1. Il dirigente, il giudice e le tabelle
La vicenda con cui vogliamo inaugurare questa nuova Rubrica, da utilizzare dunque per “smuovere” le acque dello stagno e spingere i nostri lettori alla riflessione su temi di generale interesse, nasce come segnalazione da parte di una giudice per le indagini preliminari del tribunale di Torino al Consiglio Superiore della Magistratura per una pretesa violazione dei criteri di assegnazione degli affari da parte del dirigente. Ha sostenuto infatti la magistrata essere avvenuta in difformità dai criteri tabellari l’assegnazione di un fascicolo contenente una richiesta di intercettazioni telefoniche, che sarebbe risultato “collegato” ad altro già in precedenza assegnato all’esponente, procedimento nell’ambito del quale erano state disposte non solo intercettazioni telefoniche, ma anche misure cautelari.
La richiesta da lei diretta al Presidente della Sezione GIP di visione del nuovo fascicolo era stata respinta, dal momento che si riteneva non sussistere nella fattispecie l’ipotesi del “collegamento”: nell’assegnazione era stato pertanto seguito il criterio formalizzato nelle tabelle, ossia l’attribuzione al giudice di turno per l’assegnazione delle richieste di intercettazioni nella giornata di arrivo della richiesta del P.M.
L’esposto richiamava in particolare l’art. 54 della Circolare sulle tabelle (art. 54. Assegnazione degli affari nell’ufficio GIP/GUP. …54.2.- Nel determinare i criteri, obbiettivi e predeterminati, per l’assegnazione degli affari penali si stabilirà la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice, di tutti gli interessi probatori e di tutti i provvedimenti relativi allo stesso procedimento, salvo eventuali incompatibilità). Si appellava inoltre al criterio come riportato in un verbale di riunione d’ufficio, in cui il Presidente aveva affermato che la regola tabellare del collegamento aveva “sempre una sua ratio anche se talvolta il collegamento è meramente occasionale, come accade quando gli stralci riguardano reati attinenti a vicende completamente diverse da quelle oggetto del procedimento principale”. La dichiarazione del dirigente nella specie aveva puntualizzato che “per esigenze di razionalità nell’utilizzo delle risorse umane” era comunque opportuno che lo stralcio venisse assegnato al medesimo giudice del procedimento principale.
Ritenendo di avere subito in questo caso la sottrazione del fascicolo dato che “per la prima volta e al di fuori di qualunque criterio tabellare in un procedimento nell’ambito del quale è stata chiesta una nuova intercettazione il collegamento è stato escluso”, adducendosi tra l’altro ragioni quali il fatto che in quello originario erano già stati emessi gli avvisi ex art. 415 bis c.p.p. e che i fatti emersi erano risultati solo analoghi e relativi a contesti diversi, la G.I.P. ha corredato questo suo esposto di una ulteriore vicenda, secondo cui dai giornali aveva appreso dell’avvenuta archiviazione da parte di una collega della Sezione della posizione di un indagato del procedimento originario, di cui era assegnataria. Alla sua segnalazione, il Presidente aveva risposto essersi trattato di un errore nell’assegnazione del turno relativo alle archiviazioni.
Insomma, una vicenda delicata, in cui si ipotizzava, senza allusioni, la volontà di un dirigente dell’Ufficio di sottrarre al giudice naturale precostituito per tabella, o quantomeno per prassi, un fascicolo delicato, in materia di reati contro la P.A., escludendo a tal fine l’applicazione di una regola che trovava automatica ed indifferenziata applicazione all’interno dell’Ufficio.
2. Il parere del Presidente del Tribunale
A seguito dell’esposto, il CSM ha interpellato il Presidente del Tribunale, che a stretto giro ha riportato al Consiglio quanto a lui riferito dal Procuratore della Repubblica che, evidenziata la doverosa segretazione del fascicolo “per ragioni di cautela investigativa”, si era limitato a riferire trattarsi di fatti oggetto di autonoma comunicazione di notizia di reato, originata da notizie apprese confidenzialmente dalla polizia giudiziaria, da acquisizioni documentali e da alcune intercettazioni svolte nel procedimento penale assegnato alla GIP esponente. “In ogni caso – concludeva il Procuratore – i fatti in esame non sono connessi a quelli per cui si è proceduto in quella sede, riguardano persone che non sono oggetto del citato avviso di conclusione delle indagini ed hanno ad oggetto una gara d’appalto bandita da soggetto pubblico del tutto diverso”.
A fronte di ciò, il Presidente ha espresso la sua convinzione a proposito del fatto per cui “l’unico punto di contatto tra i due procedimenti” era che il secondo filone d’indagine era emerso nel corso del procedimento “madre”; che dai criteri di assegnazione delle tabelle del Tribunale di Torino non risultava che il collegamento tra i procedimenti risultasse ufficialmente tra i criteri di assegnazione per quel che riguardava le intercettazioni. Tuttavia alla lettera “B-Criteri di distribuzione degli affari di competenza del GIP” (“b) Ciascun gip è inserito in un turno della durata di un giorno, previsto per le convalide degli arresti e dei fermi (c.d. “ turno arrestati e fermati”), ed in un turno, nel giorno immediatamente precedente, previsto – salve le eccezioni di seguito specificate – per tutte le richieste di provvedimenti da emettersi in procedimenti nei quali non figuri già un giudice assegnatario, ovvero il giudice assegnatario sia assente o impedito (cd. “turno liberi”). Le richieste di convalida di arresti e fermi non recano un formale provvedimento di assegnazione, ad eccezione di quelle relative a fatti – reato oggetto di fascicoli già assegnati ad un gip, oppure collegati ad essi: queste ultime, di regola, vengono esaminate e decise dal medesimo gip, previo formale provvedimento di assegnazione”) delle tabelle, risultava l’indicazione per cui al criterio del collegamento doveva darsi applicazione, anche per evitare che una indifferenziata assegnazione degli affari a rotazione secondo il turno giornaliero potesse dare luogo ad un numero eccesivo di situazioni di incompatibilità.
Nel caso di specie, il Presidente dell’Ufficio GIP a sua richiesta aveva altresì precisato che restava convinto dell’utilità e della razionalità del criterio del collegamento, ma che non era possibile invocarne, e pretenderne, una applicazione rigida ed automatica, stante il pericolo di una eccessiva “personalizzazione” in capo al GIP originariamente affidatario, sia nei confronti della persona dell’imputato, sia in relazione alla materia oggetto del procedimento, tale da generare in fatto una sorta di specializzazione del singolo al di fuori delle previsioni tabellari.
Preso atto di ciò, il Presidente del Tribunale ha escluso che nel caso di specie, potesse ricorrere l’ipotesi del collegamento tra procedimenti, anche alla luce del disposto dell’art. 371 co.2 lett. B, c.p.p. (“Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza”).
La situazione riscontrata, in cui nell’ambito delle indagini per determinati fatti nei confronti di altre persone erano emersi “spunti investigativi” per fatti del tutto diversi, non giustificava l’applicazione del criterio come delineato dalle considerazioni del dirigente Gip. Quanto poi all’episodio associato della assegnazione dell’archiviazione ad altro giudice della Sezione, il Presidente ha escluso che vi fossero elementi per ritenere che di altro si fosse trattato se non di errore in cui era caduta la cancelleria, deputata a verificare la sussistenza di ipotesi di connessione o di collegamento tra fascicoli. Il Presidente ha concluso pertanto escludendo ogni violazione dei criteri tabellari vigenti e dunque la sussistenza di ipotesi sussumibile sotto la previsione dell’art. 15 Circolare Tabelle.
3. Capita che…
Della vicenda è ben presto investito il Consiglio Giudiziario presso la Corte d’appello di Torino, raggiunto da una richiesta di audizione personale da parte della GIP autrice dell’esposto, a cui ovviamente procede in formazione allargata trattandosi di procedura che riguarda l’organizzazione dell’Ufficio. La GIP nel corso della sua audizione rafforza il proprio convincimento, giungendo ad affermare che a seguito dell’esame del fascicolo “sottratto”, a lei pervenuto per una proroga delle intercettazioni, si era convinta ormai non solo della sussistenza del collegamento con quello da lei originariamente trattato, ma addirittura della identità dei due procedimenti in questione. Viene sentito anche il diretto interessato Presidente della Sezione Gip. Viene inoltrata alla Procura della Repubblica una richiesta di informativa, a cui si oppone nuovamente il segreto di indagine: si procede allora ad interpello mirato, volto ad ottenere notizie sulla identità almeno parziale degli indagati tra i due procedimenti, sui titoli di reato, sulle utenze telefoniche oggetto di intercettazione, sui motivi addotti dal PM sulla mancata sussistenza di connessione o di collegamento fra i due procedimenti.
Si pretende addirittura l’astensione dalla discussione di uno dei membri togati del CG, essendo egli il PM titolare dell’indagine autore della richiesta di intercettazioni in cui si era escluso il collegamento. Si ipotizza, e nei fatti si attua, una autonoma valutazione a proposito della sussistenza del collegamento tra procedimenti, o anzi della loro identità, secondo il convincimento espresso dall’autrice dell’esposto. Insomma, un “processo parallelo” che perde presto di vista il nucleo reale del fatto: il Presidente dei GIP ha delibato in sede di assegnazione la richiesta proveniente dal PM, ed in relazione alla stessa ha applicato puntualmente il criterio ufficiale previsto dalle tabelle.
La discussione all’interno del Consiglio Giudiziario assume però da subito una linea ferrea: le tabelle sono presidio della indipendenza del singolo magistrato (e ci mancherebbe…), se se ne pretende la vincolatività occorre che la stessa valga sempre e comunque, evitando ogni arbitrio da parte del dirigente; nel caso in questione occorreva prescindere dalle valutazioni e dalle scelte processuali del PM, per entrare nel vivo dell’analisi del contenuto dei procedimenti e della definizione del legame tra gli stessi, sino ad affermare la ravvisabilità degli estremi dell’art. 270 c.p.p. (1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l'autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell'articolo 268 commi 6, 7 e 8.
3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate ), “ovvero della norma che tratta del tema di identità o meno del procedimento”. Il Consiglio Giudiziario non si fa scrupoli a proposito della possibilità di operare valutazioni in merito al contenuto dei due diversi procedimenti: e così, se uno stesso soggetto è indagato in due procedimenti per la stessa ipotesi di reato, ove gli elementi probatori sottesi alla nuova iscrizione fossero già raccolti nel fascicolo pendente, con identità di attività istruttoria, “posto che nel nuovo fascicolo si continuava l’attività di ascolto già in atto, sono allora elementi che indicano una sostanziale unitarietà di indagine e procedimento”. Dunque l’identità di procedimento o comunque la connessione esistente avrebbero dovuto comportare l’applicazione della regola tabellare dell’assegnazione del nuovo fascicolo al giudice già assegnatario della procedura madre: ciò tanto più a fronte della prassi in vigore di attribuire ampia rilevanza nell’assegnazione dei fascicoli anche solo al criterio del collegamento.
Questa la determinazione della maggioranza del CG, che non tiene in minimo conto le osservazioni della minoranza a proposito della reale portata delle previsioni in materia di tabelle, a partire dalla Circolare del CSM, che prevede che “La ripartizione del lavoro all’interno dell’ufficio deve mirare ad assicurare un giusto equilibrio tra le esigenze di specializzazione e di rotazione degli affari allo scopo di assicurare l’acquisizione di una professionalità comune a tutti i magistrati” e che nel determinare i criteri per l’assegnazione degli affari penali dovrà essere prevista la concentrazione solo “ove possibile” in capo allo stesso giudice di tutti gli incidenti probatori e di tutti i provvedimenti relativi allo stesso procedimento; che per quel che riguarda il tribunale di Torino, il criterio del collegamento può operare “di regola”, laddove non vi siano valutazioni (come quelle operate ed illustrate dal dirigente) diverse, che avevano portato – si sottolinea ancora – alla applicazione della regola generale valida in tema di intercettazioni, su cui nulla aveva avuto a che ridire lo stesso giudice assegnatario; che era irricevibile la pretesa del CG di porsi nella posizione del Presidente della Sezione GIP al momento della delibazione della richiesta di intercettazioni proveniente dal PM, al fine di sostituire la propria valutazione riguardante il merito dei processi sulla base di dati in parte ulteriormente acquisiti.
La cronaca non sarebbe sin qui completa, se non si desse atto del fatto che nel frattempo, si è liberato il posto di Presidente di Tribunale, e che il Presidente della Sezione GIP/GUP è uno degli aspiranti. Il parere del CG viene licenziato a novembre 2014 ed il 15 luglio 2015 si decide per la nomina del ruolo direttivo: nel corso della discussione viene fatto presente che a carico del candidato pende il procedimento per la pretesa violazione delle tabelle: e dunque il CSM nomina altro aspirante.
Solo con la delibera del 4 novembre successivo, la specifica vicenda davanti al Consiglio troverà fine.
4. Un (amaro) lieto fine
La delibera consiliare viene assunta all’unanimità, e sconfessa apertamente il giudizio della maggioranza del Consiglio Giudiziario. Innanzitutto, afferma il CSM, “la valutazione degli Organi di autogoverno non può riguardare i provvedimenti dei magistrati che integrano valutazioni inerenti l’attività giudiziaria ma deve limitarsi a verificare la conformità, con il sistema ordinamentale e tabellare, dei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente, eventualmente all’esito delle valutazioni di carattere giudiziario”. Il CG avrebbe potuto spingere la propria valutazione solo fino alla conformità, al sistema tabellare, dell’assegnazione ― secondo la regola c.d. del “turno liberi” ― di un procedimento ritenuto dal dirigente non collegato ad altri.
Decidere se si trattasse o meno di procedimento collegato, o addirittura, connesso o identico, costituisce valutazione di carattere squisitamente processuale, non demandata e non demandabile alla potestà dell’organo decentrato di autogoverno. Il giudice interessato avrebbe potuto al più sollecitare sul punto l’intervento del Presidente del Tribunale, che però aveva condiviso le valutazioni del dirigente. Anche a voler ritenere vigente, in via di prassi, la regola del collegamento tra procedimenti come criterio di distribuzione degli affari tra i giudici della sezione, il CSM non ha potuto far altro che osservare che “la richiesta di intercettazione proveniente dall’ufficio del pubblico ministero avrebbe potuto seguire soltanto la regola del giudice di turno, in quanto formalmente effettuata nell’ambito di un procedimento ancora “libero”, recante un numero di registro generale diverso da quello in trattazione presso la dott.ssa B., ed accompagnata da una nota del PM che ne evidenziava la mancanza di collegamento rispetto alle precedenti indagini, perché ormai concluse – anche formalmente con l’avviso ex art.415 bis c.p.p. – e comunque estranee a quel filone investigativo”.
Conclude il Consiglio affermando che per le assegnazioni di affari occorre “confrontarsi con regole scritte dettagliate, che consentano l’attribuzione motivata in relazione a criteri organizzativi e processuali certi (nel caso di specie, ad esempio, indicativi del tipo di connessione o di collegamento necessari all’attrazione del fascicolo al Gip di altro procedimento)”. Sì che nel caso di specie il dirigente non avrebbe potuto che fare quel che ha fatto, ossia, agire rispettando la regola. Nemmeno si occupa il CSM del secondo profilo dell’esposto, quello concernente l’assegnazione ad altro giudice dell’archiviazione, ritenuto questo da tutti – anche dal CG - frutto di mero errore di cancelleria.
Una breve chiosa a conclusione di una vicenda che può offrire vari spunti di riflessione (alcuni dei quali non edificanti).
L’assegnazione dei procedimenti è materia nevralgica e decisiva per la difesa del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge. A tal fine sono state disciplinate dalla normazione secondaria le regole tabellari a cui i dirigenti devono attenersi per dare conto del proprio operato. E’ giusto che al singolo magistrato che ravvisi una violazione ai criteri predeterminati sia messa a disposizione una procedura per far emergere detta violazione: ma questo nulla ha a che vedere con la pretesa di veder sostituire dall’autogoverno la valutazione di carattere meramente processuale a proposito dell’individuazione dei presupposti per l’applicazione della regola. Questo rappresenta una linea di spartiacque che non dovrebbe mai essere ignorata da chi della funzione di autogoverno è investito in rappresentanza dei colleghi: pena l’abnorme superamento del limite di ammissione del sindacato.
Ancora: la delibera unanime del CSM si viene ad aggiungere alla lunga schiera di valutazioni provenienti dai soggetti interni al procedimento (Presidente ed Aggiunto dell’Ufficio GIP, PM, Gip assegnatario) che hanno concordato nella doverosità dell’applicazione della regola tabellare per l’assegnazione del nuovo fascicolo. Un giudizio secco e pulito, che non lascia adito ad incertezze: e allora perché formalizzarlo solo dopo la decisione a proposito del concorso per il ruolo apicale a cui concorreva lo stesso Presidente Gip, decisione su cui la pendenza di questo esposto pure ha giocato?
Infine: in un momento come quello in cui stiamo vivendo, in cui l’autogoverno subisce continui attacchi (in parte strumentali) a partire dall’interno della magistratura, una sua gestione temperata, scevra da retrodisegni, rispettosa dei limiti istituzionali, sarebbe davvero la miglior garanzia per la sua difesa (e magari per il suo miglioramento). Soprattutto oggi che sulle scelte per i ruoli dirigenziali sono sotto l’occhio di tutti all’interno ed all’esterno dell’ordine giudiziario.
_______________________________________
Il Consiglio
Letta la nota, in data 09.04.2014, del Presidente della Corte d’Appello di Torino avente ad oggetto “Sezione Gip/Gup del Tribunale di Torino. Osservazioni della dott.ssa XXXXXXXXX, giudice addetto alla Sez. Gip/Gup, sui criteri adottati dal Presidente del Tribunale nell’assegnazione di procedimenti penali”, osserva quanto segue:
Con nota del 04.04.2014, indirizzata al Consiglio Superiore della Magistratura, la dott.ssa XXXXXXXXx, Gip presso il Tribunale di Torino, deduceva che il Presidente di Sezione dott. XXXXXXX, in difformità dai criteri di assegnazione tabellari, avesse assegnato ad un diverso GIP un'intercettazione telefonica relativa ad un procedimento collegato ad altro a lei già assegnato (r.g.n.r. n. 13551/11), nell’ambito del quale aveva disposto intercettazioni telefoniche per circa due anni ed in cui nell’ottobre 2013 aveva emesso ordinanze di custodia cautelare per reati contro la P.A. in relazione a diversi filoni d’indagine.
Con nota del 30.04.2015, trasmessa anche al Consiglio Superiore della Magistrtura, il Presidente del Tribunale XXXXXXXX rappresentava che le tabelle vigenti non prevedono che il collegamento tra procedimenti rientri tra i criteri di assegnazione per quanto riguarda le intercettazioni di cui all’art. 266 c.p.p. (lett. g dei criteri di assegnazione). E che tuttavia risultava che il criterio del collegamento è stato normalmente applicato anche per quanto concerne le intercettazioni di cui all’art. 266 c.p.p. in quanto, diversamente, assegnando le richieste a rotazione ai vari GIP di turno, vi sarebbe il rischio di impegnarne troppi, creando un numero eccessivo di situazioni d’incompatibilità. Osservava altresì che anche a ritenerlo vigente, perché applicato nella prassi, si tratta di criterio che, data la sua estrema i e portata, richiede un’applicazione prudente e limitata ai casi in cui trova applicazione la ratio sottesa al collegamento, evitare d’impegnare un nuovo giudice nella disamina di materiale investigativo e/o probatorio almeno in parte già conosciuto da altro giudice. Concludeva nel senso che il Presidente XXXXXXX, nel non assegnare alla XXXXXXXXX il procedimento nr. 7776/14 RGNR, non aveva violato i criteri tabellari vigenti presso il Tribunale di Torino La questione è stata affrontata dal Consiglio Giudiziario di Torino in numerose sedute, due delle quali dedicate anche all’audizione della dott.ssa XXXXX e del dottor XXXXXX.
Va, peraltro, precisato che nell’audizione di fronte al Consiglio Giudiziario, effettuata in data 30.09.2014, la dott.ssa XXXXX, alla luce dell’evoluzione della vicenda, non soltanto ha confermato le proprie osservazioni in merito alla violazione tabellare, ma ha concluso che non si potesse neanche parlare di mero collegamento tra i due procedimenti ma di vera e propria identità di procedimenti.
Nell’audizione del 14.10.2014, il Presidente XXXXXX ha confermato che dalla richiesta di intercettazione non emergeva un sufficiente collegamento con il precedente fascicolo che potesse “giustificare un’assegnazione in deroga alla regola del turno, che è l’unica tabellarmente formalizzata”. Il Presidente XXXXXXX ha, tuttavia, confermato che “il criterio del collegamento, se si ritiene sussistente, viene applicato”, ma ha anche precisato che ci sono “limiti al collegamento che sono quelli di evitare che ci sia un solo giudice per il singolo indagato, a prescindere dai reati per cui si indaghi; in secondo luogo per evitare forme surrettizie di specializzazione per materie”, non prevista nelle tabelle per l’ufficio GIP/GUP.
Durante l’istruttoria, il Consiglio Giudiziario di Torino ha anche chiesto alcune informazioni scritte al Procuratore della Repubblica di Torino che, in data 17.11.2014, ha trasmesso una nota nella quale si ribadiva fra l’altro che Si procede separatamente perché quelle indagini sono allo stato concluse, con il deposito dell’avviso ex art. 415bis c.p.p., e in ogni caso i fatti in esame non sono strettamente connessi a quelli per cui si è proceduto in quella sede, riguardano persone che non sono oggetto del citato avviso di conclusione delle indagini, e hanno ad oggetto una gara d’appalto che, come si vedrà, è bandita da soggetto pubblico del tutto diverso".
All’esito della lunga istruttoria, il Consiglio Giudiziario ― ritenute sostanzialmente irrilevante la questione relativa alla mancata verifica “in contraddittorio” del fascicolo oggetto di osservazioni (non essendo previsto da alcuna norma che il Presidente debba disporre la predetta verifica) ― ha ritenuto esistente, a maggioranza, la violazione tabellare segnalata dalla dott.ssa XXXXXX.
Secondo il Consiglio Giudiziario, infatti, “...L’esame della vicenda deve prescindere dalle valutazioni, dalle determinazioni e dalle scelte processuali del PM…”; “…Pur nella fluidità che caratterizza la fase istruttoria delle indagini preliminari, va anzitutto esaminato se i concetti di stesso procedimento, di attività di indagine e, per converso, di attività di stralcio dipenda e sia condizionata solo dalle scelte e dalle valutazioni del PM, ovvero dal dato formale del numero di iscrizione attribuito al fascicolo. O se, invece, debba farsi riferimento ad un criterio sostanziale, che al di la’ del dato formale valuti la sostanza di quanto contenuto dagli atti di indagine. Laddove alla luce del dato normativo e giurisprudenziale formatosi sul dettato dell’art 270 cpp, ovvero sulla norma che tratta del tema di identità o meno del procedimento, corretta appare la seconda soluzione.
La circostanza che uno stesso soggetto fosse indagato in due procedimenti per la stessa ipotesi di reato, ove gli elementi probatori sottesi alla nuova iscrizione erano stati già raccolti nel fascicolo pendente, con identità di attività istruttoria, posto che nel nuovo fascicolo si continuava l’attività di ascolto già in atto, sono allora elementi che indicano una sostanziale unitarietà di indagine e procedimento. In una situazione caratterizzata dalla prosecuzione di attività investigativa su un materiale probatorio già acquisito ed in atti (ovvero le intercettazioni), rispetto ad una ulteriore ipotesi di reato, anch’essa emergente, almeno potenzialmente, da quanto già acquisito. Senza che potesse rilevare invece che, come pare sostenuto, le intercettazioni fossero o meno trascritte. Posto che in materia, la prova è costituita dagli ascolti e non dalla mera attività di trascrizione. Ne’ appare rilevante la circostanza che il materiale probatorio già acquisito fosse stato oggetto di rilettura anche alla luce di quanto riferito alla PG da una fonte confidenziale. Laddove la fonte confidenziale è di per se priva di dignità probatoria risolvendosi in un mero spunto investigativo per la prosecuzione delle indagini sul materiale probatorio già presente nel fascicolo madre. Con identità di indagine e di procedura ed al più con un rapporto sostanziale di derivazione e stralcio. Come peraltro già occorso nella procedura n. 13551/11 RGNR in cui, come ricorda il Procuratore, erano stati iscritti 23 indagati, di cui alcuni oggetto successivamente della richiesta di rinvio a giudizio con cui è stato definito lo stesso procedimento, mentre altri sono confluiti in procedimenti separati a loro volta archiviati o ancora in fase di indagini preliminari. Né pare che nella predetta vicenda potesse escludersi una situazione di connessione (per continuazione, nesso teleologico, od ancora collegamento probatorio ex art. 371, lett. b.) cpp). Laddove lo stesso PM specificava come a suo giudizio i fatti non sono strettamente connessi a quelli per cui si era già proceduto. Cosi egli stesso ritenendo l’esistenza di una connessione pure, ma è irrilevante stante il dato normativo che non lo richiede, non stretta.
L’identità’ di procedimento o comunque la connessione esistente avrebbe dovuto comportare l’applicazione della regola tabellare dell’assegnazione del nuovo fascicolo al giudice già assegnato della procedura madre. Non venendo in considerazione e menzionate ragioni a ciò impeditive. Tanto più laddove presso l’ufficio Gip-Gup di Torino era allo stato in atto la prassi di attribuire ampia rilevanza nell’attribuzione dei fascicoli anche solo al cd criterio del collegamento. Criterio non direttamente trattato e previsto nelle tabelle attualmente vigenti presso la sezione, salvo che relativamente al turno detenuti. Ma che tuttavia costituisce una prassi all’interno dell’ufficio, confermata dalle indicazione del suo Presidente….”.
”In definitiva, la maggioranza del Consiglio Giudiziario ritiene esistente la violazione tabellare sopra segnalata”.
Veniva altresì depositata una motivata ed articolata dichiarazione di voto contraria e minoritaria.
❖ La decisione consiliare.
Le conclusioni del Consiglio Giudiziario di Torino non possono essere condivise.
Deve, infatti, essere preliminarmente chiarito che le valutazioni del Consiglio Giudiziario così come quelle del Consiglio Superiore della Magistratura non possono mai avere ad oggetto le decisioni adottate dai magistrati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie che trovano, invece, nella sede processuale, il loro naturale luogo di verifica ed eventuale correzione.
La valutazione degli Organi di autogoverno non può, infatti, che riguardare la coerenza delle scelte organizzative dei dirigenti con le norme di Ordinamento Giudiziario e con il sistema di diritto tabellare.
Nel caso di specie, come detto, la dott.ssa XXXXXX ha contestato la decisione del Presidente dell’Ufficio GIP/GUP di assegnazione di una richiesta di intercettazione, proveniente dall’Ufficio del pubblico ministero, secondo la regola tabellare del c.d. turno liberi, in quanto, secondo la dott.ssa XXXXXX, l’assegnazione sarebbe dovuta avvenire secondo la regola del collegamento tra procedimenti: in altri termini, ha contestato la valutazione processuale fatta dal PM e dal Presidente dell’Ufficio GIP/GUP che avevano entrambi escluso il collegamento procedimentale.
Il Consiglio Giudiziario di Torino ha ritenuto di poter sindacare la predetta valutazione ed ha concluso affermando che, contrariamente a quanto ritenuto dai due magistrati (pubblico ministero e Presidente di Sezione) nell’esercizio delle loro funzioni, nel caso di specie ricorresse un’ipotesi di collegamento procedimentale (anzi addirittura di identità e unitarietà) e, pertanto, l’assegnazione fatta dal Presidente della Sezione GIP/GUP dovesse essere censurata.
In realtà, come si è già detto, la valutazione degli Organi di autogoverno non può riguardare i provvedimenti dei magistrati che integrano valutazioni inerenti l’attività giudiziaria ma deve limitarsi a verificare la conformità, con il sistema ordinamentale e tabellare, dei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente, eventualmente all’esito delle valutazioni di carattere giudiziario.
Nel caso di specie, pertanto, la valutazione rimessa al Consiglio Giudiziario (ed ora all’attenzione del CSM) avrebbe potuto riguardare esclusivamente la conformità, al sistema tabellare, dell’assegnazione ― secondo la regola c.d. del “turno liberi” ― di un procedimento ritenuto dal dirigente non collegato ad altri: infatti, la valutazione a monte, dell’esistenza o meno del collegamento procedimentale (o addirittura di identità ed unitarietà), in quanto valutazione di carattere processuale, dovrebbe sempre rimanere nell’alveo delle regole processuali. Il giudice interessato avrebbe potuto – in caso di persistente dissenso con il Presidente della sezione GIP – sollecitare al più un intervento del Presidente del Tribunale al fine di verificare la correttezza della valutazione, ferma restando, tuttavia, la vincolatività ed inoppugnabilità della stessa.
Appare possibile, invero, rinvenire un ulteriore fondamento del principio appena espresso, sia nell’art.2 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., in materia di riunione di processi pendenti davanti a giudici diversi o a diverse sezioni dello stesso ufficio giudiziario, sia nella previsione – anche se evidentemente non più attuale - contenuta nell’art.163 bis, secondo comma, delle citate disposizioni di attuazione del c.p.p., in materia di sezioni distaccate di tribunale, che prevede che il giudice, qualora ravvisi l’inosservanza o ritenga comunque non manifestamente infondata la questione di ordinamento giudiziario relativa alla ripartizione degli affari tra sede principale e sezioni distaccate, o tra diverse sezioni distaccate, rimette gli atti al Presidente del Tribunale, che provvede con decreto non impugnabile.
Anche in caso di questione relativa alla distribuzione degli affari all’interno della sezione – come quello in esame - la decisione non potrebbe che essere rimessa alla valutazione inoppugnabile del dirigente, senza ulteriori valutazioni da parte degli organi di autogoverno: a questi ultimi, infatti, è riservata la valutazione della conformità, alle regole ordinamentali, del provvedimento adottato dal dirigente all’esito della valutazione di carattere processuale e non certamente funzione di seconda istanza delle vicende processuali di un fascicolo. Il principio è tanto più condivisibile ove si pensi al caso concreto sottoposto all’attenzione del Consiglio, in astratto legato ad una valutazione di unicità o diversità dei procedimenti giudiziari, di connessione o collegamento, i cui effetti – nella sede processuale – sono rilevantissimi per gli esiti del procedimento stesso e potenzialmente idonei ad interferire, ad esempio, sul regime di utilizzabilità delle intercettazioni.
Del resto, proprio la successiva evoluzione della vicenda emersa nel corso del supplemento istruttorio disposto dalla Settima Commissione (in particolare le audizioni del pubblico ministero che hanno fatto riferimento ad un sostanziale ribaltamento delle originarie ipotesi di accusa), ha dimostrato in concreto non solo l’erroneità nel merito delle conclusioni cui è pervenuto il Consiglio Giudiziario, ma di fatto la inopportunità della decisione assunta per sua stessa natura potenzialmente in grado di produrre effetti indiretti sull’iter processuale e sulla scelta a monte formulata dal pubblico ministero.
Nel caso di specie, pertanto, la valutazione del Consiglio Giudiziario avrebbe potuto riguardare soltanto la decisione del Presidente XXXXXXX di assegnare l’intercettazione, ritenuta non collegata ad altri precedenti procedimenti, secondo la regola del “turno liberi”, decisione che, come ormai chiarito, risulta assolutamente conforme alle tabelle dell’ufficio di Torino.
Nel merito, del resto, anche a voler ritenere vigente, in base alla prassi dell’ufficio, la regola del collegamento tra procedimenti come criterio di distribuzione degli affari tra i giudici della sezione ― che di fatto determinerebbe, peraltro, una modifica delle regole tabellari approvate dal CSM che prevedono, in materia di intercettazioni, la sola regola c.d. del “turno liberi” e cioè l’assegnazione dell’intercettazione al giudice di turno, fatta eccezione per le sole richieste formulate nell’ambito di un procedimento già precedentemente assegnato ad un GIP (e sempreché, quest’ultimo non sia assente o impedito) ― appare sufficientemente chiarito che la richiesta di intercettazione proveniente dall’ufficio del pubblico ministero avrebbe potuto seguire soltanto la regola del giudice di turno, in quanto formalmente effettuata nell’ambito di un procedimento ancora “libero”, recante un numero di registro generale diverso da quello in trattazione presso la dott.ssa XXXXXXX, ed accompagnata da una nota del PM che ne evidenziava la mancanza di collegamento rispetto alle precedenti indagini, perché ormai concluse – anche formalmente con l’avviso ex art.415 bis c.p.p. - e comunque estranee a quel filone investigativo.
A fronte di questo quadro, il Presidente XXXXXX non avrebbe in alcun modo potuto derogare alla regola del turno, giacché esso si sarebbe rivelato in deroga alle regole tabellari, e, pur a voler applicare la presunta prassi dell’ufficio che consente per ragioni di economia di applicare il criterio del collegamento, in quel contesto, ed a fronte della chiara indicazione proveniente dal P.M., esso non sarebbe stato sufficientemente motivabile sulla base della documentazione in atti. L’audizione del Presidente XXXXXXX ha altresì chiarito come presso l’ufficio Gip di Torino non esista un principio di specializzazione del giudice e dunque una eccessiva o indiscriminata applicazione del criterio del collegamento interpretato in senso estensivo, determinerebbe di fatto un anomalo legame fra giudice e filone investigativo o fra giudice ed indagato, non previsto dalle regole tabellari.
Più in generale deve, peraltro, essere chiarito che le prassi degli uffici non possono mai derogare alle disposizioni (scritte) tabellari, introducendo regole organizzative diverse o comunque difformi da quelle ufficiali approvate con il progetto tabellare ma, eventualmente, possono attenere introdurre regole di integrazione o specificazione, pur sempre nel rispetto del regime tabellare. Tanto più in tema di assegnazioni di affari, per le quali occorre confrontarsi con regole scritte dettagliate, che consentano l’attribuzione motivata in relazione a criteri organizzativi e processuali certi (nel caso di specie, ad esempio, indicativi del tipo di connessione o di collegamento necessari all’attrazione del fascicolo al Gip di altro procedimento).
Tanto premesso, il Consiglio
Visto l’art.15.1 della circolare sulla formazione delle tabelle
delibera
di confermare il provvedimento di assegnazione adottato dal Presidente di Sezione XXXXXXXXXXX.