- Ordinanza 19 ottobre 2018, resa in causa C-619/18 (Francese)
- Ordinanza 19 ottobre 2018, resa in causa C-619/18 (Polacco)
- Comunicato stampa n. 159/18 (Italiano)
A soli tre mesi di distanza dalla sentenza 25 luglio 2018, la Corte di giustizia Ue torna a pronunciarsi, nuovamente in via d’urgenza, sui rischi evidenti di violazione grave da parte della Polonia dei principi dello Stato di diritto, valore comune degli Stati membri dell’Unione europea.
Questa volta con un’ordinanza inaudita altera parte e nell’ambito di una procedura d’infrazione promossa dalla Commissione ex art. 258 Tfue (e non di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue).
Con l’ordinanza (vice)presidenziale 19 ottobre 2018, la Corte ingiunge alla Repubblica di Polonia di sospendere l’applicazione delle disposizioni della legge sulla Corte suprema e della legge di riforma sull’organizzazione giudiziaria, approvate rispettivamente nel dicembre 2017 e maggio 2018; di prendere tutte le misure necessarie al fine di assicurare che i giudici della Corte suprema polacca interessati da tali disposizioni possano esercitare le loro funzioni al medesimo posto, con il medesimo statuto, e con gli stessi diritti e condizioni di impiego validi fino al 3 aprile 2018 (data di entrata in vigore della nuova legge sulla Corte suprema); di astenersi da tutte le misure dirette alla nomina dei giudici della Corte suprema al posto di quelli interessati dalle disposizioni che sono alla base della procedura di infrazione oggetto del ricorso principale, così come da tutte le misure dirette a nominare il nuovo primo presidente; di comunicare alla Commissione europea entro un mese le misure adottate per conformarsi all’ordinanza.
Il ricorso per infrazione è stato introdotto dalla Commissione per accertare che, da una parte, l’abbassamento del limite di età per la pensione anche per i giudici della Corte suprema e, dall’altra, il potere discrezionale accordato al Presidente della Repubblica di Polonia di prolungare il servizio giudiziario attivo dei giudici della Corte suprema, costituiscono una violazione dei Trattati e dell’art. 47 (diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La Corte Ue osserva che la nuova legge polacca sulla Corte suprema abbassa l’età pensionabile da 70 a 65 anni; che il trattenimento in servizio oltre i 65 anni è subordinato ad una richiesta del giudice interessato, alla presentazione di un certificato medico sul suo stato di salute, ed all’autorizzazione del Presidente della Repubblica, la cui decisione non è vincolata ad alcun criterio e non è oggetto di controllo giurisdizionale. La stessa legge autorizza il Presidente della Repubblica a decidere liberamente di aumentare il numero dei giudici della Corte suprema.
La Corte Ue esamina il requisito del fumus boni juris, e rileva che gli argomenti presentati dalla Commissione non appaiono, nel quadro della procedura d’urgenza inaudita altera parte, irricevibili o infondati.
Sul requisito del pericolo nel ritardo osserva che, poiché le disposizioni nazionali controverse hanno cominciato ad essere applicate, con la conseguenza del pensionamento di un numero significativo di giudici della Corte suprema, compresa la prima presidente, e con il parallelo aumento del numero dei giudici di tale giurisdizione da 93 a 120 e la pubblicazione di ulteriori 44 posti, si sta verificando una ricomposizione profonda ed immediata dell’organo; ne deriva che, se il ricorso per infrazione della Commissione sarà accolto, risulterà che tutte le decisioni nel frattempo rese dalla Corte suprema polacca saranno adottate senza le garanzie legate al diritto di tutte le persone all’accesso ad un tribunale indipendente quale consacrato dall’art. 47 della Carta. In proposito, la Corte Ue ricorda che l’indipendenza dei giudici è essenziale per il rispetto del diritto fondamentale al giusto processo, garanzia della protezione dell’insieme dei diritti dei justiciables e della protezione dei valori comuni agli Stati membri enunciati dall’art. 2 Tue, come da ultimo illustrati dalla sentenza del 25 luglio 2018 [1]; inoltre, evidenzia che la qualità di giurisdizione di ultima istanza della Corte suprema e l’autorità di cosa giudicata delle sue decisioni portano, nelle circostanze concrete, ad apprezzare un rischio reale di pregiudizio grave e irreparabile nel caso in cui le misure provvisorie sollecitate non fossero accolte ed il ricorso per infrazione fosse invece, alla fine della procedura, accolto.
Viene affrontato nell’ordinanza anche l’ulteriore aspetto del bilanciamento degli interessi, osservando che, se il ricorso per infrazione non sarà accolto, l’effetto sarà l’applicazione delle disposizioni nazionali controverse mentre, al contrario, se il ricorso per infrazione sarà accolto, l’applicazione immediata delle disposizioni nazionali controverse è suscettibile di apportare pregiudizio irrimediabile al diritto fondamentale di accedere ad un tribunale indipendente di cui all’art. 47 della Carta.
L’emanazione di un’ordinanza di sospensione di applicazione di leggi nazionali nell’ambito di un procedimento sommario a contraddittorio differito non deve sorprendere.
Essa è collegata alla procedura ex art. 7 Tue [2] avviata contro la Polonia per le riforme in materia di giustizia (e di libertà di stampa) adottate dal governo in carica dal 2015, sospettate di rappresentare una minaccia sistemica allo Stato di diritto ed ai valori comuni di democrazia e rispetto per i diritti umani, pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà ed eguaglianza tra donne e uomini di cui all’art. 2 Tue.
Riforme che consistono, nel settore giustizia, nel cumulo in un’unica persona degli incarichi di Ministro della giustizia e di Procuratore generale dello Stato, con poteri di intervento nei singoli casi; nell’aumento dei poteri del Ministro della giustizia rispetto ai Tribunali ed alla nomina dei loro presidenti; nell’indebolimento dei Consigli superiori di giudici e pubblici ministeri; nell’alterazione dei meccanismi di nomina dei giudici della Corte costituzionale e nel rifiuto di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale di alcune sentenze di tale Corte; nel progetto di introduzione di una procedura straordinaria di appello, di fronte ad una sezione della Corte suprema di nomina politica, per la possibile riforma e revisione di tutte le decisioni passate in giudicato rese da organi giurisdizionali polacchi negli ultimi vent’anni; e nella riforma della Corte suprema, mediante abbassamento dell’età pensionabile, trattenimento in servizio a discrezione del Presidente della Repubblica, ampliamento dell’organico sempre a discrezione del Presidente della Repubblica, oggetto dell’ordinanza in commento.
Si tratta di provvedimenti legislativi che determinano l’accumulazione di eccessivi poteri nell’esecutivo, con conseguenze negative per l’indipendenza del giudiziario, e quindi per la separazione dei poteri e per lo Stato di diritto in Polonia, sostanzialmente portando il sistema giudiziario del Paese sotto il controllo politico della maggioranza di governo.
Con queste problematiche si è confrontata la Commissione in un lungo dialogo con le autorità polacche per la protezione dello Stato di diritto quale valore comune degli Stati membri dell’Unione europea. Posto che l’integrazione europea riguarda anche l’aspetto della circolazione delle decisioni giudiziarie e si basa sulla reciproca fiducia nel rispetto dei principi democratici comuni, la Commissione ha approvato una serie di proposte e raccomandazioni nel senso dell’esistenza di un chiaro rischio di gravi violazioni da parte della Repubblica di Polonia dei principi dello Stato di diritto nel quadro della procedura di cui all’art. 7 Tue [3].
E si è già confrontata la Corte di giustizia con la sentenza 25 luglio 2018, con la quale, chiamata a decidere in via pregiudiziale sulla portata della valutazione dell’autorità giudiziaria di uno Stato membro circa la consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo, in possesso di elementi idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente (Polonia), ha stabilito che l’autorità giudiziaria dello stato richiesto deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale, della natura del reato, delle circostanze di fatto alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna, detta persona corra un siffatto rischio.
In tale pronuncia la Corte ha ricordato che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda: tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua, in uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, senza frontiere interne. Ha sottolineato la centralità dell’indipendenza del potere giudiziario, nei termini chiariti dalla propria precedente giurisprudenza, in particolare dalla sentenza ASJP [4]. Ha evidenziato che il requisito dell’indipendenza dei giudici attiene al contenuto essenziale del diritto fondamentale ad un giusto processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 Tue, segnatamente, del valore dello Stato di diritto; ciò in quanto l’Unione è un’Unione di diritto. Ne consegue che ogni Stato membro deve garantire che gli organi rientranti, in quanto «giurisdizione», nel senso definito dal diritto dell’Unione, nel suo sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva.
Le garanzie di indipendenza e di imparzialità presuppongono l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti.
Il requisito di indipendenza richiede inoltre che il regime disciplinare di coloro che hanno una funzione giurisdizionale presenti le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un siffatto regime come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie.
Si tratta di principi acquisiti al patrimonio giuridico-costituzionale dell’Unione, efficacemente chiariti dalla Commissione, a partire da una comunicazione del 2014 [5], in cui si afferma, in particolare, che lo Stato di diritto è la spina dorsale di ogni democrazia costituzionale moderna; è uno dei principi fondanti che discendono dalle tradizioni costituzionali comuni di tutti gli Stati membri dell’Ue e, in quanto tale, è uno dei valori principali su cui si fonda l’Unione; la fiducia reciproca tra gli Stati membri dell’Ue e i rispettivi sistemi giuridici è il fondamento dell’Unione, ed in questo ambito riveste un ruolo essenziale il modo in cui lo Stato di diritto è attuato a livello nazionale; il nucleo sostanziale dello Stato di diritto come valore comune dell’Ue ai sensi dell’art. 2 Tue include i principi di legalità, certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, indipendenza ed imparzialità del giudice, controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, uguaglianza davanti alla legge.
Con la pronuncia in esame, la Corte di Lussemburgo ribadisce che le riforme istituzionali all’interno di ciascuno Stato membro non sono indifferenti per l’Unione e per gli altri Stati membri, ed affina ulteriormente gli standard e i caratteri di un sistema giudiziario indipendente in Europa.
In un contesto di grande preoccupazione per la democrazia europea integrata, l’applicazione diretta della Carta dei diritti fondamentali ed il controllo giurisdizionale su tutti gli atti dei poteri dello Stato e dell’Unione per la protezione di quei diritti contrassegnano la tutela effettiva dei principi dello Stato di diritto nella casa comune europea.
[1] In causa C-216/PPU, pubblicata anche in questa Rivista on-line, con nota di G. Michelini, Stato di diritto ed integrazione processuale europea. La Corte di Giustizia ed il caso Polonia, 27 luglio 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/stato-di-diritto-ed-integrazione-processuale-europea-la-corte-di-giustizia-ed-il-caso-polonia_27-07-2018.php.
[2] Su tale procedura vds., inter alia, B. Nascimbene, Lo stato di diritto e la violazione grave degli obblighi imposti dal Trattato UE, in Eurojus.it, 24 ottobre 2017. Su La UE e la crisi dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria, vds. Bollettino LDF – Laboratorio Diritti Fondamentali, n. 25, luglio 2018.
[3] Da ultimo, Proposta di decisione del Consiglio sulla constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia, del 20 dicembre 2017, COM(2017) 835 final. Tutte le precedenti proposte e raccomandazioni sono reperibili in https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/effective-justice/rule-law/rule-law-framework_en#documents.