«Ma come parla? Le parole sono importanti!»
Nanni Moretti, Palombella Rossa, (1989)
«In principio Dio creò il cielo e la terra. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte (…)[1]».
Dio ha dato un nome alla luce (Giorno) ed alle tenebre (Notte), Dio ha chiamato il firmamento cielo, l'asciutto terra e la massa delle acque mare. A termine della creazione dell’uomo, e di ogni sorta di bestie selvatiche e di tutti gli uccelli del cielo, Dio dà il potere all’uomo di dare il nome («per vedere come li avrebbe chiamati...»), cosicché «in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche[2]». Poi, non trovando l'uomo un aiuto che gli fosse simile, «[i]l Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta”[3]». Curioso che le prime parole di Dio e dell’uomo, nel “silenzio” della creazione, siano in fondo “definizioni”; il nome se ci si pensa bene fa “esistere” ciò a cui viene assegnato.
Quasi fosse un nuovo Adamo di un mondo diverso, l’uomo della pandemia ha dovuto trovare nomi: al virus, alla proteina che come un grimaldello apre le nostre cellule, ai diversi vaccini, giusto per citarne qualcuno. Nuovi vocaboli, fino al 2020 vivi solo in contesti scientifici, ora vivono anche nella lingua “volgare”. Ma come termini scientifici devono essere precisi e specifici: un angolo è “quella parte di piano compresa tra due semirette (lati) uscenti da uno stesso punto (vertice) e l’angolo quindi NON è uno spigolo (che è invece parte di un solido, come ben conoscono quelli che vi sbattono un dito del piede). Una lingua condivisa, che ha pochi sinonimi o termini intercambiabili.
Diventa quindi “normale” che quando si parla di farmaci, il legislatore abbia inserito le definizioni. Il dlgs. 219/2006, Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, all’art. 1, titolo I definisce il prodotto medicinale o medicinale, di seguito indicato con il termine "medicinale" come segue:
«1) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;
2) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica».
Serve al nostro caso, soffermarsi sulla definizione poi di medicinale immunologico: «ogni medicinale costituito da vaccini, tossine, sieri o allergeni. I vaccini, tossine o sieri comprendono in particolare: gli agenti impiegati allo scopo di indurre una immunità attiva (vaccini e tossine) o un'immunità passiva (Sieri) e gli agenti impiegati allo scopo di diagnosticare lo stato d'immunità».
Il vaccino è quindi uno degli «agenti impiegati allo scopo di indurre una immunità attiva». Ancora, se apriamo un vocabolario si trova, alla definizione di vaccino: «Preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria). In origine, il termine designava il vaiolo dei bovini (o vaiolo vaccino) e il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino (pus vaccinico), impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano[4]»
Quindi, la parola “vaccino” indica la chiara provenienza di questo tipo di nome che da aggettivo (latte “vaccino”) ha assunto la dignità di nome. Edward Jenner è il padre di tutti i vaccini, e a partire da fine Settecento ha cambiato la storia della medicina, come del resto ha cambiato la storia della medicina, ai giorni nostri, lo sviluppo e l’applicazione delle biotecnologie per la produzione del vaccino anti-COVID. Almeno dal 1859[5], già prima dell’Unità d’Italia, la vaccinazione è stata oggetto di normative specifiche, e non sorprende quindi che la legge italiana Sull'ordinamento dell'amministrazione e dell'assistenza sanitaria del Regno (l. 22 dicembre 1888 , n. 5849 ) descrivesse già la sorveglianza sulle epidemie, e sulla produzione dei vaccini: «Nessuno può aprire un istituto per la preparazione o vendita del virus, vaccinico o per preparazione e inoculazione del virus per la preservazione e cura della rabbia o di altra malattia infettiva, se non ne ha ottenuto il consenso dal ministro dell'interno» (art. 53). Una legge di poco successiva interveniva specificamente Sulla fabbricazione e vendita di vaccini, virus, sieri curativi e prodotti affini e conteneva il Regolamento sulla fabbricazione e vendita di vaccini, virus, sieri curativi e prodotti affini (l. 21 dicembre 1899, n. 472). Letture affascinanti per i tecnici che apprezzano come il legislatore ha regolato la gestione delle epidemie e tutelato la salute pubblica. Una curiosità: la vaccinazione contro il vaiolo e contro la rabbia erano obbligatorie (art. 51, l. 5849(1888).
Riassumendo, un vaccino attiva il meccanismo di difesa immunitaria prima che il virus entri in contatto con il sistema immunitario.
Il siero è invece definito nello stesso dlgs. 219/2006, «uno degli gli agenti impiegati allo scopo di indurre (..) un'immunità passiva».
Nel dizionario: «S. immune (o immunsiero, o assol. siero), siero di sangue di uomo o di animali contenente anticorpi; i sieri immuni attualmente utilizzati nella sieroprofilassi e nella sieroterapia sono preparati pressoché esclusivamente nel cavallo mediante inoculazione di dosi crescenti di tossine o di batterî (s. antitetanico, s. antidifterico, s. antivipera)[6]».
Il siero quindi fornisce difese già sviluppate in altri organismi viventi e si somministra per prevenire la malattia (ad esempio subito dopo che potenzialmente si è entrati in contatto con il patogeno) che per curarla. Dopo un periodo di tempo, generalmente breve, gli anticorpi vengono eliminati dall’organismo e la persona non è più difesa in quanto difesa “passiva”. Il siero “iperimmune” viene donato dei pazienti guariti per curare ammalati.
Il vaccino, dunque, non può essere chiamato siero, né viceversa.
E che dire del “virus”, inizio di questo nuovo mondo?
La parola latina indicava qualcosa che poteva essere visto o sentito, un «umore viscoso, veleno, fetore, sapore amaro, salso, aspro, ingrato anche piccante[7]». Nessuno oggi chiama “veleno” il virus che è un «parassita endocellulare obbligato»; mentre di vittime famose di veleno è piena la storia.
Mitridate Re del Ponto è arcinoto agli studenti del Ginnasio che hanno avuto da cimentarsi con la traduzione della omonima versione. Chissà se Mozart, che ci ha scritto un’opera, si era cimentato anche lui…
La versione finiva più o meno così:
«Mitridate poi prese del veleno che portava sempre con lui, accanto alla spada, e lo mescé. Quindi due delle sue figlie, ancora fanciulle (..), gli chiesero di lasciar prender loro il veleno per prime, ed insistettero fortemente e gli vietarono di berlo finché non ne avessero preso e ingoiato un po'. L'intruglio ebbe effetto su di loro immediatamente; ma su Mitridate non ne sortì alcuno, benché egli camminasse rapidamente tutt'attorno per accelerare la sua azione venefica».
Perché, se ha funzionato sulle figlie non funziona su di lui? «Questo accadeva perché il re aveva assuefatto se stesso ad altri veleni coll'assumerne sempre, al fine di proteggersi da eventuali attentatori».
Lui non muore per il veleno, e di lì in poi nascerà un altro nome, la “mitridatizzazione”.
Cleopatra (nel 30 a.c.), a detta di Plutarco «raccoglieva ogni sorta di veleni mortali, tra i più forti che ci fossero, e di ciascuno di essi provava se erano efficaci e nello stesso tempo indolori, propinandoli ai detenuti in attesa di morire». Cleopatra in qualche modo, studia l’efficacia e la “sicurezza” (devono essere “indolori”); dovranno passare quasi due millenni prima della Dichiarazione di Helsinki (1964)[8] nella quale si enunciano i principi etici della ricerca clinica a difesa delle persone coinvolte in uno studio clinico.
Comunque, dopo il suicidio di Antonio, Cleopatra si fa mordere da un serpente e, a differenza di Mitridate, muore. Anche Cleopatra muore, ma non perché non era vaccinata.
Giulietta, invece, beve del potente sonnifero per inscenare la sua morte, ma a causa di una epidemia di peste (anche allora tutti in lockdown!) Romeo non può essere avvisato dello stratagemma, Romeo per il dolore beve del veleno e muore. Come sopra, muore per il veleno, non perché non era vaccinato.
Lucrezia Borgia, un’altra donna esperta di veleni. Victor Hugo[9] ci racconta di un tradimento scoperto e della vendetta del marito di Lucrezia, che vuole uccidere il di lei amante. Lucrezia chiede la grazia per il giovane, ed il marito rinfacciandole i tradimenti e manifestandole la sua volontà di vendicarsi, costringe Lucrezia a versare una coppa di vino avvelenato al suo amante; ma la donna, appena uscito il marito, fa bere un antidoto all’amante, che si salva e scappa. Si salva, alla fine: grazie ad un antidoto, non grazie ad un vaccino.
L’antìdoto «s. [dal lat. tardo antidŏtum, gr. ἀντίδοτον (sottint. ϕάρμακον), propr. «dato contro»] è Medicamento che neutralizza l’azione di un veleno nell’organismo, sia agendo direttamente sul veleno stesso (a. chimici e fisico-chimici, quali il latte, l’acqua albuminosa, ecc.) sia determinando una reazione fisiologica opposta a quella provocata dal veleno (a. farmacodinamici, detti anche antagonisti)[10]». Un esempio moderno è il Naloxone per l’overdose da oppiacei.
L’antidoto prevede quindi la presenza in circolo di qualcosa di tossico senza il quale l’antidoto non serve. Romeo si sarebbe salvato con un antidoto; Cleopatra invece avrebbe avuto bisogno di qualcosa scoperto millenni più tardi. Di un siero.
Fin qui tutto chiaro? Forse. Non è mica finita.
Allora, virus in latino significa veleno, ma in greco veleno si dice “pharmakon”. Però “pharmakon” significa veleno, ma anche medicina… il virus non è un veleno ed il farmaco che è una medicina ma può diventare un veleno che però ha l’antidoto…
In pieno Rinascimento, Paracelso (1493-1541) spiega questo concetto come segue: «Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit». Il nostro Mitridate lo aveva capito: aveva usato piccole dosi per assuefarsi al veleno.
Che un farmaco possa essere tossico se utilizzato male, per patologie non corrette o in dosi non corrette è quindi assodato. Per questo in ogni confezione di farmaco è presente un foglio (le cui pieghe – com’è noto - sono evidentemente studiate affinché esso non sia mai ripiegato nella maniera corretta e rientrare nella confezione).
Questo foglio, che contiene le informazioni per il paziente, è “foglio illustrativo”. La presenza del foglio illustrativo in ogni confezione è un obbligo di legge. Un articolo intero del decreto legislativo (art. 77, dlgs. 219/2006) ne definisce il contenuto ed è un documento fondamentale per garantire la sicurezza dell’utilizzatore. Non lo chiamiamo più bugiardino, per favore. Vogliamo un esempio di un “vero” bugiardino?
Nemorino, personaggio dell’Elisir d’amore di Donizetti, dopo aver comprato l’elisir a caro prezzo, domanda al ciarlatano Dulcamara come si utilizzi: «Ehi! Dottore, un momentino...In qual modo usar si puote?» E Dulcamara risponde - ovviamente cantando - :
«Con riguardo, pian, pianino la bottiglia un po' si scote...
Poi si stura... ma, si bada
che il vapor non se ne vada.
Quindi al labbro lo avvicini,
e lo bevi a centellini,
e l'effetto sorprendente
non ne tardi a conseguir».
Nemorino: «Sul momento?»
Dulcamara: «A dire il vero, necessario è un giorno intero. (Tanto tempo è sufficiente per cavarmela e fuggir)»[11].
Il foglio illustrativo dei nostri giorni quindi non è un bugiardo. Il contenuto deriva anche dalla valutazione degli studi clinici precedenti alla commercializzazione (ad esempio, la dose deriva da studi di sviluppo chiamati “dose finding studies”) e le informazioni contenute vengono costantemente aggiornate sulla base delle evidenze scientifiche, sulle informazioni derivanti dalla sorveglianza sugli effetti collaterali...
«Il Signore disse “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare"[12]».
Chiamiamo allora le “cose scientifiche” con i termini scientifici appropriati. Il linguaggio tecnico è una lingua sola ed è quello che permette la diffusione ed il progredire della scienza. Le parole sono importanti.
[4] https://www.treccani.it/vocabolario/vaccino2/
[5] Legge 14 giugno 1859, n. 3448, sopra il servizio delle vaccinazioni.
[6] https://www.treccani.it/vocabolario/antidoto/
[7] Calonghi, Dizionario latino italiano, 3a edizione, 12ma tiratura, 1975.
[8] AMM/WMA, Associazione Medica Mondiale, https://www.wma.net/what-we-do/medical-ethics/declaration-of-helsinki/
[9] Lucrèce Borgia, Victor Hugo, 1833.
[10] https://www.treccani.it/vocabolario/antidoto/
[11] Gaetano Donizetti, L'Elisir d'amore. Melodramma giocoso in due atti, libretto di Felice Romani. Prima rappresentazione: 12 Maggio 1832.
Doverosi ringraziamenti a Sara Cocchi, compagna di discussioni futili, ma a volte serissime, sbocciate, fiorite e rifiorite in questi tempi di pandemia.