La risoluzione sull'importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa, approvata dal Parlamento europeo a Strasburgo il 19 settembre 2019, reca in sé alcune ambiguità che da un lato danno conto del fatto che essa abbia raccolto un ampio consenso in sede di votazione finale, dall’altro delle critiche che essa ha immediatamente suscitato e del dissenso di diversi parlamentari all’interno dei gruppi che hanno formato la maggioranza determinatasi a seguito di una mediazione, accettata dal PSE, per evitare l'approvazione di un testo voluto dalle destre che avrebbe direttamente equiparato fascismo e comunismo e proposto l'eliminazione di tutti i riferimenti marxisti dalla toponomastica europea.
Il testo lascia trasparire due differenti ispirazioni o orientamenti.
Se infatti per un verso la risoluzione riprende temi antifascisti consolidati, per altro verso palesa una specifica preoccupazione per la contemporaneità russa che ha indotto ad alcune affermazioni antitotalitarie che potrebbero portare a interessate letture equidistanti della risoluzione, tali da depotenziare la necessaria vigilanza contro i risorgenti neofascismi all’interno dell’Unione europea (mentre altra cosa è la difesa dell’Unione dalle possibili aggressioni provenienti dall’esterno).
La risoluzione era stata preceduta da una dichiarazione del primo vicepresidente Frans Timmermans e della commissaria Vĕra Jourová in occasione della Giornata europea di commemorazione delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari, a Bruxelles, il 22 agosto 2019 [1], già orientata a questa ispirazione esterna, laddove richiamava tra l’altro anche “il trentesimo anniversario degli eventi del 1989, quando i cittadini dell'Europa centrale e orientale sono insorti e hanno aperto la prima breccia nella cortina di ferro, accelerandone la caduta” e faceva riferimento all’ottantesimo anniversario dal 1939, individuato non solo come anno d’inizio della guerra mondiale ma anche per la firma del patto Molotov-Ribbentrop.
Lo stesso richiamo è contenuto nella risoluzione, e il patto Molotov-Ribbentrop viene descritto come causa dell’invasione della Polonia ma anche dell’attacco sovietico alla Finlandia e alla Romania e dell’annessione di Lituania, Lettonia ed Estonia.
Il giudizio storico sugli accordi prebellici tra Germania e Unione Sovietica è particolarmente controverso e complesso e il suo uso anche propagandistico ricorrente: le storie e le storie militari oscillano tra l’obliterazione del patto (si veda ad esempio la raccolta di scritti di generali dell’Armata Rossa “Così battemmo Hitler. Da Mosca a Stalingrado, le vittorie dell’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale”, in particolare Dado Muriev) e la sua forzata – successiva - individuazione come prova della premeditata “aggressività sovietica” (in linea con l’ideologia del discorso di Fulton del 5 marzo 1946 di Churchill, che pure sul patto aveva un’opinione più articolata); mentre è comunque evidente la doppiezza nazista nella fase precedente l’avvio dell’Operazione Barbarossa (sui cui, ad esempio si sofferma lo storico Antony Beevor, in Stalingrad, nel descrivere i contatti tra Molotov e l’ambasciatore tedesco von der Schulenburg).
D’altro canto l’iniziativa del Parlamento europeo è stata preceduta anche da un duro confronto tra la dichiarazione congiunta dei ministri degli esteri di Polonia, Romania, Lituania, Lettonia ed Estonia contro gli effetti del patto e la dichiarazione del ministro degli esteri russo Lavrov, che, inaugurando l’esposizione dell’originale del documento, ha puntato il dito sull’asserita irresponsabilità occidentale dell’epoca che avrebbe spinto Hitler ad attaccare l’URSS [2].
In questa temperie, la citazione esplicita e critica in una risoluzione antitotalitaria del patto Molotov-Ribbentrop è quantomeno rischiosa; e imprudente appare l’affermazione (K), secondo cui “nonostante il 24 dicembre 1989 il Congresso dei deputati del popolo dell'URSS abbia condannato la firma del patto Molotov-Ribbentrop, oltre ad altri accordi conclusi con la Germania nazista, nell'agosto 2019 le autorità russe hanno negato la responsabilità di tale accordo e delle sue conseguenze e promuovono attualmente l'interpretazione secondo cui la Polonia, gli Stati baltici e l'Occidente sarebbero i veri istigatori della Seconda guerra mondiale”.
Se il riferimento storico contenuto nella risoluzione risulta per alcuni versi opinabile, una serie di altri contenuti si colloca nella più stringente logica del messaggio al nemico esterno.
Così è a dirsi del riferimento alla “memoria delle vittime dei regimi totalitari” e della sensibilizzazione a tale riguardo come elementi “di vitale importanza per l'unità dell'Europa e dei suoi cittadini e per costruire la resilienza europea alle moderne minacce esterne”.
Ancora più esplicite le affermazioni che chiamano direttamente in causa l’attuale leadership russa: “la Russia rimane la più grande vittima del totalitarismo comunista e […] il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l'élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico; invita pertanto la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato […] è profondamente preoccupato per gli sforzi dell'attuale leadership russa volti a distorcere i fatti storici e a insabbiare i crimini commessi dal regime totalitario sovietico; considera tali sforzi una componente pericolosa della guerra di informazione condotta contro l'Europa democratica allo scopo di dividere l'Europa e invita pertanto la Commissione a contrastare risolutamente tali sforzi” (15, 16).
I passaggi sulle “moderne minacce esterne” e sulla “guerra di informazione” contro i paesi democratici dell’Europa sono davvero inequivoci: e non può evidentemente essere senza significato, sul piano delle relazioni internazionali, la disposizione finale che prevede la trasmissione del documento (oltre che al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri dell’Unione) “alla Duma russa e ai parlamenti dei paesi del partenariato orientale”.
La risoluzione contiene peraltro anche riferimenti puntuali al concreto e attuale problema dell’Unione costituito dalle risorgenze neofasciste, anche in forme originali del tutto contemporanee: così la stigmatizzazione di “gruppi e partiti politici apertamente radicali, razzisti e xenofobi [che] fomentano l'odio e la violenza all'interno della società, per esempio attraverso la diffusione dell'incitamento all'odio online, che spesso porta a un aumento della violenza, della xenofobia e dell'intolleranza” (M); la condanna del “revisionismo storico e la glorificazione dei collaboratori nazisti in alcuni Stati membri dell'UE” (7); la profonda preoccupazione “per la crescente accettazione di ideologie radicali e per il ritorno al fascismo, al razzismo, alla xenofobia e ad altre forme di intolleranza nell'Unione europea”, il turbamento per “notizie di collusione di leader politici, partiti politici e forze dell'ordine con movimenti radicali, razzisti e xenofobi di varia denominazione politica in alcuni Stati membri”; l’invito alla la traduzione dei lavori dei processi di Norimberga in tutte le lingue dell'Unione e il contrasto a ogni forma di negazione dell'Olocausto (8, 9); la condanna delle forze politiche estremiste e xenofobe che “[ricorrono] con sempre maggior frequenza alla distorsione dei fatti storici e [utilizzano] simbologie e retoriche che richiamano aspetti della propaganda totalitaria, tra cui il razzismo, l'antisemitismo e l'odio nei confronti delle minoranze sessuali e di altro tipo” (19).
Legittima è invece la preoccupazione per taluni contenuti che non risultano in linea con la tradizione e le scelte costituzionali della nostra Repubblica.
La dichiarata “necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature” (E) confligge con l’unicum giudiziario rappresentato dal processo di Norimberga, richiamato a giustificazione di questa ritenuta necessità; né va dimenticato che il partito nazionalsocialista non ha avuto alcun XX Congresso o Kruscev o Mikojan.
Le affermazioni in qualche modo equidistanti o equiparative [“condanna tutte le manifestazioni e la diffusione di ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo, all'interno dell'Unione (6)”] non coincidono con la natura antifascista della nostra Costituzione ma anche con il giudizio storico sui fenomeni politici del ‘900.
Declinante in tal senso è il richiamo alla decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, che viene correttamente riferita al contrasto delle “organizzazioni che incitano all'odio e alla violenza negli spazi pubblici e online, nonché a vietare di fatto i gruppi neofascisti e neonazisti e qualsiasi altra fondazione o associazione che esalti e glorifichi il nazismo e il fascismo” ma che subisce l’aggiunta di “qualsiasi altra forma di totalitarismo” (20); e la risoluzione confligge con norme e principi del nostro ordinamento e con i fondamenti e l’esperienza storica della Repubblica quando “esprime inquietudine per l'uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l'uso di simboli sia nazisti che comunisti” (17).
La vincolatività debole di un atto quale la risoluzione non ne sminuisce il significato politico: la tutela dell’Unione europea non può che accompagnarsi al rafforzamento della coscienza dei suoi valori, proiettati globalmente. In tal senso sembrano centrali – e da valorizzare nei loro significati meno contingenti – le affermazioni della risoluzione secondo cui “il tragico passato dell'Europa dovrebbe continuare a fungere da ispirazione morale e politica per far fronte alle sfide del mondo odierno, come la lotta per un mondo più equo e la creazione di società aperte e tolleranti e di comunità che accolgano le minoranze etniche, religiose e sessuali, facendo in modo che tutti possano riconoscersi nei valori europei” (21) e “l'integrazione europea, in quanto modello di pace e di riconciliazione, è il frutto di una libera scelta dei popoli europei, che hanno deciso di impegnarsi per un futuro comune, e che l'Unione europea ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia e il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, sia all'interno che all'esterno del suo territorio” (13): un’eco del contenuto dell’articolo 3 (e in particolare del comma 5) del Trattato sull’Unione europea.