1. I principi di diritto affermati
La recente pronuncia delle Sezioni unite (n. 24675 del 18 luglio 2017), risolvendo un contrasto tra diversi orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza di legittimità [1], ha affermato che allorché il tasso di interessi, inferiore al tasso soglia al momento della stipula, nel corso del rapporto superi la soglia dell’usura, in conseguenza dell’oscillazione delle rilevazioni trimestrali [2], non si verifica la nullità o inefficacia della clausola di determinazione degli interessi.
La pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso originario, inoltre, non può essere qualificata, per il solo fatto di eccedere detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Tale pronuncia appare di notevole interesse non solo in relazione al fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta ed ai suoi rilievi di carattere pratico, ma anche in relazione al più ampio tema dei principi e regole coinvolti [3], ed in particolare del dovere di solidarietà e della buona fede nell’esecuzione del contratto, nonché della stessa effettività della tutela giurisdizionale.
2. Esclusione della nullità sopravvenuta
Appare senz’altro condivisibile il superamento della tesi che qualifica l’usurarietà sopravvenuta come fenomeno incidente sulla validità del rapporto.
Va premesso che la stessa configurabilità della “nullità sopravvenuta” è controversa, posto che la nullità è tradizionalmente considerata un vizio genetico dell’atto, onde il giudizio di validità va formulato avuto riguardo alla situazione di fatto ed al contesto normativo vigente al momento della conclusione del contratto, mentre le vicende successive non possono che incidere sull’efficacia del negozio e sul piano del rapporto da esso originato [4].
In ogni caso, in materia di usura la nullità sopravvenuta va esclusa, come rilevato in modo lineare dalla pronuncia delle Sezioni unite, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica degli artt. 644 cp e 1815 comma 2 cc, come modificati dalla legge n. 108 del 1996, imposta dall’art. 1 dl n. 394 del 2000 convertito nella legge n. 24/2001, in forza della quale, ai fini della qualificazione di un tasso come usurario occorre fare riferimento al momento in cui gli interessi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Va dunque affermato, come ben evidenziato dalle Sezioni unite, che l’unico momento rilevante tanto ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 644 cp che per l’applicazione della sanzione civile disposta dall’art. 1815 comma 2, è quello della convenzione, con la conseguenza che le successive variazioni dei tassi medi sono irrilevanti ai fini della nullità ivi stabilita.
Com’è noto anche la Corte costituzionale, con la sentenza del 25 febbraio 2022, n. 29 si è occupata della norma di interpretazione autentica, affermandone la conformità a Costituzione, precisando peraltro, con un passaggio ripreso dalla sentenza in esame, che escludere la nullità della pattuizione originariamente non “usuraria” non significa precludere al mutuatario gli ulteriori istituti e strumenti di tutela, secondo la disciplina codicistica dei rapporti.
Una volta esclusa la nullità sopravvenuta, le Sezioni unite proseguono dunque nel loro iter argomentativo, facendosi carico di verificare se possa riconoscersi una rilevanza dell’usura sopravvenuta, in relazione ad altri strumenti del diritto dei contratti eventualmente azionabili.
3. Buona fede del creditore e riscossione degli interessi divenuti usurari
La Corte, disattesa l’applicabilità al caso di specie del meccanismo di sostituzione automatica di clausole dell’art. 1339 in relazione all’art. 1419 comma 2 cc, non sussistendo la nullità della clausola di determinazione degli interessi, ha affermato che non è configurabile la violazione del canone di buona fede (in senso oggettivo) nella pretesa del mutuante di riscuotere interessi secondo il tasso validamente concordato, seppure successivamente divenuto superiore al tasso soglia [5].
La pronuncia non esclude peraltro che, in presenza di particolari modalità o circostanze, la pretesa di interessi divenuti usurari possa ritenersi contraria al dovere di buona fede di cui all’ art. 1375 cc, ma afferma che la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto, non può ritenersi scorretta.
Il sillogismo delle Sezioni unite sembra inattaccabile: se il regolamento contrattuale e le sue clausole, compresa quella di determinazione del tasso di interesse, sono pienamente legittimi e perseguono, ex art. 1322 cc, interessi meritevoli di tutela, l’esercizio dei diritti che dal contratto discendono non può mai configurare violazione del canone di buona fede; la suddetta violazione può semmai discendere dall’esercizio di detti diritti con modalità scorrette.
La pronuncia, nel solco dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità [6], affronta la compatibilità del comportamento del creditore con la buona fede, non già quale mero criterio di valutazione delle condotte dei contraenti (buona fede valutativa), ma come vera e propria fonte di integrazione del contratto ai sensi degli agli artt. 1175 e 1375 cc, fondato sugli stessi principi costituzionali in materia di diritti e doveri dei privati e soprattutto sul dovere di solidarietà di cui all’art.2 della Costituzione [7].
Le Sezioni unite accedono peraltro, nel caso di specie, ad una concezione della buona fede che sembra incentrata, più che sull’integrazione del contenuto del negozio, sulla fase esecutiva del rapporto, limitando all’esistenza di particolari modalità di esercizio del diritto l’ambito di operatività della stessa, ed affermando chiaramente che la pretesa e riscossione di interessi divenuti usurari per il sopraggiunto superamento del tasso soglia non integra, di per sé, comportamento contrario a buone fede.
In presenza di tali statuizioni, autorevolmente e nitidamente affermate dalle Sezioni unite, sembra inutile ogni ulteriore dissertazione sulla diversa e più ampia latitudine attribuibile nel caso di specie alla clausola di buona fede, quale clausola generale, riempita di contenuto e vivificata dall’interpretazione giurisprudenziale [8].
4. Rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta
Si tratta piuttosto di verificare se residuino margini per attribuire comunque rilevanza alla “usurarietà sopravvenuta”, seguendo percorsi argomentativi che, anche per i limiti oggettivi delle questioni demandate alla cognizione delle Sezioni unite, non siano stati trattati nella pronuncia che qui si commenta.
Sembra opportuno prendere le mosse dalle peculiari modalità con cui il fenomeno dell’usura è stato definito dal nostro legislatore con la normativa introdotta dalla legge n. 108/1996.
Nell’attuale legislazione il carattere usurario degli interessi discende dal fatto oggettivo del superamento di una determinata soglia, basata sulla rilevazione periodica (trimestrale) dei tassi medi di mercato.
La usurarietà è, dunque, per sua natura, intrinsecamente variabile e dipende dal livello medio dei tassi di mercato, quale punto di equilibrio tra i prenditori e prestatori di denaro, quando operano in un mercato regolamentato ed in situazione di concorrenza [9]: il tasso soglia viene determinato periodicamente, con normativa inderogabile ed imperativa [10].
Tale metodo di determinazione, considerate le maggiorazioni previste tra tasso medio rilevato e tasso usurario, implica, dunque, sul piano sostanziale, che un tasso (divenuto) usurario si pone non solo oggettivamente al di sopra della media dei tassi di interesse praticati, il che sembra un’alea accettabile, in qualche modo connaturata ai rapporti che si protraggono nel tempo, ma “fuori mercato” in misura rilevante ed implica che il mutuatario sia tenuto a versare un corrispettivo (divenuto) di gran lunga più oneroso di quello comunemente praticato nelle medesime condizioni di tempo e luogo, ed eccedente la stessa soglia determinata con normativa di carattere imperativo.
Non si tratta, dunque, di una qualsiasi oscillazione nel rapporto, inevitabile nei rapporti di durata, ma di una variazione così rilevante da determinare, il carattere usurario degli interessi, che, in quanto connotato nel nostro ordinamento da una sanzione di carattere penale (oltre alla grave sanzione civilistica di cui all’art. 1815 comma 2 cc), può ritenersi espressione di un interesse di natura pubblicistica all’equilibrio del mercato del credito.
Se la normativa anti-usura introdotta dalla legge n. 108/1996 tende ad evitare discriminazioni, a causa delle quali alcuni individui o gruppi accedono al credito a condizioni fortemente deteriori rispetto a una media di mercato, non si vede perché, pur escludendosi le gravi sanzioni di cui all’art. 644 cp e dell’art. 1815 comma 2, la stessa valutazione di disvalore non possa ricondursi anche ai tassi “divenuti” usurari in corso di rapporto.
Il “tasso soglia”, secondo la sua stessa espressione letterale, sembra dunque indicare il limite oltre il quale il rischio per il mutuatario, in virtù del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., diviene inaccettabile.
5. Il rimedio dell’art. 1339 cc
In assenza, nel nostro ordinamento, di una norma quale l’art. 313 del BGB [11] introdotta nell’ordinamento tedesco dalla riforma del diritto delle obbligazioni del 2002, dell’obbligo di rinegoziazione previsto dall’art. 1195 del Code civil francese, o dei poteri correttivi riconosciuti dai principi Unidroit, che trovano la loro più significativa espressione nella figura della gross disparity e dell’hardship codificato al Principio Unidroit 6.2.2., si tratta di verificare se, in questo, come in altri rapporti di durata, possa ravvisarsi la possibilità di un intervento di adeguamento, che non travalichi la volontà delle parti, ma anzi ne costituisca la più genuina espressione, nel senso di adeguarla alle mutate condizioni che, pur estranee al rapporto sono su esso direttamente incidenti, e che essi non potevano conoscere o prevedere al momento della stipula.
Nel caso dell’usurarietà sopravvenuta, dunque, non si tratta di configurare, come autorevolmente escluso dalle Sezioni unite, la nullità sopravvenuta della clausola di determinazione degli interessi, o la violazione di un dovere di buona fede in capo al creditore che pretenda interessi originariamente non usurari.
Né appare ipotizzabile l’operatività dell’art. 1339 cc in relazione all’art. 1419 cc, rimedio implicitamente escluso dalle Sezioni unite, quale conseguenza del mancato riconoscimento della su menzionata nullità parziale sopravvenuta.
Si tratta piuttosto di verificare se sia conforme a liceità e ragionevolezza la cristallizzazione di una prestazione periodica (dazione di interessi) che a partire da un determinato periodo (stante la rilevazione ed aggiornamento trimestrale) sia contra legem, considerato il carattere imperativo ed inderogabile della normativa di determinazione del tasso-soglia.
In questi termini può forse ipotizzarsi, atteso il già menzionato metodo legale di determinazione dei limiti di liceità, anche penale, dei tassi di interesse, l’operatività della disposizione dell’art. 1339 cc in relazione all’art. 1374 cc, disancorata dunque dalla nullità ex art. 1419 cc della clausola sostituita [12], presa in esame ed esclusa dalla pronuncia dalle Sezioni unite.
Tale sostituzione, nei soli limiti in cui gli interessi eccedono il tasso soglia, quale imposto dalle legge, non solo appare idonea a configurare un limite oggettivo alla variabilità della prestazione del mutuatario, ma, per altro verso, può anche qualificarsi quale criterio di adeguamento del contenuto del contratto, cui ragionevolmente si sarebbero attenuti i contraenti se avessero previsto l’andamento dei tassi medi, elemento “esterno” al contratto, che appare evidentemente del tutto sganciato dalla disponibilità delle parti e non prevedibile.
Non sembra, peraltro, che tale rimedio rafforzi eccessivamente la posizione del mutuatario a scapito del mutuante e dello stesso equilibrio contrattuale, con potenziali ripercussioni negative sul generale andamento del mercato.
Non si tratta infatti di reintrodurre la variabilità dei tassi di interesse, che le parti hanno evidentemente escluso, a solo beneficio del mutuatario, attribuendo il rischio della loro oscillazione ad una sola parte del rapporto (il mutuante), ma piuttosto di configurare un limite di salvaguardia, laddove, a causa dell’andamento del mercato, si determini una forbice, ex lege eccessiva, tra tasso pattuito e quello comunemente praticato, riportandolo nei limiti della soglia, oltre la quale scatta l’usurarietà dei tassi, la cui dazione può, forse, ritenersi inaccettabile non soltanto per le nuove pattuizioni.
In tal caso, la richiesta del debitore, di applicare il tasso soglia, quale limite della propria obbligazione di corresponsione degli interessi, richiesta necessaria, trattandosi di diritto disponibile, potrebbe meritare di essere presa in considerazione dal mutuante, e, in caso di rifiuto, trovare tutela in sede giurisdizionale, ai fini della effettiva realizzazione [13] e salvaguardia dell’equilibrio contrattuale tra le parti.
Tale equilibrio, in un rapporto di media-lunga durata ed in un ambito caratterizzato, per definizione, dalla frequente oscillazione dei tassi di mercato, in cui il tasso medio (e conseguentemente il tasso-soglia), non a caso viene individuato in virtù di rilevazione trimestrale, non può ritenersi necessariamente realizzato una volta per tutte, in sede di pattuizione.
In caso di eccessivo scostamento, identificato, ex lege, con la sopravvenuta usurarietà del tasso di interesse, può dunque soccorrere il ricorso al meccanismo di sostituzione automatica di cui all’ art. 1339 cc, che ha portata generale [14] e deve dunque ritenersi applicabile a tutte quelle determinazioni che la legge considera inderogabili, anche ove non sia prevista la sanzione della nullità delle clausole difformi e la legge non preveda espressamente la sostituzione automatica delle stesse.
[1] Un primo orientamento esclude la cd. “usurarietà sopravvenuta”, evidenziando come la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1, dl 394/2000 attribuisca rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso come usurario, al momento della pattuizione e non al momento della dazione (In tal senso Cass., 26 giugno 2001, n. 8742; 24 settembre 2002, n. 13868; e tra le pronunce più recenti, Cass., 27 settembre 2013, n. 22204; 19 gennaio 2016, n. 801).
Un diverso orientamento, più variegato al suo interno, ha invece affermato l’incidenza della usurarietà sopravvenuta sui rapporti in corso, facendo leva, nelle pronunce più recenti, non tanto sulla sanzione della nullità parziale ex art. 1419 cc, pur affermata in qualche sporadica sentenza (Cass., 22 aprile 2000, n. 5286; e più recentemente, Cass., 9 gennaio 2013, n. 350; 11 gennaio 2013, n. 602; n. 603), quanto della inefficacia ex nunc del tasso divenuto usurario (Cass., 25 febbraio 2005, n. 4092; 22 agosto 2007, n. 17854) nella parte eccedente il tasso soglia.(Cass., 17 agosto 2016, n. 17150; 12 aprile 2017, n. 9405).
[2] È noto che la determinazione del “tasso soglia” è affidata ad un complesso meccanismo previsto dall’art. 2, legge n. 108/1996, che ha come punto di partenza l’individuazione del TEGM (Tasso effettivo globale medio) degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti all’albo tenuto presso la Banca d’Italia ai sensi degli artt. 106 e 107 del d.lgs 285/1993 (TUB); tale tasso viene maggiorato di un quarto cui si aggiunge un ulteriore margine di quattro punti percentuali; in ogni caso la differenza tra tasso soglia e tasso medio non può eccedere gli otto punti percentuali.
[3] S. Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta, in Corr. giur., 2017, p. 608.
[4] In tal senso cfr. Cass., Sez. unite, 19 dicembre 2007, n. 26724 e 26725.
In materia di contratti di fideiussione omnibus stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 154/1992, vedi Corte cost. 27 giugno 1997, n. 204 secondo cui «…l’innovazione legislativa, che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude che si producano ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti».
Contra, sempre in relazione alla validità ed efficacia di una fideiussione prestata in favore di un istituto di credito per tutte le obbligazioni derivanti da future operazioni con il debitore principale (cd. “fideiussione omnibus”), il consolidato indirizzo della Cassazione afferma che la sopravvenienza della legge n. 154/1992 (il cui art. 10, modificando l’art. 1938 cc, impone la fissazione dell’importo massimo garantito), − se non tocca la validità e l’efficacia della fideiussione fino al momento dell’entrata in vigore del citato art. 10, con la conseguente responsabilità del fideiussore per le obbligazioni verso la banca a carico del debitore principale prima della predetta data − determina, per il periodo successivo, la nullità sopravvenuta della convenzione con essa in contrasto (Cass., 20 gennaio 2017 n. 1580; 9 febbraio 2007, n. 2871).
[5] In dottrina per la rilevanza della cd “usurarietà sopravvenuta”: A. Dolmetta, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, in Il caso.it, 2014, pp. 11 ss..
[6] L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità è nel segno di una tendenza espansiva del canone di buona fede, passando da una concezione della buona fede, in executivis, quale regola di comportamento volta a delimitare il margine di discrezionalità delle parti nell’attuazione del rapporto obbligatorio, ma nei rigidi confini della pattuizione contrattuale (Cass. 3362/1989), ad una vera e propria funzione integrativa e correttiva del regolamento negoziale (Cass. 4598/1997; 3775/2004), infine affermata con la nota sentenza delle Sez. unite 13 settembre 2005 n. 1812, in materia di potere di riduzione della penale ex art. 1384 cc, esercitabile anche ex officio dal giudice, e successivamente ribadita nelle successive pronunce della suprema Corte.
[7] In dottrina, per tutti, Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 3 ss..
In giurisprudenza, cfr. la sentenza 18 settembre 2009 n. 20106, che ha affermato come «i principi di correttezza e buona fede consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto».
[8] Per una critica alla cd. “costituzionalizzazione” della clausola di buona fede, ed alla sua qualificazione come limite generale dell’autonomia privata e regola di validità del contratto, cfr. G. D’Amico, Principi costituzionali e clausole generali: problemi (e limiti) nella loro applicazione nel diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in Principi e clausole generali nell’evoluzione dell’ordinamento giuridico, Giuffrè, Milano, 2017, pp. 96 ss..
[9] Così ABF coll. corr., 10 gennaio 2014, n. 77, in Riv.dir. comm., 2014, pp. 275 ss..
[10] Così Cass., 12 aprile 2017, n. 9405.
[11] L’art. 313 BGB, introdotto dalla riforma del 2002 così dispone: «Qualora le circostanze poste a fondamento del contratto siano modificate in modo rilevante dopo la conclusione del contratto, laddove le parti non lo avrebbero concluso o lo avrebbero concluso con un diverso contenuto nel caso in cui avessero previsto detto mutamento, può essere preteso l’adeguamento del contratto nella misura in cui, tenuto conto di tutte le circostanze del singolo caso, con particolare riguardo alla ripartizione legale o convenzionale dei rischi, non si possa imporre ad una parte di rimanere vincolata al contratto immutato».
[12] Sull’applicabilità della sostituzione ex art. 1339 cc, indipendentemente dalla qualificazione della clausola come nulla, vedi F. Camerano, L’usurarietà sopravvenuta, in Contr. Impr., 2003, p. 1105.
[13] Per l’esigenza di individuare una tutela capace di attribuire rilievo ad un interesse che la fattispecie non ha saputo (o, come nel caso di specie, potuto) indicare in modo pieno, sicché ci si distacca dalla regola per individuare, tramite il principio di effettività un interesse degno di tutela che trae forza dai principi che regolano il contratto ed il processo, vds G. Vettori, Il diritto ad un rimedio effettivo nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2017, p.666 ss.
[14] In tal senso G. Carriero, Crediti, interessi, usura: tra contratto e mercato, in Bbtc, 2016, p. 112.