L’Ilva è un caso a se. Sicuramente vi siete accorti che sulla copertina della mia relazione non compare quest’anno, com’è di uso, uno dei tanti bellissimi monumenti che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto e che impreziosiscono il Salento. Vi compare l’Ilva di Taranto. Quella nube che si vede sullo sfondo non è il tornado che si è abbat- tuto sulla città ai primi di dicembre e che ha fatto dire a mons. Santoro, arcivescovo della città, che tutto sembrava cospirare per toglierci ogni speranza. Non è il tornado… sono i fumi che da anni, da decenni, nei primi tempi nella indifferenza generale, l’Ilva scarica sulla città, mettendo ogni giorno a rischio la salute dei tarantini.
Quattro anni fa, nella medesima occasione, dando voce alle preoccupazioni dei colleghi di Taranto, l’allora avvocato generale dr Bruschi, il procuratore della repubblica dr Sebastio, che tentavano di reagire allibiti a questa mostruosa aggressione all’ambiente con tutto quel che ne derivava per la salute dei tarantini, lasciati in totale solitudine dalle altre istituzioni pubbliche che sarebbero dovute intervenire, li esortai ad un impegno ancora maggiore per far piena luce sulla proliferazione di malattie tumorali che si diceva dipendessero dall’inquinamento indotto dall’Ilva. Li esortai a dimostrare coi fatti di ben meritare il riconoscimento che gli veniva dalle associazioni ambientaliste di Taranto, che in un documento avevano affermato che la magistratura di Taranto aveva svolto anche in questa occasione un ruolo di supplenza perfino rispetto ai delegati sindacali per la sicurezza, i quali in tutti quegli anni non avevano richiesto con la dovuta energia che fossero resi noti i dati relativi all’inquinamento ed ai pericoli per la salute.
Il mio intervento, forse per il modo in cui fu riferito dalla stampa, provocò qualche risentimento nei colleghi di Taranto che a torto ritennero che io avessi sminuito il loro impegno, il che mi affrettai a smentire perché in realtà mi ero limitato a spronarli a proseguire per la via che avevano già imboccato e che ora ha dato i suoi frutti.
Provocò, come era da attendersi, una reazione anche dall’Ilva. Il presidente della società ing. Riva mi scrisse una lettera, accompagnata da una elegante brochure, per dirmi anche lui che avevo sottovalutato l’impegno profuso dalla società per garantire nella fabbrica condizioni di maggiore sicurezza e per eliminare progressivamente l’inquinamento ambientale che in sostanza finiva col riconoscere come già verificatosi. Mi invitò anche a visitare lo stabilimento per rendermene conto ma io non fui tanto incauto da accettare l’invito… il giorno dopo forse i giornali avrebbero titolato (ed era quello che probabilmente l’Ilva voleva) che il presidente della corte di appello aveva visitato lo stabilimento per rendersi conto personalmente che l’opera di risanamento procedeva regolarmente. Risposi quindi, pur ringraziando per l’invito, che una mia visita sarebbe stata inutile in quanto altri e non io aveva la competenza necessaria a rendesi conto di quel che avveniva.
Negli anni successivi ho continuato a ricevere le pubblicazioni dell’Ilva che magnificano lo sforzo compiuto dalla società per riparare il danno già fatto, prima ancora che dall’Ilva dall’Italsider industria di Stato, ed allora in forma effettivamente anche più violenta.
Tutti erano convinti quindi, salvo pochi, che l’opera di risanamento procedesse ma poi si è visto cosa avveniva…
Di giorno l’Ilva rispettava i limiti stabiliti per le emissioni inquinanti, di notte al riparo da occhi indiscreti, recuperava alacremente e riversava nell’atmosfera fumi inquinanti ben oltre i limiti che si era impegnata a rispettare.
E’ quanto si legge nell’ordinanza che ha disposto il sequestro dello stabilimento… è quanto i carabinieri –si sa che i carabinieri sono indiscreti e curiosi e non si fermano alle apparenze…- pazientemente hanno accertato e documentato anche con fotografie…
Ha scritto l’avvocato generale di Taranto Saltalamacchia che le contestazioni formulate contro gli attuali imputati devono considerarsi, nell’attuale fase processuale, inoppugnabili.
Esse sono fondate su due perizie acquisite in sede di incidente probatorio nell’ambito del quale nulla è stato concretamente obiettato dalla difesa dell’Ilva sul piano tecnico–scientifico dal momento che gli indagati non si sono avvalsi di propri consulenti né hanno in altro modo contrastato le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti del pubblico ministero, una –lo precisa il procuratore Sebastio- concernente lo stato delle emissioni inquinanti provenienti dall’Ilva e l’altra concernente gli effetti di tipo sanitario sui dipendenti operante all’interno dello stabilimento e sulla popolazione del vicinissimo centro abitato.
E’ dato quindi da ritenere provata, almeno allo stato, una situazione di pericolo gravissimo ed incombente, che riguarda vita e salute dei singoli ed il medesimo ambiente.
Con grande sofferenza, sono sicuro, i giudici di Taranto (ai quali –particolarmente al gip Patrizia Todisco– voglio dare atto pubblicamente della serietà con la quale hanno svolto il loro lavoro, senza protagonismi ed anzi col massimo riserbo, senza fughe in avanti ma con la necessaria fermezza) con grande sofferenza dunque, per la drammaticità della situazione che si sarebbe determinata, i giudici di Taranto sono venuti nella determinazione di sequestrare lo stabilimento e di vietarne l’attività, disponendo al contempo misure cautelari a carico dei responsabili con imputazioni gravissime quali disastro doloso e/o colposo, avvelenamento di sostanze destinate all’alimentazione (che avrebbe potuto comportare l’abbattimento di intere greggi di ovini, la distruzione di ingenti quantitativi di mitili allevati nel locale mar piccolo, il pericolo di gravi danni alla salute di un numero indeterminato di persone).
Le polemiche che ne sono seguite sono note a tutti. Non è stata cosa da niente bloccare l’attività di uno stabilimento che per l’economia di Taranto è molto di più di quanto non lo sia la Fiat a Torino; e non è stata decisione che può essere stata presa a cuor leggero.
E’ vero. Può avere anche ragione il ministro Passera a definire irreparabile, con un aggettivo così radicale, il danno che deriverebbe non solo a Taranto, ma forse all’intera economia nazionale, dal blocco definitivo dell’attività dello stabilimento. Ma un danno irreparabile purtroppo si è già verificato e sono i morti, i malati di tumore e di leucemia che hanno funestato finora un’intera città.
So che vorrà intervenire su questo tema e quindi lascio al procuratore generale la possibilità di dire tutto quello che c’è da dire sull’argomento: lui per il suo ruolo, non io, potrà essere più esplicito quanto al conflitto che si è creato fra poteri dello Stato perché ancora una volta la magistratura si è trovata da sola a dover far fronte ad un problema di proporzioni enormi, che altri con la sua indifferenza e negligenza ha lasciato ingigantire.
Io voglio solo augurarmi che la comunità di Taranto sappia trovare la sua unità, intorno a questo problema; che si renda conto quanto sia assurdo contrapporre il diritto al lavoro al diritto alla salute, di quanto cinismo ci sia nello slogan che è stato gridato nelle piazze secondo cui di tumore si potrà morire in futuro ma con la perdita del lavoro si può morire subito. I cittadini di Taranto hanno diritto di lavorare e di non vedere sacrificato oltre il diritto dei loro figli di crescere in un ambiente sicuro per la loro salute.
Per questo la politica fin qui praticata del ricatto occupazionale deve essere contrastata con forza e solo l’unità di tutti i cittadini di Taranto, senza contrapposizioni, fomentate da chi ha interesse a che tutto rimanga come prima, può raggiungere questo risultato… ci vuole unità, perché l’avversario è forte anche se non invincibile, è forte perché è riuscito a farsi fare in brevissimo tempo una legge che ha bloccato per ora, fino a quando la Corte Costituzionale non si sarà pronunciata sulla sua legittimità, l’azione dei giudici; una legge che, nonostante il dichiarato fine di disciplinare tutte le situazioni identiche (è terribile pensare che purtroppo in Italia ci possano essere tanti altri casi Ilva), è niente più che una legge ad aziendam, che si colloca nella scia delle leggi ad personam inaugurata negli ultimi venti anni in Italia; una legge che riconsegna lo stabilimento a coloro che fingevano di rispettare le regole di giorno e continuavano ad inquinare di notte; a coloro che ogni giorno alzano il livello dello scontro, assumendo, come dice Saltalamacchia, un vero e proprio atteggiamento di sfida, e nonostante tutto, pur dicendosi garanti del loro posto di lavoro, continuano in realtà a tenere inattivi i lavoratori dello stabilimento e a minacciare cassa integrazione e licenziamenti; una legge che, consentendo, nonostante il sequestro, la prosecuzione dell’attività produttiva e la commercializzazione dei prodotti, permette esattamente ciò che il sequestro voleva impedire, neutralizzando tra l’altro l’intervento del magistrato perfino nel caso in cui l’azienda non dovesse uniformarsi alle prescrizioni dell’autorizzazione di impatto ambientale poiché in tal caso è prevista solo una sanzione amministrativa che spetta al prefetto irrogare.
Non ha torto allora Vladimiro Zagrebelski quando, nel ricordare quale sia il fondamento delle democrazie costituzionali moderne, afferma, con le parole della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che “una società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”.
Ai cittadini di Taranto che hanno iniziato questo nuovo anno in una situazione di oggettiva difficoltà, l’augurio che le istituzioni dello Stato sappiano essere al loro fianco per garantirgli un futuro di serenità. Sappiano che la magistratura sarà al loro fianco e farà fino in fondo il suo dovere di presidio della legalità, che non si arresterà di fronte ad un decreto che sembra privilegiare solo le ragioni dell’impresa, autorizzata a continuare a produrre, senza una immediata rimozione delle fonti di inquinamento, in una situazione di attuale e concreto pericolo, che non può essere eliminata per decreto.
E non potrà essere dimenticato quanto ha affermato Annibale Biggeri uno dei periti, un’autorità nel campo dell’oncologia: “Conoscevo già la realtà di Taranto. Ma del nostro lavoro che è andato avanti per un anno, mi ha colpito la chiarezza con la quale sono emersi gli effetti dannosi per la salute e la possibilità di evidenziare i rioni in cui gli inquinanti incidono in maniera più drammatica. Abbiamo analizzato la storia clinica degli abitanti di Taranto negli ultimi tredici anni. Si è evidenziato che all’incremento di pm10 industriale corrisponde un aumento della frequenza di ricoveri e di decessi. E abbiamo notato che il picco di ricoveri e l’eccesso di mortalità per patologie riconducibili alle emissioni di polveri industriali si acuisce nel rione Tamburi e nel Borgo ovviamente i più vicini agli impianti con un caso di tumore ogni tre mesi. Stesso discorso per il quartiere Paolo VI dove risiedono molti operai dello stabilimento siderurgico.”
L’idea che qualcuno possa avere affermato, come sembrerebbe, che queste morti non contano nulla di fronte alle esigenze della produzione, è un’idea che atterrisce.