Sommario: 1. Il protocollo sottoscritto dal Primo presidente della Corte di Cassazione e dal presidente del CNF in data 17 dicembre 2015. 2. Segue: alcune precisazioni circa lo svolgimento del processo, la sintesi dei motivi, e i motivi di impugnazione. 3. Il filtro previsto dall’art. 360 bis c.p.c. e l’impugnazione della sentenza per vizi attinenti alla motivazione. 4. Il principio di autosufficienza. 5. Una proposta drastica e provocatoria.
1. In data 17 dicembre 2015 il Primo presidente della Corte di Cassazione e il presidente del CNF hanno concordato un protocollo che fissa le regole redazionali dei ricorsi per cassazione in materia civile e tributaria.
Il protocollo nasce da una iniziativa del Primo Presidente della cassazione, che già precedentemente aveva inviato una missiva al presidente del CNF auspicando una significativa riduzione delle dimensioni dei ricorsi, in modo da poterne contenere la stesura in un ragionevole numero di pagine.
Il CNF replicò che la lunghezza del numero delle pagine era dovuta agli orientamenti, nemmeno chiari, della giurisprudenza in punto di autosufficienza, e che quindi il tema della lunghezza dei ricorsi andava affrontato unitamente a quello del principio di autosufficienza.
Il protocollo del 17 dicembre scorso ha pensato allora di intervenire anche su questo, cosicché esso, oltre a dare uno schema di come i ricorsi devono essere redatti, provvede altresì a precisare e limitare il principio di autosufficienza, al fine di assicurare le parti e i loro difensori sui rischi di inammissibilità di un ricorso per questa ragione.
Si precisa, nella relazione, che l’esigenza di addivenire ad un protocollo è stata data dall’esistenza di un sempre maggiore numero di ricorsi e dal loro sovradimensionamento dell’esposizione dei motivi e delle argomentazioni.
Per contenere questo fenomeno, che ha delle evidenti ripercussioni negative sull’andamento dei processi e rischia di essere di ostacolo alla effettiva comprensione dei ricorsi, si è pensato di dare delle regole semplici per la loro stesura, confidando che gli avvocati si allineino a queste direttive.
Si tratta di regole anche assolutamente formali, quali, ad esempio, l’utilizzo di foglio A4, i caratteri da usare (Times New Roman, Arial e simili), le interlinee, e soprattutto il numero di pagine del ricorso, che non possono superare le 5 per lo svolgimento del processo e le 30 per i motivi di impugnazione.
Si precisa che il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati nel modulo e delle ulteriori indicazioni ivi previste non comporta l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso, trattandosi evidentemente di un protocollo e non di una disposizione normativa, ma si ha comunque la forza di dire che tutti questi elementi restano fatti valutabili ai fini delle spese di giudizio.
Nel caso, poi, in cui la fattispecie sia particolarmente complessa, il ricorrente o il controricorrente devono specificare “le motivate ragioni per le quali sia ritenuto necessario eccedere dai limiti previsti”; e, di nuovo, “la eventuale riscontrata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese”.
2. Passando ad una analisi appena più analitica del contenuto del protocollo, il discorso, a parere di chi scrive, non può prescindere dell’art. 366 c.p.c., perché è l’art. 366 c.p.c. che indica quali sono gli elementi che, a pena di inammissibilità, devono essere contenuti in un ricorso per cassazione.
Sotto questo profilo appare del tutto superfluo che il protocollo precisi che il ricorso deve contenere i nomi delle parti (art. 366 n. 1 c.p.c.), gli estremi del provvedimento impugnato (art. 366 n. 2 c.p.c.), lo svolgimento del processo (art. 366 n. 3 c.p.c.), le conclusioni (art. 366 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 125 c.p.c.). Parimenti superfluo è che il protocollo precisi che il ricorso deve contenere l’oggetto del giudizio e indicare il valore della controversia, poiché sono anche questi elementi normalmente richiesti tanto dall’iscrizione a ruolo della controversia, quanto dalle norme fiscali in tema di contributo unificato.
Più interessanti sono le precisazioni circa lo svolgimento del processo, la sintesi dei motivi, e i motivi di impugnazione.
A) Quanto alla descrizione dello svolgimento del processo, bene fa il protocollo a precisare che essa deve essere “sommaria” e soprattutto deve “essere funzionale alla percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure poi sviluppate nella parte motiva”.
E’ un punto, credo, centrale, e che deve essere ben chiaro ad un avvocato che pretendi di fare il cassazionista.
Si assiste, purtroppo, assai spesso, a ricorsi e controricorsi che narrano nei minimi particolari le vicende dell’intero processo di merito, spesso con tecniche di copia-incolla, per pagine e pagine interminabili, con descrizione inutili di tanti momenti che hanno attraversato la vicenda processuale prima che questa sfociasse in cassazione.
E’ bene precisare fin d’ora che il principio di autosufficienza non impone affatto di scrivere ricorsi per cassazione in questo modo, e non v’è affatto la necessità, anche ai sensi dell’art. 366 n. 3 c.p.c., di riportare nel ricorso tutta la vicenda processuale di merito in modo minuzioso2.
I fatti processuali da riportare sono solo e soltanto quelli che possano avere una qualche pertinenza con il giudizio di cassazione, e un avvocato cassazionista deve avere la capacità di discernere i fatti processuali utili da quelli inutili.
Lo svolgimento del processo deve contenere solo i primi, e l’omissione di tutti gli altri fatti processuali non comporta difetto sotto il principio di autosufficienza del ricorso.
B) Bene fa anche il protocollo a pretendere, per ciascun motivo di ricorso, non soltanto l’indicazione delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato, perché questo è già previsto dall’art. 366 n. 4 c.p.c., ma anche una sintesi dei temi trattati.
Il protocollo prevede che il ricorrente debba “enunciare sinteticamente i motivi del ricorso”.
Su questo mi sia consentita una precisazione e un suggerimento.
Non credo necessiti alla cassazione un riassunto del motivo di impugnazione, quasi un abstract di uno scritto dottrinale.
Se i motivi di ricorso sono ben separati l’uno dall’altro, scritti in modo chiaro e sintetico, con la precisa indicazione delle norme di legge che si presumono violate, ritengo che un abstract del motivo di ricorso non sia necessario, ed anzi potrebbe anche esser fuorviante e/o pericoloso.
Credo però sia necessario una ulteriore capacità di sintesi, che è quella di indicare alla Corte, per ogni motivo di ricorso, il principio di diritto che si vorrebbe veder accolto.
Nel 2006 fu inserito nel codice l’art 366 bis c.p.c. che pretendeva che ogni motivo di ricorso fosse completato con l’indicazione del quesito di diritto.
La disposizione non ha avuto fortuna, ha avuto orientamenti giurisprudenziali non sempre coerenti, ed è stata fortemente criticata da parte della dottrina.
Venuto meno l’art. 366 bis c.p.c., non viene però meno l’esigenza di riuscir ad indicare, per ogni motivo di impugnazione, se non un quesito di diritto, un principio di diritto che si pretende affermato dalla Corte quale reazione alla violazione di legge compiuta dal giudice di merito3.
Indicare il principio di diritto ha, a mio parere, un doppio effetto: a) serve al ricorrente per aver conferma della serietà del motivo di impugnazione proposto, in quanto se il motivo di impugnazione è valido, il ricorrente deve essere in grado di riassumerlo in un principio di diritto; b) e può agevolare il lavoro degli stessi giudici della cassazione, i quali, nella assoluta loro piena libertà, si vedono però suggerito, per ogni motivo di impugnazione, il principio di diritto tenuti a enunciare anche ai sensi dell’art 384 c.p.c.
C) Bene infine fa il protocollo a precisare che i motivi di ricorso devono “rispondere al criterio di specificità e di concentrazione.”
Si assiste, spesso, a ricorsi per cassazione contenenti una infinità di motivi di ricorso, spesso l’uno ripetizione dell’altro.
E’ regola dell’avvocato cassazionista, al contrario, chiedersi, una volta terminata la prima stesura del ricorso, non solo se quel ricorso, senza niente sacrificare al diritto di difesa, può essere più breve e contenuto nell’esposizione, ma anche se taluni motivi di ricorso possono essere concentrati in uno solo, così da ridurre, per quanto è possibile, il numero dei motivi di ricorso4.
Ciò agevola la comprensione del ricorso e, in una certa misura, lo rafforza, poiché appunto un buon ricorso per cassazione deve esser fatto di pochi motivi, chiari, esposti in modo sintetico, e contenenti l’indicazione dei principi di diritto che si pretenderebbero accolti dalla suprema Corte.
La concentrazione dei motivi di ricorso può avvenire agevolmente in ipotesi di violazioni di legge, meno facilmente nella concentrazione di motivi di ricorso ai sensi dei nn. 3 e 5 art. 360 c.p.c., ovvero quando la denuncia di un vizio della sentenza sia fatto sotto i diversi aspetti della violazione di legge e del vizio di omissione e/o motivazione di una circostanza decisiva.
Tuttavia, stando anche all’orientamento assunto dalle sezioni unite sul punto, un motivo di ricorso può essere formulato anche unitamente ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. qualora la natura del vizio denunciato ne imponga la trattazione congiunta5.
In questi casi il ricorrente ben può concentrare in un unico motivo di ricorso anche denunce sotto i diversi aspetti nn. 3 e 5 art. 360 c.p.c.
3. In addizione al protocollo, mi permetto di dare due ulteriori suggerimenti agli avvocati che debbano predisporre un ricorso per cassazione.
A) Un primo attiene al filtro previsto dall’art. 360 bis c.p.c.6
Non v’è necessità che una parte del ricorso sia dedicata a questa disposizione; tuttavia è ragionevole, e a mio parere anche consigliabile, che in calce al ricorso si aggiunga un paragrafo dedicato a ciò.
L’avvocato che predisponga un ricorso per cassazione, infatti, deve avere la capacità di indicare in modo preciso e sintetico gli orientamenti giurisprudenziali disattesi dalla sentenza di merito impugnata, con tanto di data e numero delle sentenze alle quali si fa riferimento.
E’ un lavoro utile sia per il ricorrente, che così trova conferma dell’ammissibilità del ricorso perché avente ad oggetto l’impugnazione di una sentenza che ha violato gli orientamenti giurisprudenziali della cassazione, e sia per gli stessi giudici della cassazione, che trovano in quella parte del ricorso un sunto delle presunte violazioni di diritto vivente, e ciò al fine di giudicare sul filtro di ammissibilità del ricorso, e anche al fine di giudicare il ricorso nel merito circa la sua fondatezza/infondatezza7.
In mezza pagina, o in poche righe, è allora opportuno, a mio sommesso parere, che il ricorrente indichi, a conferma dell’ammissibilità del ricorso che ha scritto, e ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., quali siano gli orientamenti giurisprudenziali violati dal giudice del merito o, in subordine, quali siano, brevemente, le ragioni per le quali la cassazione dovrebbe mutare l’orientamento, in questo caso indicando i principi di diritto che vorrebbe affermati (o, ancora, se il motivo di ricorso attiene al n. 4, art. 360 c.p.c., quali sono le ragioni per le quali la violazione di legge processuale denunciata attiene ai principi regolatori del giusto processo).
B) Un secondo attiene al vizio di motivazione.
Con l’ultima riforma di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., il vizio di motivazione non è più denunciabile in cassazione ed un ricorso con questo contenuto deve essere dichiarato inammissibile.
Tuttavia, la motivazione è parte integrante della sentenza ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c., e la cassazione ha da tempo elaborato il concetto di motivazione inesistente e motivazione apparente, che comporta la violazione di tale disposizione ai sensi del n. 4 art. 360 c.p.c.
Essa si ha, così, a prescindere dalla modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c., quando la motivazione manchi del tutto, oppure quando questa formalmente esista nell’atto-sentenza ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum8.
E’ bene dunque che l’avvocato che trovi nella sentenza un vizio di motivazione non si arresti alla circostanza che il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. è stato modificato, ma si chieda se la motivazione della sentenza che va ad impugnare non contenga gli estremi sopramenzionati, poiché in questi casi il vizio di motivazione può continuarsi a denunciare in cassazione per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
E questa possibilità non appare scalfita, a parere di chi scrive, nemmeno dalle più recenti sentenze a sezioni unite9, che ritengono comunque sempre denunciabili per cassazione i casi di sentenza priva di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, o con esposizione non idonea a rilevare la ratio decidendi, o con motivazione apparente od obiettivamente incomprensibile, o ancora con contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili10.
4. Un ulteriore riflessione va fatta sul c.d. principio di autosufficienza.
Il protocollo oggi bene precisa cosa debba intendersi con esso.
Si premette che il principio di autosufficienza non comporta (ne’, aggiungerei, ha mai comportato) un onere di trascrizione integrale di atti o documenti ai quali il ricorso o il controricorso facciano riferimento11.
Quando il ricorso o il controricorso fanno riferimento ad un atto o ad un documento ai sensi del n. 6 dell’art. 366 c.p.c. è sufficiente indicare il luogo e il tempo dell’atto e la fase in cui esso è avvenuto, ovvero il punto dell’atto che interessa la questione sottoposta alla cassazione (luogo), tipo di atto che lo riguarda (tempo) e momento del giudizio che lo riguarda (fase).
Per praticità si chiede poi si provveda a formare un apposito fascicoletto, che si addiziona al fascicolo di parte dei precedenti gradi di giudizio anche ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., che contenga gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso o nel controricorso.
Credo che il protocollo sia chiaro sul punto e credo che esso, così, da oggi possa tranquillizzare gli avvocati, inducendoli per il futuro ad evitare ricorsi-fiume, pieni di dati e argomentazioni sovrabbondanti.
Se si vuole, poi, il principio di autosufficienza è presto messo a nudo, perché esso è (sempre) servito solo a soddisfare una esigenza pratica dei giudici della cassazione, da questi stessi anche riconosciuta12.
I giudici della cassazione, infatti, se non in casi del tutto eccezionali, per decidere se accogliere o respingere un ricorso, non aprono il fascicolo, e assumono la loro decisione con il solo fascicoletto, che contiene ricorso, controricorso, sentenza impugnata e procura se separata.
Se si vuole, autosufficienza del ricorso ha sempre significato solo questo: non obbligare il giudice della cassazione ad aprire il fascicolo di merito, poiché il giudice della cassazione deve trovare ogni elemento utile alla decisione nel solo fascicoletto, ovvero nel ricorso o nel controricorso.
Se un avvocato mette a fuoco questo aspetto, capisce subito cosa deve scrivere, e cosa non è necessario scrivere, nel ricorso per soddisfare l’esigenza della autosufficienza.
Essa infatti si mostra all’avvocato come la sola esigenza di evitare al giudice di dover aprire il fascicolo di merito, mentre per raggiungere questo obiettivo non serve, evidentemente, riportare per intero la vicenda processuale di merito.
5. Ciò detto, credo, però, che per far fare un vero salto di qualità ai ricorsi, più che lavorare su essi, si tratti di lavorare sui ricorrenti; o, se mi è consentito, si tratta, prima ancora di cercare di migliorare gli atti, di migliorare i cassazionisti.
Il CNF sa bene questo, ed infatti, parallelamente alla sottoscrizione del protocollo, ha istituito in questi giorni, con proprio regolamento, una nuova Scuola superiore dell’avvocatura per cassazionisti, al fine di formare al meglio i nuovi avvocati per aspirino ad iscriversi all’albo speciale della cassazione.
E’ idea meritevole (seppur non credo che il CNF possa in via esclusiva gestire scuole di questo genere), ma gli effetti, se vi saranno, si vedranno fra molto tempo, ovvero quando l’intera vecchia generazione di avvocati cassazionisti per anzianità abbandonerà l’albo speciale per limiti di età.
A mio parere dovremmo invece avere il coraggio di optare per una soluzione più drastica e radicale, perché l’unica ad effetti immediati.
E’ una idea già tempo addietro lanciata dal CSM ma nemmeno presa in considerazione: si tratta, infatti, di rendere l’iscrizione all’albo degli avvocati cassazionisti incompatibile con quella di iscrizione agli albi ordinari.
Se passasse una riforma di questo genere, va da sé che manterrebbero l’iscrizione all’albo di cassazione solo quei pochi avvocati in grado, per mole di lavoro, competenza e fama, di poter fare una scelta del genere.
Questa soluzione creerebbe un divario tra avvocati del merito e avvocati di cassazione, evitando così che in cassazione vada l’avvocato che ha difeso il cliente nel merito, normalmente continuando, anche in cassazione, a far valere le stesse questioni con la stessa mentalità.
So che si tratta di una provocazione, e che l’intera avvocatura si schiererebbe contro una proposta di questo genere.
Ma certo avere e mantenere il numero attuale di avvocati patrocinanti presso una Corte suprema appare cosa assurda, e difficilmente riscontrabile in altri paesi.
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1 Intervento tenuto a Pisa il 26 febbraio 2016 in occasione di un incontro di studio dedicato alla presentazione della nuova edizione 2015 del volume edito da Cacucci, Bari, La cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana (a cura di M. Acierno – P. Curzio – A. Giusti).
2 V. sul punto GIUSTI, L’autosufficienza del ricorso, in op. cit., 246.
3 V. anche sul punto FRASCA, Ricorso per cassazione, controricorso, ricorso incidentale, in op. cit., 185.
4 D’ASCOLA, Falsa applicazione di norme di diritto, in op. cit., 311.
5 La questione era controversa. Precedentemente Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471 e Cass. 29 gennaio 2008 n. 1906 erano contrarie, e sostenevano che “La formulazione del quesito di diritto di cui all'art. 366 bis c.p.c. deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi”; mentre erano favorevoli Cass. 18 gennaio 2008 n. 976 e Cass. 31 marzo 2009 n. 7770, per le quali “È ammissibile il ricorso per cassazione, che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione, poichè nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale la duplice denunzia”.
Il contrasto è stato risolto da Cass., sez. un. 6 maggio 2015 n. 9100, per le quali “In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati”.
6 MACIOCE, Il filtro per l’accesso al giudizio di legittimità, in op. cit., 385 e ss.
7 V. anche, se credi, sul punto, Cass. ord. 16 giugno 2011 n. 13202 e Cass. ord., 23 marzo 2013 n. 7450.
8 Così, Cass. 18 settembre 2009 n. 20112.
9 Faccio riferimento a Cass., sez. un. 7 aprile 2014 n. 8053, e Cass., sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881.
10 V. per tutti questi aspetti DI IASI, Il sindacato della cassazione sulla motivazione, in op. cit., 336 e ss.
11 Fin dall’origine, come precisa GIUSTI, L’autosufficienza del ricorso, in op. cit., 244. “Il principio di autosufficienza non reca le stimmate del formalismo. Esso si mostra piuttosto come una formula sintetica e classificatoria, volta a richiamare il rispetto dei canoni di specificità, completezza e chiarezza del motivo”. Si fa riferimento a Cass. 18 settembre 1986 n. 5656, per la quale, infatti, “Il controllo sulla decisività della prova, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve avvenire sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative”. In modo sostanzialmente equivalente anche la giurisprudenza recente. v. infatti Cass. 11 febbraio 2014 n. 3026, per la quale, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, è sufficiente una indicazione riassuntiva degli elementi che il giudice di legittimità deve valutare.
12 V. infatti RORDORF, Questioni di diritto e giudizio di fatto, in op.cit., 31: “Il giudice di legittimità (salvo che in pochi casi piuttosto eccezionali) non deve affondare le mani nel materiale raccolto nelle fasi di merito, bensì decidere esclusivamente in base al contenuto degli atti compresi nel cosiddetto “fascicoletto”, che gli viene recapitato dalla cancelleria alcun tempo prima dell’udienza: un fascicolo di color arancione, nel quale sono contenuti unicamente il ruolo d’udienza, e per ogni ricorso di cui il consigliere è relatore, le copie del ricorso medesimo, del provvedimento impugnato, dell’eventuale controricorso e, se ve ne sono, delle memorie depositate dai difensori delle parti a norma dell’art. 378 c.p.c.”.