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La nuova circolare del Csm sulle procure

di Antonello Ardituro
Componente del Consiglio superiore della magistratura
Pubblichiamo la circolare approvata oggi, all'unanimità, dal Csm sulle procure accompagnata da una nota illustrativa di Antonello Ardituro, componente del Csm. Auspichiamo ulteriori interventi volti ad approfondire i temi che la circolare affronta. Questione Giustizia ha già programmato per il n. 1 del 2018 della Rivista trimestrale un obiettivo sul pubblico ministero

La circolare del Csm in materia di organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero (16 novembre 2017)

***

A circa dieci anni dalla entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario, il Consiglio superiore della magistratura ha approvato la circolare in materia di organizzazione degli uffici requirenti.

L’intervento fa seguito alle risoluzioni del 12 luglio 2007 (relativa a “Disposizioni in materia di organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 20 febbraio 2006, n. 106”) e del 21 luglio 2009 (relativa alla “Organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero”), con le quali il Consiglio, nell’immediatezza dell’intervento di riforma, si preoccupò dapprima di ribadire il ruolo dell’organo di governo autonomo di garante della attuazione dei principi costituzionali anche con riferimento all’azione ed alla organizzazione degli uffici requirenti, e poi di offrire ai procuratori della Repubblica riferimenti per una omogenea organizzazione dell’ufficio atta a garantire il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale.

Le due risoluzioni ebbero il merito di attenuare il disorientamento derivante dalla nuova fisionomia degli uffici di Procura, disegnati con chiara struttura verticistica da parte del Legislatore, grazie alla attribuzione al procuratore di pieni poteri organizzativi, il cui esercizio è sottratto alla approvazione tabellare del Csm, funzionali alla piena e responsabile azione di chi è titolare dell’esercizio dell’azione penale.

Furono anni, quelli, nei quali non pochi procuratori si richiamarono alla ormai radicata cultura tabellare per delineare progetti organizzativi compiuti e sottoposti all’attenzione di consigli giudiziari e Csm.

Nel tempo, però, questa iniziale tensione, si è progressivamente attenuata, e lo stesso Consiglio ha mostrato di cedere alla forza delle cose mostrando progressivamente disinteresse della gestione ordinaria e quotidiana degli uffici di procura, limitando il suo intervento quasi esclusivamente ai momenti patologici e di forte conflittualità maturata in alcuni uffici, per lo più in tema di revoca di deleghe e assegnazioni (ad esempio, i casi Napoli, Catania, Milano, etc.).

L’effetto complessivo è stata innanzitutto una inaccettabile perdita di conoscenza dei dati informativi degli uffici, con riferimento in particolare alle assegnazioni dei magistrati ai gruppi di lavoro e di ripartizione degli affari fra i sostituti. Anche i Consigli giudiziari, in ordine alla soluzione della presa d’atto con rilievi elaborata dalle citate risoluzioni, hanno interpretato il loro ruolo nel modo più diverso possibile, oscillando, in una ampia gamma compresa fra le situazioni in cui hanno assunto il ruolo di meri passacarte e quelle in cui sono stati puntuali censori delle regole organizzative proposte, anche attraverso l’utilizzazione della commissione di vigilanza.  

In generale, l’approccio culturale al tema delle Procure è sembrato essere di progressiva e sostanziale rassegnazione ad un dettato normativo molto caratterizzato e di difficile ammorbidimento; in alcuni ambienti della magistratura, poi, del tutto trasversali, è cresciuto l’interesse a difendere il modello della procura gerarchizzata e, dunque, a non coltivare, se non ad ostacolare, lo sforzo di piena utilizzazione dei ridotti spazi interpretativi che il Legislatore aveva lasciato al Consiglio. Per tutte queste ragioni, la precedente consiliatura non era riuscita portare a compimento un lavoro in questo settore che potesse costituire un avanzamento rispetto alle risoluzioni del 2007 e del 2009.

Il portato finale di questa congiuntura è apparso essere anche una costante mutazione del profilo del magistrato di procura, sempre più a sua volta burocratizzato, deresponsabilizzato, e demotivato dalla impossibilità di poter realmente incidere sull’assetto organizzativo dell’ufficio e sulle scelte della dirigenza; a carichi di lavoro generalmente assai gravosi, alle difficoltà derivanti dalla farraginosità del processo e dalla lunghezza del dibattimento, allo scoramento per la diminuzione costante delle risorse, si è aggiunta la consapevolezza di essere sostanzialmente inerme di fronte al potere organizzativo del procuratore ed alla sua possibilità di incidere anche sullo sviluppo professionale e di carriera del singolo, non solo in relazione alla valutazione di professionalità, ma anche in ordine alla tipologia di affari da assegnare a ciascuno, in un sistema sostanzialmente privo del controllo sull’atto, rimesso, in teoria, al giudice amministrativo e non più al Csm

In un contesto in cui la rigidissima separazione delle funzioni ed il concorso di secondo grado scoraggiano l’accesso alle procure, le considerazioni appena svolte fanno comprendere come l’assetto degli uffici requirenti debba essere oggetto di costante attenzione da parte dell’intero circuito dell’autogoverno, a tutti i suoi livelli, e quanto alta debba essere anche la vigilanza a livello associativo.

Non è questa la sede per proporre una rimeditazione complessiva dell’assetto normativo, del resto realisticamente di difficile concretizzazione, ma ad una analisi fredda e razionale, ci sarebbe da mettere in discussione l’attuale sistema con il quale il legislatore ha ritenuto di investire esclusivamente sui dirigenti degli uffici, pensando in questo modo di garantire procure efficienti e responsabili, senza considerare che solo un investimento culturale complessivo sulla professionalità dei magistrati del pubblico ministero è in grado di assicurare qualità, efficienza ed efficacia della azione penale.

È per queste ragioni, comunque, che la settima commissione, nel primo anno della consiliatura attuale ha posto all’ordine del giorno in via prioritaria la necessità di un intervento, in forma di circolare, che avesse innanzitutto l’obiettivo di riportare al centro del dibattito e dell’azione dell’autogoverno le procure della Repubblica; un messaggio innanzitutto culturale e di stimolo alla magistratura, chiamata nuovamente ad occuparsi ex professo di tali questioni, per effetto delle sollecitazioni derivanti proprio dal Consiglio e dalla nuova circolare. Una magistratura, chiamata nel suo complesso, in primo luogo, a non considerare scontato che quanto accade nelle procure interessi esclusivamente i singoli uffici e non sia, invece, questione di autogoverno su cui prestare costante attenzione.

La natura della fonte normativa

In questo contesto, il primo importante risultato che può dirsi conseguito sta nella natura della fonte normativa utilizzata, e nel passaggio dalle indicazioni di orientamento, proprie della forma della risoluzione, alle regole precettive, tipiche della forma della circolare.

Sul punto va ricordato che il regolamento interno del Consiglio prevede espressamente le circolari, «emanate per dare esecuzione e interpretazione alla legge ed ai regolamenti, nonché per fornire criteri di orientamento sull’esercizio delle attribuzioni e della discrezionalità del Consiglio (art. 25, comma 1 del regolamento interno)». Dunque una fonte con rilevanza esterna, che si differenzia radicalmente dalla forma della risoluzione che, invece, benché comunicate agli uffici interessati, hanno il precipuo compito di orientare l’attività interna del Consiglio («alle risoluzioni le Commissioni e tutte le articolazioni consiliari si attengono …» – art. 24, comma 2 del regolamento interno).

Non può sfuggire che, a seguito dell’abrogazione dell’art. 7 ter, comma 3 dell’ordinamento giudiziario, a mente del quale «Il Consiglio superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro», la potestà del Consiglio di formulare linee guida sull’organizzazione degli uffici requirenti è stata fortemente messa in dubbia in autorevoli posizioni istituzionali ed in una parte della magistratura, in particolare da alcuni dirigenti degli uffici requirenti.

L’approvazione della circolare consente invece di riaffermare il potere regolamentare del Consiglio, pur nello stretto spazio lasciato dal legislatore, alla luce del suo ruolo di “vertice organizzativo” dell’Ordine giudiziario riconosciuto anche dalla Commissione Paladin (istituita dal Presidente Cossiga con decreto del 26 luglio 1990 con il compito di indagare, fra l’altro, in ordine al fondamento normativo delle circolari consiliari) laddove nella sua relazione, proprio a proposito delle «circolari indirizzate dal Consiglio… agli altri organi dotati di poteri in tema di amministrazione della giurisdizione» sottolineava come fosse difficile immaginare interventi normativi  la cui disciplina fosse «così dettagliata e stringente da annichilire il ruolo che, per una serie di aspetti, compete al Consiglio quale vertice organizzativo della magistratura ordinaria».

Un risultato il cui preminente rilievo appare in tutta la sua evidenza.

L’opzione di fondo – il modello di ufficio e il progetto organizzativo.

La circolare ha una opzione di fondo facilmente riconoscibile.

Preso atto del potere di organizzazione dell’ufficio affidato al procuratore della Repubblica dal Legislatore, il Consiglio ha ribadito la necessità che tale potere sia esercitato innanzitutto secondo forme di procedimentalizzazione chiare e trasparenti, che garantiscano il confronto interno all’ufficio, l’effettiva partecipazione dei magistrati ai processi decisionali, la valorizzazione degli apporti che l’autogoverno può fornire attraverso il ruolo di supporto della Commissione flussi, il parere del Consiglio giudiziario e le osservazioni e gli eventuali rilievi del Consiglio, nell’ambito di una interlocuzione costante con lo stesso dirigente.

Queste norme, condensate negli artt. 8 e 9 della circolare e più volte richiamate, sono finalizzate a stimolare il procuratore della Repubblica, e tutti i magistrati dell’ufficio, a costruire un modello di ufficio che si rifaccia a criteri di efficienza, trasparenza, efficacia, indipendenza dei magistrati del pubblico ministero, valorizzazione della professionalità dei magistrati, rispetto delle regole del giusto processo, tutti strumentali ad una corretta interpretazione ed applicazione dell’obiettivo della garanzia del corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale.

Un principio quest’ultimo, chiaramente espresso dal legislatore, che deve rappresentare un obiettivo cui tendere, e non il mezzo attraverso il quale orientare un esercizio autoritario dei poteri di organizzazione.

In questa ottica assumono rilievo i richiami in più norme ad operare una distribuzione degli affari in maniera equa e funzionale agli obiettivi prefissati ed enunciati, ad operare una approfondita analisi dei flussi e delle pendenze dei procedimenti, a valutare i numeri del ricorso ai riti speciali e, con affermazione di assoluta novità, gli esiti delle diverse tipologie di giudizio, a fare un uso sapiente dei criteri di priorità ultralegali.

Il progetto organizzativo viene pertanto identificato come un vero e proprio «progetto di lavoro condiviso e complessivo» di un ufficio dinamico che si prefigura, ogni tre anni, «gli obiettivi organizzativi, di repressione criminale, e di produttività, anche tenendo conto degli obiettivi di smaltimento dell’arretrato», e dando atto degli obiettivi fissati nel triennio precedente e dei risultati conseguiti.

Un ufficio così delineato, si comprende, ha bisogno dell’apporto consapevole e motivato di tutti i suoi magistrati e non sarebbe in grado di perseguire questi obiettivi attraverso una guida autoritaria e solitaria, a prescindere dalla possibilità o meno di esercitare un controllo da parte del Consiglio sul singolo provvedimento. La richiesta per tutti di attenersi a principi di leale collaborazione esprima poi una indicazione chiara e tassativa.

Il progetto organizzativo trova nell’art. 7 le indicazioni minime, quanto a contenuto perché esso possa ritenersi tale. Il contenuto obbligatorio indicato sta a significare che il procuratore “deve” regolamentare quegli istituti, è vincolato nell’an, pur mantenendo discrezionalità nel quomodo. Non è previsione scontata, in quanto induce il dirigente ad assumere in modo chiaro e trasparente la responsabilità dell’organizzazione proprio nel momento della redazione del progetto organizzativo, per il quale è prevista la massima possibilità di partecipazione dei magistrati, e non “un pezzo alla volta”, e questo in quanto il documento organizzativo deve assumere carattere di completezza e coerenza complessiva.

Il ruolo del Csm

Il progetto organizzativo ed i provvedimenti sull’organizzazione sono, per legge, immediatamente esecutivi sottratti all’approvazione del Consiglio.

La circolare, riprendendo l’ispirazione delle citate risoluzioni e della prassi ormai decennale in materia, riserva al Csm la possibilità di proporsi come autorevole interlocutore del procuratore della Repubblica, attraverso osservazioni e rilievi. Soprattutto intende valorizzare l’autogoverno diffuso in tutte le sue componenti,

L’assetto delineato, però, propone un sicuro avanzamento rispetto al regime previgente.  Si è fatto cenno innanzitutto al ruolo, ormai istituzionalizzato, del Consiglio giudiziario, chiamato a fornire un parere. È facile comprendere l’importanza di questo momento di verifica, sia per la prossimità dell’organo, sia per la sua composizione allargata, che consente una verifica effettiva e completa della ragionevolezza e congruità delle soluzioni adottate, oltreché del rispetto delle regole procedimentali. La circolare espressamente prevede, sia per il consiglio giudiziario che per il Consiglio, un potere di interlocuzione e di richiesta di chiarimenti, che consentirà di contribuire alla soluzione di questioni organizzative controverse. Infine le osservazioni ed i rilievi saranno innanzitutto orientati ed agganciati al rispetto delle regole e dei principi in essa indicati, oltre che nella verifica della adeguatezza della motivazione e della ragionevolezza delle scelte.

Ad iniziare dalla possibilità di verificare il rispetto del principio dell’autolimite finalmente enunciato al primo comma dell’art. 9. Il potere di organizzare l’ufficio è innanzitutto dovere di autolimitare il proprio potere, attraverso regole e scelte ponderate, razionali e trasparenti. Ne consegue che il procuratore sarà il primo magistrato dell’ufficio tenuto al rispetto delle regole che egli stesso ha elaborato, e dovrà adeguatamente motivare le deroghe o le modifiche.

Infine, il sistema normativo proposto, radica la facoltà di ciascun magistrato di proporre sempre, rispetto a qualsiasi atto, osservazioni al Consiglio.

In particolare rilevante il richiamo a tale possibilità per i cd. provvedimenti attuativi, nei quali può annidarsi la tentazione di soluzioni ad personam in latente contrasto con le regole del progetto.

Lo Statuto del procuratore aggiunto

L’art. 5 rappresenta una delle maggiori novità dell’intervento del Consiglio, nella misura in cui delinea il contenuto minimo della funzione semidirettiva di procura, del tutto ignorata, quanto a contenuti, dal legislatore che, anzi, come si ricorderà, ne aveva inizialmente previsto l’abolizione.

Nell’ottica di un modello di ufficio che punta ad una dimensione di dirigenza partecipata, si indica nella funzione di collaborazione del procuratore aggiunto una funzione autonoma ed originaria che prescinde dalle specifiche deleghe ricevute («il Procuratore Aggiunto coadiuva, secondo canoni di leale collaborazione, il Procuratore della Repubblica per il conseguimento degli obiettivi organizzativi esplicitati nel progetto, per garantire il buon andamento delle attività dell’ufficio, la corretta ed equa distribuzione delle risorse dell’ufficio e il corretto, puntuale e uniforme esercizio dell’azione penale»).

Tale funzione originaria è completata dalla previsione, per cui, in ogni caso, il procuratore deve assicurare il mantenimento in capo al procuratore aggiunto (PA) di competenze delegate di coordinamento e/o direzione.

L’articolo, arricchito da altre previsioni, fonda sul presupposto della natura semidirettiva, di nomina consiliare, del PA e mira per un verso ad evitare lo svuotamento delle effettive funzioni riconosciutegli in via ordinamentale, per l’altro a delinearne le effettive funzioni di coordinamento rispetto ai sostituti dei gruppi di lavoro assegnatigli.

Un modo per dare dignità ordinamentale ad una fondamentale funzione interna alle procure, che il legislatore aveva volutamente indebolito.

Assegnazioni e coassegnazioni

Con riferimento alle assegnazioni la circolare ripercorre il dettato normativo con riferimento alla necessità che il procuratore della Repubblica determini i criteri per l’assegnazione degli affari e le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione siano di natura automatica, individuando queste determinazioni come uno dei pilastri del progetto organizzativo.

La norma va letta unitamente al richiamo, più volte operato nell’articolato, a ché la ripartizioni degli affari risponda ad un fondamentale criterio di equità, con il quale si è inteso evidenziare non solo la necessità di evitare significative sperequazioni nei carichi di lavoro, conseguenza di una organizzazione dell’ufficio approssimativa, ma anche la necessità che l’equità si declini come attuazione del principio di pari opportunità professionali e di valorizzazione delle attitudine del magistrato.

I criteri, in quanto stabiliti nel progetto organizzativo sono, dunque, predeterminati, e non scelti di volta in volta. Ad essi si accompagnano i criteri automatici, individuati per tipologie di reato.

Quanto all’autoassegnazione, l’art. 10 richiede che essa sia consentita solo se accompagnata da «adeguata» motivazione, ribadendosi dunque la necessità che sia proprio attraverso la motivazione che potrà verificarsi la correttezza dell’utilizzo di questo delicato potere da parte del «titolare esclusivo dell’azione penale», chiamato ad esercitarla nell’ambito delle regole che egli stesso deve predeterminare.

Di non poco rilievo le regole sulle coassegnazioni, ancora una volta da predeterminarsi nel progetto organizzativo; la norma esprime un evidente favor per quelle originarie e la conseguente necessità di adeguata motivazione per quelle successive.

L’art. 10, comma 5, infine, enuncia il fondamentale principio per cui «l’assegnazione conferisce al magistrato la conduzione delle indagini e la determinazione degli esiti finali del procedimento, fatte salve le prerogative del Procuratore della Repubblica previste dalla legge e dalla presente circolare».

Anche in questo settore – dunque, sotto vari profili – nevralgico nel complesso ordinamentale degli uffici requirenti, la circolare consente un avanzamento in termini di chiarezza e predeterminazione dei criteri generali di assegnazione, richiesta di «adeguata» motivazione delle auto assegnazioni e precise disposizioni sulle coassegnazioni. Sarà utile una verifica in concreto di come queste norme saranno applicate e, soprattutto, con quanta precisione saranno individuati criteri predeterminati e criteri automatici nelle assegnazioni.

Assenso, visto e revoca della assegnazione – la rinuncia

Gli artt. 13, 14, 15 e 16 regolamentano istituti che costituiscono il cuore del rapporto fra la titolarità dell’azione penale in capo al procuratore e la autonomia e la dignità della funzione del pubblico ministero assegnatario.

Sotto questo profilo, nell’ambito delle regole di procedimentalizzazione richieste, e ribadita anche in queste norme l’opzione per un costante dialogo e confronto volto, in caso di contrasto, a trovare soluzioni condivise, la circolare opera un fondamentale distinguo fra l’assenso, inteso come provvedimento di approvazione richiesto dalla legge per le richieste di misura cautelari, ipotesi tipizzata e limitata alle sole ipotesi normative, ed i provvedimenti, facoltativi e rimessi alla discrezionalità del procuratore, di “visto” su altre tipologie di atti.

Il “visto” ha esclusivamente funzione di conoscenza ed è utile a consentire al dirigente di conoscere preventivamente il contenuto di provvedimenti di particolare rilievo, per poter esercitare le sue facoltà volte innanzitutto a verificare il rispetto delle direttive eventualmente emanate e garantire il coordinamento interno e quello con altri uffici giudiziari, nonché a poter interloquire sul contenuto di provvedimenti che non condivide, in linea con il suo potere di direzione.

Esperiti i tentativi di componimento, e ferma la possibilità di esercitare la revoca nei casi previsti dalla legge, l’art. 14 però chiarisce che in caso di perdurante dissenso il provvedimento farà il suo corso secondo le determinazioni del magistrato assegnatario, che otterrà l’attestazione di aver adempiuto agli obblighi di conoscenza e di interlocuzione. In questo modo, appare chiara la diversità rispetto all’assenso che, in quanto atto di approvazione imposto dalla legge, espone, in caso di violazione della norma, il magistrato ai rilievi disciplinari.

L’art. 15 in materia di revoca della assegnazione ripercorre in forma di articolato il procedimento proposto dalle risoluzioni del 2007 e 2009.

Di rilievo la affermazione della revoca come extrema ratio, e l’obbligo per il procuratore di esperire ogni utile tentativo per pervenire ad una soluzione condivisa, anche il coinvolgimento del procuratore aggiunto.

Appare evidente come il Consiglio, nel contesto di una normativa così complessa e nella prioritaria esigenza di giungere ad un risultato condiviso, non abbia avuto la possibilità di affrontare alcuni importanti nodi in materia di revoca, da ultimo emergenti dalla nota delibera sulla revoca di Catania, in particolare con riferimento alla individuazione di una tipologia di casi più ristretta di revoca (illegittimità, abnormità del provvedimento, evidente errata interpretazione di norme, contraddizione con precedenti orientamenti consolidati e condivisi nell’ufficio) ed al potere di controllo del Consiglio (in caso di revoca fuori dei casi previsti dalla legge, per esempio).

È uno dei punti che meriteranno un ritorno di approfondimento, da compiersi però, vantaggio non irrilevante, nell’ambito del contesto già consolidato della circolare e, dunque con maggiori possibilità di affrontare un tema assai critico e divisivo.

L’art. 16 consente al magistrato assegnatario, nei casi di contrasto non sanabile con il procuratore, di rinunciare alla assegnazione. Si tratta di una norma a presidio della dignità della funzione e della autonomia del singolo magistrato dell’ufficio a cui deve essere consentito l’esercizio del dissenso anche con l’atto della rinuncia.

Gli atti relativi alle interlocuzioni fra sostituto e procuratore non devono far parte del fascicolo di indagine e sono custoditi in fascicolo riservato presso la segreteria del procuratore.

Le Procure Generali – l’art. 6 – l’avocazione

Il complesso delle norme di cui agli artt. da 18 a 22 si riferiscono alle regole di organizzazione delle procure generali. L’avere previsto anche per le procure generali presso le corti d’appello l’obbligo della redazione del progetto organizzativo, supera le incertezze in materia e soprattutto la ritrosia di alcuni dirigenti di questi uffici, a procedere alla determinazione di criteri organizzativi predeterminati, specie in ordine alle modalità di distribuzione degli affari.

Il rinnovato ruolo delle procure generali e lo stesso ricambio generazionale nei suoi dirigenti consentiranno, anche in questi uffici, di aumentare il grado di partecipazione alle scelte organizzative, la trasparenza delle soluzioni adottate, il contributo del governo autonomo, attraverso il richiamo alle norme di cui agli artt.8 e 9 e in quanto compatibili con tutto l’impianto normativo della circolare.

In questo contesto va menzionato l’inserimento in circolare del perimetro entro il quale vanno esercitate le attività ex art. 6, mai da intendersi, se non nei casi previsti dalla legge, a livello di coordinamento investigativo ma, piuttosto, come un metodo di lavoro volto a contribuire alla individuazione e promozione di prassi organizzative ed interpretative nel distretto, attraverso atti di impulso e coordinamento e promuovendo iniziative e confronti volti a pervenire ad un risultato utile e condiviso, nel solco di quanto più dettagliatamente descritto nella risoluzione del 16 marzo 2016 in materia di antiterrorismo e nella risposta a quesito del 20 aprile 2016 proposta dal procuratore di Torino.

La proiezione di questo metodo di lavoro, in cui si inserisce il costante lavoro del Csm. in materia di selezione e promozione di buone prassi organizzative, anche negli uffici requirenti, si concretizza poi nel lavoro che costantemente da anni svolge la Procura generale presso la Corte di cassazione; la circolare assicura veste ordinamentale alle riunioni dei procuratori generali presso le Corti d’appello in quanto finalizzate alla redazione di un documento annuale che viene trasmesso al Consiglio per la presa d’atto. Il percorso delineato, dunque, ancora una volta, punta a rafforzare il circuito virtuoso del confronto e della promozione delle migliori soluzioni organizzative, assicurando un coinvolgimento finale al Consiglio superiore, puntualmente informato e che potrà esprimere la sua voce collaborativa ed autorevole.

Nel progetto organizzativo il Procuratore generale presso la Corte d’appello dovrà indicare «i criteri cui intende attenersi nell’esercizio delle funzioni proprie di avocazione di cui all’art. 412, comma 1, c.p.p., da compiersi anche tenendo conto dei criteri di priorità elaborati dal Procuratore della Repubblica».

Il tema è più dettagliatamente sviluppato dall’art. 21 che richiama anche la necessità di una successiva risoluzione dettagliata del Consiglio, ma risulta scolpita la necessità di un esercizio trasparente, razionale e secondo criteri predeterminati dei poteri di avocazione, con particolare riferimento, evidentemente, a quella da ultimo introdotta dal legislatore all’art. 407, comma 3 bis cpp.

Il futuro

L’approvazione della circolare rappresenta sicuramente un passo importante di cui va riconosciuta la rilevanza. Una sorta di spartiacque che ribadisce il pieno inserimento degli uffici requirenti nel circuito dell’autogoverno e conferma il valore irrinunciabile dell’unicità della giurisdizione.

All’inizio della consiliatura pochi avrebbero scommesso sulla riuscita di quella che veniva considerata una sorta di missione impossibile. Numerosi i tentativi ed i consigli di abbandonare il progetto e limitarsi a ritocchi di soft law.

E invece…

Il testo perviene all’esito del contributo di tutte le componenti consiliari, togate e laiche, e, soprattutto, della pratica di un metodo di ascolto che ha coinvolto nel suo complesso la magistratura requirente, anche attraverso ben cento audizioni che hanno consentito di migliorare il testo e trovare amia condivisione. Il miglior viatico per l’effettività di ogni riforma è garantire che essa sia innanzitutto ampiamente condivisa, soprattutto da chi deve applicarla.

Anche per questo la circolare non va intesa come un punto d’arrivo ma, semmai, come un nuovo inizio; spetterà ora alla magistratura requirente utilizzare al meglio uno strumento che consente una partecipazione effettiva e la realizzazione di un costante dialogo fra il procuratore, i procuratori aggiunti ed i magistrati dell’ufficio da compiersi sulla base di regole chiare e predeterminate, nell’ambito delle quali contribuire a sostenere un modello di procura idoneo a prestare un servizio più efficiente e di qualità, tale da rispondere alla enorme domanda di giustizia sollecitata dai cittadini, senza affidarsi alla messianica gestione solitaria del dirigente.

Al cospetto di un autogoverno che si riappropria del suo ruolo di impulso e di controllo.

Spetterà dunque ai magistrati attivare adeguatamente i meccanismi di partecipazione; ai Consigli giudiziari ed al Consiglio superiore, specie in sede di prima applicazione, garantire una attuazione rigorosa e puntuale delle norme.

Al prossimo Consiglio la possibilità, poi, di incidere su singoli istituti e per il rafforzamento ulteriore dei poteri di controllo del governo autonomo, operando in un quadro già condiviso di regole precettive.

16/11/2017
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06/10/2022
Un pubblico ministero “finalmente separato”? Una scelta poco o per nulla consapevole della posta in gioco. E l’Europa ce lo dimostra

Per avere piena consapevolezza della vera posta in gioco di un processo di riforma avviato verso il superamento del modello costituzionale che vuole il pm inserito nella giurisdizione, è necessario allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali e a ciò che succede nello spazio comune di giustizia che abbiamo contribuito a costruire: dall’elaborazione dei principi sull’indipendenza del pm – quale necessario corollario dell’indipendenza dei sistemi giudiziari –, ai meccanismi di tutela messi in atto per difendere questa indipendenza – come valore chiave dello Stato di diritto –dagli attacchi portati dall’interno dell’Unione, alle scelte istituzionali con la creazione di una Procura sovranazionale “indipendente” (EPPO). L’Europa va in un’altra direzione…

17/09/2022
Intervento di apertura alla conferenza dei Procuratori generali degli Stati membri del Consiglio d’Europa

L'intervento di apertura del procuratore generale Giovanni Salvi alla conferenza dei Procuratori generali degli Stati membri del Consiglio d’Europa (Palermo, 5-6 maggio 2022)

23/05/2022
Pubblico ministero, informazione giudiziaria e presunzione di non colpevolezza

Le innovazioni legislative rivolte ad attuare la direttiva 2016/343/UE «sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza» si prestano a una lettura in chiaroscuro: ad apprezzabili intendimenti corrisponde infatti una traduzione discutibile, in cui convivono – accanto a cautele opportune – il troppo e il troppo poco. 
Per un verso, il d.lgs. n. 188 del 2021 ha individuato come unici canali informativi ammessi il comunicato ufficiale e la conferenza stampa, consentita soltanto in casi che si vorrebbero normativamente individuati; per l’altro, preoccupato da eccessi comunicativi dell’autorità giudiziaria, il provvedimento ha finito per demandare alla discrezionalità del procuratore della Repubblica la scelta di informare sul procedimento penale e omesso di estendere agli operatori della comunicazione le prescrizioni che dovrebbero assicurare il rispetto dell’art. 27 comma 2 Cost.
L’impressione è che la disciplina vada pertanto rimeditata, a partire dall’idea che informare l’opinione pubblica di quanto accade nel procedimento penale debba essere la regola, mentre l’esclusione della comunicazione l’eccezione, e che a definirne le modalità debbano essere disposizioni essenziali, nitide nel contenuto ed efficacemente presidiate.     

17/05/2022
©   Questione Giustizia -  ISSN: 2420-952X
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