Era fatale che accadesse. Era fatale che nella temperie culturale (si fa per dire) di questo 2018 l’idea del sorteggio dei candidati al Csm, da anni confinata nelle mailing list dei magistrati o comunque in ristretti ambiti dialettici, prendesse piede nel più ampio discorso politico, sino a trovare più spazio che in passato sui media e negli interventi di qualche politico o professore, sino ad essere favorevolmente ripresa dal Ministro di giustizia in carica.
L’idea di sorteggiare se non gli eletti almeno i candidati al Csm appare infatti del tutto coerente alla ormai diffusa avversione sia verso le competenze tecniche in quanto tali (viste come generatrici di “caste”) sia verso lo stesso concetto di “rappresentanza politica”.
La riforma è da anni propugnata dai suoi assertori sempre e solo con un solo dichiarato obiettivo politico diretto, costi quel che costi in termini di “effetti collaterali”: cancellare quella che viene chiamata la “politicizzazione del Csm” (espressione di sintesi per indicare gli assunti collateralismi diretti che vi sarebbero tra correnti in magistratura e partiti e fazioni parlamentari), operare tale cancellazione tramite la distruzione delle “correnti” dell’associazionismo giudiziario viste come sentina di ogni male e principio ed origine di ogni problema della giustizia, dovesse pure costare la riduzione del ruolo e del peso istituzionale del Consiglio, e la diffusione della malaria. Si vuole il sorteggio per abolire la mediazione e la rappresentanza dei gruppi nel rapporto del singolo magistrato con l’istituzione Consiglio. Con l’idea basica, sempre ribadita, per cui al Consiglio non si farebbe altro che applicare pedissequamente norme di immediata interpretazione, con il corollario che «ogni magistrato, professionista che dà ergastoli e sequestra per milioni di euro» sarebbe perfettamente in grado se sorteggiato di fare il consigliere superiore da un giorno all’altro.
Siamo ad inizio legislatura, e per una riforma ci sono i tempi tecnici.
In un clima politico che vede una grande accelerazione del tentativo di accantonare e superare non solo le istituzioni ma l’intera cultura politica dello Stato costituzionale di diritto, ritenuto un residuo novecentesco da buttare perché di ostacolo alle magnifiche sorti e progressive della democrazia diretta, la situazione è quindi molto pericolosa, per lo statuto costituzionale del Csm, e richiede, da parte della magistratura associata, una risposta forte, decisa, e quindi necessariamente unitaria.
La difesa degli assetti costituzionali della giurisdizione deve essere, come si dice in questi casi, “senza se e senza ma”. E appunto unitaria, per non offrire sponde e teste di ponte al fronte favorevole al sorteggio, per dimostrare che il Ministro non è stato bene informato di ciò che davvero si pensa in magistratura, quando ha dichiarato che la riforma del sorteggio avrebbe “l’approvazione di tanti magistrati”.
L’Anm e le sue componenti devono fare fronte, come bene ha iniziato a fare nelle scorse settimane con pubbliche uscite della Gec e del presidente Francesco Minisci, che hanno ribadito la posizione dell’Associazione, da sempre contraria.
La linea non può che essere: discutiamo della legge elettorale e del modo migliore di riformarla tenuto conto di quelle che sono le funzioni ed il ruolo del Consiglio, lasciamo ogni forma di sorteggio fuori della porta.
Con l’opinione pubblica, e con tutte le forze politiche, si tratta, come sempre, e come sempre ha saputo fare la nostra Associazione anche nei momenti più difficili, di mettere in campo argomenti razionali e leggibili, di evidenziare vantaggi e danni delle diverse soluzioni, mai da un punto di vista corporativo ma sempre dal punto di vista dell’interesse del cittadino ad una giustizia autonoma ed indipendente.
Gli argomenti che militano contro il sorteggio anche solo dei candidati al Csm, sono noti.
Non si può dire nulla di nuovo.
Di essi è possibile solo fare una sorta di grande ricapitolazione. Osservandosi come i fautori del sorteggio ne parlino e ne ragionino (anche qui, secondo il costume dei tempi che viviamo) come se la loro fosse una novità assoluta, una geniale trovata, come se si partisse da zero, e come se sul miglior sistema elettorale per il Csm − come tutti i temi di ordinamento giudiziario: di elevata sofisticazione culturale ed istituzionale – non esistesse una letteratura molto ampia e di altissimo livello, che forse andrebbe almeno scorsa, prima di presentare pubblicamente come primizie proposte vecchie di decenni, spesso anche con argomenti giuridicamente sgrammaticati (si è così potuto leggere, ad esempio, che l’esistenza di forme, termini e requisiti per la presentazione delle candidature dimostrerebbe che non esiste un elettorato passivo esteso a tutti; o che “il sorteggio è il migliore dei sistemi elettivi”, sic).
Di certo, non si tratta di argomenti da 164 caratteri.
Dunque, più o meno in ordine:
1) il sorteggio anche solo dei candidati (e non dei componenti al Csm) è innanzitutto radicalmente incostituzionale (ce lo aveva chiaro persino il repubblichino e fascista Giorgio Almirante, firmatario nel 1971 della prima proposta di sorteggio, appunto una proposta di legge costituzionale): e non solo e non tanto per il dato letterale per cui l’art. 104 Cost. parla di membri «elettivi» e di «componenti» «eletti da tutti i magistrati ordinari» (non tra pre-sorteggiati o in altro modo pre-selezionati, ma) «tra gli appartenenti alle varie categorie» e quindi senza eccezioni o limitazioni al diritto di elettorato passivo (che non potrà mai avere un equipollente nel diritto ad essere sorteggiati), ma perché la Costituzione, istituendo a baluardo dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura un consesso presieduto dal Presidente della Repubblica e raccordato agli altri organi costituzionali e al circuito del consenso mediante la previsione di componenti eletti dal Parlamento, ne fa intrinsecamente e pacificamente non un consiglio di amministrazione burocratica del personale (del genere presente in ogni ministero) ma un organo di rilievo costituzionale di governo autonomo della magistratura nelle materie assegnategli (un tempo di competenza dell’Esecutivo) altrettanto intrinsecamente fondato sulla rappresentatività politico-istituzionale degli eletti tutti, togati e non togati, che non potrà mai essere lesa dall’introduzione, anche solo nella procedura di selezione dei candidati, da un fattore aleatorio;
2) il Csm, con le attuali attribuzioni, non è e non potrà mai essere il “Consiglio di amministrazione del personale di magistratura”, come si vorrebbe che sia già ora: è titolare di funzioni normative secondarie, e non vi è del resto soluzione a questioni inerenti «le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati» (art. 105 Cost.) che non sottenda scelte tra opzioni politico-culturali diverse ed a volte opposte (e lo stesso evidentemente accade per le nomine a incarichi direttivi e semidirettivi, per le tabelle ed in generale per l’organizzazione degli uffici, per l’assegnazione degli affari, per il rapporto procuratore/sostituti, per lo status dei magistrati, per le fonti di conoscenza delle valutazioni, etc. etc.): ed è questa la ragione sostanziale della prevista rappresentatività dei componenti del Consiglio: al singolo magistrato deve essere dato, e viene dato dalla Costituzione, di partecipare e di scegliere su ampio spettro chi “rappresenta” meglio le sue idee e posizioni; ed è quindi fisiologico che, parafrasando l’art. 49 Cost., il magistrato abbia diritto di associarsi in correnti per concorrere a determinare la politica dell’autogoverno, così come è avvenuto con l’associazionismo giudiziario negli ultimi decenni; in tal senso, la proposta del sorteggio è in sé un insulto ai magistrati e alla loro storia associativa, alla loro capacità di autodeterminarsi e di scegliersi i propri rappresentanti, ed è culturalmente regressiva, rinnegando decenni di pluralismo associativo, e non riconoscendo l’importanza che tale pluralismo ha avuto per la crescita complessiva della magistratura e per la qualità della giurisdizione;
3) che l’autogoverno non funzioni come dovrebbe, che le correnti spesso facciano altro che non elaborazione politico-culturale è un fatto, come è un fatto che nella più ampia politica sono in crisi Parlamento e organi rappresentativi locali, e partiti, senza che ciò possa essere una buona ragione per vietare i partiti e abolire il Parlamento (o prevederne l’elezione tra candidati sorteggiati); le istituzioni democratiche vanno migliorate, non distrutte; tutti siamo chiamati a migliorare il governo autonomo, e criticarne le degenerazioni è legittimo e sacrosanto, ma deve essere chiaro che distruggere il Csm è distruggere la nostra casa, e non una “controparte datoriale”: perché in Costituzione il Csm è la nostra casa, è la magistratura che si propone agli altri organi costituzionali nella risoluzione autonoma ed indipendente dei problemi della giurisdizione. Distrutto l’autogoverno, c’è l’eterogoverno, e grande è la responsabilità storica di chi, con il sorteggio, sta giocando con il fuoco;
4) una legge che prevedesse di sorteggiare anche solo i candidati al Csm danneggerebbe e non di poco la rappresentatività del Consiglio, che perderebbe peso e molto più facilmente potrebbe appunto essere ridotto (magari con ulteriori riforme) a ufficio del personale della magistratura italiana, con riduzione del suo “protagonismo” istituzionale (vecchio sogno delle destre di sempre, di Licio Gelli, del Cossiga delle sue quirinalizie “picconate” alla Costituzione, di una certa cultura giuridica): con i togati selezionati anche per sorteggio è ragionevole prevedere che sarebbe di fatto egemonizzato dai componenti eletti dal Parlamento, che invece manterrebbero piena la loro rappresentatività;
5) una legge che prevedesse di sorteggiare anche solo i candidati al Csm sarebbe una pubblica umiliazione per la magistratura, un danno irreparabile alla sua pubblica legittimazione: il messaggio all’opinione pubblica sarebbe «non siete in grado di selezionare liberamente e democraticamente i vostri candidati, siete incapaci di gestire la vostra democrazia interna, vi mettiamo sotto tutela, ve li sorteggiamo»: i magistrati ne perderebbero tutti di pubblica legittimazione anche sul lavoro, e che a proporre una simile pubblica mortificazione della categoria siano dei magistrati, che siano dei magistrati a proporre la sostituzione del diritto di scegliere e proporsi con quello di essere il numeretto di una riffa in cui si perde comunque mette, come ha ben detto Marco Patarnello, profonda tristezza e malinconia, ed appare francamente incredibile, come è incredibile che venga da magistrati la proposta di amputare le prerogative del singolo consigliere abolendo l’immunità che attualmente assiste le sue funzioni;
6) sostenere che qualunque magistrato potrebbe essere da un giorno all’altro un buon consigliere Csm «visto che nel quotidiano distribuisce ergastoli e sequestra milioni e si tratta solo di applicare leggi e circolari» è argomento semplicemente tanto risibile e davvero ideologico quanto coerente allo spirito dei tempi, che culturalmente ricorda il mito della cuoca di Lenin che potrebbe dirigere lo Stato o la scelta di ministri e parlamentari con un sondaggio sul web, perché tanto tutti possono fare tutto: tutti noi sappiamo bene di non essere capaci di fare tutto, e i consiglieri Csm a legislazione invariata non sono e non potranno mai essere solo dei funzionari chiamati a risolvere questioni burocratiche con pressoché automatica applicazione di norme; è una banalità rilevare che non sono chiamati solo ad applicare pedissequamente norme di facile applicazione, come si vorrebbe, ma anche a crearle, con circolari che spesso sono il cuore delle discipline di ordinamento giudiziario, che sono chiamati a prevedere progetti per l’organizzazione degli uffici, direttive per la Scuola ed in generale per la formazione dei magistrati, prospettive di riforma, a dare pareri su disegni di legge, a disegnare i termini della professionalità (del “buon giudice”, del “buon dirigente”), che sono chiamati a prevedere i confini di istituti quali l’art. 2 Legge Guarentigie, a trattare le pratiche a tutela contribuendo a costruire regole deontologiche, che sono chiamati a rappresentare il Consiglio nei rapporti con altre istituzioni italiane, dell’Ue, estere, ad avere singolarmente le più disparate relazioni istituzionali, che sono chiamati a gestire la comunicazione interna ed esterna del Consiglio. Come per ogni professionalità, accanto ad uno specifico “sapere” e ad uno specifico “saper fare” serve uno specifico complesso “saper essere”, che non tutti i consiglieri dimostrano di avere, anche ora. Serve una formazione specifica. E così, è lo studio teorico dell’ordinamento giudizario e la pratica e soprattutto l’esperienza che si può fare per anni nei gruppi, in Anm, negli uffici, nei Consigli giudiziari, nella Scuola, nel “lavoro sociale” in magistratura, in un confronto pluralistico con chi non la pensa come te (aperto ad università e avvocatura), insieme all’attitudine tutta politica a controdedurre, a mediare e poi a scegliere, che possono “costruire” un buon consigliere parte di un Consiglio forte, non la sorte che costringe a scegliere tra il pm di Roccapietrina e il giudice di Topolinia, selezionati dal caso, magari ottimi magistrati ma persone che per ventura possono essersi costruiti negli anni un profilo non minore, ma semplicemente diverso, più idoneo ad altri incarichi;
7) la perdita di rappresentatività della magistratura discenderebbe per il Consiglio anche dal fatto che ove il sorteggio dei candidati riuscisse davvero a spezzare ogni rapporto tra consigliere e corrente, al suo interno si formerebbero maggioranze casuali e in ogni caso, appunto, non rappresentative di quelli che, in un dato momento, sono gli orientamenti presenti tra i magistrati; di più: i gruppi, non più proponenti dei candidati e come ora politicamente pienamente responsabili agli occhi dei magistrati-elettori dell’operato dei loro consiglieri ma ridotte al ruolo di semplici king makers potrebbero avere gioco facile nel sottrarsi, a giorni alterni, dalla responsabilità delle scelte prese in Consiglio, a quel punto organo balcanizzato ed in cui sarebbe certamente più difficile costruire maggioranze su scelte di straordinaria amministrazione;
8) l’affermazione, da parte dei fautori della riforma, per cui con il sorteggio, spezzato il circuito del consenso ed il legame tra eletti a mezzo delle correnti ed elettori, sparirerebbero magicamente e in automatico pratiche clientelari, spartizioni lottizzatorie di incarichi e disfunzioni varie derivanti dall’attuale aborrito legame di rappresentanza politica (in senso lato) è tesi del tutto apodittica, ingenua nella fiducia riposta nelle riforme elettorali, e che non tiene minimamente conto del dato di esperienza, che evidenzia a chiunque frequenti le nostre stanze come dietro quelle disfunzioni (se non altro perché presenti da sempre con ogni più diversa legge elettorale) non vi sia, quale causa prima, il sistema di voto bensì l’ambizione dei singoli e il conseguente carrierismo che ci corrode come categoria, con cadute di deontologia e di professionalità anche dei consiglieri superiori. Non vi è sistema elettorale che possa vincere da solo i fattori umani, professionali, culturali che sono dietro il clientelismo e il carrierismo in magistratura e che si riproporrebbero fatalmente intorno ai candidati sorteggiati. Per cancellare certe prassi serve non una riforma elettorale ma una vera e propria rivoluzione culturale che inveri innanzitutto nella testa dei magistrati il principio che si distinguono tra loro solo per le funzioni, e servono “azioni positive”, nuove regole sul numero degli incarichi, sul ruolo dei dirigenti, sul modo di nominarli e revocarli (non abolendo ma meglio regolamentando la discrezionalità amministrativa), “azioni positive”, per rimanere sul piano elettorale, e a legislazione invariata, come lo sono state le primarie dei gruppi tenute in Anm nel 2014 e tenute da AreaDG ancora per le elezioni 2018, volte a restituire ai colleghi quel potere di selezionare i candidati che la pessima legge del 2002 ha consegnato alle segreterie delle correnti;
9) il consigliere superiore, ove davvero eletto prima perché selezionato dal sorteggio e poi perché votato al di fuori di ogni indicazione di corrente sarebbe una monade svincolata da ogni responsabilità politica e di gruppo, senza retroterra e senza punti di riferimento pubblici e potrebbe rapidamente diventare il terminale di una lobby personale, di una rete di relazioni che non facendo capo, in chiaro, ad un riconoscibile e visibile gruppo associativo bensì alla sua persona e/o ai suoi amici e/o al suo territorio e/o a notabilati locali e/o a gruppi di pressione di categoria (dei pm, dei gip, etc. etc.), sarebbe molto più opaca, molto meno leggibile nelle scelte operate nel quotidiano della vita consiliare dell’attuale consigliere “di corrente”: in una parola, anche meno controllabile; è questo che si vuole, un Csm in mano a dei battitori liberi irresponsabili, a delle schegge in ipotesi impazzite, che decidono di volta in volta, di voto in voto, senza l’obbligo di dover almeno tentare di porre in essere una linea coerente, leggibile in termini di valori? E quanto questi problemi sarebbero ingigantiti, ove il consigliere superiore dimostrasse anche di non avere la capacità di sostenere il ruolo, di essere un dilettante allo sbaraglio, o un esaltato attento solo a prepararsi futuri ulteriori incarichi?
Insomma, un disastro.
Ma la peculiarità dell’introduzione del sorteggio dei candidati è che trattasi di riforma tanto comunque dannosa per il Csm, per il peso ed il protagonismo istituzionale della magistratura, per i singoli magistrati e la loro legittimazione, tanto comunque in grado di impoverire l’autogoverno, di indebolirci e rimpicciolirci tutti, quanto sostanzialmente inutile all’obiettivo perseguito di distruggere il (vero o a volte presunto) potere delle correnti.
A legge per il resto invariata, le correnti, private della facoltà di scegliersi i candidati in assoluto, non sarebbero però private della facoltà di scegliere, tra i sorteggiati, magari anche del singolo gruppo, i candidati su cui fare blocco, esattamente come ora, per evitare dispersione di voti, e per garantirsi un certo numero di eletti. Candidati che rispetto agli altri sorteggiati, esattamente come oggi, avrebbero il vantaggio, rispetto agli altri, di poter contare sulla macchina elettorale dei gruppi. Inoltre, essendo i candidati complessivamente molti di più di quelli che sono ora, il voto individuale, non organizzato ed estraneo alle indicazioni dei gruppi, si disperderebbe fatalmente tra un numero elevato di candidati (anche, perché no, appartenenti alle correnti: per legami amicali, territoriali, di ufficio, etc.), molto di più di quanto non avverrebbe nel voto organizzato (il tutto naturalmente salvo che il voto estraneo alle correnti non si organizzi a sua volta a fare blocco su qualche nominativo: «È la rappresentanza politica, bellezza...e non puoi farci niente...»).
In sintesi. È vero: il sorteggio dei candidati di sicuro spezzerebbe le aspettative di chi con percorso individuale più o meno dichiarato prepara la candidatura per anni se non per decenni, si vedrebbero cadere delle teste, e forse è questo l’inconfessabile vero obiettivo delle nostre numerose e sanguinarie tricoteuse da mailing list.
Ma non spezzerebbe il legame Csm-correnti.
Il sistema, è vero, porterebbe tendenzialmente al Consiglio componenti che non hanno dovuto “lavorare” per anni alla candidatura, che non hanno dovuto cercare il consenso, ma che sono stati catapultati in poche settimane in una esperienza ed in una dimensione che non avrebbero mai previsto, e in questo si troverebbero in una condizione forse più “libera”, almeno in partenza, rispetto a chi li ha alla fine, dopo il sorteggio, votati. Ma sarebbero pur sempre scelti ed eletti dalla corrente, almeno nella maggioranza. E rapidamente potrebbero avere “bisogno” del gruppo: senza, salvo eccezioni, quella “formazione” necessaria a quelle peculiari e complesse funzioni, al gruppo con ogni probabilità si troverebbero a doversi appoggiare, nel difficile lavoro di ogni giorno.
La verità pura e semplice, cui i fautori del sorteggio non si vogliono rassegnare, è che in generale nessuna riforma elettorale, nessun nuovo sistema elettorale potrà mai eliminare il ruolo e le funzioni dei “corpi intermedi” rappresentativi di una comunità, finché tali corpi abbiano un effettivo radicamento, finché i componenti di quella comunità ne riconoscano la funzione e l’utilità, e si riconoscano negli stessi. E che la magistratura non sfugge, come comunità, a questa regola, dimostrata dalla storia dei sistemi politici democratici. Come dimostra anche la storia delle riforme elettorali dichiaratamente approvate per ridurre il peso delle correnti – oltre alla attuale legge 44 del 2002, almeno la legge 12.4.1990 n. 74 – l’eliminazione dell’influenza delle correnti sulle elezioni per il Csm non potrà realizzarsi finché il ruolo delle correnti ed il modo di organizzazione del consenso che esse complessivamente integrano continueranno a raccogliere il consenso e la sostanziale fiducia della stragrande maggioranza dei magistrati. Come è avvenuto ancora alle elezioni del luglio 2018.
Ancora, la verità pura e semplice è che accade ora ciò che è già accaduto in passato: che si cerca nella legge elettorale la soluzione taumaturgica alle criticità che investono il funzionamento del Consiglio superiore. Criticità che nessuno nega, che forse si deve riconoscere le correnti stanno tardando ad affrontare, ma che vanno affrontate in sede propria, che si tratti delle nomine dei direttivi e semidirettivi ed in generale degli incarichi ambiti, del disciplinare, dell’ottemperanza ai giudicati amministrativi o di qualsivoglia altro ambito dell’attività consiliare. E non nella ricerca di un sistema elettorale capace di eliminare quel pluralismo ideale che da decenni, dell’attività consiliare, come del nostro associazionismo, è stato ed è il maggiore fattore di crescita.
Discutiamo di tutto, allora, anche di come riformare l’attuale pessima legge elettorale. Tenendo conto che per il Consiglio non si pone un problema di governabilità, e di meccanismi elettorali che garantiscano una maggioranza. Che la legge buona per il Consiglio è quella che garantisce meglio la sua rappresentatività del pluralismo culturale che c’è in magistratura, e che evita eccessivi localismi, dal momento che la risoluzione dei problemi della giustizia non può mai perdere una prospettiva complessiva e nazionale.
Discutiamo della legge, nella comune casa Anm e con l’Anm (tuttora: il nostro migliore strumento). Senza pensare a scorciatoie, come quella del sorteggio, che, oltretutto, proposte da magistrati, manifestando la volontà di rinunciare alla democrazia interna e ai propri individuali diritti hanno il cattivo sapore di un inutile pubblico suicidio di categoria, di un collettivo cupio dissolvi.