Premessa: il caso deciso dalla Corte d’appello di Bari
Il decreto emesso dalla Corte d’appello di Bari in data 23 aprile 2018 [1] costituisce l’occasione per fare il punto sull’attuale disciplina della legittimazione del pm alla richiesta di fallimento e sulle riforme del diritto concorsuale, preannunciate dalla legge 19 ottobre 2017, n. 155 (Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza) [2].
Nel caso in esame il giudice di primo grado aveva rigettato l’istanza di fallimento presentata dal pm, escludendo sia la legittimazione di quest’ultimo che l’insolvenza.
La Corte d’appello di Bari ha rigettato il reclamo proposto dal pm, non solo in ragione del fatto che la procura generale in sede di memoria, aveva chiesto il rigetto del reclamo e solo successivamente, in sede di udienza, aveva chiesto l’espletamento di una consulenza, ma anche in ragione della circostanza che comunque il pm fosse carente di legittimazione, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall’art. 7 l. fall.
In particolare, il pm, in sede di reclamo, aveva dichiarato di aver appreso della decozione dell’associazione sportiva durante un procedimento penale per diffamazione nei confronti di alcuni soci che erano stati querelati dagli amministratori per aver fatto delle critiche alla gestione, pubblicate in bacheca e sui social network. Nell’ambito di tale procedimento i soci querelati avevano depositato un bilancio di gestione relativo all’anno 2012 e una relazione del collegio sindacale risalente al maggio 2013, senza che il pm ritenesse di fare indagini in merito all’exceptio veritatis formulata dall’indagato, ma optando, piuttosto, per la richiesta di archiviazione.
Solo successivamente, furono svolte indagini sull’insolvenza dell’associazione, ormai totalmente sganciate dal procedimento penale archiviato, facendo creare, appositamente, un modello 45, relativo al registro degli atti non costituenti notizia di reato, nell’ambito del quale il pm aveva delegato la Guardia di finanza, che aveva predisposto, a sua volta, un’annotazione di polizia giudiziaria. Tale annotazione, secondo la corte barese, non rientrava tra quelle previste dall’art. 55 cpp, dal momento che l’attività della Guardia di finanza era manifestamente estranea al procedimento penale concluso ormai da quindici mesi. Inoltre, l’iscrizione nel modello 45 e le deleghe di indagine potevano avere senso solo se finalizzate all’eventuale esercizio dell’azione penale come da circolare del Ministero della giustizia del 21 aprile 2011, e non se finalizzate alla presentazione di richieste al giudice civile.
In sostanza, la corte barese, al fine di escludere nel caso concreto la legittimazione del pm alla richiesta di fallimento, dà rilievo a due circostanze: la prima è che il procedimento penale in cui era emersa una possibile notitia decoctionis era stato archiviato, senza procedere ad alcun approfondimento in ordine allo stato di insolvenza dell’associazione; la seconda è che solo dopo un significativo lasso di tempo (quindici mesi) e mediante la creazione di un fascicolo non costituente notizia di reato (Mod. 45) il pm aveva delegato approfondimenti alla Guardia di finanza, anche per gli esercizi successivi a quello in cui erano state levate le critiche oggetto di una querela per diffamazione.
L’art. 7 della legge fallimentare
La legittimazione del pm alla presentazione dell’istanza di fallimento è regolata, de iure condito, dall’art. 7 l. fall. il quale prevede che:
«Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell'articolo 6:
1) quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore;
2) quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile» [3].
I casi nei quali il pm può presentare l’istanza di fallimento sono tipizzati e ricollegati alle modalità con le quali viene a conoscenza dello stato di insolvenza, che sono sostanzialmente due. Il primo (art. 7, comma 1, n. 1) l. fall. si ha quando la notitia decoctionis è appresa nel corso di un procedimento penale oppure da ulteriori fatti evocativi [4] di un dissesto e solitamente, sebbene non necessariamente [5], valorizzati dal pm ai fini dell’esercizio dell’azione penale in ordine ai reati di cui agli artt. 216 ss. l. fall., come la fuga, l’irreperibilità, la latitanza dell’imprenditore e il trafugamento o diminuzione dell’attivo da parte dell’imprenditore. Il secondo si ha quando la segnalazione proviene dal giudice che abbia, a sua volta, rilevato una situazione d’insolvenza nell’ambito di un procedimento civile.
L’attuale formulazione dell’art. 7 l. fall. ad opera del d.lgs 9 gennaio 2006, n. 5 si caratterizza, da un punto sistematico, per il venir meno del necessario collegamento − presente anteriormente al 2006 − tra richiesta di fallimento e richiesta di procedere penalmente nei confronti dell’imprenditore. L’ampliamento della legittimazione del pm − conseguenziale all’abolizione della dichiarazione di fallimento d’ufficio, venuta meno per effetto della modifica dell’art. 6 l. fall. − si connota non solo per il fatto che, in presenza di una segnalazione di insolvenza proveniente dal giudice civile [6], la richiesta di fallimento da parte del pm prescinde dall’apertura di un’indagine penale, ma anche in ragione del fatto che pure nell’ipotesi in cui la notitia decoctionis sia acquisita nell’ambito di un procedimento penale non è necessario né che l’imprenditore (o gli amministratori o i sindaci della società) siano indagati (potendo trattarsi di indagine relativa a soggetti diversi) né che il pm opti necessariamente per l’esercizio dell’azione penale. D’altra parte, gli atti relativi all’indagine penale – anche nei confronti dello stesso imprenditore per il quale viene chiesta la dichiarazione di fallimento – al momento dell’istanza ex art. 15 l. fall. potrebbero ben essere ancora coperti dal segreto istruttorio, con la conseguenza che in tale evenienza è sufficiente che il pm presenti i soli elementi necessari ad evidenziare che la notizia dell’insolvenza sia pervenuta secondo una delle modalità di cui ai numeri 1) e 2) dell’art. 7 l. fall.
In tale contesto normativo il caso esaminato dalla corte barese si segnala per la sua peculiarità: nella specie il pm aveva presentato istanza di fallimento, affermando di aver appreso la notitia decoctionis nell’ambito di un procedimento penale per diffamazione. È sufficiente tale circostanza ad integrare il requisito di cui all’art. 7, comma 1, n. 1) l. fall. e cioè che l’insolvenza risulti da un procedimento penale? La risposta per la corte barese è negativa, essendo stata ravvisata una cesura tra l’archiviazione del procedimento per diffamazione chiesta e ottenuta dal pm e la successiva iscrizione, dopo quindici mesi, di un procedimento a Mod. 45, nell’ambito del quale erano state rilasciate alcune deleghe alla Guardia di finanza.
In sostanza, per poter arrivare alla conclusione sostenuta nel provvedimento in esame è necessario ritenere che la notitia decoctionis non sia stata effettivamente acquisita nell’ambito del procedimento penale scaturito dalla querela per diffamazione (come pur sostenuto dalla procura della Repubblica), ma che sia riconducibile, in via esclusiva, all’attività svolta successivamente mediante la creazione di un fascicolo iscritto nel registro relativo agli atti non costituenti notizie di reato (Mod. 45). Occorre, infatti, evidenziare come l’art. 7, comma 1, n. 1) l. fall. si disinteressi del possibile esito del procedimento penale in cui è acquisita la notitia decoctionis [7]. Non sembra neppure essere richiesto un particolare periodo di tempo tra l’acquisizione della notizia dell’insolvenza e la richiesta di fallimento [8], a differenza di quanto si prospetta, de iure condendo, in relazione alle relazioni che saranno trasmesse dall’Ocri al pm [9] (vds. infra). Neppure, infine, è necessario che eventuali approfondimenti relativi all’insolvenza siano contestuali al procedimento penale in cui sia emersa la notitia decoctionis [10]. Eventuali ritardi del pm nella richiesta di fallimento possono rendere, tuttavia, particolarmente difficile la prova dello stato d’insolvenza, soprattutto una volta che sia decorso un lasso di tempo significativo. Nella specie, come peraltro correttamente evidenziato nei passaggi finali della motivazione del provvedimento barese, emergevano evidenti profili di criticità in ordine alla prova dell’insolvenza. Nonostante la continuazione dell’attività da parte della società sportiva, al punto che nelle deleghe alla Guardia di finanza il pm aveva chiesto di verificarne la situazione anche negli esercizi successivi all’epoca della denuncia le prove dell’insolvenza prodotte risalivano, infatti, a cinque anni prima rispetto alla richiesta di fallimento e si era tentato di superare tale vuoto temporale, in termini probatori, mediante la richiesta di una Ctu, ritenuta correttamente esplorativa.
Le prospettive di riforma
L’iter evolutivo della legittimazione del pm alla presentazione dell’istanza di fallimento si connota per l’ulteriore accentuazione della sua funzione di organo latore dell’interesse pubblico, anche ai sensi dell’art. 2907 cc, come confermato dal disegno di riforma del diritto concorsuale, che sta attualmente vivendo il passaggio cruciale dell’esercizio della delega conferita al Governo dal Parlamento con la legge n. 155/2017, i cui contenuti − salvo alcune modifiche intervenute nel corso dei lavori parlamentari – sono diretta emanazione dei lavori della commissione ministeriale presieduta da Renato Rordorf. A tale commissione si deve altresì la predisposizione degli schemi dei decreti delegati, tra i quali rientra anche il Codice della crisi e dell’insolvenza (per la cui lettura sia rinvia al sito www.osservatorio-oci.org nella sezione dedicata alla Riforma delle leggi sull’insolvenza).
L’art. 42 Cci evidenzia un ampliamento della legittimazione del pm alla richiesta di fallimento, prevedendo che:
«Il pubblico ministero presenta il ricorso quando l'insolvenza risulta:
a) nel corso di un procedimento penale o di altro procedimento cui abbia preso parte;
b) dalla segnalazione proveniente dall’autorità giudiziaria che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento giurisdizionale;
c) dalla notizia proveniente dall’organismo di composizione assistita della crisi;
d) da altra denuncia specifica proveniente da pubblico ufficiale o da altro soggetto nominato dalla autorità giudiziaria»
La lettura della norma conferma come le ipotesi attualmente tipizzate nell’art. 7 l. fall. siano destinate ad essere ampliate. Continuano infatti ad essere menzionati i casi nei quali l’insolvenza sia emersa durante un procedimento penale o nel corso di altro procedimento cui abbia preso parte il pm o la segnalazione provenga dal giudice civile o da qualunque autorità giudiziaria che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento giurisdizionale, con un pieno parallelismo rispetto all’art. 7 l. fall. Sono tuttavia introdotte anche ipotesi, finora inedite, in cui la notitia decoctionis non sia emersa all’interno di un procedimento giurisdizionale, ma sia rilevata, invece, dagli organismi di composizione della crisi [11] o da un pubblico ufficiale o da un soggetto nominato dall’autorità giudiziaria.
La lettura sistematica non può prescindere da considerazioni anche di tipo quantitativo: gli organismi di composizione della crisi (Ocri) costituiti presso le Camere di commercio − e destinati ad operare nell’ambito di un istituto inedito nel nostro ordinamento, come le misure di allerta, introdotte con l’evidente funzione di anticipare l’emersione della crisi di impresa – sono infatti destinatari di segnalazioni obbligatorie circa la presenza di fondati indizi di uno stato di crisi o di soglie di indebitamento predeterminate, rispettivamente da parte degli organi di controllo interni alla società e da parte dei creditori pubblici qualificati (Agenzia delle entrate, Inps e agente della riscossione, vds. art. 17-18 Cci). È, pertanto, evidente, l’ampliamento evidente dei casi di legittimazione del pm alla richiesta di apertura della liquidazione giudiziale ad opera della riforma del diritto concorsuale che si prospetta all’orizzonte.
Alla base di tale corretta accentuazione dei tratti pubblicistici che connotano la regolazione concorsuale dello stato di insolvenza vi è la considerazione che l’impresa in crisi non è un fatto puramente interno alla sfera individuale e patrimoniale dell’imprenditore, ma è un fatto sociale [12] che coinvolge una pluralità di interessi. In tale prospettiva il ruolo svolto dal pm come parte del procedimento per la dichiarazione di fallimento portatrice dell’interesse pubblico è destinato ad assumere una portata, probabilmente ancora inedita all’interno del diritto concorsuale.
[1] La decisione del giudice di prime cure (Trib. Bari, 12 dicembre 2017) è pubblicata in Foro It., 2018, I, 1822.
[2] Tale delega, salvo proroghe, scadrà il prossimo 11 novembre 2018.
[3] P. Filippi, Sub art. 7 l. fall., in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico (diretto da M. Ferro), Cedam, Padova, 2014, 125-146. Vds. anche F. De Santis, L’istanza di fallimento del pubblico ministero nel corso del procedimento di concordato preventivo, in Fall., 2017, pp. 781 ss, vds. in part. pp. 783-788.
[4] M. Fabiani, Diritto fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2011, p. 140.
[5] Per Cass., n. 8977/2016 (in Italgiure), si tratta di condotte non necessariamente esemplificative né di fatti costituenti reato, né della pendenza di un procedimento penale.
[6] Nonostante il tenore letterale della norma si ritiene che oltre ai procedimenti civili in senso stretto vi rientrino anche i procedimenti amministrativi, contabili e tributari, vds. M. Fabiani, cit., 140. Con riferimento alla segnalazione del tribunale fallimentare a seguito della dichiarazione di desistenza del creditore, vds. Cass., Sez. unite 18 aprile 2013, n. 9409 (in Giur. it., 2013, 2529, con nota di M. Aiello, La segnalazione dell’insolvenza da parte del pubblico ministero: un contrappeso all’abrogazione della dichiarazione di fallimento in via officiosa).
[7] Per Cass., n. 20400/2017, in Italgiure, il pm è legittimato a chiedere il fallimento dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 7, n. 1, l. fall., anche quando il procedimento penale sia avviato nei confronti di soggetti diversi dal medesimo imprenditore e si concluda con esito favorevole alle persone sottoposte alle indagini.
[8] Nel caso deciso da Cass., n. 11462/2017 (in Quot. Giur., 31 maggio 2017, con nota di R. Brogi, La legittimazione del P.M. alla richiesta di fallimento e i debiti tributari) il giudice di legittimità non ha ritenuto dirimente la circostanza che la notitia decoctionis fosse stata acquisita nell’ambito di un procedimento penale risalente all’anno 2008.
[9] L’art. 25, comma 2, dello schema di decreto delegato contenente il Codice della crisi e dell’insolvenza (in www.osservatorio-oci.org) prevede un termine di 60 giorni entro il quale il pm, ove ritenga fondata la notizia d’insolvenza, deve chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale, destinata a sostituire l’attuale procedura di fallimento. Anche con riferimento a tale norma sarà, tuttavia, oggetto di discussione la circostanza se si tratti di un termine perentorio o acceleratorio.
[10] Per Cass., n. 8977/2016 non è necessaria la contestualità delle indagini penali dalle quali emerga la notitia decoctionis e quelle volte ad approfondire quest'ultima, essendo necessario e bastevole che la seconda sia nata dalle prime e che non sia arbitrario il suo approfondimento in quanto tra l'una e le altre vi sia rapporto di evidente e stretta connessione.
[11] L’Ocri provvederà alla segnalazione al pm nelle ipotesi previste dall’art. 25 Cci, sostanzialmente riconducibili alla mancata comparizione del debitore per l’audizione disposta a seguito della segnalazione da parte degli organi interni o dei creditori qualificati o alla mancata presentazione di un’istanza per la fissazione di un termine non superiore a tre mesi − e prorogabile fino a sei mesi − per la ricerca di una soluzione concordata della crisi o al mancato deposito della domanda di accesso ad una procedura concorsuale nel termine fissato dal collegio costituito in seno all’Ocri, sempreché siano ritenuto sussistente lo stato di insolvenza.
[12] A. Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Giappichelli, Torino, 2010, p. 825.