In favore della interpretazione alternativa “abbandonata”
La sentenza n. 33923 del 2015 della 1ª sezione penale della Corte di Cassazione, pubblicata oggi su Questione Giustizia, si segnala per la scelta definitiva della Corte di Cassazione per il criterio cronologico quale unico metodo di attribuzione della competenza funzionale del giudice dell’esecuzione.
In termini perentori, si afferma che l'art. 665 c.p.p., comma 4, prevede il criterio cronologico quale “… criterio di determinazione della competenza funzionale del giudice dell'esecuzione ancorato ad un parametro di tipo oggettivo …”.
La norma, prosegue la Corte, “… non effettua alcuna distinzione tra il caso in cui la questione sollevata riguardi un solo titolo esecutivo o la totalità di essi …”.
Secondo la Corte, “… L'opposto orientamento, in base al quale, quando, pur nella sussistenza di giudicati emessi da diversi giudici, sorga questione concernente l'esecuzione di uno solo di essi per fatto non incidente in modo assoluto sull'esecutività degli altri, va applicata la disciplina di cui all'art. 665 c.p.p., secondo cui competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato (Sez. 1, n. 4825 del 04/07/2000 - dep. 09/08/2000, Confl., comp. in proc. Molinari, Rv. 216915), è stato abbandonato dopo il 2000 e non più riproposto”.
Dunque, la scelta interpretativa è da considerarsi definitiva; lo afferma la Corte con toni molto decisi.
L’interpretazione “abbandonata” è la seguente:
Cass. Sez. 1ª sent. N.4825 del 4/7/2000 - 9/8/2000: “In tema di determinazione del giudice competente per l'esecuzione di una sentenza di condanna, non si rende sufficiente, ai fini dell'applicazione dell'art. 665, comma quarto, cod. proc. pen., il fatto che vi sia coesistenza di più sentenze a carico di una stessa persona, essendo invece necessaria, a tal fine, una pluralità di provvedimenti di giudici diversi, dai quali derivi la stessa questione da delibare in sede esecutiva. Ne discende che, quando, pur nella sussistenza di giudicati emessi da diversi giudici, sorga questione concernente l'esecuzione di uno solo di essi per fatto non incidente in modo assoluto sull'esecutività degli altri, va applicata la disciplina di cui all'art. 665 cod. proc. pen., secondo cui competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha deliberato”.
Se indubbiamente il criterio cronologico “assoluto”[1] è utile a risolvere agevolmente i conflitti di competenza, individuando con esattezza il giudice competente, però il criterio cronologico “temperato”, oggetto dell’interpretazione “abbandonata”, è preferibile per ragioni sistematiche, letterali, di razionalità e di economia[2] processuale.
Va ricordato che il primo criterio di competenza in tema di esecuzione è quello previsto dal comma 1 dell’art. 665 c.p.p.: competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice che lo ha emesso.
Il legislatore, pur esistendo altre soluzioni possibili, ha voluto attribuire al giudice “della cognizione” la risoluzione dei problemi sorti sull'attuazione del titolo definitivo: lo scopo è quello di risolvere tali questioni con efficienza e rapidità. Tant’è che la competenza del giudice di appello è prevista solo quando vi siano state modifiche sostanziali al provvedimento impugnato: nei casi di conferma o di riforma limitata alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili persiste la competenza funzionale del giudice della cognizione di primo grado (cfr. il comma 2 dell’art. 665 c.p.p.).
Il criterio cronologico è previsto solo dal comma 4 dell’art. 665 c.p.p.: “Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, è competente il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo”.
Con la parola esecuzione si intendono tutte le questioni esecutive descritte nel libro decimo.
Il verbo transitivo concernere significa “riguardare, avere attinenza o relazione con persona o cosa” (dal vocabolario della lingua italiana dell’Istituto della enciclopedia italiana): ed allora, la competenza dell’ultimo giudice sussiste quando l’esecuzione riguarda più provvedimenti che hanno una relazione tra loro. Quando, in sintesi, l’esecuzione coinvolge più provvedimenti.
Pertanto, non è del tutto vero che il richiamato comma 4 “… non effettua alcuna distinzione tra il caso in cui la questione sollevata riguardi un solo titolo esecutivo o la totalità di essi …”: richiede invece che sussista una relazione tra la questione esecutiva ed i più provvedimenti.
È allora più aderente alle lettera della legge l’interpretazione “abbandonata” che esclude l’applicazione del criterio cronologico quando “sorga questione concernente l'esecuzione di uno solo di essi per fatto non incidente in modo assoluto sull'esecutività degli altri …”.
Dunque, quando la decisione in sede di esecuzione riguardi un solo provvedimento definitivo, e non incide su gli altri titoli neppure in via indiretta, la competenza è sempre, ai sensi del comma 1 dell’art. 665 c.p.p., del giudice che ha emesso il provvedimento. Ciò anche se l’imputato risulti condannato in via definitiva successivamente.
Esempi di incidenza indiretta sull’ultimo titolo esecutivo – che correttamente generano la competenza secondo il criterio cronologico - sono le questioni relative all’applicazione della continuazione, alla revoca della sospensione condizionale della pena, alla revoca dell’indulto, perché si tratta di questioni che inevitabilmente coinvolgono la “vita processuale” del condannato. In tali casi, solo l’ultimo giudice è in grado di valutare in maniera la sussistenza di tutte le condizioni applicative o ostative.
Il criterio cronologico temperato presenta poi indubbi aspetti di razionalità e di economia processuale. Gli esempi tornano utili.
Tizio ha subito il furto di un orologio a Reggio Calabria; l’imputato Caio è condannato in via definitiva ma nessuno si ricorda di restituire l’orologio alla vittima[3].
Passata in giudicato la sentenza, Tizio ne chiede la restituzione al “suo” giudice di Reggio Calabria. Tizio infatti non conosce le condanne subite dall’imputato.
Il giudice di Reggio Calabria però gli dice che non può restituirgli l’orologio perché è incompetente: il cattivo Caio è stato condannato, successivamente in via definitiva, ad Aosta. Il giudice di Reggio Calabria quindi, seguendo scrupolosamente i dettami della Corte[4], richiama il fascicolo dall’archivio, ne fa le copie e lo trasmette ad Aosta al giudice dell’esecuzione competente.
Il giudice di Aosta si vedrà arrivare il plico da Reggio Calabria; il pensiero della bottarga inviata da qualche amico gli passerà subito, una volta letta la dichiarazione di incompetenza: farà così iscrivere il procedimento di esecuzione, restituirà l’orologio al malcapitato Tizio, delegando per la restituzione, ovviamente, la p.g. di Reggio Calabria.
Gli esempi sulla trasmigrazione dei fascicoli possono continuare.
Si pensi al terzo che vanti diritti sulla cosa oggetto di confisca.
Il terzo infatti non può “costituirsi in giudizio” nel processo penale né impugnare la sentenza[5] con la quale è stata disposta la confisca ma può solo proporre incidente di esecuzione.
Poniamo il caso che il terzo abbia tutte le ragioni per ottenere la restituzione del bene oggetto di confisca. Il terzo estraneo al processo ha già subito – magari anche involontariamente per non essere emersa la circostanza nel corso del processo di merito – la lesione del suo diritto alla restituzione del bene dal giudice competente per il merito; nel caso di più provvedimenti definitivi si troverebbe costretto, secondo l’orientamento della prima sezione della Corte di Cassazione, a rincorrere le vicende giudiziarie dell’imputato, senza che il giudice del merito possa rimediare all’errore (anche involontario) in fase esecutiva, attivando la procedura de plano prevista in questi casi.
La restituzione dovrà infatti essere disposta dall'ultimo giudice, al quale dovranno essere trasmessi gli atti: e se l’ultimo giudice dispone il dissequestro di un bene sottoposto ad onerosa custodia, dovrà anche procedere alla liquidazione di quanto spetti al custode, quale giudice che procede e che ha provveduto sul dissequestro, con conseguenze anche irrazionali sulle spese del procedimento.
Altri esempi di inutili trasmigrazioni di fascicoli possono evincersi dalle questioni relative alla mancata formazione del giudicato per vizi relativi al computo dei termini per l’impugnazione o ancora al caso della dichiarazione in esecuzione della falsità di documenti (art. 675 c.p.p.): in tali casi la valutazione da parte del giudice che ha emesso il provvedimento (e non dell’ultimo giudice), consente una decisione certamente più rapida, perché la valutazione dovrà essere fatta dal giudice che è anche fisicamente in possesso degli atti del processo e non sarà pronunciata da un giudice del tutto estraneo al processo di merito, posto che le decisioni sono strettamente collegate a quanto accaduto nel giudizio.
Speriamo allora in un ripescaggio della tesi così duramente abbandonata.
[1] Fatto proprio dalla sentenza n. 33923 del 2015 che si commenta.
[2] Anche nel senso letterale del termine visto che la trasmigrazione dei fascicoli verso altro giudice ha dei costi.
[3] L’esperienza insegna che purtroppo queste cose succedono.
[4] “La competenza in fase esecutiva a decidere sulla richiesta di restituzione di beni oggetto di confisca, avanzata dal terzo estraneo, spetta al giudice che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo nei confronti dell'imputato, anche se la questione proposta non riguarda la decisione da lui emessa”. Cass. Sez. 1ª, Sentenza n. 17545 del 20/04/2012
[5] “Il terzo rimasto estraneo al processo non è legittimato all'impugnazione della sentenza con cui è stata ordinata la confisca di somme di denaro e può far valere i propri diritti su detta somma per mezzo dell'incidente di esecuzione”; cfr. Cass. penale, sez. III, 19-03-2009 n. 12117.