L’Arbitro bancario finanziario
La peculiare identità di uno strumento rivelatosi efficace, connotato da legittimazione disuguale perché riservata al cliente ed aperto a sollecitazioni della Pubblica amministrazione perché destinatario delle segnalazioni prefettizie. Un soggetto che fornisce una tutela aggiuntiva, operando con celerità e nella oralità del contraddittorio. Ma uno strumento ancora ingiustificatamente escluso dall’ambito assicurativo ad eccezione di quello relativo agli strumenti assicurativi collegati ai finanziamenti.
1. Principali differenze rispetto ad altri sistemi di Adr
Nella disamina dei tratti salienti relativi a morfologia e struttura dell’arbitro bancario finanziario (nel seguito anche Abf) si impone una preliminare avvertenza sistematico – metodologica: viviamo una stagione importante per la crescita (soprattutto culturale) e la diffusione di sistemi di composizione delle controversie alternativi alla giurisdizione, uguale e contraria al risalente, tradizionale monopolio del giudicare. È, a questo riguardo, appena il caso di ricordare che prima del cd. “decreto Alfano” (d.lgs n. 28/2010 e successive modificazioni post Corte cost. n. 272/2012), la via italiana a rimedi diversi dal ricorso a organismi giudicanti istituzionalmente istituiti risultava davvero povera, anche in ragione della lettura restrittiva dell’art. 102, co. 2, Cost. Sicché, in definitiva, le cd. Adr pubbliche si riducevano agli interventi conciliativi presso le Camere di commercio ex art. 2, co. 4, l. 580/1993 (le quali potevano «promuovere commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e consumatori»), a quelli davanti agli Uffici del lavoro e a quelli che (ex l. 192/1998) in materia di subfornitura rendono obbligatorio il ricorso pregiudiziale agli organismi delle Camere di commercio. Si sono poi aggiunte le disposizioni “speciali” sulle controversie in materia societaria previste dal d.lgs n. 5/2003 (ora abrogate). Ulteriori particolari regole riguardavano discipline settoriali (es. in materia di telecomunicazione con il previo ricorso obbligatorio all’organismo conciliativo ivi contemplato nelle controversie con il gestore).
Molto cambia con il ricordato d.lgs n. 28/2010. In sintesi estrema, l’art. 5, co. 1 bis, configura quale condizione di procedibilità il previo esperimento (per una serie di materie che contemplano condominio, diritti reali, divisione, successioni, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto d’azienda, responsabilità medica e diffamazione, contratti assicurativi, bancari e finanziari) del procedimento di mediazione teso alla conciliazione presso organismi ad hoc istituiti da enti pubblici o soggetti privati e iscritti in un apposito registro. All’atto della presentazione della domanda, il responsabile dell’organismo nomina un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre 15 giorni dal deposito. Il procedimento si svolge senza formalità. Al termine, se si è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore redige un processo verbale che costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione in forma specifica e l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Se l’accordo non riesce, il mediatore formula una proposta e il verbale, sottoscritto dalle parti, assume rilievo nel futuro giudizio in ordine alle spese che non verranno poste in capo al soccombente se la sentenza è analoga alla proposta rifiutata dalla parte vittoriosa. L’improcedibilità del giudizio in assenza di tale presupposto deve essere sollevata dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. In questo caso viene assegnato alle parti il termine di 15 giorni per presentare la domanda di mediazione.
Al decreto si affiancano sistemi privatistici istituiti su base permanente (es., le cd. negoziazioni paritetiche) e le negoziazioni assistite obbligatorie, contemplate dal dl n. 132/2014, convertito dalla l. 162/2014 che prevede per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e per quelle relative a pagamenti non superiori a 50 mila euro l’instaurazione di un apposito procedimento di mediazione condotto dai legali delle due parti che rappresenta, del pari, condizione di procedibilità per l’eventuale successiva azione giudiziaria, nonché le convenzioni per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio etc. Ma, soprattutto, si affianca la più recente disciplina sui metodi alternativi di composizione delle controversie in materia di consumo portata dal d.lgs n. 130/2015 di attuazione della direttiva 11/2013 (che ha, in parte qua, modificato il codice del consumo attraverso l’introduzione di un Titolo II - bis, artt. 141 ss.). Ulteriori importanti innovazioni deriveranno dagli esiti dei lavori della cd. «Commissione Alpa» sulla degiurisdizionalizzazione che ha ora rassegnato al Ministro della giustizia le proprie proposte. L’Abf fa parte degli organismi di Adr in materia bancaria, è iscritto nel relativo elenco di cui all’art. 141 – nonies del codice del consumo ed è assoggettato alla sorveglianza della Banca d’Italia[1].
Tale rinnovato assetto ordinamentale sembra produrre, unitamente ad altre iniziative sul piano processuale, miglioramenti nella riduzione dei tempi della giustizia civile registrati anche dalla stampa quotidiana[2]. Come opportunamente la relazione di sintesi della richiamata Commissione Alpa rileva, «le Adr sono intese in una duplice funzione: come tecnica per migliorare e agevolare l’accesso alla giustizia» (allargamento dei diritti) «e come tecnica per filtrare i procedimenti rivolti al giudice ordinario, quale tentativo di risolvere i conflitti prima che essi si incardinino nel sistema giudiziario».
Precisato questo, dubito tuttavia che l’arbitro bancario finanziario possa essere equiparato ad altri organismi di Adr previsti nel decreto per un insieme di argomenti. Il primo è di ordine cronologico: l’Abf è stato istituito (insieme alla Camera di conciliazione della Consob (poi sostituita dall’omologo Acf ex d.lgs 130/2015, cit.) dalla legge sulla tutela del risparmio del 2005 (in risposta agli scandali finanziari di quel torno d’anni), ben prima perciò del graduale sviluppo della menzionata “cultura della mediazione”. È appena il caso di ricordare che la legge del 2005 ha profondamente inciso anche sul versante della supervisione assicurativa ma è purtroppo (e inspiegabilmente) monca al riguardo.
Il secondo è di ordine oggettivo, riguarda i beni tutelati dal sistema di risoluzione stragiudiziale, non venendo in questo caso in gioco beni reali ma beni virtuali. Il bene di consumo può essere anche sensorialmente apprezzato. I trasferimenti di «ricchezza futura contro ricchezza presente e di ricchezza presente contro ricchezza futura[3]» no. La fiducia nei cd. credence goods è un bene immateriale rappresentativo della qualità del prodotto. Presuppone il possesso, da parte del fiduciario (tanto nella veste di emittente quanto in quella di collocatore), di elevati standards reputazionali faticosamente conquistati nel periodo medio–lungo in misura inversa alla facilità della loro immediata dispersione. Concorrono, a tal fine, molteplici fattori non sempre e non soltanto patrimonialmente rilevanti. Se, in particolare, l’oggetto del contratto tra cliente e intermediario è sempre meno un bene predeterminato nel suo ammontare (il denaro), consistendo invece nella promessa di un bene futuro (incerto nell’ammontare, nella consistenza, talora nella sua stessa individuazione), diviene decisivo, ai fini dell’adozione di scelte razionali, il possesso di un elevato grado d’informazione e conoscenze, peraltro strutturalmente estraneo alla maggioranza di questi utenti sia per assenza di professionalità specifica che per costi transattivi proibitivi. Il consumatore di questi prodotti non legge mai un bilancio dell’emittente e comunque ha difficoltà a capirlo. Raramente legge un prospetto informativo, una nota informativa, un foglio analitico. La “razionale ignoranza” rispetto a siffatte linee di politica del diritto si giustifica in ragione dell’impraticabile costo transattivo non dell’acquisizione dell’informazione ma della sua fruibilità (cd. information overloading) ai fini della realizzazione di una volontà consapevole (e quindi della scelta). Diverse sono dunque le tecniche di tutela (le regole di condotta, non a caso ora estese anche a un significativo segmento del mercato creditizio dall’art 124 del Tub, divengono nel mercato, in senso lato finanziario, essenziali) e diversa “l’arte del giudicare”.
Il terzo risiede nei diversi scopi (tutela della “fiducia” nel sistema, che connota anche sul piano degli obiettivi della vigilanza la valenza di interesse generale sottesa a questi organismi a fronte della mera composizione della lite) e nella funzione conformativa delle condotte degli intermediari sottesa agli indirizzi Abf (rilevanti anche nelle verifiche ispettive cd. “di trasparenza”). Non è, sotto l’indicato versante, casuale che la legge sulla tutela del risparmio rappresenti l’epifania più vicina alla stessa devoluzione all’autorità settoriale del nuovo compito di tutela (in senso lato) dell’utente ex art. 127 Tub, compito che permane in capo alle autorità nazionali anche dopo la riforma della vigilanza unica europea[4].
Ricorre, infine, un ultimo argomento di tipo testuale. Non sono chiarissime le interferenze e i nessi tra la disciplina Adr portata dal decreto 130/2015 e il d.lgs n. 28/2010. Mi sembra tuttavia di poter affermare con sufficiente ragionevolezza che mentre è dubbio che il ricorso agli organismi di Adr sia idoneo a realizzare la condizione di procedibilità della domanda giudiziale prescritta dall’art. 5 del “decreto Alfano”, risulti invece incontrovertibile che l’attivazione del procedimento innanzi all’Abf prefiguri espressamente il presupposto processuale voluto da quel legislatore. Tanto che lo stesso decreto 130 si affretta a precisare, quanto all’omologo, nuovo organismo istituito presso la Consob, che il ricorso a questi assolva (del pari) alla medesima condizione di procedibilità per i contratti (in senso lato) finanziari. Al punto che il rinvio non investe la sola norma primaria istitutiva di Abf e Acf ma le stesse regole del procedimento attuative di quella (e dunque la disciplina regolamentare) che pertanto a questi fini assurgono al rango di norme primarie. Questa differenza mi sembra significativa per un doppio ordine di ragioni. Sul piano generale infatti i sistemi riconducibili alla sintesi verbale Adr sono (o possono essere) tra loro estremamente diversi, essendo tale formula generica e inadeguata a consentire un’esatta qualificazione di ognuno di essi. Come è stato acutamente osservato da autorevole dottrina processualistica[5], nell’ambito dei sistemi preordinati alla definizione di una controversia è sempre possibile operare una distinzione tra «strumenti che hanno per obiettivo la mera soluzione del conflitto» e strumenti che, viceversa, mirano a «tutelare un diritto». Mentre per i primi quel che conta è principalmente il risultato, per i secondi non sono mai indifferenti né il metodo né il risultato. Non il metodo «perché in questi casi quel che si vuole è che il conflitto venga composto attraverso un procedimento regolato e controllabile ... gestito da un soggetto imparziale e professionalmente competente»; non il risultato perché «in questi casi non si accetta qualsiasi forma di composizione del conflitto» ma si persegue una soluzione «che statuisca sui torti e le ragioni dei contendenti, ottenuta tramite l’applicazione di regole appropriate al caso oggetto di scrutinio, e dunque previa loro corretta selezione»[6]. Per altro verso, non può non rilevarsi la strutturale diversità dei procedimenti Abf e Acf rispetto alle ordinarie condizioni di procedibilità di tipo conciliativo, venendo qui, per un verso, in gioco un apparato procedimentale funzionalmente volto al diverso risultato del decidere, certo non dell’accordo amichevole di definizione della controversia; per altro verso, la legittimazione ad adire Abf e Acf circoscritta al solo cliente, laddove il ricorso alla ordinaria condizione di procedibilità portata dal d.lgs n. 28/2010 certo non subisce limitazioni in ordine alla legittimazione attiva. Ciò che si riflette, a ben vedere, sulla stessa domanda giudiziale, atteso che – nel caso di mediazione – questa avrà a oggetto le pretese delle parti contrapposte mentre, se proposta successivamente alla pronuncia Abf/Acf, non potrà prescindere da una sorta di impugnazione della decisione nei presupposti di fatto o in quelli di diritto che ne costituiscono il fondamento.
2. Morfologia e principali caratteristiche
L’organismo ha iniziato a operare agli inizi del 2010. È ora strutturato (in base alla disciplina sub primaria che ne regola il procedimento emanata dal Comitato del credito con la deliberazione n. 275 del 2008 e dalla Banca d’Italia con il regolamento del giugno 2009 e successive modificazioni e integrazioni, l’ultima delle quali del novembre 2016) in sette collegi, competenti per le corrispondenti aree territoriali (rispettivamente, Lombardia, Friuli, Trentino e Veneto quanto al Collegio di Milano; Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta per Torino; Emilia e Toscana per Bologna; Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria per Roma; Campania e Molise per Napoli; Puglia, Calabria e Basilicata per Bari, Sicilia e Sardegna per Palermo). La competenza territoriale si radica in ragione del domicilio del ricorrente. È abilitato a conoscere (e a decidere) controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (scilicet, creditizi) nonché (dal febbraio 2010) di servizi di pagamento (in attuazione dell’art. 40 d.lgs n. 11 del 2010) per l’accertamento dei relativi diritti (competenza per materia) e per il risarcimento del danno fino a 100 mila euro (competenza per valore). Può, a tal fine (quale organismo «decisorio/aggiudicativo»), adottare pronunce di accertamento e di condanna (non quindi pronunce costitutive, es. di annullamento del contratto) e opera in «secondo grado» dopo il previo reclamo (con esito negativo o in assenza di esito) all’intermediario, che ne costituisce condizione di procedibilità oltre che prodromica fase di negoziazione tesa alla conciliazione tra le parti. Le pronunce in rito sono di improcedibilità (assenza del reclamo); inammissibilità (diversa materia); irricevibilità (limite alla cognizione temporale).
La sua adizione è riservata alla clientela bancaria, oltre che agli utilizzatori degli strumenti di pagamento (trattasi di diritto irrinunciabile); non prevede un’assistenza legale obbligatoria e sconta un basso costo d’accesso (economicità). La partecipazione delle diverse categorie d’intermediari al sistema (resa obbligatoria dal presente imperativo «aderiscono» di cui agli artt. 128–bis tub, e 40 d.lgs n. 11 del 2010) costituisce una condizione per l’esercizio dell’attività riservata (perciò un onere). La mancata adesione rappresenta peraltro fonte della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 144, comma 4°, Tub.
3. Il suo radicamento nella società civile
Le sue specifiche attribuzioni rivelano perché l’enforcement dei contratti bancari, creditizi e di pagamento è essenziale al fine di rendere effettive le tutele garantite da leggi recenti, segnatamente per ripristinare (a fronte della grave crisi economica che interessa oggi l’intera società civile) condizioni di fiducia nei mercati e negli intermediari della finanza; perché riscontra un gradimento crescente con percentuali di accoglimento della domanda pari circa al 70 per cento dei ricorsi per valori monetari (nell’anno 2015) corrispondenti a ca. 10 milioni di euro; per i tempi contenuti della decisione, che realizzano l’obiettivo della rapidità (max 105 gg. dal ricorso, ma la durata media è stata, nel 2015, di 245 gg.); perché l’unica (ancorché significativa) sanzione (di shame culture) conseguente all’inosservanza della decisione (la pubblicazione della stessa) fa registrare, in relazione ai ricorsi decisi, numeri contenuti ancorché crescenti, con un tasso di inadempimento inferiore all’1 per cento, donde l’effettività della tutela[7]. Le pronunce dei collegi, indipendentemente da “variazioni sul tema” (peraltro rappresentative dell’indipendenza di giudizio e dell’imparzialità dell’organismo) su questioni di dettaglio, costituiscono spesso – in punto di politica del diritto – avanzate tutele della clientela con effetti conformativi di rilievo per la comune dei destinatari, oltre che anticipatori degli orientamenti giurisprudenziali[8]. Né va sottaciuto che l’istituzione di un apposito Collegio di coordinamento assicura coerenza e uniformità di indirizzi a controversie di particolare importanza che abbiano generato o possano generare valutazioni contrapposte. La decisione di questo Collegio, oltre a definire il ricorso rimessogli, stabilisce il principio di diritto che i collegi territoriali dovranno applicare nei casi futuri. È fatta salva la possibilità di disattendere l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento nei soli casi caratterizzati da specificità evidenti e con espressa motivazione. Una novità di rilievo (che, al fine di perseguire l’obiettivo di uniformità degli indirizzi, si affianca al collegio di coordinamento) è rappresentata dalla recente introduzione (contenuta nelle modifiche al regolamento per il funzionamento dell’organo decidente) della Conferenza dei collegi la quale, composta da due componenti per ciascun Collegio (incluso il presidente), con periodicità almeno semestrale è deputata ad approfondire tematiche (sostanziali e procedurali) di particolare interesse.
Sul più generale versante culturale e istituzionale, si consolida una crescente attenzione per le decisioni dell’arbitro da parte di riviste giuridiche (elettroniche e tradizionali), dei mass media, nonché da parte della dottrina (saggi, libri, convegni). Come si è già ricordato, lo stesso legislatore lo contempla espressamente (art. 5 d.lgs n. 28 del 2010, cit.) tra gli organismi atti a soddisfare l’esperimento della condizione di procedibilità nella materia in oggetto. Sul versante della giurisdizione, una nota ordinanza della Corte costituzionale[9] dichiara l’inammissibilità della legittimazione dell’arbitro alla proposizione di questioni di legittimità costituzionale: a) perché ne viene esclusa natura giurisdizionale; b) perché la sua pronuncia non è autenticamente decisoria, non incidendo sulla situazione giuridica delle parti (è un “responso”, nel lessico della Corte); c) perché il decidere “secondo diritto” è proprio anche di qualsiasi organismo della pubblica amministrazione. Nel menzionarla al solo scopo di ribadire la progressiva centralità dell’arbitro nel diritto vivente, mette peraltro conto fugacemente osservare: a) che non pare dubbio che l’arbitro non svolga funzioni giurisdizionali (lo preclude l’art. 102 cost.), ma l’ordinanza di rimessione del Collegio di Napoli insisteva più che su questo profilo sul possibile allargamento del giudizio della Corte ad atti (es.: il parere del Consiglio di Stato nell’àmbito del ricorso straordinario al Capo dello Stato) ai quali la decisione dell’arbitro potrebbe essere assimilata; b) che altro sono gli effetti della decisione dell’arbitro (certo non esecutiva né esecutoria), altro il negare che di decisione concettualmente si tratti; c) che la pubblica amministrazione certo adotta le proprie determinazioni “secondo diritto”, ma al diverso fine dell’adozione di un provvedimento amministrativo e non di una decisione relativa a una controversia in atto. In ogni caso, il gradimento crescente all’interno della società civile di tale organismo è testimoniato da fatti “veri e non stupidi” quali il crescente incremento dei ricorsi che, nel corso del 2015, sono stati pari a 13.575 (e, nel 2016, circa 20 mila). Nell’anno 2015 sono stati decisi più di 10 mila ricorsi (avendo i collegi mediamente esaminato ogni mese 950 ricorsi), con incrementi significativi soprattutto al sud.
4. Le segnalazioni prefettizie
Il crescente “successo” dell’organismo corre anzi (paradossalmente) il rischio di alimentare entusiasmi eccessivi e di generare distorte accezioni dei compiti che è chiamato ad assolvere. Il riferimento, neanche troppo implicito, è alla norma contenuta nell’art. 27-bis, comma 1°-quinquies, del dl n. 1 del 2012 e successive modificazioni nella parte in cui prevede che «ove lo ritenga necessario e motivato, il Prefetto segnala all’Arbitro bancario finanziario» (è interessante osservare come, per la prima volta in un testo legislativo, l’organismo venga nominativamente menzionato) «specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari. La segnalazione avviene a séguito di istanza del cliente in forma riservata e dopo che il Prefetto ha invitato la banca in questione, previa informativa sul merito dell’istanza, a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito», aggiungendo che «l’arbitro si pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione». Non chiarissima nella forma e nei contenuti, la norma sollecita questioni interpretative tanto di rito quanto soprattutto di sostanza, segnatamente nella parte in cui, nel rimettere all’arbitro il sindacato sulla «meritevolezza di credito» del cliente, può ingenerare il sospetto dell’estensione della cognizione dell’organismo alle valutazioni imprenditoriali dell’intermediario, così determinando un non sequitur logico rispetto agli obiettivi perseguiti e legittimando improponibili aspettative sul suo àmbito di applicazione. Interpretare la norma nel senso di rimettere all’arbitro il giudizio sulla meritevolezza di credito dell’istante significherebbe infatti traslare su questi il giudizio imprenditoriale, avallando uno strabismo legislativo incompatibile con la natura dell’attività bancaria e con lo stesso diritto europeo. Negli indicati termini, l’unico significato ragionevolmente proponibile della disposizione in rassegna non può che risiedere nel più circoscritto sindacato da parte del giudicante della condotta perseguita dall’intermediario nel rapporto con il richiedente credito e dunque nella correttezza concretamente spiegata in sede di trattativa o di esecuzione del contratto, in grado di estendere il suo àmbito non solo alla tradizionale ipotesi dell’ingiustificata rottura della relazione tra i paciscenti, ma anche allo stesso clare loqui e, in particolare, alla mancata informazione circa il reale intento di concludere il contratto o di modificarlo o di recedere dallo stesso[10]. La norma disegna un procedimento affatto singolare. Ciò consente di ritenere che la legittimazione ad agire straordinaria del Prefetto possa prefigurare una fattispecie di sostituzione processuale analoga a quella regolata dall’art. 81 del codice di rito[11].
5. L’incerta natura giuridica
L’inedita morfologia dell’organismo ha sollecitato interventi e polemiche sulla natura giuridica dell’arbitro: da organismo arbitrale ad arbitratore, a organo della Banca d’Italia per il perseguimento delle finalità pubbliche della vigilanza bancaria.
Il discorso può tuttavia essere impostato diversamente e scontare risposte diverse nel metodo e nei contenuti.
L’area di riferimento è, anche sul versante del diritto positivo, quella della giustizia stragiudiziale che riguarda, con specifico riferimento alle controversie minori (cd. small claims), l’allargamento della tutela dei diritti più che l’efficienza della giustizia civile. Ha tuttavia effetti di rilievo anche ai fini di un sensibile contenimento nell’imput delle controversie sottoposte al giudice togato, sollecitando forme di soluzione delle liti diverse dal ricorso al processo civile. Precursore dell’Arbitro bancario finanziario è stato, nel settore di riferimento (fin dall’accordo istitutivo del 1993), l’ombudman bancario, organismo la cui matrice (dichiaratamente autopoietica) formalmente consisteva in un contratto (stipulato tra i costituenti e aperto agli altri operatori del settore) a favore di terzo (il beneficiario dell’accordo) sostanzialmente riconducibile alla tipologia negoziale prevista (e disciplinata) dagli artt. 1411 ss. cod. civ.[12]. Le differenze rispetto all’Arbitro bancario sono, sul piano del diritto positivo, cospicue. Tralasciando quelle “minori”, basti menzionare la diversa valenza dell’accesso: libera e facoltativa (in quanto consensuale) a quello; doverosa a questo. Diversità che, naturalmente, si riflette sui conseguenti effetti (ovviamente inesistenti per il mancato esercizio di una facoltà; per converso rilevanti tanto in punto di accesso alla e di esercizio dell’attività bancaria quanto sanzionatori). Né va sottaciuto, sul piano delle tutele concretamente approntate, il diverso, più ampio perimetro della cognizione dell’arbitro non solo nell’ammontare monetario a fini risarcitori, restitutori o a qualunque altro titolo, ma soprattutto nell’attribuzione di una competenza per materia estesa all’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono.
Ciò premesso, la caratteristica assorbente che segnala la netta soluzione di continuità dell’introdotto sistema rimediale, teso ad «assicurare la rapidità, l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela» (art. 128–bis, comma 2°, Tub) rispetto al tradizionale assetto della giustizia civile, è rappresentata dalla legittimazione “disuguale” all’azione, circoscritta a favore del solo cliente (che è nozione più ampia, ma non ontologicamente diversa da quella di consumatore del prodotto o servizio considerato), omologa alla corrispondente disuguale tutela disegnata, sul piano sostanziale, dal diritto privato europeo che disciplina i contratti del consumatore. A ben vedere, è dalla legittimazione “disuguale” che derivano tutte le altre peculiarità del procedimento: dall’incerta sua natura giuridica alla previsione di singolari meccanismi afflittivi a carico del convenuto nel caso di accoglimento del ricorso. L’indicatore (anche sul piano positivo) più perspicuo di siffatta linea di policy è offerto dalla espressa salvezza del ricorso «a ogni mezzo di tutela previsto dall’ordinamento» contemplata a favore del solo cliente (art. 128–bis, comma 3°). Nessun dubbio, sul piano sistematico, che l’adizione del giudice sia concessa (scilicet, non possa che esserlo, trattandosi di un diritto costituzionalmente protetto) anche all’intermediario bancario o finanziario. È tuttavia significativo (e tutt’altro che ininfluente) che l’inciso corrisponda esattamente (in sede di output) alla identica limitazione soggettiva al ricorso. Breviter: scopo della norma è quello di precisare che l’istituito sistema è volto ad assicurare un alternativo e additivo rimedio dei conflitti economici in materia bancaria, creditizia e (poi) dei pagamenti al solo cliente, preoccupandosi coerentemente di specificare che per lui e per lui solo questo meccanismo di enforcement alternativo si somma a quelli tradizionali.
Rispetto ad altri Paesi europei, quello della crisi della giustizia civile è peraltro un problema che affligge l’Italia in maniera ormai radicata. Un’efficiente (o, almeno, acconcia) tutela dei diritti è, oggi più che in passato, importante strumento di politica economica, atteso che la competizione internazionale opera non solo nel mercato dei prodotti, ma anche in quello delle regole. I canali attraverso i quali la qualità della giustizia civile ha effetti sull’attività economica – segnatamente in punto di affidabilità e stabilità dei diritti proprietari, contrattuali e dell’impresa – sono molteplici[13]. La Banca d’Italia rileva che la perdita annua di Pil attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale[14]. Naturalmente, non di solo Pil si tratta. Le ricadute di una giustizia civile in crisi si riflettono prioritariamente sui diritti della persona costituzionalmente garantiti, investono le ragioni del vivere civile, la stessa intima essenza del “contratto sociale”. La denegata giustizia che segue alla ritardata giustizia provoca allontanamento dalla realizzazione dei diritti, ineffettività delle norme, incentivi a comportamenti opportunistici. Grava più pesantemente proprio sui soggetti più deboli.
Al di là quindi e oltre all’economicità nella soluzione di controversie “minori”, il contesto di riferimento esalta il valore aggiunto offerto da un organismo, quale l’Arbitro bancario finanziario, che – a fronte delle richiamate disfunzioni – ben può in talune circostanze essere percepito non come alternativo alla giustizia ordinaria, ma addirittura (quoad effectum) come esclusivo quando il ricorso a quella risulti sostanzialmente precluso dagli elevati costi, diretti (essendo gli oneri monetari pur sempre prodromici alla realizzazione dei diritti dei quali si invoca tutela in un rapporto di mezzo al fine) e soprattutto indiretti (quando la domanda di giustizia viene vanificata dai tempi del processo e dalla aleatorietà della pronuncia in ragione delle possibili impugnazioni).
Quanto precede conduce, da un lato, a qualificare come inutilmente sterile la tradizionale contrapposizione in parte qua dell’interesse pubblico a quello privato; dall’altro a constatare lo spazio vuoto di diritto che connota i procedimenti (in senso lato) di alternative dispute resolution. La diversità di questi rispetto alla funzione giurisdizionale è di manifesta evidenza, anche solo sul piano semantico. Il nostro ordinamento, permeato di normativismo, rende difficili forme di giustizia diverse da quelle che si realizzano nel processo e col processo. Ciò segnala un anacronismo legislativo idoneo ad alimentare (nonostante il principio di sussidiarietà) dubbi sulla sua coerenza con l’art. 81, lett. g) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Fue) che demanda al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di adottare misure volte a garantire «lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie». Il presupposto, ai limiti dell’ovvio, essendo che altro è la giurisdizione, altro il rendere giustizia. La prima – in quanto funzione pubblica a tutela di diritti costituzionalmente rilevanti – è esclusiva, rigidamente regolamentata, esercitata da un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, amministrata in nome del popolo. Consiste nello jus dicere. Ma il rendere giustizia può risiedere anche nel prevenire l’insorgenza della lite fuori dal processo civile per il tramite di metodiche a questo alternative, ancorché – dal punto di vista funzionale – complementari. Dopotutto, il declino del modello della iurisdictio si accompagna al tramonto del mito della verità giudiziale e della certezza giuridica[15]. Né può ragionevolmente omettersi di considerare che in Paesi diversi da quelli occidentali la giustizia civile è stata nel tempo amministrata fuori dai tribunali. L’esempio cinese è emblematico perché, di là anche dal giusnichilismo prodotto dalla Rivoluzione culturale, la prima legge (provvisoria) di procedura civile (peraltro strutturata in maniera molto similare al nostro codice di rito) è solo del 1982. Successivamente, la conciliazione stragiudiziale presso gli appositi comitati popolari rimase peraltro il modo di risoluzione delle liti civili di gran lunga più diffuso[16]. L’interesse generale può perciò consistere nell’approntare sistemi in grado di soddisfare la reciproca aspettativa a comporre la lite senza addivenire alla traumatica rottura di ogni relazione sottesa al processo, soluzione questa non sempre socialmente ed economicamente efficiente. Nulla peraltro esclude che giudice e arbitro possano impostare un virtuoso gioco cooperativo attraverso il quale, reso preventivamente edotto (grazie all’acquisizione delle risultanze istruttorie e della decisione) della ratio decidendi, dell’iter logico e degli elementi di fatto che hanno condotto al giudizio spesso basato su approfondimenti tecnici altamente specifici, l’organo di giurisdizione riduca elevati costi transattivi e instauri così, nel rispetto dei ruoli, rapporti dialogici certamente fecondi.
6. Le principali novità portate dal d.lgs n. 130/2015
Le ricordate più recenti iniziative del legislatore interno, indotte anche dall’acquisita consapevolezza del rilievo di una più efficiente giustizia civile a fini di crescita economica, disegnano una panoplia di rimedi (alternativi, complementari o prodromici al processo civile) tali, per un verso, da creare un giustapposto affollamento che impone la soluzione di problemi di regolamento di confini; per altro verso, da revocare in dubbio la unicità del rimedio giurisdizionale a fini di tutela dei diritti. Le cause del mutamento sono tante. Oltre agli ormai strutturali problemi di crescita economica del nostro Paese, hanno senz’altro inciso, con la rimozione dei limiti spazio/temporali all’attività commerciale, la concorrenza tra gli ordinamenti giuridici e il conseguente riferimento alle più risalenti esperienze estere.
Più nello specifico, con il d.lgs n. 130/2015, esclusa l’opzione di prevedere organismi Adr che abbiano la possibilità di imporre una soluzione alle parti, si ribadisce – in capo alla Banca d’Italia – il potere regolamentare autonomo già esercitato a norma delle disposizioni contenute nella legge di tutela del risparmio, con l’importante caveat relativo alla sua compatibilità con le disposizioni del codice del consumo. Ciò implica la possibilità di escludere il ricorso all’Adr a fronte di controversie dal valore monetario (non solo superiore ma anche) inferiore a soglie monetarie prestabilite o quando la controversia sia già stata esaminata da altro organismo Adr. Il principio di oralità si traduce, per contro (e fortunatamente, considerati i ridotti tempi di conclusione del procedimento, pari a 90 giorni) nella possibilità che le parti, entro un tempo ragionevole, abbiano facoltà di «esprimere la loro opinione» (circostanza questa che conferma la legittimità di una istruttoria meramente documentale). Il ricorso all’Adr produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e, dalla stessa data, impedisce la decadenza «per una sola volta». Interessante è la norma che espressamente dispone che l’organismo Adr si considera stabilito, se gestito da un’autorità o da un altro ente pubblico, «nel luogo in cui tale autorità o altro ente pubblico ha la propria sede» (art. 1, co. 2, lett. c). Sottende, con riferimento all’Arbitro bancario finanziario, una soggettività giuridica fin qui almeno dubbia.
Come già riferito, con lo stesso testo legislativo è stata prevista la istituzione di un omologo organismo di risoluzione delle controversie in materia di servizi d’investimento da parte della Consob. Ho, a tale specifico riguardo, più volte denunciato come l’evoluzione in parte qua del sistema finanziario risultasse monca nella parte in cui nulla prevede, diversamente da quanto introdotto (e realizzato) a favore del risparmiatore (con la istituzione dell’Arbitro bancario finanziario) e dell’investitore (con la appena ricordata introduzione di sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie similari all’Abf ex art. 1 bis d.lgs n. 130/2015), in materia assicurativa[17]. Tale settore, che al pari (e forse più) di quelli considerati, è caratterizzato da una elevata soglia di small claims e afflitto da cronici ritardi della giustizia ordinaria con riguardo a una congerie di controversie (si pensi solo a quelle relative alla responsabilità civile automobilistica) che considerevolmente incidono sul numero dei processi pendenti (e relativi arretrati), non dispone (eccezion fatta per le conciliazioni paritetiche) neanche di forme autopoietiche di risoluzione delle controversie similari a quelle prima riferibili all’ombudsman bancario. I reclami che l’art. 7 del cod. ass. devolve all’Ivass sono tutt’affatto diversi da quelli che precedono la pronuncia dell’Arbitro bancario tanto negli scopi (che riguardano i controlli di legittimità) che nei risultati (che non ristorano il proponente, ma solo, per il tramite delle sanzioni amministrative pecuniarie, l’erario dello Stato). È una lacuna grave alla quale il mercato non è stato fin qui in grado di porre rimedio e che impone, per molteplici ragioni (comparative, di tutela asimmetrica rispetto a prodotti talora unitari, di disfunzioni della giustizia togata) di provvedere con urgenza.
Tornando alle coordinate generali all’interno delle quali insiste l’argomento oggetto di queste riflessioni (vale a dire alla “cornice”), la sommariamente descritta «metamorfosi del monopolio statale sulla giurisdizione»[18] può piacere o non piacere. Ma se tutto ciò che è reale è anche razionale, con essa l’operatore del diritto non può non fare i conti. E, nel farli, non giovano pregiudizi ideologici, tipo quelli di ritenere che la direttiva 11/2013 (dalla quale trae origine il più volte menzionato d.lgs n. 130/2015) rappresenti addirittura la “punta di diamante” dell’asservimento della giustizia civile alle finalità del sistema economico prefigurato nei rapporti Doing Business. Al punto che «chi si scandalizza per la degiurisdizionalizzazione dovrebbe leggere con attenzione la direttiva» e «si terrà poi a cuore la prima»[19]. In termini più distesi, è viceversa essenziale una disamina critica degli istituti in concreto adoperati dal legislatore dell’Unione. Un solo esempio può ritenersi sufficiente, è congruo rispetto agli scopi perseguiti che la competenza delle persone fisiche incaricate della soluzione delle controversie risulti circoscritta al possesso di una mera «comprensione generale del diritto» (art. 141 bis, co. 4, d.lgs 130/2015) o, come denunciato[20], tale scelta rappresenta il modello di “corte” ideale della dottrina di law & economics[21] che ha ispirato Doing Business (decisione di «un terzo in base a considerazioni di fairness, con poca conoscenza o uso di diritto, niente avvocati, niente atti scritti, niente vincoli procedurali su trattazione e deduzioni probatorie, niente impugnazioni»)?
7. Polizze assicurative abbinate ai finanziamenti
L’attività dell’Arbitro bancario (a testimonianza delle intersezioni esistenti in un mercato solo formalmente segmentato) abbraccia anche (almeno in parte) lo stesso versante assicurativo con riguardo alle polizze offerte in abbinamento a mutui o ad altri finanziamenti in ipotesi di anticipata estinzione del contratto di credito. Conviene ricordare che la recente indagine Ivass sui costi delle polizze abbinate ai finanziamenti muove, con riferimento al relativo mercato, da dati quantitativi di considerevole rilievo, venendo in gioco una raccolta premi (per il 2014) di 1.532 milioni, di cui 869 riferibili ai rami vita e 663 ai rami danni. Questi contratti si riferiscono a una platea complessiva di 5,9 milioni di assicurati, dei quali 5,5 milioni aderenti a polizze collettive e solo 0,4 milioni a polizze individuali, con raccolta intermediata prevalentemente dal settore bancario (78 per cento) e da quello di altri intermediari finanziari (12 per cento) e ricavi a favore dei distributori pari a ben il 44,32 per cento dell’ammontare dei premi, oltre a compensi variabili[22].
Trattasi, all’evidenza, di polizze concluse prevalentemente per conto dell’assicurato e aventi quale diretto beneficiario l’intermediario stipulante, la cui tipicità sociale risiede nel garantire per l’intera durata del rapporto il finanziatore dal rischio di default del sovvenuto riveniente da eventi che si riflettono nella sua condizione soggettiva (perdita dell’impiego; invalidità; morte etc.). In questi casi, convenuto innanzi all’Arbitro bancario finanziario il finanziatore per il riconoscimento del diritto alla restituzione anche della quota parte di premio non goduta in ragione dell’avvenuta estinzione del rapporto prima della sua naturale scadenza a opera del mutuatario, l’organismo adìto muove dalla particolare tipologia dei rapporti oggetto della controversia, precisando che questi si compongono, sul piano atomistico, di due (apparentemente) distinti contratti conclusi con una medesima controparte: mutuo da un lato; polizza assicurativa dall’altro. Tali due negozi risultano peraltro tra loro avvinti da un evidente e incontestabile legame: quello di sincronicamente e contemporaneamente concorrere e cooperare al medesimo risultato economico–sociale consistente nell’assicurare al sovvenuto il finanziamento richiesto. Prevalente dottrina e giurisprudenza largamente maggioritaria precisano, perché si dia la fattispecie del collegamento, che debbono ricorrere due elementi: uno obiettivo, consistente nel nesso economico o teleologico tra i vari negozi e uno subiettivo, consistente nella intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune, ossia nell’intento di collegare i due negozi. Il collegamento negoziale incide direttamente sulla causa dell’operazione contrattuale che viene posta in essere «risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria»[23]. Il nesso fra più negozi fa sì che l’esistenza, la validità, l’efficacia, l’esecuzione di un negozio influiscano sulla validità o efficacia o esecuzione di un altro negozio, oppure che il requisito di un negozio si comunichi all’altro, o ancora che il contenuto di un negozio sia determinato dal contenuto dell’altro, e così via. In relazione a ciò, si conclude che i contratti in rassegna siano caratterizzati da collegamento negoziale per la ricorrenza dei richiamati elementi obiettivo e subiettivo. E infatti, dottrina e giurisprudenza impongono riguardo a siffatte fattispecie una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi globalmente perseguito dalle parti in termini di validità, efficacia, complessiva utilità delle prestazioni dedotte nei contratti. In particolare, le evoluzioni del rapporto principale (il finanziamento) non possono non riflettersi su quello accessorio (l’assicurazione) poiché, venuto meno il primo, la persistenza del rapporto assicurativo si rivelerebbe di fatto priva di causa. Discende da tale ricostruzione dell’assetto degli interessi in gioco il riconoscimento a favore del ricorrente della pretesa fatta valere nei confronti del finanziatore, con possibile estensione del giudizio all’interpretazione di norme di stretto diritto assicurativo nei casi in cui, in via di eccezione, il convenuto sollevi il proprio difetto di legittimazione passiva ex art. 22, co 15 - quater, l. n. 221/2012 (di conversione del dl n. 179/2012), nella parte in cui la richiamata disposizione attribuisce all’impresa di assicurazioni l’obbligo di restituzione della parte di premio «relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria». Ritiene infatti l’arbitro bancario che i descritti obblighi che gravano sull’impresa di assicurazioni non sembrano incidere sul profilo della legittimazione (non sottraendo il finanziatore alla concorrente responsabilità per la restituzione del dovuto a fronte di negozi collegati) quanto piuttosto sull’esercizio dell’eventuale azione di regresso. In ordine ai criteri sottesi all’obbligo di restituzione, è opportuno ricordare che già una decisione del Collegio di coordinamento[24] aveva precisato che la determinazione dell’importo offerto in restituzione a opera dell’impresa di assicurazioni in applicazione di un criterio diverso da quello proporzionale è legittima a condizione che il criterio di calcolo sia chiarito ex ante e che una più recente pronuncia dello stesso organismo[25] ha confermato la legittimità del rimborso effettuato sulla scorta degli indicati criteri.
[1] Sull’Arbitro Bancario v., senza pretesa di completezza, G.Costantino, Sintesi dell’attività svolta dall’Arbitro Bancario Finanziario al 31 marzo 2010, in Foro it., 2010, V, c. pp. 278 ss. Id., L’istituzione dell’Arbitro Bancario Finanziario, in AA.VV., Studi in onore di Verde, Napoli, 2010, p. 297 ss.; E. Quadri, L’Arbitrato Bancario Finanziario nel quadro dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in Nuova giur. civ. comm., II, 2010, pp. 305 ss.; S. Ruperto, L’Arbitro Bancario Finanziario, in Banca, borsa e tit. cred., I, 2010, pp. 335 ss.; F. Capriglione, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’Adr, ivi, 2010, I, pp. 261 ss.; G. Guizzi, Chi ha paura dell’ABF? ivi, 2010, pp. 665 ss.; F. Capriglione, Cicero pro domo sua (in replica allo scritto di Guizzi), in Mondo Bancario, 2011, pp. 2 ss.; G. Guizzi, L’Arbitro Bancario Finanziario nell’ambito dei sistemi di ADR: brevi note intorno al valore delle decisioni dell’ABF, in Società, 2011, pp. 1216 ss.; F. Maimeri, Commento sub art. 128-bis, in AA.VV., Commentario al testo unico bancario (a cura di Belli-Losappio-Porzio-Rispoli Farina), Milano, 2010, pp. 1144 ss.; A.V. Guccione - C.A. Russo, L’arbitro Bancario Finanziario, in Nuove leggi civ. comm., 2010, pp. 475 ss.; F. Auletta, Arbitro Bancario Finanziario e “sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie”, in Società, 2011, pp. 83 ss.; V. Tavormina, L’Arbitro Bancario Finanziario (un altro epiodio de “I nuovi mostri”, in Corr. giur., 2011, pp. 1021 ss.; E. Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario, in judicium.it; M. Maione, Profili ricostruttivi di una (eventuale) legittimazione a quo dei Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, ivi; E. Bruschetta, Le controversie bancarie e finanziarie, in Contratti, 2010, pp. 422 ss.; B. De Carolis, L’arbitro bancario finanziario come strumento di tutela della trasparenza, in Quaderni di ricerca giuridica, Banca d’Italia, Roma, 2011; M. Desario, Profili d’impatto delle decisioni dell’arbitro bancario finanziario sugli intermediari, in Banca, borsa e tit. cred., I, 2011, pp. 492 ss.; C. Consolo-M. Stella, Il ruolo prognostico–deflattivo, irriducibile a quello dell’arbitro, del nuovo Abf, “scrutatore” di torti e ragioni nelle liti in materia bancaria, in Corriere giur., 2011, pp. 1653 ss.; AA.VV., ABF e supervisione bancaria (a cura di Capriglione-Pellegrini), Padova, 2011; F. Ferro-Luzzi, Il “giustificato motivo” nello jus variandi: primi orientamenti dell’Abf, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, I, pp. 730 ss.; G. Carriero, Arbitro bancario finanziario: morfologia e funzioni, in Foro it., 2012, V, c. 213 ss.; Id., Giustizia senza giurisdizione: l’arbitro bancario finanziario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, pp. 161 ss.; M. Maione, Forma e sostanza delle delibere dell’arbitro bancario finanziario, in Società, 2012, pp. 437 ss.; V. Sangiovanni, Regole procedurali e poteri decisori dell’arbitro bancario finanziario, ibid., pp. 953 ss.; G. Finocchiaro, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, Giuffrè, Milano, 2012; E. Minervini, L’arbitro bancario finanziario. Una nuova forma di A.D.R., Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2014; E. Lucchini Guastalla, Arbitro Bancario Finanziario, in Enc. del dir., Annali, VIII, 2015; I. A. Caggiano, L’arbitro bancario finanziario, esempio virtuoso di degiurisdizionalizzazione, in Nuova giur. civ. comm., 2015, pp. 439 ss.
[2] V., ad es., L. Violante, Giustizia civile, i numeri dicono che l’Italia è sulla strada giusta, ne La Stampa, 20 gennaio 2017.
[3] L’espressione appartiene a P. Ferro Luzzi, Attività e prodotti “finanziari”, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 134. V. inoltre R. Natoli, Il contratto “adeguato”. La protezione del cliente nei servizi di credito, di investimento e di assicurazione, Giuffré, Milano, 2012, spec. pp. 49 ss.
[4] Sia consentito di rinviare al mio Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti, in Dir. banc., 2013, pp. 590 ss.
[5] M. Taruffo, Adeguamenti delle tecniche di composizione dei conflitti di interesse, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, I, pp. 779 ss.
[6] G. Guizzi, L’arbitro bancario, cit., p. 1217.
[7] Questi dati e quelli riportati in precedenza e nel seguito sono tratti dalla Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario della Banca d’Italia, Roma, 2016 e da sito web dell’Arbitro Bancario Finanziario. Sono ovviamente relativi all’attività svolta dai soli tre collegi operanti fino al 2016.
[8] C. Consolo – M. Stella, L’arbitro bancario finanziario e la sua “giurisprudenza precognitrice”, in Società, 2013, p. 186.
[9] Corte cost., 21 luglio 2011, n. 218, in Foro it., 2011, I, c. 2906.
[10] Come, da ultimo, stabilito da Cass., 26 aprile 2012, n. 6526, in Foro it., 2012, I, c. 3420. In precedenza, in termini analoghi, Cass., 8 ottobre 2008, n. 24795, Id., 2009, I, c. 440. In dottrina, tra i tanti, v. Conforti, Responsabilità precontrattuale e dovere d’informazione, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, c. 207.
[11] Opinione questa espressa nel mio Giustizia senza giurisdizione etc., cit., divisata da C. Consolo – M. Stella, L’arbitro bancario etc., cit., p. 186 nonché, più di recente, da G. Liace, Concessione del credito: Prefetto e ABF, la strana coppia, in nota a Collegio di Napoli, 17 febbraio 2015, n. 1160, in Banca, borsa etc., 2016, II, p. 242.
[12] Della sterminata letteratura in argomento, mi limito a rinviare a G. Criscuoli, Il banking ombudsman, Giuffrè, Milano, 1989; C. M. Pratis, L’accordo interbancario del 1993 per l’istituzione dell’ufficio reclami degli enti creditizi e dell’ombudsman bancario, in Banca, borsa etc., 1994, I, pp. 215 ss.; S. Maccarone, Le esperienze europee di ombudsman bancario, ne La banca e l’arbitrato (a cura di Riolo), Roma, 1994, pp. 34 ss.; F. Maimeri, L’ombudsman bancario in Italia, id., pp. 49 ss. e ai miei L’ombudsman garante della correttezza bancaria, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 481 e Crisi del processo civile e giustizia stragiudiziale: l’ombudsman bancario, in Foro it., 2002, V, c. 249 ss.
[13] V., funditus, il mio Costo dei servizi legali e giustizia civile, in Scritti di diritto dell’economia, Milano, 2010, pp. 53 ss.
[14] Banca d’Italia, Considerazioni finali, Roma, 2011.
[15] V. G. Conte, Cultura della iurisdictio vs. cultura della mediazione: il difficile percorso degli avvocati verso i sistemi di Adr, dattiloscritto in corso di stampa.
[16] Traggo questi riferimenti da R. Cavalieri, La legge e il rito. Lineamenti di storia del diritto cinese, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 193 ss.
[17] Rinvio pertanto a Giustizia senza giurisdizione etc., cit. e a Vigilanza e intersezioni tra mercato bancario, assicurativo e finanziario, in Dir. merc. ass. e fin., 2016, pp. 395 ss.
[18] Dal titolo dell’omonimo saggio di F. Carpi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, pp. 811 ss.
[19] R. Caponi, Doing business come scopo del processo civile?, in Foro it., 2015, V, c. 12 ss.
[20] R. Caponi, cit.
[21] S. Djankov - R. La Porta - F. Lopez de Silanes - A. Schleifer, Courts, in Quarterly Journal of Economics, 2003, p. 455.
[22] Ivass, Indagine sui costi delle polizze abbinate ai finanziamenti. Primi risultati, Roma, 2016.
[23] Cass., 16 febbraio 2007, n. 3645; Id., 10 luglio 2008, n. 18884.
[24] Precisamente, n. 6167/2014, in www.arbitrobancariofinanziario.it.
[25] Collegio di coordinamento, n. 10103, pure sul menzionato sito.