1. Premessa
Innanzitutto vorrei ringraziare Questione Giustizia per l'omaggio reso a Samuel Paty da Nello Rossi: parole chiare sui rischi che si corrono per la libertà di espressione se, di fronte a un nuovo fondamentalismo musulmano e sotto la minaccia permanente di nuovi attacchi, alcune distorsioni furono accettate in nome di un presunto compromesso necessario[1].
Tuttavia, sappiamo fino a che punto questi dibattiti diano luogo a profonde divisioni che attraversano ormai ogni famiglia politica. Se, attraverso la voce del suo direttore Paolo Flores d’Arcais, la rivista italiana Micromega si unisce talvolta in modo più radicale alle posizioni espresse da Nello Rossi, altre voci in Francia come in Italia denunciano un altro fondamentalismo laico, "à la française", che diventerebbe una macchina da guerra contro l'Islam e, parafrasando il sociologo delle religioni Jean Bauberot, una laicità culturale e identitaria che distingue le religioni etniche da quelle importate dagli immigrati; insomma, un'ideologia pericolosa per le libertà e per la "convivenza".
A questo proposito, il testo di Simone Gaboriau, pubblicato da Questione Giustizia[2], riflette perfettamente la difficoltà all'interno del campo progressista nell'affrontare questo dibattito. E se è necessario dire "da dove si parla", mi limiterò a ricordare che, allevata da una nonna insegnante imbevuta di questa laicità francese, io stessa sono stata insegnante prima di essere magistrato e ho mantenuto molti contatti con questo ambiente professionale. Tuttavia, questi "stati di servizio" non garantiscono di per sé la fondatezza delle mie osservazioni. L'unico modo per avanzare è riuscire a pensare alla decapitazione di un professore nel 2020 da parte di un terrorista islamista senza rimanere prigionieri delle nostre passioni o dei nostri legami o ceppi ideologici.
Temo, tuttavia, che questo mio testo sia ancora carico di un'emozione estrema che alcuni considereranno sproporzionata se si hanno presenti attacchi infinitamente più mortali come quelli del Bataclan, attualmente oggetto di un processo dinanzi alla Corte d'assise di Parigi. In realtà, al di là della barbarie dell'atto, c'è in me anche stupore per le reazioni manifestate nell'arena mediatica e intellettuale. Infatti, pur condannando l'assassinio, alcuni si sono chiesti se Samuel Paty non avessse provocato e ferito inutilmente i suoi studenti musulmani. E, insidiosamente e ripetutamente, alcuni riaffermano l'impossibilità di prendere in giro l'Islam senza insultare i musulmani e quindi rafforzare l'islamofobia danneggiando i legami sociali.
La corrente di pensiero a cui mi associo mi porta naturalmente a non ignorare il pericolo di stigmatizzare i musulmani. Questo tanto più che l'estrema destra sembra aver scoperto di recente le virtù della laicità proprio nel momento in cui una parte della sinistra si volta dall'altra parte o si sforza di ridurre il suo impatto emancipatorio.
L'altro pericolo, non meno reale, è quello della laicità “caricaturale”, risollevata oggi da intellettuali o gruppi collettivi poco vigili sulla sfera islamo-conservatrice. Una grande confusione ideologica mina questo dibattito. Il difficile “percorso di cresta” per cercare di pensare è certamente pericoloso ma altrettanto essenziale.
Prima di tornare a ciò che resta della libertà di insegnamento di fronte alle minacce fondamentaliste, mi sembra essenziale ricordare come la libertà di espressione sia indissolubilmente legata alla nostra concezione di laicità.
Nel suo ultimo libro, il demografo François Heran si chiede: «perché in tali circostanze ravvivare queste polemiche sulla laicità? Qual è il nesso con l'omicidio di Samuel Paty avvenuto otto giorni prima?». Tuttavia proprio l'autore dell’assassinio del professore avrebbe potuto spiegare il legame tra il suo gesto e il principio di laicità! Principio che, appunto, autorizza il professore a illustrare il suo corso d'insegnamento sulla libertà di espressione anche illustrando e mostrando caricature del profeta. L’ assassino islamista ceceno avrebbe potuto spiegare a François Héran l'incompatibilità di questo atto educativo con i precetti della shari’a. Avrebbe ben saputo ricordargli che questi fatti erano e sono punibili con la pena di morte in diversi paesi “fortunatamente risparmiati” dal secolarismo laico.
L’ambigua sorpresa di François Héran non gli impedisce tuttavia di attaccare il campo laico ei suoi cd. "teologi della Repubblica". Bisogna rendersi conto che il campo dei presunti “fondamentalisti laici” difende una concezione più ampia della libertà di espressione. È difficile, alla luce di questa osservazione, affrontare la questione della libertà di espressione senza ricordare su quale concezione di laicità essa si appoggia.
Osserviamo anzitutto che, difficilmente traducibile al di fuori della sfera latina, il concetto di laicità stenta ad imporsi in gran parte del mondo di fronte a un risorgere di un fanatismo che non risparmia nessuna delle grandi religioni, come lo dimostra il saggista Pierre Conesa
2. Laicità e shari’a
Uno slogan salafita fa della laicità l'arma dei nuovi crociati mentre il capo di Stato turco Erdoğan la denuncia regolarmente uno strumento contro i musulmani. Tuttavia, sono esistite esperienze di secolarizzazione, in particolare in Turchia e Tunisia; ma il secolarismo nella Turchia di Mustafa Kemal “Ataturk” consisteva in realtà una annessione della religione da parte dello stato. La Tunisia fu più audace: Habib Bourguiba, affascinato dal razionalismo di Auguste Comte (1798-1857), avanzò certamente il più lontano possibile nel tentativo di instaurare un regime laico; rompendo in particolare con le concezioni religiose oppressive sulle donne. I suoi commenti su Maometto gli valsero una fatwa.
Malauguratamente la natura autoritaria di questi regimi ha senza dubbio finito per squalificare la portata emancipatoria di questo tentativo. A partire dal XVIII secolo, alcune correnti riformiste religiose hanno cercato di dimostrare che l'Islam non era incompatibile con il secolarismo. Tuttavia il destino riservato a questi filosofi o studiosi dell'Islam, spesso perseguitati o condannati a morte, ha rallentato e bloccato poi questa evoluzione verso una "Nahda" (rinascita ) .
Oggi le correnti fondamentaliste sono ormai predominanti sia in ambito sunnita sia in quello sciita. Il temporaneo fallimento della cd. “Primavera araba” non ha consentito di invertire la tendenza integralista, anche se stanno emergendo cambiamenti nella società civile in alcuni paesi islamici. In Tunisia, secondo una recente indagine, il 50% dei giovani tunisini sarebbe favorevole a una separazione tra politica e religione. In altri paesi islamici, la laicità è invece ormai combattuta come uno strumento estraneo. Essa viene considerata come un prodotto dall'eredità coloniale, meritevole quindi di essere trattato come eresia, ateismo e attacco all'Islam e pertanto passibile della pena di morte o di altre punizioni corporali. Questo movimento non si limita al Medio Oriente ma si estende a molte società caratterizzate da una popolazione prevalentemente musulmana: come l’Indonesia, il Pakistan o il Bangladesh. La globalizzazione e lo sviluppo di internet e dei social network hanno poi consentito a questo tema di spostarsi su scala globale: come testimonia la sequenza storica che si apre con la fatwa lanciata contro Salman Rushdie nel 1989 e prosegue con il caso delle “caricature danesi” nel 2005.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che la difficoltà di tradurre il termine laicità in arabo vale anche per il mondo anglosassone.
3. Laicità o secolarismo?
Il termine “laicità” è poco utilizzato ed è il termine “secularism” che è la traduzione proposta benché si tratti di un concetto diverso. Per tracciare una genealogia, rimontiamo alle origini degli Stati Uniti quando gli emigranti protestanti, (in fuga dall'Europa cattolica a causa delle persecuzioni), immaginavano il “Nuovo Mondo” come un rifugio.
Il direttore degli studi dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes, Philippe Portier, ritiene che «il pluralismo religioso degli immigrati, che era, agli occhi dei padri fondatori, non una fonte di preoccupazione ma una garanzia democratica, ma al contrario ha plasmato un modernità che si adatta molto bene ai particolarismi». Tuttavia la verità è più complessa, come ha magistralmente dimostrato Camille Froidevaux-Mettrie: «I pellegrini sbarcati sulle sue sponde non sono venuti in nome della libertà religiosa ma in nome della purezza religiosa per costruire un mondo secondo le Scritture». L'ideale teocratico dei coloni del XVII secolo andò infatti di pari passo con la persecuzione dei dissidenti (come, ad esempio, i quaccheri).
Questa aspirazione teocratica si scontrò ben presto con la convinzione separatista ereditata dai padri fondatori della Costituzione: come dichiarò Thomas Jefferson: «chi osserva rigorosamente questi precetti morali con cui tutte le religioni concordano non sarà mai interrogato alle porte del paradiso, sui dogmi per cui differiscono tutti».
Il I Emendamento che consacra sia la libertà religiosa sia la separazione dalla politica è il risultato di un compromesso tra il protestantesimo che abbandona la sua pretesa teocratica e la "religione razionale" dei padri fondatori nutrita dallo spirito dell'Illuminismo e attaccata al principio della libertà individuale di coscienza. Proibendo qualsiasi religione ufficiale e vietando il finanziamento delle attività religiose con le tasse, gli Stati Uniti, incoraggiati dalla giurisprudenza della Corte Suprema (almeno fino all'inizio degli anni '90), hanno dimostrato un innegabile aspirazione a garantire il rispetto della libertà individuale di coscienza distinguendo tra spazio pubblico e privato o tra adulti e minori.
Resta il fatto che la tentazione teocratica non è del tutto scomparsa. Essa riaffiora infatti regolarmente nel dibattito politico. Una parte della destra repubblicana ha continuato a promuovere il ritorno della religione nella sfera pubblica, in particolare nella lotta al divorzio o all'aborto.
In più occasioni la Corte Suprema ha dovuto cedere alle aspirazioni delle correnti religiose conservatrici. E’ così che un datore di lavoro cattolico il quale aveva rifiutato che i contributi sociali da lui versati per i suoi dipendenti potessero essere utilizzati per finanziare la contraccezione o l'aborto ha visto riconosciuto questo «suo diritto» nel 2014.
Questa inversione di tendenza è facilitata dal fatto che la maggioranza degli americani si dichiara credente; in un paese dove il presidente degli stati uniti presta giuramento sulla bibbia e dove la formula «In God we trust» si trova sul dollaro, è difficile immaginare un ateo diventare sindaco, governatore o... Presidente degli Stati Uniti; L'unica posizione del cattolico Joe Biden a favore della liceità di abortire ha fatto provocare le reazioni da parte di alcuni vescovi che si sono spinti a chiedere che gli fosse negato l'accesso alla comunione.
Si può così constatare quanto, negli Stati Uniti, i gruppi religiosi siano visti principalmente come protettori dell'individuo contro lo stato.
Per questo stenta a prevalere la nozione di laicità che, ben al di là della mera neutralità, implica l'azione dello Stato per evitare pressioni religiose sulle istituzioni e sui cittadini.
4. In Europa: una laicità a geometria variabile
La laicità in Europa è lungi dall'essere pienamente consolidata; Innanzitutto perché i paesi dell'Est Europa sentivano l'esigenza di rompere con l'ateismo militante dei decenni comunisti precedenti, concedendo ormai molta legittimità alle strutture religiose e in particolare all'interno delle istituzioni educative. In secondo luogo, perché i paesi a maggioranza protestante hanno preferito un lento processo di secolarizzazione delle istituzioni e della società. Inoltre, nel mondo belga-olandese, la laicità è spesso confusa con il libero pensiero, l'umanesimo o l'ateismo; coesistono quindi regimi molto diversi, separatisti o meno a seconda che lo Stato riconosca una religione di Stato (Regno Unito) o una religione privilegiata come Austria, Germania, Spagna, Belgio o Italia insieme a ben 17 Paesi UE che mantengono un Concordato.
Ma bisogna guardarsi da un approccio puramente formale che, ad esempio, farebbe dell'Italia una cattiva allieva della laicità in quanto vive sotto l'impero di un regime concordatario rivisto nel 1984 dal socialista Bettino Craxi.
Quest'ultimo aveva senza dubbio scelto di dimenticare che l'anticlericalismo era stato storicamente un elemento unificante nella lotta per l'unità nazionale. Certamente la formula concordataria secondo cui «i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo» è servita come base per mantenere il crocifisso nelle scuole e nelle aule di giustizia. Ma non dimentichiamo che, a differenza della Francia, gli insegnanti delle scuole religiose, in particolare delle scuole cattoliche, non sono retribuiti dallo Stato.
Paradossalmente, sono forse i paesi cattolici che più hanno sentito il bisogno di essere parte di un processo di secolarizzazione, attingendo all'eredità storica di una sinistra liberale e repubblicana nelle sue lotte contro il clericalismo e il conservatorismo cattolico. I regimi del Portogallo, della Spagna o e ugualmente dell’'Italia lo attestano sotto certi aspetti. La laicità è quindi accettata da alcuni Stati europei solo come un concetto, ancora percepito come fonte di conflitto e che deve convivere con le religioni.
L'idea di una laicità che sovrasta le credenze e che costituisca non una manifestazione di ostilità o ateismo ma un principio generale volto a consentire la libertà di coscienza e la libertà religiosa senza tollerare alcuna pressione né sulle istituzioni né sugli individui. Si è progressivamente affermata invece in modo singolare in Francia attraverso un'eredità storica che è importante chiarire.
5. La laicità francese: un prodotto derivato del cristianesimo?
La laicità francese è per alcuni un'eredità cristiana che ha la sua fonte nelle parole di Cristo "restituire a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio"; il problema irrisolto è quello di delimitare la sfera di ciascuno. Ed è proprio l'opera dei re capetingi e dei loro successori ad avviare questa separazione: Jean François Colosimo, storico delle religioni, ricorda che a differenza degli stati protestanti, il re di Francia non sarà mai capo della Chiesa; che se il re riconosce nel papa la sua autorità in campo spirituale, consolida nello stesso gesto l'autonomia del suo potere temporale; l'altro problema era la questione della tolleranza religiosa; la Francia dell'Ancien Régime fu uno dei rari stati in cui si tentò la convivenza di due religioni nonostante il parziale fallimento della revoca dell'Editto di Nantes; ma è anche l'incredibile violenza delle guerre di religione con la strage di San Bartolomeo (1572) e poi la feroce repressione dei Camisardi all'inizio del XVIII secolo che si impose l'idea che non si potesse completare l'unità del regno della Francia che andando oltre i conflitti religiosi.
Fare della laicità un sottoprodotto del cattolicesimo è un giudizio audace, non privo di fondamento, ma che non dovrebbe oscurare la pretesa della Chiesa di governare tutti gli ambiti della vita dalla nascita alla morte fino alla fine del secolo XIX.
In realtà, ciò che J.F. Colosimo descrive appropriatamente è più la storia della secolarizzazione che è diventata un terreno fertile per nutrire idee di laicità; questi vivranno un notevole boom con la filosofia dell'Illuminismo che rappresenta questa aspirazione verso ciò che può, al di là dei particolarismi, unire gli uomini ed emanciparli da ogni tutela. Ma questo obiettivo può essere raggiunto solo «con un'educazione liberatrice, i cui fondamenti saranno individuati dal filosofo Condorcet; possiamo vedere chiaramente la missione emancipatrice annessa al secolarismo. Fu la Rivoluzione francese a compiere il passo decisivo per stabilire la libertà di coscienza e assicurare il diritto, in particolare attraverso il trasferimento dello stato civile dalla Chiesa allo Stato. Queste conquiste saranno salvaguardate da Napoleone, ma il XIX secolo vedrà la Chiesa tentare di ricostituire la sua influenza sviluppando l'insegnamento congregazionista e sottoponendo gli insegnanti al controllo del clero (legge Falloux 1850). La giovanissima repubblica (1875) adottò rapidamente una legislazione destinata a contrastare l'influenza della Chiesa e nel 1882 optò per l'istruzione gratuita e laica per tutti i bambini.
La legge sulla separazione del 1905 è già in mente e la sua preparazione avverrà nel clima febbrile dell'affare Dreyfus sullo sfondo della mobilitazione della Chiesa a fianco dell'esercito e degli antidreyfusardi. Il cattolicesimo cessa di essere ufficialmente la religione della grande maggioranza dei francesi, formula del Concordato del 1802. La libertà di coscienza protetta da ogni pressione e il libero esercizio del culto sono i due principi fondanti della legge del 1905. La Repubblica riconosce qualsiasi culto che garantisca l'uguaglianza dei cittadini indipendentemente dalle loro convinzioni. È così facile constatare come la laicità sia intesa dai repubblicani come un quadro di protezione dei diritti umani.
6. La svolta del 1905. La separazione è realizzata completamente
La legge del 1905 scatena le ire della Chiesa; Aristide Briand condannerà nel 1909 diversi prelati che invitavano i fedeli a disobbedire alle leggi, sentenze spesso confermate dalla corte di cassazione; le tensioni svaniscono alla vigilia della guerra del 1914 e solo con il regime di Vichy la laicità torna ad essere il nemico da annientare, Pétain ritenendo responsabile del disastro la laicità. Le nuove costituzioni del 1946 e del 1958 dichiarano la repubblica laica; Ora «la Francia assicura l'uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di religione». La Chiesa cattolica riconosce oggi che la separazione non è stata l'apocalisse annunciata e ora si limita a consolidare la sua presenza nell'educazione privata pur affermando con chiarezza le sue posizioni su una serie di questioni sociali.
Da questo principio di laicità, oggi tutelato dalla costituzione, scaturisce una concezione liberale della libertà di espressione che trova le sue premesse nella legge del 1881. La libertà di critica alla religione è il corollario della libertà religiosa. Come sosteneva il deputato Clémenceau, «si può difendere onorevolmente solo ciò che si può attaccare liberamente» proposito che riecheggia le parole attuali della filosofa Monique Canto Sperber «la libertà può provocare eccessi nelle parole ma è anche l'unico modo per combattere questi stessi eccessi».
7. Fine del delitto di blasfemia
Pochi anni prima della legge del 1905, fu abrogato il reato di oltraggio alla religione, il legislatore riprese il gesto inaugurale del legislatore rivoluzionario del 17 settembre 1791 che decise di non punire più la blasfemia; ripristinando così efficacia all'articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo: «la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei più preziosi diritti dell'uomo, ogni cittadino può quindi parlare, scrivere e stampare liberamente salvo rispondere degli abusi di tale libertà in i casi determinati dalla legge».
In queste condizioni è difficile fare (come sostiene François Héran) della libertà di espressione, un concetto recente importato dalla cultura anglosassone.
Questa concezione liberale della libertà di espressione si scontra con le obiezioni delle correnti fondamentaliste che evocano il rischio di offesa ai sentimenti religiosi dei cattolici in relazione a un manifesto del 2005 che parodiava l'Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Tuttavia la corte di Cassazione francese ha sottolineato che il reato di ingiuria tutela i credenti e non le convinzioni.
8. Un passo decisivo: la giurisprudenza cd. “Charlie”
Lo stesso ragionamento è poi stato ripreso dalla Corte d'Appello di Parigi il 12 marzo 2008 nel caso noto come “Le caricature danesi” di Maometto che sono in seguito state ripubblicate da Charlie Hebdo nel 2006. Questa giurisprudenza conferma il principio secondo cui solo le persone hanno diritto, quello di non essere oggetto di diffamazione o insulti, in particolare razzisti, ma che, d'altra parte, dogmi, dottrine religiose o filosofiche o opinioni politiche non devono essere protetto in quanto tale.
Concludere il contrario significherebbe confondere in qualche modo il credente con il suo dogma, assumendo che non sia in grado di cambiare idea o negare la sua religione, e in un certo senso ristabilirebbe il divieto di apostasia.
Purtroppo, la chiarezza di questa giurisprudenza è stata offuscata dalle ambivalenze della giurisprudenza della CEDU. In una decisione del 25 ottobre 2018, si è infatti rifiutata di condannare l'Austria in relazione a una sentenza che puniva l'attacco sul sentimento religioso. Tale giurisprudenza austriaca è stata analizzata dalla CEDU non come volontà di tutela del dogma religioso in quanto tale, ma in nome della necessità di tutelare l'ordine pubblico e di consentire la pacifica convivenza tra gruppi di diversa sensibilità. Sorge allora un'obiezione: come garantire la libertà di espressione che, secondo lo stesso tribunale, necessariamente offende, ferisce o offende se si punisce l'offesa al sentimento religioso?
Questo sviluppo è tanto più preoccupante in quanto coincide con i molteplici tentativi dei Paesi islamici di far adottare alle Nazioni Unite delle risoluzioni sulla diffamazione delle religioni. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha così adottato il 27 marzo 2009 una risoluzione in cui si affermava che «la diffamazione delle religioni porta a violazioni dei diritti umani e promuove l'instabilità sociale nel mondo». Tale affermazione si affianca alle critiche rivolte a Charlie Hebdo di «gettare dell’olio sul fuoco» e alle critiche contro una concezione eccessivamente intransigente della laicità. Sono asserzioni che finiscono così per favorire la retorica vittimista dei terroristi.
9. La Francia isolata?
La Francia si trova così in una posizione pericolosamente isolata, tanto più che all'interno dello stesso ambito francese sta emergendo una controversia sui presunti toni islamofobici di queste caricature o sui commenti che offendono la coscienza dei musulmani. Le posizioni più estreme si spingono fino a sospettare la laicità di far risorgere un'eredità coloniale che, con il pretesto di difendere la libertà di espressione in materia religiosa, alimenterebbe le tesi islamofobe e razziste.
La sottile distinzione stabilita dalla giurisprudenza di Charlie Hebdo tra «insulto alle persone e critica dei dogmi religiosi e credenze» viene da costoro considerata ipocrita. Secondo François Héran, al termine di un ragionamento particolarmente lapidario, essa è in contraddizione con l'obbligo previsto dall art. 4 della Carta dei diritti dell'uomo che impone: «La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri». Ma la Dichiarazione si guarda bene dal precisare il contenuto di queste nocività, lasciando al legislatore il compito di definirne i contorni.
In una visione comune, potremmo considerare che qualsiasi affermazione che attacchi le opinioni o le convinzioni degli altri è probabile che li offenda. Gli atei militanti potrebbero da parte loro in questo dichiarare quanto avrebbero potuto sentirsi offesi da tutte le «sciocchezze o superstizioni religiose che li circondano» e (perché no?) proporre di censurare gran parte della letteratura o della produzione artistica. Gli atei militanti non potrebbero allora dire quanto avrebbero potuto sentirsi offesi «da tutte le sciocchezze o superstizioni religiose e non che li circondano»? Altri potrebbero addirittura arrivare a proporre la censura di gran parte della letteratura o della produzione artistica che ben contiene molte manifestazioni di sentimenti antireligiosi, a volte in modo osceno. Dovremmo cancellare le opere di Rabelais, accusato a suo tempo di oscenità e apostasia? Anche la commedia dell'arte, ricca di scene equivoche e più che sbarazzine, andrebbe rivista e corretta come avevano richiesto i gesuiti del XVII secolo.
Tuttavia, all'indomani dell'attentato a Charlie Hebdo che decimò la redazione, la rivista gesuita Études aveva ritenuto opportuno riprodurre le vignette di Charlie Hebdo sulla religione cattolica, ritenendo che «l'umorismo nella fede è un buon antidoto. Il fanatismo è un spirito di serietà tendente a prendere tutto alla lettera». Le parole del Papa secondo cui «non si può insultare la fede degli altri» porteranno poi la rivista a ritirare queste caricature per evitare le polemiche.
Il legislatore e il giudice francese non hanno accolto questa concezione estensiva del danno agli altri, che avrebbe ridotto la libertà di espressione a un guscio vuoto.
Nello stesso tempo la legge francese ha aumentato il numero delle eccezioni alla libertà, in particolare nei casi di diffamazione o di affermazioni razziste xenofobe od omofobe. Questa normativa severa ha permesso ai tribunali di condannare il comico Dieudonné, l'attrice Brigitte Bardot o l'ormai potenziale candidato presidenziale, Eric Zemmour, per insulti razzisti o incitamento all'odio razziale.
10. L’islamofobia: un razzismo alla rovescia?
Ma tale concezione della libertà di espressione che tollera commenti offensivi alle religioni è talvolta considerata legittimazione dell'islamofobia sulla base del fatto che l'insulto al profeta raggiungerebbe i musulmani nel loro più profondo intimo. La sottile distinzione tra attaccare il dogma e attaccare le persone si troverebbe in questo modo cancellata.
Eppure, l'islamofobia potrebbe essere una forma di razzismo alla rovescia, postulando l'incapacità ontologica dei musulmani di avere un rapporto più distanziato con la loro religione. Se il credente è concepito come un “corpo unico” con i suoi dogmi, è evidente che la sua persona si senta offesa e ferita dalle parole critiche rivolte alla sua religione.
È facile capire che la manna rappresentata da questo concetto di islamofobia permette ai fondamentalisti di unire un popolo di cultura musulmana intorno all'idea che la Francia contamina l'immagine del profeta e attacca tutti i segni esteriori che danno visibilità all'Islam.
Nel caso delle caricature danesi, diversi Paesi musulmani hanno domandato delle scuse ufficiali al governo di quel paese. L'unico deputato che oserà reagire sarà Naser Khader, nato a Damasco e figlio di un palestinese: «Mi sento insultato»; e spiegare come la satira avesse abbandonato per secoli l'Islam per rifugiarsi in Occidente. Egli ha dichiarato di essersi sentito insultato perché la Danimarca era stata chiamata a chiedere perdono ai fondamentalisti in Arabia Saudita, piuttosto che chiedere l'accesso universale alle libertà democratiche.
«L'insulto alla religione peserebbe più dell'insulto alla democrazia? (...) Ecco il mio messaggio all'Arabia Saudita e ai paesi musulmani (...) Avete insultato le mie convinzioni democratiche. Scusatevi!».
Questo esempio mostra che le prime vittime della repressione dell'islamofobia potrebbero essere gli stessi musulmani che osano liberarsi dai dogmi nei loro paesi di origine o in Europa.
Lo attestano le minacce contro gli imam che difendevano il diritto alla satira religiosa in Francia. La recente partnership tra la Grande Moschea di Parigi e un'associazione antirazzista LICRA è un'opportunità per liquidare questo termine “islamofobia” a favore di atti anti-musulmani o razzismo. Il presidente della LICRA, Mario Stasi, spiegando: «Dobbiamo essere intrattabili contro il razzismo antimusulmano ma possiamo criticare il dogma; L'islamofobia è stata creata e viene utilizzata per confondere i due».
A questo argomento dell'islamofobia si affianca l'accusa di ignorare le conseguenze della globalizzazione e di rischiare di provocare uno “scontro frontale” tra i paesi secolarizzati e quelli che non lo sono; questa critica formulata dagli ex direttori della rivista Esprit, Olivier Mongin e Jean-Louis Schlegel, richiama la teoria dello scontro di civiltà prevista da Samuel Huttington. Bisogna rendersi conto che la nostra concezione della laicità e della libertà di espressione e sostanzialmente incomprensibile in molti paesi musulmani.
Si tratta quindi di fare i conti e accettare per amore del realismo i limiti della nostra libertà di espressione in materia religiosa?
La Scuola è uno dei luoghi privilegiati dove i proponenti di queste tesi cercheranno di portare avanti le proprie argomentazioni.
11. La libertà di insegnare davanti alla sfida delle caricature
La Scuola è infatti una questione essenziale per i fondamentalisti e possiamo facilmente comprenderne le ragioni. Come possono i fondamentalisti tollerare un ' istituzione che trasmette conoscenza e incoraggia gli studenti a pensare con la propria testa? Ricordiamoci che la Chiesa cattolica in Francia aveva profuso una grande quantità di energie dagli anni 1880 fino al 1914 per contrastare l'insegnamento laico!
Infatti la gerarchia ecclesiastica aveva cercato di mettere nella “lista nera” alcuni libri di testo o aveva rifiutato che si insegnasse che la “notte di San Bartolomeo” era consistita nella strage dei protestanti da parte dei cattolici.
Il rischio di una guerra civile aveva portato alcuni repubblicani a mettere in guardia gli insegnanti dagli eccessi per non lasciar pensare che questi «ussari neri» della Repubblica avrebbero potuto usare le loro funzioni per diffondere l'ateismo militante.
Questo è il senso della lettera di Jules Ferry che viene ora utilizzata da François Héran nel caso della decapitazione di Samuel Paty. Secondo Heran, il padre musulmano di oggi, sconvolto dall'uso delle caricature del Profeta, farebbe eco alla figura del padre cattolico che non avrebbe dovuto essere costretto a scandalizzarsi per le parole del maestro. Così’ come auspicato da Jules Ferry nella sua lettera agli insegnanti.
Tuttavia per riscoprire lo spirito e non la lettera del significato della concezione laico-repubblicana dell'educazione, è meglio fare riferimento ad altri testi precedenti o contemporanei. Il ministro François Guizot che chiede ai maestri di guardarsi «dal sacrificare i suoi principi di educazione e la disciplina della sua scuola alle loro capricciose esigenze» (quelle delle famiglie).
Possiamo citare Victor Hugo per il quale il diritto del bambino all'istruzione primaria obbligatoria «è ancora più sacro del diritto del padre»; o Jean Jaurès: il diritto del bambino è «essere messo in grado, mediante un'educazione razionale e libera, di giudicare a poco a poco tutte le credenze e di dominare tutte le prime impressioni da lui ricevute».
Infine, questo era il significato delle parole dello scrittore Charles Péguy nel 1910 in Notre jeunesse: «È uno spettacolo ammirevole che danno tanti insegnanti di scuola secondaria (...) resistendo a qualsiasi cosa per difendere le loro classi. Lotta alle famiglie, ai genitori degli studenti (...). Contro il governo, soprattutto il più temibile di tutti, contro il governo dell'opinione pubblica».
Questa moderna concezione dell'educazione risponde alla domanda di Simone Gaboriau: «come accogliere i bambini senza tener conto, o almeno senza rispettare l'ideologia dei genitori?» Negli USA alcuni Stati hanno cercato di dare piena attuazione a questo principio, consentendo l'insegnamento del creazionismo accanto alla teoria dell'evoluzione, sulla base del presupposto che la scuola dovrebbe rispettare tutte le convinzioni dei genitori.
12. Il pericolo della “tirannia delle famiglie”
Si può dubitare di un tale modello in cui gli insegnanti sarebbero sotto la tirannia delle ideologie familiari, spesso contraddittorie tra loro.
La laicità ci protegge da questo incubo e non deve esserci alcun pretesto, con la scusa di renderlo più moderno, aperto, tollerante, acquietato o inclusivo (gli aggettivi pullulano nei tempi attuali!), per praticare degli “accomodamenti” che non sono sempre…ragionevoli!.
L'apertura della scuola alle famiglie non deve avere l'effetto di conferire un diritto di censura sui contenuti educativi. In mancanza di ciò, non c'è da stupirsi nel vedere, come riferisce Régis Debray, «un preside tenuto a ricevere un padre affiancato dal suo confessore, in questo caso un imam». E ricorda che l'espressione «genitori degli studenti» è un ossimoro. «I genitori fanno i figli (...) ma solo gli insegnanti fanno gli studenti (...) un insegnante non inculca concetti nella testa degli studenti. Egli educa, secondo il significato latino originario, a educare, e-ducere, condurre un bambino fuori di casa, estrarlo dalla sua nicchia natia (...)». Ciò che dice diversamente Catherine Kintzler, alimentata dal pensiero del filosofo dell'Illuminismo, Condorcet, invocando una scuola dove gli alunni possano avere «il piacere di dimenticare la loro comunità di origine e di pensare a qualcosa di diverso da ciò a cui sono destinati. essere in grado di pensare da soli»; questo "respiro laico" non impedisce in alcun modo agli studenti di tornare successivamente alle loro credenze e convinzioni religiose.
13. La Scuola emancipatrice
Troviamo la missione emancipatrice della Scuola vista non solo come un servizio pubblico che deve adattarsi alle esigenze del mercato del lavoro e dei genitori utenti nella loro diversità. Ma piuttosto come un'istituzione che mira a elevare i bambini alla condizione di cittadini dotati del libero arbitrio.
Se si accetta di aderire a questa concezione, invitare gli insegnanti a rispettare le convinzioni dei genitori può essere fonte di difficoltà; e se si tratta di richiamare la neutralità del maestro in materia religiosa, politica o filosofica, non possiamo che essere d'accordo. Questa neutralità preserva infatti il carattere laico della scuola. Ma se per rispetto intendiamo l'impossibilità di evocare un tema legato alla religione, cioè quello di far comprendere come l'esercizio della libertà di espressione dei caricaturisti possa portare i terroristi a decimare la redazione di un giornale (argomento che peraltro era parte integrante dei programmi!), si dovrebbe considerare che lo sforzo emancipatore di Samuel Paty è fallito. Tuttavia credo che possiamo e dobbiamo opporre un'altra concezione del rispetto, più vicina allo spirito della Costituzione francese.
Il rispetto delle religioni che la repubblica deve ai credenti non è il rispetto dei dogmi ma il semplice riconoscimento dell'esistenza di religioni il cui contenuto gli è indifferente. Lo Stato si impegna solo proteggere i credenti come persone; non deve né rispettare né rifiutare il contenuto delle credenze.
Se accettiamo questa concezione, Samuel Paty non ha commesso alcun errore né può essergli ascritta alcuna colpa. Egli in nessun momento ha considerato il suo pubblico come un pubblico a lui succube, né ha cercato di insultare i suoi studenti musulmani o di presentare queste caricature come "l'alfa e l'omega di libertà di espressione'. La scelta del materiale didattico spettava a lui dal momento in cui accompagnava questi documenti esplicativi consentendo un approccio a distanza con la preoccupazione di contestualizzare queste caricature. A rischio di provocare uno choc negli studenti nonostante tutte queste precauzioni educative?
Ma gli studenti cattolici all'inizio del XX secolo hanno dovuto ascoltare i loro insegnanti che ricordavano la responsabilità della Chiesa cattolica nelle guerre di religione o il suo ruolo fatale nell'Inquisizione, osservazioni che certamente hanno potuto ben urtare le loro famiglie ma che erano in linea con lo verità storica.
Alcuni hanno visto nel gesto del giovane ceceno il segno di un atto isolato di una mente turbata... pero la cosa più preoccupante è stata la prima reazione del New York Times che titolava il 16 ottobre 2020 prima di ritrattare: La polizia francese spara e uccide un uomo dopo un attacco mortale con un coltello. I commenti deploravano la mancanza di sensibilità della Francia nei confronti della comunità musulmana.
Fatto che rivela una cecità di fronte al fenomeno jihadista e a chi lo strumentalizza. Dimenticando che una rete cecena aveva appoggiato e sovvenzionato lo Stato islamico; che centinaia di migliaia di ceceni hanno manifestato a Grozny il 19 gennaio 2015 contro Charlie Hebdo e che il presidente ceceno Kadyrov aveva minimizzato l'azione del terrorista, considerandola «come una risposta alle provocazioni francesi». Pochi hanno ricordato che in diversi paesi governati da islamisti la sanzione per la blasfemia è la decapitazione. Elemento che senza dubbio ha annientato nella mente del giovane terrorista la dimensione criminale del suo atto.
14. La scuola: bersaglio degli islamisti
Basta rileggere Kamel Daoud per capire che per diversi decenni la scuola è stata una questione importante e un obiettivo privilegiato per gli islamisti. Abbiamo dimenticato la lunga lista di insegnanti assassinati in Algeria con un coltello o un'ascia nel 1994; dopo questa guerra civile, e citare il coraggi «gli islamisti hanno concluso che era necessario sostenere la scuola, investire in essa, controllarla. (...) Perché è a scuola che si costruisce il futuro, che in questo caso è il passato mitico. In Algeria (...) è allucinante l'ossessione islamista per il controllo della scuola, l'entrismo sindacale, il controllo dei libri di testo e dei comitati educativi (...)»
Kamel Daoud evoca anche il coraggioso tentativo di un ministra algerina dell'educazione di sottrarre la scuola all'influenza religiosa. Tentativo che le valse di essere apostrofata come «francese, ebrea o atea». Oggi non c'è più bisogno di accoltellare gli insegnanti, perché la scuola in Algeria ha ceduto agli islamisti.
Come possiamo dimenticare che Daesh ha preso di mira le scuole pubbliche francesi? Nella sua pubblicazione di Daesh Dar al-Islam del dicembre 2005, è stato chiaramente spiegato perché gli insegnanti dovevano essere uccisi. «I musulmani devono sapere che il sistema educativo francese è stato costruito contro la religione in generale e che l'Islam come l'unica religione della verità non può convivere con questa laicità fanatica».
Pochi giorni dopo la decapitazione di Samuel Paty, lo Stato islamico ha assassinato 22 studenti dell'Università di Kabul, alcuni dei quali sono stati ritrovati morti con un libro in mano. Si è dimostrato così che (anche al di là della laicità alla francese), era la stessa scuola, come luogo di trasmissione del sapere, a essere insopportabile per i jihadisti.
15. La tentazione dell’autocensura
Sembra dunque improprio far balenare lo spettro di una sacralizzazione delle caricature come afferma François Héran. Non dovremmo piuttosto temere il pericolo dell'autocensura degli insegnanti in considerazione dei rischi che corrono per la loro integrità fisica? Questa autocensura è stata dimostrata come esistente in un rapporto dell'Ispettore Generale dell'Educazione Nazionale Jean-Pierre Obin.
Una concreta autocensura non solo sull'Islam ma anche sulla Shoah, sul conflitto israelo-palestinese ma anche sull'educazione sessuale o su certi corsi di scienze.
Per François Héran, l'autocensura invocata sarebbe invece una forma di decenza e rispetto praticata dagli insegnanti in nome della comune convivenza. Tuttavia una simile affermazione sembra confondere gli spazi individuali privati e quelli pubblici.
In una relazione interindividuale, posso astenermi da affermazioni che potrebbero urtare e offendere il mio vicino musulmano perché voglio mantenere rapporti tranquilli con lui. Al contrario, la scuola è lo spazio dove si ha a cuore la verità e non per evitare permanentemente le materie che possono contraddire le convinzioni religiose di ciascuno.
Pertanto, l'autocensura può essere certo ammessa nei rapporti privati(guidati dalla convivialità e dal piacere dei momenti condivisi). L’autocensura è invece inconcepibile nella scuola, luogo dedicato all'insegnamento in modo razionale.
Resta il fatto che questo atto e soprattutto il linciaggio di cui Samuel Paty è stato vittima sui social networks (e le connivenze che lo hanno circondato) hanno fatto emergere la permeabilità della scuola a questi tentativi di intrusione dell'islamismo. Probabilmente questi tentativi, spesso relegati al rango di mero incidente, non sono stati trattati con la fermezza pur consentita in Francia dalla normativa vigente.
Lo storico Patrick Weil ha perfettamente dimostrato che la legge del 1905 prevedeva sanzioni penali per chi esercitasse pressioni in materia religiosa contro la libertà di coscienza. Questo aspetto penale è purtroppo caduto in disuso. Ma anche l'insegnamento della laicità ha incontrato difficoltà poiché molti insegnanti erano a disagio con questa nozione spesso ridotta a un vago spirito di tolleranza. Tale trasmissione culturale ed educativa può e deve essere migliorata!
Come?
Ritengo che si debba operare promuovendo un approccio multidisciplinare e associato a nozioni giuridiche, perché la laicità è anche diritto vigente.
16. Osare sapere
Rischiamo di mancare questo obiettivo se mettiamo da parte la questione dell’insegnamento della religione come insieme di fatti: per Jean Pierre Obin, «è sulla base della religione, della sua unità antropologica e della sua diversità storica che la laicità dovrebbe essere affrontata con gli alunni». Questo approccio è stato avviato dal rapporto di Régis Debray nel 2001, sepolto dall'istruzione nazionale. «Le nostre autorità hanno trovato più comoda la buona vecchia divisione del lavoro: ai sacerdoti e religiosi, in esclusiva, l'Onnipotente. Agli educatori laici, una sorda e chiusa ignoranza delle questioni religiose, vecchie e nuove. Il passaggio da una laicità dell'incompetenza (“il religioso non ci riguarda”) a una laicità dell'intelligenza (“sarebbe ora di andare a vederlo”) ha richiesto che l'opera dell'Illuminismo si estenda alle zone d'ombra della democrazia la modernità, secondo la sua ingiunzione: aude sapere, osare sapere».
Occorre ovviamente interrogarsi su quale sia l'origine di questa difficoltà rispetto all'insegnamento del fatto religioso. Infatti in essa convivono diversi fenomeni.
Da un lato i gruppi religiosi tradizionali, nutrono una viva preoccupazione di fronte a un insegnamento delle religioni a distanza, impartito da un docente non religioso. Dall’altro nel campo degli “ultrasecolaristi” l'ingresso di questo tipo di insegnamento è stato percepito come un “cavallo di Troia” che avrebbe permesso la reintroduzione della religione nell'ambito scolastico francese. Per alcuni di costoro, la religione è unicamente una questione intima che deve restare nella sfera privata.
Tuttavia ciò contraddice la definizione del fondatore della sociologia Emile Durkheim che ne ha dato questa definizione: «un sistema unito di credenze e pratiche relative alle cose esaminate, vale a dire separate, proibite, credenze e pratiche che si uniscono nella stessa comunità morale, chiamata la Chiesa, tutti coloro che vi aderiscono». Alcuni aspetti di questa definizione possono essere contestati, ma in nessun caso si può negare la dimensione sociale del fenomeno.
Questa concezione della religione ripiegata nel profondo dell'anima ha prevalso a lungo nella sinistra anticlericale.
17. A sinistra, diniego e confusione
Gli epigoni di Marx si sono spesso accontentati della formula «la religione è l'oppio dei popoli» senza interessarsi dell'altra parte della frase dove Marx, nel suo Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel, ha descritto la religione come «il sospiro della creatura oppressa, cuore di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di un mondo senza spirito», formula molto meno sprezzante e ricca di interrogativi. Seguendo questa tesi, la religione (relegata allo stadio delle superstizioni) avrebbe dovuto scomparire gradualmente con il progresso della scienza e della tecnologia e con l'avvento di una società senza classi. Tuttavia Didier Leschi, Presidente dell'Istituto Europeo di Scienze Religiose, indica una concezione meno sprezzante e ricca di interrogativi. Come egli sottolinea «le ideologie laiche possono lavorare contro l'emancipazione, le religioni, che per molti rimangono focolai di oscurantismo, possono essere anche leve di resistenza all'oppressione», come abbiamo visto avvenire in America Latina con la “teologia della liberazione”. Mal preparata a questo ritorno della religione e dei fondamentalismi, la sinistra ha sottovalutato il pericolo che il fondamentalismo islamico rappresentava per il movimento progressista. L'Islam apparendole come la religione dei diseredati, una parte della sinistra creduto di poter prevedere delle possibilità di alleanza che si sono rivelate pericolose nelle confusioni così operate. È bastato però ripensare alla guerra in Algeria e capire l'esperienza dei “pieds rouges” (gli attivisti francesi che avevano sostenuto l'FLN algerino) per poi trovarsi in una scomoda posizione ai primi segnali di islamizzazione del Paese e così per comprendere l'errore! L'iniziale sbaglio di valutazione della sinistra in merito alla natura della rivoluzione iraniana ha ugualmente confermato questo esempio di cecità. Casi più recenti, a volte raggruppati sotto la definizione "islamo-sinistrismo" (termine certo impreciso e fonte di polemiche strumentalizzate dalla destra) dimostrano che questa tentazione non è scomparsa.
18. L’insegnamento del fatto religioso: un antidoto all'integralismo?
Al di là di queste dispute ideologiche ritengo invece si possa scommettere sulla conoscenza come antidoto al discorso fondamentalista.
L'ascesa dei fondamentalismi nel mondo e l'isolamento della Francia rendono più che mai necessario non ignorare il fenomeno religioso. Criticare l'Islam o fare una caricatura della figura del profeta oggi espone non solo l'accusa di islamofobia o razzismo ma anche alla morte. Siamo forse tornati al tempo in cui Voltaire si chiedeva: «Cosa rispondere a un uomo che ti dice che gli piace obbedire a Dio meglio degli uomini e che, di conseguenza, è sicuro di meritare il paradiso massacrandoti?»
A questa domanda scottante, come possiamo rispondere oggi? La Scuola non potrebbe essere uno di quei luoghi dove il fatto religioso viene insegnato non come una storia santa e intoccabile, ma come fenomeno antropologico da cogliere in tutte le sue dimensioni storiche, sociologiche o teologiche?
19. Conclusione
Questi dibattiti si svolgono in un periodo storico in cui si avverte in sottofondo una sottile musica che circonda il «narcisismo delle piccole differenze». Ciò è perfettamente descritto dalla psicanalista Elisabeth Roudinesco: a ciascuno è ormai assegnata un'identità religiosa, etnica o di genere, che ha l'effetto di moltiplicare le accuse di offesa. La laicità, lungi dall'essere un'idea da abbandonare e lasciare negli archivi polverosi della storia, potrebbe tornare ad essere un volano per reinventare il senso del bene comune. Facendo ben attenzione a non relegare le religioni al rango di vecchie ubbie o di superstizioni prive di ogni fondamento razionale. C'è una parte di luce e di umanesimo in ciascuna delle grandi religioni. Oggi, la sorella di Samuel Paty ha ricordato che benché suo fratello non fosse credente, voleva sempre capire la fede degli altri.
Proprio la laicità potrebbe permettere un rinascimento intorno a un unico orizzonte: quello della salvaguardia della nostra comune umanità.
[1] N. Rossi, Adattarsi alla libertà. Per onorare Samuel Paty, in questa Rivista on line, 9.11.2020.
[2] S. Gaboriau, Sull’assassinio di Samuel Paty: dopo lo stordimento, il terrore e le lacrime, qualche domanda, in questa Rivista on line 19.4.2021.