La Fondazione Res, Istituto di Ricerca su Economia e Società in Sicilia, ha reso possibile, insieme ad un editore attento ai fenomeni di degenerazione sociale come Donzelli, questo bel libro che si avvale di una serie di contributi di studiosi e ricercatori provenienti da molte università italiane [1] affiancati e diretti da Rocco Sciarrone, professore ordinario di Sociologia economica presso il Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino.
Bel libro non solo perché affronta uno dei temi e nodi cruciali della nostra società (vera zavorra morale ed economica dell’Italia) ma perché tenta di studiarlo diversificando le varie regioni italiane e guardandolo nel suo evolversi nel tempo, dal fatidico ‘92 in poi, attraverso l’esame meticoloso di una coppia privilegiata e inedita di fonti.
Porre al centro di una ricerca scientifica lo studio di un fenomeno come la corruzione in Italia è obiettivo di per sé molto impegnativo e irto di difficoltà. La corruzione – si sa – è uno dei fenomeni criminali che più interferiscono con il regolare andamento dello Stato di diritto: incrina il rapporto fiduciario fra cittadino e pubblica amministrazione, piega le regole della concorrenza fra imprese corruttive o non, fiacca la fiducia che Stati e capitali privati esteri hanno verso il nostro Paese, influenzando direttamente il nostro Pil.
Nella sua gravità, il fenomeno corruttivo sfugge il più delle volte all’accertamento e dunque alla sua repressione, perché la gran parte dei reati rimane senza denunce e dunque ignorata, per l’esistenza di un comune interesse all’omertà fra corrotto e corruttore.
Già da queste banali premesse si comprende bene come uno studio sociologico sul fenomeno si debba scontrare con enormi problemi.
Ne sono ben consapevoli gli autori che innanzitutto si focalizzano solo sulla corruzione politica, che veda cioè coinvolto almeno un soggetto con poteri politici nazionali, regionali o comunali, così lasciando fuori corruzioni minori che non rivestono la gravità di cui si è detto. Essi non vogliono studiare, in altre parole e in generale, il fenomeno del reato corruzione rappresentato dalla definizione [2] descrittivamente molto efficace di Cristina Amalia Ardenghi nel suo contributo al Manuale di diritto penale de Il Mulino del 2015. Essi restringono il loro oggetto di studio solo a quella corruzione ritenuta più grave in cui l’attore pubblico gestisce un potere politico nazionale o locale.
Peraltro: proprio nell’ottica di dedicarsi solo alla corruzione maggiore, gli autori allargano invece il loro sguardo a verificare le possibili connessioni fra corruzione politica e criminalità organizzata (reati associativi) e reati economici, connessioni queste che recenti vicende giudiziarie hanno messo in evidenza. Gli autori colgono infatti punti di contatto e sinergie che nei fatti si sviluppano fra questi reati, pur penalisticamente ben distinti fra di loro.
Perciò lo studio che il lavoro propone, pur attingendo a fonti di natura giurisprudenziale, se ne distacca come angolo di visuale, abbandonando del tutto steccati di tipo teorico-giuridico.
Ultima ma non meno importante premessa della ricerca è quella della scelta delle fonti da studiare. Infatti, sulla corruzione non esistono dati oggettivi di rilevazione, come invece per altri reati [3].
Del fenomeno corruttivo sono note e citate le dimensioni e la differente diffusività fra i vari Paesi del mondo che vengono tratte da un data-base peculiare: il grado di percezione dei cittadini dei singoli Stati raccolto tramite sondaggio; sono dati indubbiamente estremamente importanti e significativi, perché fotografano e cumulano il risultato della conoscenza dei singoli rispetto a esperienze vissute personalmente ovvero tratte da un entourage sociale prossimale, e comprendono dunque anche quella ampia fascia grigia (se non proprio nera) di fatti corruttivi che, come detto, non approdano affatto alla conoscenza diffusa perché non denunciati. Sulla significatività di questi indici soggettivi si stilano a livello internazionale graduatorie [4] che collocano i vari Paesi in posizioni molto differenti e dove l’Italia non fa certo bella figura [5].
Questo studio dà innanzi tutto conto delle impostazioni e dei risultati della vastissima letteratura scientifica che si è prodotta negli ultimi anni sul tema prescelto.
Ma decide di innovare sul piano metodologico, costruendo un data-base sui generis. Cerca infatti di ricostruire i contorni della questione su basi diverse e oggettive, ben distinte da quelle soggettive da sondaggio, sottoponendo a verifica 580 sentenze della Cassazione emesse in 10 anni e 104 richieste di autorizzazione a procedere contro parlamentari in 20 anni [6]. La scelta di queste particolari fonti deriva dal giudizio degli autori circa la loro maggiore affidabilità rispetto alle risposte date dal cittadino sottoposto a sondaggio, in quanto ritengono che la percezione personale dell’intervistato possa essere erronea o influenzata dal circolo vizioso innescato dal dibattito pubblico/media, mentre il contenuto degli atti giudiziari prescelti risulta rispondere a criteri probatori più stringenti ed indipendenti.
La serietà dello studio è data, però, ancor di più dalla piena consapevolezza dei limiti derivanti dall’aver operato una tale scelta di fonti: limiti fra cui spiccano la parzialità di contenuto delle sentenze (che trattano sinteticamente solo le posizioni dei ricorrenti, tralasciando il contesto della vicenda non oggetto del giudizio; ovvero si limitano a dichiarare la prescrizione dei reati che quindi non risultano affatto descritti) e la selettività dei procedimenti sottoposti a richieste di autorizzazione (solo quelli in cui sia ritenuto necessario procedere ad atti processuali coercitivi o invasivi).
Ne risulta in altri termini una ricerca molto accurata nel procedere, consapevole dei limiti e delle parzialità dei risultati raggiunti, fonte per ulteriori studi di settore. Perché un fenomeno grandemente occulto e complesso come la corruzione può essere ricostruito in termini attendibili solo confrontando e intersecando fra di loro i risultati di ricerche metodologicamente diverse.
Poiché il crinale temporale che si sceglie come significativo è il picco di indagini di Mani pulite su Tangentopoli del ’92, la ricerca riporta il risultato di precedenti analisi in merito al mutamento profondo del fenomeno dopo il ‘92 che va di pari passo con il mutamento del quadro politico italiano: il modello ante Tangentopoli, infatti, presupponeva l’esistenza di ben definiti centri di potere, dati dai partiti strutturati a livello nazionale; così, la corruzione prendeva la forma di una gestione sistemica e per lo più centralizzata delle tangenti, utilizzate per finalità sia di partito che individuali; col venir meno per via giudiziaria di partiti pesanti nazionali sostituiti da partiti sempre più personali e leggeri, con la diffusione sempre più ampia di centri di potere politici decentrati, pure la corruzione politica cambia forma, parcellizzandosi anch’essa, orientandosi di più verso il profitto individuale piuttosto che partitico, e vedendo l’ingresso sempre più massiccio di figure in grado di costituire la cerniera fra i nuovi politico corrotto e corruttore, cioè i faccendieri, soggetti che prescindono totalmente dall’appartenenza politica e si dislocano in ogni dove si eserciti il potere.
Il libro analizza come le modalità di realizzazione della corruzione politica si siano modificate di pari passo con lo scenario politico nazionale: il dissolvimento dopo il ’92 dei partiti pesanti ha avuto diretti riflessi normativi con la legge elettorale comunale (la legge 81 del 1993), in cui la scelta diretta del sindaco gli conferisce una legittimazione personale determinante. La ratio di fondo della riforma comunale era protesa alla scelta del miglior candidato (prossimo e dunque personalmente conosciuto dall’elettore) non più modificabile nella consiliatura. Ma in realtà la riforma ha contribuito, con il contemporaneo dissolvimento dei partiti pesanti di riferimento, alla nascita su base locale del partito del sindaco, partito personale e spesso carismatico. La stabilità dei governi cittadini che ne è derivata è stata talmente apprezzata da indurre ad inviti ad estendere la legge per l’elezione del sindaco a livello nazionale, con investitura diretta da parte del cittadino del Presidente del Consiglio dei ministri. A ciò non si è giunti (essendovi di ostacolo la Costituzione che mantiene saldamente nelle mani del Presidente della Repubblica la funzione di incarico di governo) ma il processo si era ormai innescato a livello di opinione pubblica, per due fondamentali motivi: avrebbe semplificato (personalizzandola) la scelta dell’elettore e gli avrebbe dato l’illusione [7] che il suo voto fosse l’espressione di una sovranità diretta e più pesante e non più mediata dagli accordi fra gli eletti, additati spregiativamente come inciuci.
Sicché, sulla scia di questo diffuso sentire [8], anche i partiti nazionali tendono sempre di più a identificarsi con una persona, un leader che si propone come capace di racchiudere in sé e rappresentare tutte le caratteristiche della propria formazione politica; ciò – con la caduta delle disponibilità finanziarie dei partiti – ha reso per certi versi obsoleta a tutti i livelli quella selezione della classe politica che esisteva prima del ‘92, e ha favorito in molti casi l’aggregazione intorno al leader di coloro che semplicemente condividevano la sua linea politica. Chi ne ha fatto le spese è la dialettica interna nei partiti che è invece il terreno fertile per lo studio delle questioni complesse che richiedono approfondimento, libertà di opinione, anche composizione accesa fra diverse posizioni.
Politica e corruzione è un’opera che si cala in questa realtà ed è opera vasta, divisa per capitoli tematici, ognuno dei quali tratta di aspetti peculiari del problema. Se ne può dare qui un elenco sintetico e incompleto, rinviando al lettore l’approfondimento.
Si registra, in concomitanza con il picco di Mani pulite, una drastica diminuzione dei reati a livello nazionale e una forte crescita di corruzioni a livello comunale e regionale.
Nella ripartizione territoriale, il Mezzogiorno detiene il primato della corruzione politica: il 56% secondo la Cassazione [9], il 45% secondo le richieste di autorizzazione. Il dato potrebbe essere addirittura sottostimato per maggiori difficoltà di emersione dovuta a caratteristiche omertose di aree soggette alla criminalità organizzata e per il fenomeno giudiziario dell’assorbimento del reato di corruzione in imputazioni di reati associativi. La maggiore presenza di corruzione al Sud potrebbe anche ricollegarsi alla penuria in questa fetta di territorio di risorse economiche diverse da quelle gestite dalla pubblica amministrazione.
Come si è già accennato, la corruzione, dopo Mani pulite, si disloca più a livello locale che nazionale. Lo studio parte dal dato di fatto che il decentramento ha comportato maggiori risorse finanziarie a livello locale e ipotizza una maggiore permeabilità ed esposizione degli enti politici nelle realtà in cui operano organizzazioni criminali dotate di un forte potere e controllo del territorio.
L’obiettivo dell’arricchimento corruttivo cambia dopo Mani pulite. L’arricchimento personale passa dal 35% al 60%, così come il ricorso al finanziamento illecito dei partiti va dal 42 al 7%.
Soprattutto lo studio descrive una sorta di ristrutturazione delle basi stesse della corruzione: si modificano le forme della corruzione e i suoi meccanismi di funzionamento.
Venuta meno la centralità dei partiti pesanti ante Mani pulite, oggi la politica non è più il fine delle tangenti e dunque non è più nemmeno più la promotrice della corruzione. Con un’inversione copernicana, sono gli interessi economici dei privati e le reti criminali a ricercare la corruzione con il politico.
Inoltre, anche le grandi imprese, interlocutrici del potere politico prima di Mani pulite, non ci sono più.
Sicché gli autori si chiedono se tutto ciò abbia lasciato sul terreno una corruzione (comunque florida) disorganizzata ovvero organizzata diversamente.
Dall’analisi delle fonti emerge la creazione di cartelli fra imprese e di intese collusive fra attori diversi, compresi membri di associazioni criminali e la ricerca del politico non più come esponente di un partito (di cui non si avverte più la funzione protettrice) ma come persona. Con scivolamenti a volte di proposte fatte al politico di entrare organicamente nelle organizzazioni criminali.
Lo studio conferma questi dati già emersi in precedenti lavori, notando come si sia registrata una progressiva diminuzione dei reati di concussione, laddove era il politico a imporre la propria volontà all’altro soggetto; e notando come sia ricorrente il comportamento del politico di entrare a far parte, direttamente o attraverso teste di legno, in affari e attività imprenditoriali gestiti dai corruttori.
In definitiva, l’abbandono del vecchio sistema di tangenti per finanziare i partiti attraverso tangenti pagate da grosse industrie pur di accaparrarsi appalti, non ha affatto lasciato inerte e disorganizzato il mondo della corruzione che si è adattato alle nuove condizioni, prima fra tutte la frammentazione del potere politico sul territorio.
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La conoscenza di un fenomeno criminale di elevata gravità come la corruzione dovrebbe riguardare ogni cittadino e, ancor di più, il magistrato preposto a fare indagini o a giudicare. Questo libro insegna che almeno in Italia l’idea di sconfiggere la corruzione attraverso pur doverosi processi non è realistica: la spinta alla collusione fra chi intenda investire il proprio denaro in un affare e chi decida dell’affare è più forte di qualunque azione giudiziaria, e ha come risultato quella di imporre una rivisitazione dei modelli delittuosi. La corruzione, come tanti altri temi in Italia, è materia culturale che parte dalla conoscenza e dalla sua divulgazione. Perciò questo libro, come gli altri che sono usciti sul tema, sono preziosi per la formazione delle nuove generazioni.
[1] Marco Betti assegnista in sociologia di Siena; Luciano Brancaccio, ricercatore in scienze sociali della Federico II di Napoli; Sandro Busso ricercatore in culture, politica e società di Torino; Graziana Corica dottore di ricerca di scienze politiche e sociali di Firenze; Vittorio Martone, dottore di ricerca di sociologia della Federico II di Napoli; Vittorio Mete, ricercatore in sociologia di Firenze; Attilio Scaglione, dottore di ricerca di sociologia, territorio e sviluppo rurale di Palermo; Antonio Vesco, dottore di ricerca di Siena e Sorbonne e ricercatore di Torino.
[2] Un patto criminoso tra il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio e il privato cittadino, in forza del quale il primo soggetto concorrente fa mercimonio della propria funzione pubblica o dei poteri ad essa connessa, mettendoli a disposizione del privato in cambio di danaro o altra utilità.
[3] Quelli che lasciano tracce visibili a tutti: solo per fare qualche esempio, gli omicidi, i falsi, le truffe, i reati fallimentari, i reati predatori e in generale tutti i reati in cui la vittima abbia interesse a denunciare.
[4] Più citato è la Corruption Perception di Transparency International.
[5] Nel 2016, su 176 Paesi considerati, l’Italia era al 60esimo posto e, nell’ambito dell’area europea, terzultima seguita da Grecia e Bulgaria.
[6] Non tralasciando altre fonti, prime fra tutte la stampa e i dati Istat. I reati selezionati sono in tutto 1602, di cui 1322 tratti dalle sentenze e 280 dalle richieste.
[7] Dimenticando che uno dei principi fondamentali costituzionali è che la sovranità è sì del popolo ma viene esercitata per lo più rappresentativamente, attraverso l’elezione di deputati e senatori che assumono i doveri di governo e i connessi doveri di confronto dialettico.
[8] Vds. il bel libro: Emilio Gentile, In democrazia il popolo è sempre sovrano (FALSO!), Laterza, 2016
[9] Nell’ordine le regioni più colpite sono Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio ma subito dopo la Campania compare una regione del Nord, la Lombardia.