figura, quella dell’assistente del giudice, individuato per età, (giovani laureati o in possesso di titolo ulteriore, su questo occorrerà attendere maggiori dettagli) e con un periodo di presenza di tre anni. Ovviamente una figura con queste caratteristiche comporterà l’impossibilità di una delega di funzioni giurisdizionali, come quelle stabilite dall’art. 10, commi 11 e 12, D. Lgs. n. 116/2017.
Ma è proprio su questo aspetto che le indicazioni della Ministra e il percorso tracciato dalla sentenza n. 41/2021 si muovono nella stessa direzione. Nell’escludere dall’ufficio per il processo i magistrati onorari e nel ricondurli all’esercizio della funzione giurisdizionale monocratica di primo grado, il percorso futuro che viene a delinearsi è quello di una magistratura onoraria cui affidare, in via autonoma o per delega, una parte dell’attività giudiziaria, restituendola pienamente all’esercizio della giurisdizione e privandola dei compiti di mero supporto all’attività del giudice ordinario («ancillari» li ha definiti la Ministra).
Questa scelta va di pari passo con l’importante riconoscimento da parte della Ministra della necessità di riconoscere ai magistrati onorari alcune tutele lavorative, con il richiamo delle sentenze nazionali e della CGUE[1] che si sono pronunciate sul punto.
Emerge una magistratura onoraria collocata stabilmente nell’area della giurisdizione, dotata di un certo grado di stabilità e del riconoscimento di un bagaglio di diritti, la cui ampiezza dipenderà dalle scelte del legislatore. La stessa sentenza n. 41/2021 richiama l’orientamento della Corte che individua la magistratura onoraria come «appartenente» all’ordine giudiziario, sottolineando la differenza con la magistratura ordinaria che invece «costituisce» l’ordine giudiziario. Si tratta di una differenza che evita opportunamente confusioni e letture distorte, da ultimo quelle presenti nel parere reso all’Avvocatura dello Stato dal CSM il 24 febbraio di quest’anno, in merito alla rimessione della questione di pregiudizialità alla CGUE da parte del TAR dell’Emilia Romagna in tema di giudici di pace, e colloca correttamente la magistratura onoraria nell’alveo della giurisdizione, ma senza far dipendere dalla diversa sistemazione rispetto alla magistratura ordinaria la negazione di diritti fondamentali, quale quello ad un giusto compenso, del tutto compatibili con il diverso ruolo e le diverse funzioni istituzionali.
Nell’intervento della Ministra si legge quella valorizzazione della professionalità acquisita nell’esperienza di questi anni da parte della magistratura onoraria, che è alla base anche del regime transitorio previsto dalla riforma Orlando, laddove, per i giudici onorari in servizio prima della sua entrata in vigore, conferma l’assegnazione di ruoli autonomi e la prosecuzione dell’attività giurisdizionale esercitata.
Questi due ultimi interventi, per la loro autorevolezza, tracciano in modo inequivoco un solco lungo il quale il legislatore dovrà muoversi.
Se ne trae la conferma che l’approccio al tema della magistratura onoraria va sgomberato da ipocrisie che chiudono ogni riflessione nell’angusto recinto del “noi” e “loro”, replicano in modo acritico e, soprattutto, sganciato dalla reale condizione lavorativa degli interessati, il concetto di onorarietà, sottolineano con particolare pignoleria e minuziosità le differenze tra magistratura ordinaria e onoraria, fino a citare la Costituzione non per affermare, ma per negare diritti, per escludere qualsiasi diritto legato allo svolgimento dell’attività lavorativa, non certo onoraria, di larga parte della magistratura onoraria.
Il riconoscimento di questi giusti diritti, che oggi si fonda anche su pronunce della giurisprudenza di merito nazionale e della giurisprudenza comunitaria, muove non da distorsioni del dettato costituzionale o da un’impropria commistione di ruoli, funzioni e status ordinamentale, ma dall’attribuzione in capo ai magistrati onorari della qualità di “lavoratore” sulla base del diritto eurounitario. Questa affermazione, e il riconoscimento dei diritti conseguenti, è perfettamente compatibile con il diverso statuto della magistratura onoraria rispetto a quella ordinaria. In sostanza, va rovesciata quella prospettiva, da ultimo fatta propria dal parere del CSM del 24 febbraio, che, partendo dal diverso statuto della magistratura onoraria, finisce per negare la stessa qualità di “lavoratore”.
Il discorso va esattamente rovesciato. Si tratta anzitutto di verificare, alla luce del diritto comunitario e di quello interno e attraverso l’accertamento delle modalità di svolgimento dell’attività del magistrato onorario, se questi possa definirsi “lavoratore” in base al diritto eurounitario. Una volta data risposta positiva a questo interrogativo, occorrerà individuare il campionario di diritti che va riconosciuto in base all’ordinamento. Si tratta di un percorso che lascia intatte tutte le differenze di status e di collocazione istituzionale ma, nel contempo, consente il riconoscimento di quei diritti che vanno riconosciuti a chiunque svolga un’attività lavorativa. Si tratterà di individuare i diritti destinati a comporre il paniere da riconoscere a questa figura, di calibrarne ampiezza e misura, ma non sarà possibile mantenere aree di precariato proprio all’interno di quei Palazzi di giustizia, dove i diritti dovrebbero ricevere tutela e non porte sbattute in faccia.
[1] CGUE, sentenza 01.03.2012 (causa C 393/10); sentenza 16.07.2020 (causa C 658/18); Tribunale di Napoli, sentenza n. 6015/2021; Tribunale di Vicenza, sentenza n. 343/2010; Tribunale di Roma, ordinanza 13.01.2021.