1. “Paesi di origine (considerati) sicuri”, ovvero l’impossibile sintesi tra una malintesa “efficienza” delle procedure d’asilo e la tutela delle garanzie fondamentali del richiedente
L’introduzione della nozione di “Paese di origine sicuro”, nell’esercizio di una facoltà prevista dal diritto dell’Unione europea[1], costituisce uno degli aspetti più controversi e criticati delle “riforme” apportate nel corso degli ultimi anni all’impianto normativo nazionale sul diritto d’asilo mediante decretazione d’urgenza per motivi di sicurezza[2]. Essa è divenuta operativa con la designazione di taluni Paesi come “sicuri”. La disciplina sovranazionale, che l’art. Art. 2-bis, co. 1, d.lgs 25/2008 si limita sostanzialmente a riprodurre, richiede che essa sia il frutto dell’accertata insussistenza “in via generale e costante” delle circostanze che giustificherebbero la concessione di una forma di protezione, a seguito di un’indagine approfondita circa la situazione del rispetto dei diritti umani nel Paese, sulla base di informazioni “affidabili, obiettive, imparziali, precise e aggiornate”[3]. Dopo l’entrata in vigore, il 19 ottobre 2019, dell’apposito decreto ministeriale[4], le domande di protezione di cittadini di uno dei Paesi elencati sono divenute soggette a “un regime particolare di esame basato su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel Paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente indicando motivi imperativi attinenti alla sua situazione particolare”[5] e vengono esaminate in via prioritaria in una procedura accelerata con ridotte garanzie procedurali, tra le quali spicca l’assenza del diritto di effetto sospensivo automatico del ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto,, necessariamente per “manifesta infondatezza”, adottata in sede amministrativa[6].
La misura si inserisce in un ampio novero di iniziative, accomunate dalla finalità retorica di consentire un più rapido esame di domande che si presumono infondate, al fine di perseguire la “efficienza” del sistema, malamente intesa quale mera capacità di far fronte rapidamente a un gran numero di domande. La difesa dell’ordinamento da una stereotipata figura di richiedente abusivo[7], opererebbe dunque anche a beneficio dei richiedenti “genuini” che potrebbero vedere le loro domande accolte rapidamente.
Come si è tentato di argomentare in dettaglio altrove[8], il rigoroso rispetto dei limiti imposti dal quadro giuridico costituzionale, sovranazionale e internazionale sembrerebbe depotenziare enormemente la portata di questa disciplina, sino a privarla dell’effetto deflattivo voluto. Alla luce di ciò, le circostanze che consentono di fatto il perseguimento dell’efficienza sembrano risiedere altrove, e in particolare in una combinazione di quattro elementi.
Il primo elemento è l’espansione della nozione di sicurezza, tramite la predisposizione di liste ampie che comprendano Paesi di origine di un elevato numero di richiedenti, anche quando l’applicazione corretta dei criteri di designazione non lo consentirebbe. Tale tendenza, sottolineata da tempo dalla dottrina in relazione ad altri Paesi[9], è confermata dalla scelta dell’esecutivo italiano di redigere un elenco particolarmente lungo, comprendente Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina.Tale provvedimento è già stato oggetto di serrate critiche sia per il suo procedimento di formazione, sia per il suo contenuto[10].
Il secondo elemento è la diffusione di una prassi di esame sommario e stereotipato delle domande, con una piena inversione dell’onere della prova a carico del richiedente. Ciò nonostante la permanenza dell’obbligo di cooperazione in capo all’autorità amministrativa e al giudice che sembra configurare in modo più complesso la distribuzione dell’onere probatorio tra richiedente e autorità. Tale obbligo, per esplicita previsione normativa, costituisce una delle garanzie di esame congruo nella fase amministrativa di ogni domanda aventi carattere inderogabile[11]. Anche in questo caso, la prassi conferma una tendenza alla semplificazione a detrimento della posizione procedimentale del richiedente: la Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo ha prontamente rammentato ai Presidenti delle Commissioni territoriali, in modo tanto perentorio quanto a parere di chi scrive giuridicamente impreciso, che la disciplina in questione “introduce una presunzione di sicurezza iuris tantum, che può essere superata ove il richiedente, per l’effetto dell’inversione dell’onere probatorio alleghi fondati motivi che quel Paese non è sicuro per la sua situazione particolare che presenta condizioni di rischio”[12].
Il terzo elemento è la presenza di una successiva fase di controllo giurisdizionale in grado, almeno in via teorica, di ristabilire pienamente le garanzie individuali compresse o violate nella fase amministrativa. Formalmente presentata come una garanzia, e anche al netto della correzione dei profili più marcatamente illegittimi della trasposizione operata dal legislatore italiano[13], la mera possibilità di un ricorso giurisdizionale consente all’ordinamento di tollerare la compressione delle garanzie nella fase amministrativa, sulla scorta della promessa un successivo rimedio alle carenze (e alle violazioni) che questa potrebbe determinare nella decisione. Ed è qui che si manifesta la contraddizione: in questo scenario sarebbe quasi interamente demandato al giudice il potere e a certe condizioni il dovere di condurre un esame approfondito e individualizzato della domanda, senza peraltro beneficiare di un’istruttoria approfondita e di una decisione motivata in sede amministrativa. È evidente come questa costruzione, lungi dal realizzare razionalmente un modello di efficienza, tenda a scaricare sul sistema della giustizia civile, già intasato, l’intero peso della garanzia dei diritti individuali, a detrimento della stessa.
Quest’ultima osservazione svela il funzionamento del meccanismo: l’effetto deflattivo non può che realizzarsi grazie agli ostacoli di fatto e di diritto a che i richiedenti siano in grado di esercitare in modo effettivo il proprio diritto di ricorrere e difendersi in giudizio, nella concreta condizione di vulnerabilità nella quale versano, specialmente alla luce delle politiche di contenimento fisico e giuridico del richiedente, specialmente in frontiera[14].
L’esclusione, per alcune categorie di richiedenti normativamente considerati “abusivi”, dell’effetto sospensivo automatico del ricorso avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza costituisce l’architrave normativa di questa tetra visione.
2. Richiedenti Lgtbi ed effetti sulla domanda di sospensiva dell’incongruente designazione del Senegal nell’elenco dei Paesi di origine sicuri nel decreto del Tribunale di Firenze del 22 gennaio 2020
Il decreto del 22 gennaio 2020 della sezione specializzata del Tribunale di Firenze, al quale sono dedicate le brevi considerazioni che seguono, costituisce il primo passo, si spera di una lunga serie, verso un attento scrutinio giudiziario sia dei provvedimenti di manifesta infondatezza per origine da un Paese sicuro, sia della designazione stessa. Infatti, esso mette in luce alcune abbaglianti carenze nel procedimento di designazione del Senegal, riconnettendo ad esse conseguenze convincenti nella motivazione e incisive nel contenuto.
Il Tribunale era chiamato a pronunciarsi sull’istanza sospensiva dell’effetto esecutivo di un provvedimento di rigetto presentata da un ricorrente che, proveniente dal Senegal, aveva allegato dinanzi alla Commissione territoriale del capoluogo toscano di essere omosessuale e di correre per tale motivo un rischio nel Paese di origine.. Ciononostante, la domanda era stata respinta per manifesta infondatezza all’esito della procedura accelerata, in quanto il Senegal è uno dei Paesi designati come sicuri. Evidentemente, secondo l’autorità amministrativa, il richiedente non aveva provato la sussistenza di quei gravi motivi che avrebbero consentito di superare la presunzione di sicurezza.
Il Tribunale, acquisita ed esaminata la “scheda Paese” sul Senegal predisposta dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, che sostanzialmente costituisce l’unica fonte di informazione nell’istruttoria del decreto di designazione, osservava come in essa fosse chiaramente indicato che il Senegal non poteva essere considerato sicuro per gli appartenenti alla comunità Lgtbi. Ciò, osservava la stessa Commissione, in ragione sia della perdurante criminalizzazione dell’omosessualità, sia del clima di ostilità e violenza sociale nei loro confronti, che le autorità si ostinano a negare, al punto di avere rigettato una raccomandazione sul punto formulata nell’ambito della procedura di esame periodico universale (Universal Periodic Review) condotta dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in quanto contraria ai precetti culturali che ispirano delle leggi e delle consuetudini locali. Di conseguenza, la Commissione raccomandava l’inclusione del Senegal nell’elenco, ma ad esclusione inter alia delle persone Lgtbi, come previsto dall’art. 2-bis, in fine, del d.lgs 25/2008.
Il Tribunale osserva che ai sensi del quest’ultima norma si “impone (al Decreto ministeriale attuativo), nel caso di inserimento in lista del paese di origine non interamente sicuro l’esplicita esclusione – dalla procedura speciale (…) delle categorie di persone a rischio”. Questa interpretazione è infatti l’unica che consente di evitare che persone a rischio siano soggette alla disciplina costruita sulla presunzione di sicurezza. Si conclude quindi che, essendo la designazione del Senegal illegittima sotto il profilo indicato, essa non è idonea ad assoggettare al regime procedurale speciale previsto per i cittadini di Paesi designati. Il provvedimento di rigetto non può quindi produrre uno degli effetti tipici e più rilevanti che ne conseguono, ovverosia la mancata efficacia sospensiva dell’impugnazione. Il giudice dispone quindi la sospensione dello stesso, consentendo al richiedente di ottenere un permesso nelle more della decisione nel merito.
3. Verso il contenimento in via giudiziaria della rilevanza della nozione di Paese di origine sicuro?
Il lineare e incisivo iter motivazionale della decisione suggerisce alcune osservazioni a carattere più generale.
In primo luogo, nella decisione commentata, il Tribunale ha scelto di non fondare la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di diniego per manifesta infondatezza sulla ricorrenza di “gravi e circostanziate ragioni” attinenti alla condizione individuale del richiedente, ma di configurarla come effetto necessario e automatico dell’illegittimità, rilevante nel caso concreto, della designazione del Paese nell’elenco.
Alla luce delle diverse critiche mosse al decreto, sia per profili procedurali, sia nel merito della designazione di molti dei Paesi inclusi nell’elenco[15], la linea di ragionamento costituita dall’automatismo tra illegittimità e inidoneità a produrre gli effetti tipici (assoggettamento alla procedura speciale e assenza di effetto sospensivo automatico del ricorso) è suscettibile di essere applicata ad altri casi. Peraltro, laddove il vizio investisse la designazione di un Paese, o addirittura il decreto nel suo complesso, si aprirebbe la strada a un vero e proprio smantellamento giudiziario dell’impianto voluto dall’esecutivo.
In secondo luogo, è interessante rilevare che il Tribunale esprime apertamente dubbi sulla compatibilità con la direttiva procedure del 2013 della norma nazionale che consente la designazione parziale (ovverosia a esclusione di aree geografiche o di categorie di persone) e riservi alla fase di merito una valutazione sul punto. Ciò in quanto, come chi scrive aveva già avuto modo di rilevare, la rifusione della direttiva procedure, al contrario della precedente del 2005, non consente esplicitamente tale possibilità. La scelta di prevederla, operata dal legislatore italiano e da pochi altri[16], pare porsi in contrasto con la finalità di ravvicinamento delle normative nazionali perseguita dalla rifusione della direttiva procedure. La questione, se rilevante alla luce delle concrete circostanze del caso, potrebbe essere posta in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione. Se la tesi venisse accolta, Paesi come il Senegal dovrebbero sic et simpliciter essere espunti dall’elenco, a beneficio di tutti i richiedenti in provenienza da essi.
Le osservazioni svolte, infine, dimostrano come il rischio paventato in apertura di questa breve nota sia reale: in alternativa, infatti, o la compressione di fatto dell’accesso alla giustizia da parte dei richiedenti di Paesi “sicuri” renderà numericamente marginali i casi come quello in commento, oppure la magistratura sarà chiamata, come troppo spesso avviene, a sopportare un ulteriore carico al fine di garantire la tutela dei diritti fondamentali degli individui, nella loro dimensione costituzionale e sovranazionale, di fronte a un esecutivo e a un’amministrazione accecati da una retorica che li considera sacrificabili sull’altare dell’efficienza.
In questo contesto, quindi, non resta che augurarsi che decisioni come quella in commento spingano le Commissioni territoriali a spogliarsi della fallace idea secondo la quale la provenienza del richiedente da un Paese designato li sollevi dall’obbligo, direttamente imposto dal diritto europeo e internazionale, di cooperare con il richiedente al fine di stabilire la sussistenza di una situazione di rischio individuale[17]. A cominciare, certamente, dall’attenta analisi (proprio motu) delle informazioni sui Paesi di origine, in modo che palesi contraddizioni come quella evidenziata dal Tribunale di Firenze possano risolversi già in via amministrativa, senza bisogno dell’intervento del giudice, tramite l’accertamento secondo le modalità ordinarie dell’appartenenza del richiedente a un gruppo per il quale, già sulla base delle risultanze istruttorie, la presunzione di sicurezza non può valere.
[1] Direttiva 2013/32/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), G.U.U.E. 29 giugno 2013 l. n. 180, p. 60 ss., di seguito “direttiva procedure”, artt. 36 e 37 e Allegato I. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32013L0032.
[2] Si vedano le modifiche al d.lgs 28 gennaio 2008 n. 25, G.U. 16 febbraio 2008 n. 40, introdotte dall’art. 7-bis del dl 4 ottobre 2018 n. 113 (cd. “decreto Salvini”), G.U. 4 ottobre 2018 n. 231, introdotto in sede di conversione con l. 1 dicembre 2018 n. 132, G.U. 3 dicembre 2018 n. 281. Per una più ampia analisi v. F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”. L’introduzione nell’ordinamento italiano del concetto di «Paesi di origine sicuri» ad opera della l. 132/2018 di conversione del cd. «Decreto Sicurezza» (dl. 113/2018), in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. n. 2/2019, p. 147 ss. e, se si vuole, C. Pitea, La nozione di “Paese di origine sicuro” e il suo impatto sulle garanzie per i richiedenti protezione internazionale in Italia, in Rivista di diritto internazionale, fasc. n. 3/2019, p. 627 ss.
www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2019-1/399-il-diritto-di-asilo-un-diritto-sofferente-l-introduzione-nell-ordinamento-italiano-del-concetto-di-paesi-di-origine-sicuri-ad-opera-della-l-132-2018-di-conversione-del-c-d-decreto-sicurezza-d-l-113-2018/file.
[3] Fra, Opinion 1/2016 concerning an EU Common List of Safe Countries of Origin, 23 marzo 2016, p. 15. https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2016-opinion-safe-country-of-origin-01-2016_en.pdf.
[4] Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia), decreto 4 ottobre 2019, Individuazione dei Paesi di origine sicuri, ai sensi dell’articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, G.U. 7 ottobre 2019 n. 235.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/10/07/19A06239/sg.
[5] Corte di giustizia, sent. 25 luglio 2018, causa C-404/17, Migrationsverket, ECLI:EU:C:2018:588, punto 31.
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=204386&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=4112298 .
[6] Articoli 46, par. 6, lett. a), e 47, della direttiva 2013/32 e Art. 35-bis, co. 3, lett. c), e 4, d.lgs 25/2008.
[7] C. Costello e E. Hancox, The Recast Asylum Procedures Directive 2013/32/EU: Caught between the Stereotypes of the Abusive Asylum Seeker and the Vulnerable Refugee, in Reforming the Common European Asylum System: The New European Refugee Law (a cura di Chetail, De Bruycker e Maiani), Leiden/Boston, 2015, p. 377 ss.
https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2609897 .
[8] Cit., nota 2.
[9] Per un’analisi empirica che giunge a tale conclusione, v. C. Engelmann, Convergence against the Odds: The Development of Safe Country of Origin Policies in Eu Member States (1990-2013), in European Journal of Migration and Law, 2014, p. 277 ss. http://fasos.maastrichtuniversity.nl/profiles/Engelmann/Engelmann2014_Convergence.pdf.
[10] V. F. Venturi, L’istituto dei “Paesi di origine sicuri” e il decreto attuativo del 4 ottobre 2019: una “storia sbagliata”, in questa rubrica, 18 novembre 2019 www.questionegiustizia.it/articolo/l-istituto-dei-paesi-di-origine-sicuri-e-il-decreto-attuativo-del-4-ottobre-2019-una-storia-sbagliata_18-11-2019.php, e Asgi, Nota di commento del Decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale 4 ottobre 2019 sull’elenco dei Paesi di origine sicuri, 27 novembre 2019 www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/Nota-ASGI-commento-d.M.A.E.-4-10-2019-paesi-sicuri-definitivo-27-11-2019.docx.pdf.
[11] Corte di giustizia, sent. 31 gennaio 2013, causa C-175/11, H.I.D. e B.A., EU:C:2013:45, punto 74.
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62011CJ0175 .
[12] Commissione nazionale per il diritto di asilo, circolare n. 9904 del 30 ottobre 2019, grassetto in originale.
www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/PROTCircolare-procedura-accelerataPaesi-sicuri.pdf .
[13] Tra queste emerge senz’altro la mancanza di un obbligo di motivazione, sia del provvedimento ministeriale di designazione, sia del provvedimento di diniego per manifesta infondatezza adottato di norma a esito della fase amministrativa.
[14] Per alcune considerazioni recenti sulle nuove norme e prassi, v. in questa rubrica, A. Ammirati e A. Massimi, Zone di transito internazionali degli aeroporti: zone grigie del diritto, 9 dicembre 2019 www.questionegiustizia.it/articolo/zone-di-transito-internazionali-degli-aeroporti-zone-grigie-del-diritto_09-12-2019.php e Progetto In Limine di Asgi e A Buon Diritto Onlus, Le nuove ipotesi di procedure accelerate e di frontiera, 9 gennaio 2020 http://questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-ipotesi-di-procedure-accelerate-e-di-frontiera_09-01-2020.php .
[15] In attesa di una più approfondita disamina, si rinvia agli studi citati in nota.
[16] Tra gli Stati membri ai quali si applica la nuova disciplina la designazione parziale è consentita solo da Lussemburgo, Paesi Bassi e Ungheria, v. Commissione europea – European Migration Network, Safe Countries of Origin – Emn Inform, 2018.
https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/networks/european_migration_network_en .
[17] Per puntuali riferimenti e una più approfondita argomentazione, mi sia consentito di rimandare il lettore al mio articolo citato in nota 2, pp. 639-644.