In Guatemala ci sono giudici che fanno terrorismo giudiziario
Jimmy Morales, Presidente guatemalteco
Erika Aifán Dávila, alla fine del 1999, dopo aver vinto una borsa di studio, inizia il suo percorso di preparazione per entrare nella magistratura del Guatemala. Una media superiore a 96 punti su 100 la colloca al primo posto della graduatoria del concorso. Tuttavia non viene nominata, così come non vengono nominate le altre due donne, collocatesi rispettivamente al secondo e al quinto posto. Erika ricorre alla Corte Costituzionale, che le rende giustizia ordinando alla Corte Suprema di disporne l’assunzione in servizio entro cinque giorni. L’ordine viene eseguito, ma Erika viene assegnata a una sede, al confine con il Messico, considerata come la più indesiderabile del paese.
Di lì a tre anni, viene trasferita al Tribunale penale del dipartimento di Jutiapa, un ufficio giudiziario in odore di corruzione. Lì si trova a dover procedere nei confronti di giudici, pubblici ministeri e ausiliari di giustizia implicati in attività criminose di quel tipo e si occupa, tra l’altro, dell’istruttoria relativa all’imputato Manuel Castillo, deputato, candidato alla carica di sindaco e coinvolto nell’oscuro caso Parlacén, collegato all’omicidio di tre deputati salvadoregni e di una quarta persona.
Erika Aifán Dávila prende posizione a favore del ritiro dell’immunità all’imputato e subito diventa oggetto di minacce e di pedinamenti, tanto che il Procuratore per i diritti umani fa istanza all’omologa Commissione interamericana perché adotti opportune misure di protezione. Erika diventa bersaglio di continue denunce, oltre cinquanta, tra le quali quella proveniente dalla presidente dell’Instituto de la Defensa Pública Penal, e altre provenienti da ambienti del crimine organizzato.
Tutte queste oscure iniziative rimangono senza seguito, finché nel 2015 la Corte Suprema, senza giustificazione alcuna, dispone il trasferimento di Erika Aifán al Tribunale penale del dipartimento di Santa Rosa e tenta persino di toglierle la protezione. La cosa non avviene, grazie all’intervento dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Le minacce contro la giudice però continuano.
La sera del 5 luglio 2015 la giudice riceve una telefonata da parte del presidente della Corte Suprema di Giustizia, che le propone il trasferimento all’Ufficio istruzione per i procedimenti ad alto rischio, per affiancare il giudice Miguel Gálvez al quale sono assegnati processi di grande delicatezza. Lei accetta la proposta e prende in carico processi tra i più complessi e pericolosi del paese. Il rafforzamento della protezione consiste però nell’assegnarle un’auto blindata soggetta a continue avarie. Inoltre, nel giro di due mesi, tutto l’organico dell’ufficio si riduce a lei e alla segretaria e l’iter del completamento dell’organico durerà tre anni.
Un giorno la giudice sorprende un membro del personale, un ufficiale giudiziario, mentre sta trasmettendo per whatsapp agli avvocati copie delle decisioni emesse, prima della loro formale notificazione, e lo denuncia. Sulle prime la denuncia viene archiviata, ma l’archiviazione viene revocata a seguito di impugnazione davanti alla Direzione per la gestione dell’amministrazione giudiziaria, ragion per cui il procedimento segue il suo corso. La Direzione per la sicurezza del personale giudiziario, dopo un’analisi dei rischi, conclude che l’ufficiale giudiziario ha messo a repentaglio la sicurezza informatica dell’Ufficio e chiede alla Corte Suprema che ne disponga il trasferimento. Tuttavia il funzionario infedele, di cui risultano altre violazioni dei doveri d’ufficio, continua a far parte dell’organismo giudiziario presieduto da Erika Aifán.
Erika Aifán viene anche spiata da uno degli agenti della sua scorta. Costui, una volta scoperto, dice di averlo fatto su incarico del dirigente del Servizio per la sicurezza dell’Organismo Giudiziario, Roberto Mota Bonilla, il quale, in cambio, lo avrebbe favorito con il trasferimento a una sede di lavoro vicina al suo luogo di residenza.
L’associazione guatemalteca Jueces por la Dignidad si vede obbligata a chiedere che Mota Bonilla venga rimosso dalla sua carica, dato il modo a dir poco arbitrario di gestire la sicurezza dei giudici che operano in situazioni di alto rischio, con grave inosservanza delle misure di protezione disposte in materia dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani e dalla relativa Procura. Un mese dopo l’istanza di rimozione, l’associazione Jueces por la Dignidad ottiene di avere un colloquio con il presidente della Corte Suprema, sennonché, cosa alquanto curiosa, il giorno seguente il Potere giudiziario, nella sua pubblicazione ufficiale, inizia una campagna di stampa in favore di Mota Bonilla, con l’intervento di alcuni giudici e pubblici ministeri, nonché del presidente del Collegio degli Avvocati del Guatemala[1].
Erika Aifán autorizza poi una perquisizione domiciliare nei confronti del magistrato della Corte d’appello Eddy Orellana, indiziato di aver ricevuto in proprietà un appartamento come provento di un episodio di corruzione, verificatosi quando questi era membro della Commisione per il vaglio delle candidatura alla Corte Suprema che aveva eletto i componenti di questa nel 2014. Orellana reagisce promuovendo un’indagine preliminare contro di lei, alla quale la Corte Suprema dà seguito senza darne avviso all’interessata. Quest’ultima ne viene a conoscenza grazie alla diffusione della notizia da parte di una magistrata di quel tribunale, Silvia Patricia Valdez.
Erika Aifán – come del resto i titolari di altri uffici giudiziari ad alto rischio – è stata regolarmente oggetto di proteste, querele, pretese minacciose di impunità, accuse pubbliche e denunce. Persino da parte di un avvocato, Rodrigo de la Peña, estraneo a tutti i procedimenti penali istruiti da lei, cosa che porta a ritenere che questo professionista sia stato ingaggiato per dedicarsi sistematicamente a promuovere azioni ufficiali contro di lei. Questo modus operandi dell’avvocato è cessato solo quando alcuni organi di stampa se ne sono accorti e gli hanno chiesto spiegazioni, che egli non ha saputo dare. Va detto che tutte queste denunce, senza dubbio promosse in ambienti vicini a imputati eccellenti e ai rispettivi difensori, sono state sostanzialmente ignorate, salvo giusto un paio, per le quali c’è il fascicolo ancora aperto.
È poi successo che l’ufficio giudiziario di Erika Aifán e alcuni altri fra quelli ad alto rischio sono stati oggetto di ispezioni a sorpresa da parte del Servizio di vigilanza sui tribunali, e su iniziativa del Consiglio della Carriera Giudiziaria, nel corso delle celebrazioni di udienze nel quadro di processi penali di grande rilievo.
Recentemente, una magistrata della Procura Speciale contro l’impunità ha denunciato Erika Aifán per un presunto abuso di autorità, perché era stata convocata da Erika nel suo ufficio al fine di farle notare che, in un procedimento da lei gestito, c’erano diciotto persone private della libertà, ma solo a una di esse era stata contestata l’imputazione. La magistrata della Procura Speciale ha dato pubblicità alla denuncia attraverso i mezzi di comunicazione, cosa che ha suscitato non solo un attacco mediatico, ma anche una catena arbitraria di ricusazioni in tutti i processi gestiti dalla giudice Aifán… Tutto ciò in coincidenza con il momento in cui la Commissione per il vaglio delle candidatura alla Corte Suprema cominciava la sua attività e quando si sapeva che Erika Aifán era interessata a partecipare al concorso.
Ma c’è di più. Erika Aifán è stata denunciata davanti al Tribunale d’onore del Collegio degli Avvocati e Notai del Guatemala, una sorta di tribunale che le ha inflitto delle multe, una pubblica ammonizione, nonché la sospensione dall’esercizio delle funzioni di avvocato e notaio per la durata di sei mesi. Questo avrebbe portato con sé la sospensione dall’esercizio dell’incarico giudiziario, perché nel paese, per esercitare tale incarico, è necessario essere iscritti all’ordine professionale a tutti gli effetti.
Queste assurde deliberazioni sono state impugnate davanti all’Assemblea dei Presidenti dei Collegi Professionali del Guatemala, la quale ha accolto i ricorsi dichiarando il difetto di competenza di quel peculiare organismo, che aveva ritenuto di procedere in quel modo contro la titolare di un organo giurisdizionale. Va detto che già nel corso di quella procedura il Procuratore per i Diritti Umani aveva avvertito il pittoresco tribunale della sua assoluta mancanza di competenza, ma senza alcun risultato. E ciò nonostante esistesse anche una pronuncia della Corte Costituzionale, in quello stesso senso, nel caso della giudice Yasmín Barrios[2]. Com’è ovvio, quelle deliberazioni indecenti ebbero il loro prevedibile risalto mediatico.
Come si è detto, Erika Aifán ha tentato di candidarsi per un posto di giudice della Corte Suprema. Per candidarsi doveva presentare una dichiarazione giurata da cui risultasse che essa non esercitava alcuna rappresentanza legale né copriva alcun incarico dirigenziale di associazioni sindacali, ovviamente incompatibili con quella condizione professionale. Ebbene, la sua domanda è stata considerata non valida a causa dell’omissione (per mero errore materiale) della parola «sindacali». Tutto ciò mentre un altro candidato, pure lui un giudice, aveva dimenticato in circostanze simili di far constare che non era ministro del culto (condizione altrettanto incompatibile), ma, nel suo caso, senza alcuna conseguenza.
Erika Aifán, per il suo impegno per la giustizia e per la sua indipendenza, è stata sempre oggetto di attacchi dall’esterno e, purtroppo, anche dall’interno del Potere Giudiziario. Ciò si può spiegare solo alla luce della fermezza dei suoi princìpi e per il suo alto senso dell’indipendenza, avendo lei proceduto e portato a termine in modo impeccabile procedimenti penali emblematici nei confronti di personaggi potenti che mai avrebbero pensato di poter arrivare a trovarsi sul banco degli imputati. Possiamo quindi senz’altro concludere che tutto ciò che, incredibilmente, lei subisce è espressione di un sistema corrotto, che reagisce contro giudici, come lei, indipendenti e lo fa perseguendo e trovando riparo nell’impunità.
In questo la Corte Suprema, sulla quale grava il compito di dare assistenza ai giudici nello svolgimento delle attività affidate loro dalla legge, non solo se ne è sottratta e se ne sottrae, ma – estremamente politicizzata quale è – si è prestata a una strumentalizzazione inqualificabile proprio per cercare di ostacolare quelle attività. E altrettanto può dirsi del Consiglio della Carriera Giudiziaria, che non è stato e non è assolutamente all’altezza del suo ruolo istituzionale.
Il 7 gennaio di quest’anno il presidente del Guatemala, Jimmy Morales, ha fatto una conferenza stampa trasmessa attraverso la televisione pubblica. Si è presentato alle telecamere circondato da militari e accompagnato dalla ministra degli Esteri, che indossava essa stessa un vestito simile a un’uniforme militare. In tale contesto, Jimmy Morales ha detto che la Commissione Internazionale contro l’Impunità nel Guatemala (Cicig)[3] ha messo in pericolo la sovranità dello Stato ed è incorsa in gravi violazioni di leggi nazionali e internazionali. Nella stessa occasione ha annunciato la cessazione delle relative attività, disposta unilateralmente da lui e dal suo governo. Infine ha qualificato di «terrorismo giudiziario» le deliberazioni dei giudici che hanno istruito procedimenti in cui la Cicig è intervenuta come querelante adesiva, minacciando di promuovere azioni contro quei giudici.
[1] Ciò nonostante, si è aperta un’indagine sull’atteggiamento professionale di Mota Bonilla, che si è conclusa con un provvedimento che ha dimostrato il suo pessimo comportamento nell’esercizio delle sue funzioni. Immediatamente dopo la pubblicazione di quel provvedimento, l’uomo è stato arrestato per un’accusa di violenza di genere. Mota Bonilla è stato così costretto a rinunciare alla carica.
[2] Giudice guatemalteca esemplare per la sua professionalità e il suo coraggio. Di lei la giornalista Jennifer Ávila ha scritto: «si muove sotto scorta, in un’auto blindata, e indossa il giubbotto antiproiettile quando glielo dicono».
[3] La Cicig è stata un organismo internazionale indipendente creato nel 2007 a seguito di un accordo tra l’Onu e lo Stato del Guatemala, come risposta alla richiesta di assistenza formulata dal governo del paese. Essa ha avuto come obiettivo quello di appoggiare e sostenere le istituzioni dello Stato guatemalteco incaricate di investigare e perseguire i delitti commessi da corpi illegali e da servizi di sicurezza clandestini che, infiltrandosi nelle istituzioni statali, hanno commesso delitti impunemente, tentando di mettere nel nulla le conquiste democratiche raggiunte negli anni Novanta del secolo scorso, alla fine della guerra civile degli anni precedenti.
[*] Traduzione italiana di Giuliano Turone