Io c'ero in sala parto.
Si, io c’ero veramente quel tardo pomeriggio autunnale del 2004 in cui “Lele”, vale a dire il Maestro Emanuele Luzzati[*], ha disegnato per la prima volta la Giustizia dagli occhi grandi, quella che sarebbe diventata di lì a poco l’inconfondibile logo di Magistratura Democratica. Per fortuna non ero solo e adesso vi racconto com'è andata esattamente.
Dunque, l'incarico era chiaro e preciso. Sapevamo che Luzzati, gloria artistica non solo cittadina, voleva regalare a Magistratura Democratica l’illustrazione per la locandina del convegno dedicato ai quarant'anni di vita della corrente, che si volevano festeggiare in una cornice originale e festosa, come in effetti è stato l’evento organizzato a Roma al teatro Ambra Jovinelli il 4 dicembre 2004.
Livio Pepino, che era l’organizzatore dell’iniziativa, mi incarica come referente genovese di contattare Luzzati per definire i contenuti della locandina, per cui diligentemente prendo un appuntamento con il Maestro ma, per fortuna di tutti, ho il buon senso di chiedere a Claudio Viazzi - che sapevo progenie di illustri omonimi pittori liguri-piemontesi e ci acchiappava di arte - di accompagnarmi.
Con lui si va quindi presso lo studio-abitazione di Luzzati in Via Caffaro e ci viene ad aprire un omino piccolo e mite, con degli enormi occhiali spessi spessi, che tutto fa intuire essere estremamente timido.
Ci accomodiamo nello studio e lui ha davanti sul tavolo un bloc-notes con un bel set di matite colorate tra le quali spicca una grande matita con la punta azzurra.
Dopo le presentazioni di rito, si arriva al dunque: che cosa volete fare con questa iniziativa, che cosa volete dire con questo manifesto? Attacco io, che mi ero preparato un mezzo discorsetto sul momento in cui cadeva questo evento, sulla necessità di dare un segnale di resistenza della giurisdizione ecc. ecc. e quindi propongo con giovanile baldanza un'idea del tipo “mugnaio di Sans-souci”, il celebre episodio in cui il sovrano prussiano vuole espropriare un mulino con modi un po' tracotanti, e il povero mugnaio se ne esce replicando che ci saranno pure dei giudici a Berlino.
Fiero della lezioncina che ho appena sciorinato, mi aspetto di trovare trasferita seduta stante sul bloc-notes quest'idea che, mi rendo conto, coinvolgeva diversi personaggi e cose: re, mugnaio, mulino e sullo sfondo il giudice come argine/barriera contro la prepotenza del potere…
A questo punto il Maestro comincia visibilmente a sudare, guarda il bloc-notes, guarda la matitona azzurra sul tavolo come a cercare una qualche ispirazione, che nel frattempo non arriva, e con Claudio cominciamo a guardarci preoccupati comprendendo la difficoltà e l’imbarazzo di Luzzati. Alla fine, il povero Lele non ce la fa più e sbotta: «Io veramente ho qualche difficoltà a disegnare un giudice che non faccia paura perché, vedete, l'unico giudice che ho designato in vita mia è quello che fa il processo a Pinocchio!».
Attimi di brivido! Ci viene rapidamente in mente quell'immagine, vista in molte illustrazioni, in cui il povero burattino è trattenuto mani e piedi da due robusti carabinieri (che tante volte ritornano nei lavori di Luzzati con il loro cappello a feluca) ed è portato al cospetto del giudice. Questo, tanto per evocare simpatia verso l’organo giudicante, è l’immagine visiva della peggiore ingiustizia: ha un volto a metà tra quello di uno scimmione e quello di un cane mastino.
No, non è decisamente quello che ci serve per procurarci attenzione e interesse presso l’opinione pubblica. Anche solo metà di quell'immagine avrebbe un effetto boomerang veramente devastante…
Passa un po' di tempo nel silenzio generale, l’unico rumore che si sentiva era il movimento delle rotelle che giravano furiosamente delle meningi alla disperata ricerca di una qualche idea, quando finalmente la degna progenie degli illustri omonimi pittori liguri-piemontesi trova una brillante via d'uscita.
Dice Claudio: «Va bene Maestro, noi capiamo che disegnare un giudice non le riesce comodo però, insomma, a questo punto… Che cos'è per Lei la giustizia?»
E così arriva il miracolo servito su un piatto d’argento dal mio amico e presidente e mentore. L'omino/genio si rianima di colpo come percorso da una scossa elettrica, ci osserva con gli occhi che attraverso le lenti a coccio di bottiglia sono ancora più grandi e più azzurri e dice la sua senza la minima incertezza, come se lo sapesse da tanto tempo e come rimpiangendo di non averci pensato prima. Risponde d’un fiato: «La giustizia? La Giustizia è una bella donna!».
E così, detto fatto, in meno di un secondo incomincia a disegnare la nostra famosa eroina ma, per quello che mi ricordo adesso, non ha iniziato disegnandone il volto, come tutti potremmo immaginarci, ma prima cosa ha tratteggiato il vestito sulla sinistra del foglio e poi ha costruito la figura in senso antiorario, come se lavorasse all'interno di un ovale. L'immagine femminile è esclusiva farina del sacco di Luzzati e il viso giovane e fresco della Giustizia ha tutte le caratteristiche dei suoi classici personaggi, che tante volte abbiamo visto sulle scene teatrali e su varie illustrazioni, a cominciare dalle dimensioni e dal taglio degli occhi.
Così come tutta luzzatiana è l’idea di una Giustizia con le ali di farfalla, che non ho mai visto in altre immagini iconiche del nostro mestiere – tutte per vero abbastanza arcigne, a differenza della Nostra - come a evocare una grazia e una leggerezza che, ahimè, contrastano con la grevità di tante vicende umane che trattiamo giornalmente. Ancora oggi mi chiedo che cosa voleva dire il Maestro con quelle ali di farfalla e mi mordo le dita per non averglielo domandato quando potevo farlo.
Tutto questo fervore creativo non viene interrotto da nessun commento, la matita azzurra si muove con una velocità sorprendente e io non riesco a capire come maneggiando la stessa matita certi tratti del disegno siano filiformi e altri siano larghi come pennellate.
Il bello è che per certi dettagli non c'è stato neanche bisogno di dare qualche indicazione, non c’ è stata discussione, come se tutto il trio presente nella stanza, in quella sala-parto artistica, fosse stato d'accordo già da tempo nell'affidare alla mano del Maestro alcuni tratti caratterizzanti del messaggio che volevamo comunicare con l’immagine.
In primo luogo, senza neanche dircelo, nessun ha mai pensato o proposto una giustizia bendata del tutto o a metà: telepaticamente abbiamo voluto tutti e tre una Giustizia ben vigile e attenta, con grandi occhi luminosi e senza nessuna traccia di bende.
Poi è una Giustizia che sorride, che ispira fiducia e non fa paura, anche se in una mano ha la classica, classicissima spada; che è messa lì per evocare il monopolio della forza, in un mondo percorso da violenze formali e informali, ma non dà l’idea di essere pronta a calare immediatamente alla cieca sulla testa di qualcuno. Insomma, una Giustizia molto ferrajoliana, che vuole convincere con la Ragione, piuttosto che imporre con l’Autorità…
Cominciamo a dire la nostra, come committenti, solo quando si tratta di riempire i due piatti della bilancia, perché avremmo potuto metterci dentro tante cose e tanti simboli, come già avevamo fatto per il manifesto del congresso di Genova del 1998, frutto della penna di Andrea Musso (altra storia da raccontare). Senza incertezze e di concerto si scelgono quindi volti e immagini che diano l'idea dell'equilibrio dei poteri e del rapporto tra istituzioni e società civile.
Non poteva ovviamente mancare, in tempi in cui la questione migratoria batteva già insistentemente alle porte della giurisdizione, il ragazzino di colore collocato nel piatto della cittadinanza, per evocare uno degli immaginabili prossimi terreni di maggiore impegno della giurisdizione, ma anche con l'auspicio di una società veramente multietnica.
Noto che con il tempo e le successive edizioni a stampa del manifesto il colore della pelle di uno dei nostri personaggi-interpreti si è fatto più sbiadito, ma posso assicurare che il carboncino nero è stato usato senza risparmio per il primo ragazzino collocato sulla destra del piatto della cittadinanza. Non sarà il caso di dire allo stampatore di ripristinare la tonalità originaria?
Torniamo a noi, perché ricordo che nella fase conclusiva del travaglio artistico ci ho infilato un secondo personale scivolone. Infatti propongo di mettere il piatto della cittadinanza, quello dove ci sono i bambini, più in basso; e quello delle istituzioni, dove ci sono il re e i carabinieri, più in alto: tanto per dire che i diritti pesano di più della legalità formale (messaggio duro da far digerire anche oggi).
Parte un rimbrotto, garbato ma fermo, del Maestro, che mi spiega che questo sarebbe un grave errore comunicativo. È vero che, dal punto di vista fisico di una bilancia, il piatto che pesa di più sta più in basso; ma, dal punto di vista del messaggio comunicativo, l’effetto dello squilibrio da me proposto sarebbe diverso: quello che sta in alto viene considerato più importante da chi vede l’immagine. Insomma, l'effetto esattamente opposto rispetto alle mie buone intenzioni! Vengo rimandato a settembre sull’ABC delle tecniche comunicative…
Si va avanti e ecco, in dieci minuti l'immagine della locandina è interamente schizzata a tinta unita con la famosa matita azzurra. Nei successivi venti minuti con altre matite colorate il disegno viene completato e solo oggi posso dire quanto mi pesi non aver avuto a disposizione all’epoca un qualche smartphone (ma esistevano già?) per riprendere tutto questo parto artistico o, almeno, la sua impronta iniziale e la predisposizione del bozzetto finale.
Purtroppo non ho filmati da far vedere, ho solo nella memoria – finché dura - le nitidissime immagini di quel pomeriggio così colorato e ottimistico. Ma come trasferire su carta la magia e le emozioni di quei momenti?
Momenti che poi non sono durati neanche troppo. Tra una cosa e l'altra, non avremo passato più di due ore, due ore e mezza, in casa Luzzati. Ma vi assicuro che aver assistito in diretta alla nascita di quella che, per me, è indiscutibilmente un'opera d'arte, che tutti ci invidiano, per mano di un autentico genio-folletto, è stata un’esperienza veramente emozionante e unica. Invidio quindi Livio Pepino, che conserva – presumo, gelosamente – la matrice originale del disegno utilizzata per la pubblicazione a stampa.
Così è andata e ancora oggi, anche se sono quasi vent’anni che vedo la nostra Giustizia-grandi-occhi sul sito di M.D., piuttosto che riprodotta nelle varie locandine degli eventi che a livello nazionale e locale sono stati organizzati dal gruppo negli ultimi anni, non riesco a restare indifferente ogni volta di fronte a quel disegno.
Mi procura sempre un’emozione intensa rivedere quell’immagine felice e colorata come fosse il primo giorno che è nata. E’ sempre un ricordo affettuoso che mi porto dentro e che vorrei oggi condividere, a cui si unisce la speranza che una visione serena ed equilibrata della giustizia, del potere, della ragione e del sapere evocati dal manifesto di “Lele”, possa insegnare ancora qualcosa ai nostri giorni turbolenti.
[*] Da WIKIPEDIA: Emanuele Luzzati, spesso chiamato con il diminutivo Lele Luzzati (Genova, 3 giugno 1921 – Genova, 26 gennaio 2007), è stato uno scenografo, animatore e illustratore italiano. Noto soprattutto come scenografo e illustratore, è stato maestro in ogni campo dell'arte applicata. È stato per due volte candidato al Premio Oscar per i film di animazione La gazza ladra (1964) e Pulcinella (1973).