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La tutela dei diritti delle persone con disturbi specifici di apprendimento (DSA): il percorso verso l’uguaglianza, dalla istruzione scolastica e universitaria al mondo del lavoro

di Antonio Caterino
avvocato con DSA del Foro di Milano

I diritti sono una conquista e il loro riconoscimento effettivo la meta spesso lontana di una strada impervia. La ricerca del diritto allo studio e al lavoro si snoda in un racconto che intreccia il vissuto personale di un giovane avvocato con l’evoluzione sociale e normativa del nostro Paese: dalle aperture dell’Avvocatura sull’accesso alla professione alle sfide nel pubblico impiego e, in divenire, in tutto il mondo del lavoro.

1. Premessa 

Sono molto contento di raccontare in questa sede il lungo ed entusiasmante percorso intrapreso sul fronte della tutela dei diritti delle persone con disturbi specifici di apprendimento (i cd. DSA).

Un viaggio caratterizzato da avanzamenti, improvvise battute di arresto, lunghe attese e fulminanti accelerazioni, come quelle che hanno scandito le ultime stagioni, protagoniste di innovazioni giuridiche destinate a dare pieno compimento alle promesse costituzionali di eguaglianza e opportunità, anche in ordine al rapporto, fino a pochi mesi fa completamente trascurato, tra DSA e mercato del lavoro. 

L’anno appena concluso, infatti, ha visto l’approvazione di una serie di interventi legislativi da parte di Parlamento e Governo (legge n. 113/2021 e decreto legge n. 139/2021) che, colmando alcune lacune normative, hanno sancito fondamentali conquiste di civiltà per ciò che attiene l’accesso al mercato del lavoro in condizioni di piena ed effettiva parità anche da parte di persone con DSA.

Si tratta di progressi, lungamenti attesi e perseguiti con determinazione, che hanno consacrato l’estensione dei diritti e delle tutele - già previste dalla legge n. 170/2010 a favore delle persone con DSA nel settore dell’istruzione scolastica e universitaria - anche rispetto all’accesso al mondo del lavoro: ciò è avvenuto riconoscendo a tali soggetti l’utilizzo, in sede di prova di selezione o ammissione, di strumenti (le cd. misure di supporto) in grado di consentire lo svolgimento del concorso o dell’esame in condizioni di parità con gli altri candidati.

Anche se al momento tali previsioni hanno un ambito di applicazione limitato, è innegabile che questo primo approdo segni un importante avanzamento nel riconoscimento dei livelli essenziali di tutela dei diritti delle persone con DSA, anche nella loro vita adulta. 

La mancata applicazione fino a pochi mesi fa, nel mercato del lavoro, di misure analoghe a quelle previste dalla legge n. 170/2010 - che nell’ambito scolastico e universitario consente ad alunni e studenti con diagnosi di DSA di avvalersi di  strumenti che riequilibrano la condizione di svantaggio in cui incolpevolmente vengono a trovarsi - ha determinato un grave pregiudizio a danno di tali soggetti, ai quali è stato impedito di godere, anche successivamente alla conclusione del ciclo di istruzione scolastica e universitaria, delle stesse chances di successo.

Appare chiaro come il silenzio normativo, rotto solo dai recenti interventi legislativi, abbia finito inevitabilmente - almeno da quando è stata emanata la legge n. 170/2010 - per essere la causa di gravi forme di discriminazione, diseguaglianza, ingiustizia e, naturalmente, di sofferenze, per le persone con DSA, impegnate sul fronte dell’accesso, della permanenza e dello sviluppo della propria carriera lavorativa (in Italia, secondo stime prudenziali, rese note dall’Associazione Italiana Dislessia - AID, le persone con DSA sono almeno 3 milioni, pari al 3 - 5% della popolazione).

Se partendo da queste dolorose premesse, importanti progressi sono stati raggiunti e nuovi diritti sono stati affermati, lo si deve anche all’attività intrapresa da Magistrati e Avvocati, che con coraggio e lungimiranza, molto prima delle iniziative legislative del 2021, hanno dato avvio ad una cooperazione congiunta: ciò è accaduto a Milano, con la sottoscrizione nel 2019 tra il Presidente della Corte di Appello e il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di uno specifico protocollo sui DSA, volto a rimuovere le condizioni di svantaggio in sede di esame di avvocato per i candidati con DSA. 

La sottoscrizione di tale protocollo, anticipando i successivi interventi legislativi, ha pionieristicamente contribuito a colmare il vuoto normativo che impediva, oltre che nei concorsi pubblici, anche in sede di esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio di una professione, l’applicazione di misure compensative e dispensative, analoghe a quelle previste dalla legge n. 170/2010.

In particolare, il protocollo sui DSA, stipulato a Milano dai Presidenti della Corte di Appello (dott.ssa Marina Tavassi, prima, e dott. Giuseppe Ondei, poi) e dell’Ordine degli Avvocati (avv. Vinicio Nardo), ha previsto che, in sede di esame di avvocato, ai candidati del Distretto di Corte di Appello di Milano con diagnosi di DSA certificata secondo la normativa vigente, siano applicate in modo certo e rigoroso da parte della Commissione Esami Avvocato le misure compensative e dispensative, tassativamente definite e individuate dal Protocollo stesso.

 

2. Sulla strada dei diritti: la lunga marcia verso una piena ed effettiva parità a favore delle persone con DSA

Se 20 anni fa, quando da studente di liceo scientifico in costante conflitto con il tempo che non bastava mai e con i giudizi sempre troppo severi nei miei confronti, nonostante gli sforzi e l’impegno assiduo nello studio, mi avessero detto che avrei conseguito una laurea in giurisprudenza e che avrei poi ottenuto il titolo di avvocato, non avrei mai potuto credervi, anche se probabilmente, in cuor mio, ci avrei davvero sperato.

In quel periodo, le difficoltà erano tali e così pervasive che non era facile immaginare quello che così sorprendentemente sarebbe accaduto successivamente.

A impensierirmi non era tanto la mancanza di motivazione o di dedizione allo studio, quanto piuttosto la mia naturale e reiterata inclinazione al fallimento, che finiva per complicare e ritardare il compimento di tutto quello a cui tenevo.

La situazione non migliorò particolarmente all’università, dove a fronte di un impegno totale risultavo, comunque, sempre imprevedibile nei risultati, buoni o cattivi che fossero. 

In sede d’esame, infatti, poteva accadere di tutto: potevo con la stessa facilità ottenere la lode oppure ritrovarmi a dover lottare per difendere un 18 e salvare la faccia, quantomeno di fronte ai miei genitori, altrimenti increduli di fronte all’ennesima clamorosa disfatta.

Le amnesie in sede di esame mi tiravano sempre brutti scherzi.

Tutto questo accadeva e si ripeteva, senza che mi fosse in alcun modo chiara la causa di questo mio “malfunzionamento”.

Mi limitavo semplicemente a supporre che fossi più lento e sicuramente più inefficiente nello studio rispetto ai miei coetanei e che, pertanto, non avevo altre soluzioni se non quella di quintuplicare gli sforzi e coltivare fiducia, insomma provare ad essere «forte nelle tribolazioni e lieto nella speranza», come insegnano agli scout.

Ed è con questo spirito che mi sono sempre rialzato ogni volta che le cose non andavano come sarebbe stato lecito o forse giusto attendersi o, semplicemente, come avrei meritato, in considerazione della fatica, degli sforzi e del tempo dedicati alla preparazione delle materie d’esame.

Tuttavia, dopo un primo periodo più complesso, durato quasi due anni, un esame dopo l’altro, grazie ai miei straordinari colleghi, chiamati sistematicamente a mettere alla prova e consolidare le mie conoscenze prima degli appelli (molti dei quali, oggi, giovani magistrati) dopo quasi 7 anni dall’inizio degli studi in giurisprudenza, nel 2012, sono giunto a discutere la tesi di laurea.

A questo appuntamento, però, mi sono presentato con una consapevolezza, una leggerezza e, forse, anche una gioia del tutto nuova, perché due giorni prima della data della discussione di laurea avevo finalmente appreso il motivo di quelle assurde, inspiegabili difficoltà, capaci di rendere leggendari i miei esami e le conseguenze che ne derivavano (per i primi anni di università, infatti, sono stato uno specialista nel mandare a monte 3 o, a volte, anche 6 mesi di «studio matto e disperatissimo», rendendoli completamente vani). 

Semplicemente ero (o meglio, sono) dislessico e, come sicuramente accaduto a molti altri prima di me, non l’avevo mai saputo prima di allora. 

A 26 anni, dunque, per la prima volta, a seguito di una visita specialistica fissata per la diagnosi dei DSA in età adulta, la vita mi ha messo nella condizione di conoscermi meglio, andando a scrutare nel profondo, e di capire con enorme soddisfazione le ragioni di quel mio modo così particolare di processare ed interagire con le informazioni di un testo. 

Per tutte queste inattese rivelazioni non potevo che essere felice.

La profonda e rinnovata consapevolezza che è derivata dalla diagnosi è stato il più bel regalo di laurea che potessi ricevere e, peraltro, mi veniva recapitato con due giorni di anticipo.

Nel mio caso, la certificazione dava atto della compresenza di tutti e quattro i DSA (dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia) e di una avvenuta «compensazione da talento» degli stessi, che si verifica quando ciascuno di noi prova, attraverso soluzioni personali, a disinnescare le interferenze prodotte dalle difficoltà e a immaginare una via alternativa per aggirare gli ostacoli.

Chiedo scusa se in queste prime righe mi sono lasciato andare a considerazioni così personali che esulano dal cuore di questo scritto, ma l’ho fatto perché vorrei approfittare di questa sede così prestigiosa e autorevole per infondere fiducia e speranza non solo ai giovani che ora stanno affrontando la sfida dei DSA, a scuola, all’università o nel lavoro, ma anche ai loro genitori, spesso preoccupati, comprensibilmente, per il destino dei loro figli, apparentemente più incerto di quello degli altri.

É a voi che va, in particolare, il mio messaggio, ma non solo a voi, perché è a noi tutti - persone con o senza DSA - che ho pensato quando ho iniziato a riflettere su cosa potessi fare per aiutare il nostro sistema ad aiutarci. 

Credevo che perdere il valore che l’intelligenza dislessica può offrire non sarebbe stato solo un grave torto fatto alle persone con DSA ma all’intero sistema delle nostre comunità, che avrebbero perso un’occasione preziosa per mettere a frutto le nostre qualità di persone sensibili, coraggiose e infaticabili, in molti casi sviluppate come risposta ai tentativi di adattamento a contesti difficili, se non addirittura ostili.

Dovevo quindi lavorare per rimuovere il pregiudizio che corrompe e inquina, sistematicamente, ogni valutazione condotta sulle persone con DSA e che, inevitabilmente, impedisce alle comunità di investire con fiducia nei nostri confronti.

I DSA, ancora oggi, sono contrassegnati da un perdurante e prevalente significato negativo, fortemente radicato anche nella cultura e nell’esperienza di chi ne è portatore. 

Purtroppo, essere dislessici ci induce a sentirci sbagliati e in difetto e perciò ci costringe, ogni volta che non si può fare diversamente, a nascondere quasi con un senso di colpa i nostri DSA, considerandoli qualcosa di vergognoso, imbarazzante o inopportuno su cui è necessario tacere, con la conseguenza che oggi sono ancora troppo poche le persone che hanno trovato il coraggio di parlare pubblicamente dei propri DSA.

Naturalmente, sono il primo a riconoscere che questa reazione non solo è legittima, ma a volte anche necessaria per proteggerci dal dolore che abbiamo subito o che continuiamo a subire a causa di persone con atteggiamenti aggressivi e irrispettosi, sempre pronte a giudicare e quasi mai a comprendere.

Tuttavia, se nessuno di noi si attiverà per sovvertire il significato negativo riconnesso ai DSA, per dissipare questo infondato pregiudizio dalle opinioni che dominano la nostra cultura e le convinzioni stesse delle persone con DSA, allora continueremo ad essere condannati a rivivere questa esperienza con sofferenza, quando invece, al contrario, una nostra apertura potrebbe spalancarci straordinarie opportunità di crescita.

Del resto, se oggi il mercato del lavoro, nonostante i progressi di questi ultimi anni, resta ancora un terreno ostile alle persone con DSA, è innegabile che una parte della responsabilità sia imputabile anche a noi stessi, che abbiamo deliberatamente scelto di non mettere il datore di lavoro a conoscenza dei nostri DSA e, quindi, nella condizione di aiutarlo ad aiutarci.

Sono consapevole che parlare al proprio datore di lavoro di DSA può rivelarsi controproducente (lo ha confermato pochi giorni fa anche un rapporto dell’Associazione Italiana Dislessia). 

Anche nel mio caso, soprattutto all’inizio del mio percorso lavorativo, lo è stato: ma posso assicurarvi - e spero che quello che leggerete in queste pagine possa convincervi di ciò - che le persone che sono disposte ad aiutarci sono in numero molto maggiore rispetto a quelle che ci volterebbero le spalle.

Persone con atteggiamenti negativi e offensivi ci sono e ci saranno sempre, ma - per citare Piero Calamandrei nelle sue lezioni sulla Costituzione - non dobbiamo permettere loro di spegnere la nostra ardente «fiamma spirituale», certi che troveremo sulla nostra via figure speciali, pronte a premiare il nostro coraggio e la nostra onestà.

Le iniziative in questo campo e i progressi che ne sono seguiti sono il risultato del sostegno di personalità straordinarie, che hanno messo la loro autorevolezza e il loro prestigio a favore della causa della tutela dei diritti delle persone con DSA, affinché giustizia e uguaglianza sovvertissero torto e discriminazione.

Senza di loro, il loro coraggio e la loro fede nelle nostre capacità, nulla di quanto è stato compiuto sarebbe potuto accadere, perché da solo, come dislessico, non avrei mai potuto fare così tanto e, soprattutto, arrivare così lontano.

Tutti noi possiamo fare moltissimo, se lo vogliamo, indipendentemente dalle etichette che ci hanno cucito addosso. 

I voti non esauriscono mai il giudizio sulla nostra intelligenza; ci possono dire alcune cose, ma sicuramente non tutto e non abbastanza. 

Quindi, la nostra condizione, per quanto ci renda a disagio, non può e non deve essere di ostacolo alle nostre iniziative e, soprattutto, al futuro che sapremo costruirci con quelle iniziative. 

Personalmente, il fatto che abbia deciso di parlare apertamente e con fiducia dei miei DSA nel contesto del mercato del lavoro, non deriva da una storia di successo a scuola e all’università.

Non l’ho fatto perché ero bravo a scuola e all’università, condizione che naturalmente può aiutare a parlarne più serenamente.

La mia storia, infatti, è come quella di tanti, fatta di alti e bassi, di battute d’arresto e di ripartenze, costruita essenzialmente sull’impegno, sulla costanza e sulla tenacia del duro lavoro che non ammette scorciatoie.

Ho parlato perché mi sentivo altrettanto forte e sicuro, come il migliore degli studenti, per una ragione: io avevo studiato molto di più del migliore degli studenti anche sei i miei voti dicevano il contrario.

Questo ad esprimere che si può essere dislessici, che si può essere insoddisfatti di risultati quasi sempre al di sotto delle aspettative, ma che, se si è disposti a resistere e lottare per crescere un centimetro alla volta, si può essere orgogliosi della persona che si è, anche se alle spalle non si è vissuta una esistenza da primi della classe.

In altre parole, non è vi nulla di vergognoso o di limitante nell’avere un DSA, anche quando le cose non vanno come davvero vorremmo o come sarebbe giusto che andassero.

Perciò, crescendo, diventa cruciale, secondo il proprio giudizio e naturalmente con i propri tempi, imparare a capire quando è opportuno aprirsi all’esterno e parlare con equilibrio e serenità dei propri DSA, per cercare e ottenere il contributo di chi può aiutarci a fare di più e sempre meglio.

Nel mio caso, però, vi è stato anche un elemento in più, perché assecondare questa scelta per me è stato ancora più facile: correva l’anno 2012, mi ero appena laureato in giurisprudenza e, in quel preciso momento storico, nessuno osava parlare di DSA nel mercato del lavoro e, in particolare, nell’avvocatura, orizzonte in cui mi stavo proiettando.

Di conseguenza, non potevo eludere questa responsabilità.

Dato che nessuno prima di me aveva portato pubblicamente il tema dei DSA all’attenzione dell’avvocatura, sentivo che era mio compito impegnarmi per creare le condizioni affinché chi sarebbe arrivato dopo di me si potesse avvalere di quelle regole che anche io avrei sperato di trovare già in atto, pronte per essere applicate.

 

3. Il quadro normativo di riferimento

È così, con questo spirito e con queste motivazioni, che inizia la storia che sto per raccontarvi: quella di una lunga marcia (ancora incompiuta, purtroppo) verso una piena ed effettiva parità e per un sistema di eguali chances (di successo), anche a favore delle persone con DSA.

Tutto nasce da una lacuna normativa della legge n. 170/2010 che, nel riconoscere per la prima volta i DSA e prevedere specifici strumenti di supporto per neutralizzare l’interferenza dei disturbi sulle performance e sul rendimento dell’alunno/studente con DSA, aveva completamente tralasciato dalle sue previsioni il mercato del lavoro, con la conseguenza che le misure previste potevano essere riconosciute e applicate solo nel contesto scolastico e universitario ma, a rigore, non in quello lavorativo.

Tuttavia questa legge, nonostante il citato vuoto normativo, è stata comunque cruciale, in quanto si è trattato della prima legge introdotta in Italia in materia di DSA.

Prima di tale intervento, infatti, la sommaria, superficiale e frammentata disciplina esistente era affidata a note, circolari, ordinanze di capi dipartimento del MIUR o del Ministro stesso, e all’art. 10 del DPR 122/99  per il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni: la consapevolezza sui DSA e le tutele e i diritti a favore degli studenti con DSA erano così molto deboli, se non inesistenti, perché completamente ignorati da parte delle scuole, che finivano inevitabilmente per ledere il diritto all’istruzione delle persone con DSA, presenti già in numero significativo nelle classi (le stime complessive di AID parlano di 3 milioni di dislessici in Italia, pari al 3 - 5% della popolazione; e, in particolare, per ciò che attiene il mercato del lavoro, di un milione e 200 mila lavoratori con DSA, con l’ingresso ogni anno nel mercato del lavoro di 12 mila persone con tale diagnosi).

La legge n. 170/2010 ha avuto molteplici meriti, a cominciare dal riordino, dall’unificazione e dalla razionalizzazione della normativa, molto frammentata fino a quel momento.

Il riconoscimento legislativo dei DSA, unitamente alla definizione scientifica a loro assegnata, è stato un altro grande passo della legge, che ha stabilito come:

- «per dislessia si intende un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell'imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura.

- per disgrafia si intende un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica.

- per disortografia si intende un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica.

- per discalculia si intende un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell'elaborazione dei numeri».

Altro merito della legge è stato quello di specificare dettagliatamente quali sono le sue finalità, tra le quali in particolare:

- garantire il diritto all'istruzione;

- favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità;

- ridurre i disagi relazionali ed emozionali;

- adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti;

- assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale.

Infine, la legge n. 170/2010 per attuare le finalità appena citate ha introdotto a favore degli studenti con DSA l’applicazione di una serie di misure di supporto, dirette a creare le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare (le cd. misure compensative e dispensative). 

Si tratta di strumenti che hanno lo scopo di riequilibrare la condizione di svantaggio in cui incolpevolmente vengono a trovarsi gli studenti con DSA, in quanto l’adozione di tali misure consente di evitare a questi ultimi situazioni di affaticamento e di disagio in compiti direttamente coinvolti dai disturbi.

L’anno successivo all’approvazione della legge n. 170/2010, a completamento della sua disciplina, è stato emanato dal Ministro della Istruzione, Università e Ricerca un decreto attuativo della legge sui DSA (il n. 5669 del 12 luglio 2011) con le allegate linee guida (di recente modificate), finalizzato ad individuare nel dettaglio le misure di supporto, enunciate dall’art. 7 della legge stessa. 

Tuttavia, nessuna di queste previsioni regolamentava le situazioni e le fasi della vita successive al diploma o alla laurea, in cui una persona con DSA, crescendo, si sarebbe venuta a trovare. 

 

4. L’impegno della Scuola Superiore dell’Avvocatura per un esame di abilitazione professionale con uguali chances, anche a favore dei candidati con DSA

Consapevole della vulnerabilità di questi diritti nel contesto del mercato del lavoro, mi sono interrogato su come potessi agire per avviare un dibattito volto a promuovere prese di posizione che potessero colmare tale lacuna.

In quel momento, e la cosa mi riguardava da vicino, non era prevista l’applicazione delle predette misure in sede di esame di avvocato.

In qualità di praticante avvocato, intenzionato a sostenere l’esame di abilitazione, mi sono confidato con l’avvocato Alarico Mariani Marini, allora consigliere del CNF e vicepresidente della Scuola Superiore dell’Avvocatura, Fondazione del CNF che si occupa di formazione permanente dell’avvocatura.

L’avvocato Alarico Mariani Marini, a seguito di quel primo colloquio, decise immediatamente di istituire in seno alla Scuola Superiore dell’Avvocatura un gruppo di lavoro sui DSA con l’obiettivo di individuare le modalità con le quali prevedere l’applicazione di misure analoghe a quelle dettate dalla legge 170/2010 anche in sede di esame d’avvocato.

L’attività del gruppo di lavoro venne subito resa nota a livello nazionale, in modo da rendere pubblica l’iniziativa al fine di darne ampia conoscibilità e diffusione, per informare e intercettare altri eventuali candidati con DSA interessati all’applicazione delle misure.

Questo gruppo lavorò intensamente per quasi due anni, dal 2013 a fine 2014, riunendo avvocati, accademici, medici, linguisti e in alcuni casi magistrati e funzionari di Ministeri che collaboravano con la Scuola.

L’obiettivo era molto ambizioso perché fu subito chiaro che di fronte al CNF, prima di me, non erano mai state sollevate istanze analoghe alla mia da parte di altri candidati con DSA e quindi si trattava di una situazione completamente nuova, destinata a creare un precedente, se fossimo stati così bravi da regolamentarla.

Le questioni da risolvere erano molteplici, a cominciare dalla valutazione dei profili di illegittimità conseguenti alla mancata applicazione delle misure compensative e dispensative, ossia alla lesione inferta ai principi di diritto, anche di rango costituzionale.

Poi dovevamo risolvere la questione connessa all’individuazione in concreto delle misure più coerenti e più efficaci da applicare in relazione alle precise modalità di svolgimento delle prove d’esame.

Compito non affatto semplice perché le misure individuate dovevano poi contemperarsi con l’ulteriore esigenza di non aggravare gli adempimenti posti a carico dell’Ufficio esami della Corte d’Appello chiamata ad ottemperare alle misure richieste.

Trovare il punto di equilibrio - tra efficacia delle misure richieste e loro applicabilità da parte della Commissione d’esame, senza ulteriori aggravi a carico dell’Ufficio esami della Corte di Appello rispetto agli adempimenti già attuati in ordine alle misure concesse nel rispetto della legge n. 104/1992 - era essenziale per scongiurare da parte della Commissione il rigetto delle misure richieste, in mancanza di specifiche fonti normative che ne autorizzassero l’applicazione.

Inoltre, era necessario definire i requisiti, intesi come documentazione medica, che i candidati con DSA dovevano possedere e allegare per dimostrare la sussistenza dei propri disturbi.

Infine, restava ancora un ulteriore problema di natura strategica da affrontare: quale iter e modalità prevedere per consentire ai candidati con DSA la presentazione delle richieste delle predette misure presso l’Ufficio Esami Avvocato della Corte d’Appello di riferimento.

Per queste ragioni, la composizione del tavolo non poté che essere multidisciplinare: avevamo bisogno di esperti anche in ambiti che esulavano da quello del diritto, come nel caso della individuazione delle misure più idonee in relazione alle aree di debolezza della persona con DSA e alle modalità di svolgimento delle prove, così da predisporre misure tali da creare quelle opportune condizioni per l’espletamento della prestazione da valutare.

Alla fine di questo percorso, abbiamo formalizzato i risultati degli studi e delle valutazioni svolte in una istanza che sarebbe stata depositata presso l’Ufficio Esami del Distretto di Corte di Appello in cui il candidato con DSA risultava iscritto ai fini dell’esame d’avvocato.

Fu questa la strada scelta, in quanto il decreto del Ministro della giustizia con il quale viene bandito l’esame era già stato emanato alcuni mesi prima. 

In questa istanza destinata all’Ufficio Esami, allegando la diagnosi che certificava i DSA e ne spiegava le conseguenze sulle prestazioni da valutare, si dava atto che il candidato richiedente, nel caso di mancata applicazione delle misure compensative e dispensative disciplinate dalla legge n. 170/2010, avrebbe subito una lesione costituzionale del principio di uguaglianza, a causa della violazione dell’art. 3 della Costituzione, nonché una violazione della CEDU e della Carta europea dei diritti fondamentali (Carta di Nizza).

Quanto alle misure richieste, ci si orientò per due soli interventi, la cui efficacia si contemperava in modo ottimale con la necessità di non aggravare il carico di lavoro dell’Ufficio Esami della Corte di Appello, per limitare eventuali argomenti contrari e scongiurarne il rigetto da parte della Commissione Esami.

Prestammo molta attenzione a questo profilo, perché la Scuola Superiore dell’Avvocatura del CNF, guidata dall’avv. Mariani Marini, desiderava per ragioni di equità e giustizia arrivare a sancire un precedente nella sessione di esami 2014, che avrebbe potuto essere invocato anche nelle sessioni successive da parte di altri candidati con DSA.

Nello specifico, avevamo richiesto l’assegnazione di un/una dipendente della Corte di Appello, incaricato/a di leggere i passi del codice commentato da me segnalati e di scrivere, su mia dettatura, la prova che sarebbe stata consegnata.

In questo modo, potevamo riequilibrare le conseguenze dei DSA che in fase di lettura e scrittura rallentano in modo severo la velocità e compromettono gravemente l’accuratezza di esecuzione del compito da svolgere da parte di persone con DSA.

Nella sessione 2014 fui l’unico candidato in Italia a presentare tale istanza (ulteriori richieste sarebbero arrivate a partire dagli anni successivi nei vari Distretti di Corte d’Appello, ma non fu facile convincere i miei colleghi a presentarle perché la maggior parte di loro temeva che uscire pubblicamente allo scoperto li avrebbe pregiudicati nella professione e resi noti presso la loro comunità come gli avvocati con DSA).

Nel mio caso, l’istanza venne accolta, ma la Commissione d’esame fece molto di più perché con una competenza e una attenzione senza precedenti, dopo aver esaminato la legge n. 170/2010, il decreto attuativo e le allegate linee guida, mi invitò a presentare una seconda istanza volta a richiedere, come previsto dalla normativa stessa, in aggiunta alle misure già approvate, anche l’ applicazione del tempo supplementare nella misura del 30% in più. 

Questa ultima misura - che anche nel mio caso, in sede d’esame, si sarebbe poi rivelata essenziale - nella istanza formulata dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura non venne ponderatamente inserita e richiesta perché, essendo più gravosa delle altre, avendo ad oggetto il prolungamento della durata del mio esame, ci esponeva al rischio di un rigetto integrale della domanda, il peggiore degli epiloghi possibili.

Grazie all’accoglimento di queste misure - determinanti per me e per tutti coloro che dopo di me se ne sono avvalsi - ho conseguito l’abilitazione di avvocato nella sessione 2014, con l’orgoglio di aver fatto parte di un gruppo di lavoro che ha contribuito a qualcosa che aveva per me un significato così rilevante: avevamo introdotto nuove tutele e dimostrato allo stesso tempo che i candidati con DSA possono essere ottimi studenti, se adeguatamente supportati con interventi che riequilibrano la condizione di svantaggio da cui incolpevolmente partono.

 

5. Le iniziative dell’Ordine degli Avvocati e della Corte di Appello di Milano a tutela dei candidati con DSA in sede di esame d’avvocato, iscritti presso il Distretto di Milano

Da qui in avanti la storia si fa ancora più bella perché a Milano, con l’incoraggiamento dello studio LCA e in particolare dall’avvocato Giovanni LEGA, si è dato avvio con l’Ordine degli Avvocati, a partire dal 2017, ad un progetto sui DSA, che ha avuto il merito di innalzare ad un livello ancora superiore il lavoro svolto dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura.

All’Ordine degli Avvocati di Milano, sotto la presidenza di Remo Danovi, abbiamo costituito un tavolo di lavoro sui DSA che, coinvolgendo avvocati, magistrati, accademici, medici, insegnanti, rappresentanti di altre professioni, avrebbe dovuto raccordare le esperienze di ciascuno in funzione della stesura e realizzazione di un programma di azione comune volto a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo delle potenzialità delle persone con DSA.

Il coordinamento del tavolo venne affidato al Direttore Generale dell’Ordine degli Avvocati, il dott. Carmelo Ferraro, che con sapiente regia mise il gruppo nelle condizioni di lavorare nel migliore dei modi. 

Nello specifico, uno dei progetti del programma d’azione deliberato dal gruppo prevedeva la redazione di un accordo, nelle forme del protocollo d’intesa, con il quale volontariamente l’Ordine degli Avvocati e la Corte di Appello di Milano stabilivano che in sede d’esame d’avvocato eventuali candidati con DSA, iscritti presso il Distretto di Corte di Appello di Milano, avrebbero potuto avvalersi delle misure compensative e dispensative dettagliatamente previste dal protocollo stesso. 

Si sarebbe trattato del primo regolamento in materia dettato in Italia, in quanto non esistevano altri precedenti.

Il lavoro di stesura e perfezionamento del protocollo d’intesa sui DSA durò quasi due anni e, iniziato sotto la presidenza di Remo Danovi, trovò la sua consacrazione con la presidenza di Vinicio Nardo, chiamato a sottoscriverlo insieme alla Presidente della Corte di Appello di Milano, la dott.ssa Marina Tavassi.

Anche questa volta, a distanza di 3 anni dalla conclusione dell’esperienza con la Scuola Superiore dell’Avvocatura  il compito che ci eravamo posti era molto ambizioso, perché al fine di evitare qualsiasi contestazione o male interpretazione da parte dei soggetti chiamati a rispettare il protocollo, era necessario definire un regolamento chiaro e rigoroso che ne disciplinasse in modo semplice le ragioni e le finalità, chi fossero i soggetti legittimati a richiedere le misure, quali strumenti sarebbero stati applicati e le modalità e i tempi per richiederli.

La parte più impegnativa, anche questa volta, come già accaduto nel corso del lavoro svolto dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura, ha riguardato l’individuazione delle misure compensative e dispensative applicabili. 

È solo definendo nel dettaglio il ventaglio completo delle misure applicabili e, quindi, selezionabili da parte dei candidati con DSA, che avremmo reso la procedura semplice anche per l’Ufficio Esami della Corte di Appello che si sarebbe così soltanto limitato a dover dare esecuzione ad una rosa di misure tassativamente individuate.

In questo modo, ciascun candidato con DSA poteva chiedere solo l’applicazione delle misure dettate dal protocollo e non altre, evitando richieste diverse che la Commissione Esami, non sapendo come gestire, avrebbe comprensibilmente potuto rigettare.

Il primo protocollo sui DSA venne sottoscritto in data 19 dicembre 2019.

Fu un risultato rilevantissimo, perché esso fu il primo in Italia a disciplinare in modo trasparente l’applicazione delle misure compensative e dispensative a favore di eventuali candidati con DSA in sede d’esame d’avvocato.

Le misure introdotte sono state le seguenti:

«in sede di prove scritte: 

a) l’applicazione del 30% di tempo aggiuntivo per lo svolgimento delle prove;

b) l’assegnazione, ai fini dell’assistenza nella lettura e nella scrittura, di un incaricato della Commissione Esami di Avvocato della Corte d’Appello di Milano (di seguito, solo “Incaricato”), al quale, in particolare, è demandata, nel corso dello svolgimento delle prove, la lettura dei codici e la trascrizione su foglio protocollo dei temi dettati dalla Commissione Esami di Avvocato (di seguito, soltanto “Commissione”), e degli elaborati dei candidati;

c) la possibilità di poter consultare una copia di stampa dei temi dettati dalla Commissione;

d) la possibilità di ricorrere all’uso di un computer dotato di un programma di videoscrittura e non connesso ad internet - messo a disposizione dall’Ufficio Esami Avvocato - per la redazione dell’elaborato che, tuttavia, al fine di garantire l’osservanza del principio dell’anonimato, dovrà essere successivamente trascritto su foglio protocollo, eventualmente anche avvalendosi dell’assistenza prestata dall’Incaricato assegnato;

e) la possibilità di consultare sul computer i codici in formato digitale, previamente controllati e vistati dalla Commissione;

in sede di prova orale:

f) la facoltà di sostenere la relativa prova l’ultimo giorno previsto dal calendario per l’effettuazione delle prove orali da parte di tutti i candidati».

Tuttavia le misure sopra richiamate, a causa della pandemia da Covid-19, sono state successivamente integrate da ulteriori misure, introdotte attraverso la sottoscrizione di un nuovo protocollo sui DSA, che ha aggiornato il precedente.

L’emergenza pandemica ha imposto, per limitare il rischio dell’aumento dei contagi in sede d’esame, che lo stesso si svolgesse secondo nuove modalità, attraverso l’inedita formula dell’orale rafforzato, in luogo delle tre prove scritte.

Di conseguenza, le misure compensative e dispensative disciplinate dal protocollo sui DSA, sottoscritto nel 2019, divennero inefficaci perché inapplicabili in relazione alle nuove modalità d’esame.

Pertanto, in ragione di queste nuove circostanze, la Corte di Appello e l’Ordine degli Avvocati di Milano, nella persona dei Presidenti Giuseppe Ondei e Vinicio Nardo, hanno ritenuto opportuno procedere all’aggiornamento del precedente protocollo, con la sottoscrizione di un secondo protocollo sui DSA, firmato il 12 aprile 2021.

Con l’approvazione del secondo protocollo è stato semplicemente inserito un nuovo articolo (il n. 4) che ha introdotto nuove misure compensative e dispensative, dettate per trovare specifica applicazione in relazione alle nuove modalità d’esame d’avvocato, declinato nelle forme dell’orale rafforzato.

Le nuove misure accordate furono le seguenti:

«in sede di prima prova orale: 

1. l’applicazione del 30% di tempo aggiuntivo per lo svolgimento dell'esame preliminare del quesito;

2. l’assegnazione, ai fini dell’assistenza nella lettura e nella scrittura, di un Incaricato, al quale, in particolare, è demandata, nel corso dell'esame preliminare del quesito, la lettura dei codici e la trascrizione - sui fogli messi a disposizione - del quesito dettato dalla Commissione, e degli appunti e dello schema elaborati dal candidato, in preparazione della successiva discussione orale;

3. la possibilità di poter consultare una copia di stampa del quesito dettato dalla Commissione;

4. la possibilità di ricorrere all’uso di un computer dotato di un programma di videoscrittura e non connesso ad internet - messo a disposizione dall’Ufficio Esami Avvocato - per la redazione degli appunti e dello schema relativi all'esame preliminare del quesito, in preparazione della successiva discussione orale;

in sede di seconda prova orale:

5. la facoltà di sostenere la relativa prova l’ultimo giorno previsto dal calendario per l’effettuazione delle prove orali da parte di tutti i candidati».

La conquistata notorietà del secondo protocollo sui DSA, grazie al contributo della stampa, ha reso l’Ordine degli Avvocati di Milano, come già accaduto alla Scuola Superiore d’Avvocatura negli anni precedenti, un punto di riferimento anche per  quei candidati con DSA di altri Distretti di Corte di Appello, che grazie all’assistenza prestata dall’Ordine degli Avvocati di Milano hanno potuto ottenere in sede d’esame nei loro Distretti di appartenenza il riconoscimento delle misure previste a Milano.

 

6. I progressi sul piano normativo: la tutela delle persone con DSA nei concorsi pubblici e in sede di esame d’avvocato in ogni Distretto di Corte di Appello

Nei mesi successivi all’approvazione del protocollo, il fronte di battaglia per la tutela dei diritti delle persone con DSA da Milano si è spostato a Roma, nelle aule parlamentari, dove il 5 agosto 2021 una vittoria fondamentale per il destino di tutte le persone con DSA è stata realizzata.

Si tratta di un’altra svolta, lungamente attesa, perché con l’approvazione della legge n. 113/2021 di conversione del decreto legge n. 80/2021, avente ad oggetto il reclutamento nelle PA e Ufficio per il processo, è stato introdotto l'obbligo di riconoscere a favore dei candidati con DSA l’applicazione di strumenti compensativi nei concorsi pubblici indetti dallo Stato, Regioni, Comuni, etc. 

Tale intervento ha avuto il merito di colmare una delle lacune della legge n. 170/2010, le cui previsioni, come già ricordato, non dispongono l’applicazione delle predette misure ai concorsi pubblici, agli esami di abilitazione professionali e a carico dei datori di lavoro del settore privato. 

In particolare, la norma approvata il 5 agosto 2021, al comma 4-bis, prevede quanto segue: 

«Nelle prove scritte dei concorsi pubblici indetti da Stato, regioni, comuni e dai loro enti strumentali, a tutti i soggetti con disturbi specifici di apprendimento (DSA) è assicurata la possibilità di sostituire tali prove con un colloquio orale o di utilizzare strumenti compensativi per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, nonché di usufruire di un prolungamento dei tempi stabiliti per lo svolgimento delle medesime prove, analogamente a quanto disposto dall'articolo 5, commi 2, lettera b), e 4, della legge 8 ottobre 2010, n. 170 (misure per DSA nelle scuole). Tali misure devono essere esplicitamente previste nei relativi bandi di concorso. La mancata adozione delle misure di cui al presente comma comporta la nullità dei concorsi pubblici. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore (8 agosto 2021) della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità attuative del presente comma». 

L’intervento attuato con la legge n. 113/2021, se da un lato risolve il nodo dei concorsi pubblici, dall’altro lascia irrisolte le lacune che impediscono alle richiamate misure di trovare applicazione anche in sede di esami di abilitazione all’esercizio di una professione e presso i datori di lavoro del settore privato.

Di conseguenza, gli esami di abilitazione e il settore privato del mercato del lavoro restano fuori dal perimetro operativo del nuovo intervento legislativo, lasciando le persone con DSA, interessate a queste due aree di carriera, prive di tutela.

Ancora una volta, la Corte di Appello e l’Ordine degli Avvocati di Milano, forti della positiva esperienza riscontrata dall’operatività del protocollo sui DSA, nel settembre 2021 si sono attivati per sottoporre alla Ministra della giustizia la possibilità di estendere le misure previste dal protocollo milanese sui DSA a tutti i Distretti di Corte di Appello, in occasione della nuova sessione d’esame d’avvocato 2021.

La Ministra della giustizia, aderendo all’invito, ha avviato al Ministero il lavoro necessario per conseguire questo obiettivo, affidando al prof. Gian Luigi Gatta il ruolo di “coordinatore”.  

Il piano è stato attuato nel torno di poche settimane.

Il primo provvedimento emanato per raggiugere questo traguardo è stato il decreto legge n. 139/2021, il quale all’art. 6, comma 2, ha previsto quanto segue:

«Con il decreto del Ministro della giustizia che indice la sessione d'esame per il 2021 si forniscono le indicazioni relative alla data di inizio delle prove, alle modalità di sorteggio per l'espletamento delle prove orali, alla pubblicità delle sedute di esame, all'accesso e alla permanenza nelle sedi di esame […] Con il medesimo decreto vengono altresì disciplinate le modalità di utilizzo di strumenti compensativi per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, nonché la possibilità di usufruire di un prolungamento dei tempi stabiliti per lo svolgimento delle prove,  da  parte dei candidati con disturbi specifici di apprendimento (DSA)».

A questo intervento è seguito il secondo, ossia il decreto della Ministra della giustizia che ha indetto la sessione 2021 dell’esame d’avvocato, con il quale, all’art. 11, dal comma 2 al comma 6, sono state introdotte le seguenti disposizioni recanti la disciplina per l’applicazione delle misure compensative:

«2. I candidati con disturbi specifici dell'apprendimento (DSA), come definiti dall'art. 1 della legge 8 ottobre 2010, n. 170, possono produrre, in allegato alla domanda di ammissione all'esame, la relativa diagnosi, rilasciata ai sensi dell'art. 3, comma 1 della legge 8 ottobre 2010, n. 170 e dell'accordo del 25 luglio 2012 tra Governo, regioni e Province autonome di Trento e Bolzano recante «Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei disturbi specifici di apprendimento (DSA)», e possono richiedere, anche cumulativamente, gli strumenti compensativi e/o i tempi aggiuntivi indicati nei commi seguenti, sempre che rispondano a proprie necessità, opportunamente documentate.

3. Per la prima prova orale, il candidato con DSA può chiedere:

a) l'applicazione del 30% di tempo aggiuntivo per l'esame preliminare del quesito; 

b) l'assegnazione, ai fini dell'assistenza nella lettura e nella scrittura, di un incaricato della commissione, al quale, in particolare, è demandata, nel corso dell'esame preliminare del quesito, la lettura dei codici e la trascrizione, sui fogli messi a disposizione, del quesito dettato dalla commissione, nonché degli appunti e dello schema elaborati dal candidato, in preparazione della successiva discussione orale;

c) la possibilità di poter consultare una copia di stampa del quesito dettato dalla commissione;

d) la possibilità di ricorrere all'uso di un computer dotato di un programma di videoscrittura e non connesso ad internet, messo a disposizione dalla competente Corte d'appello, per la redazione degli appunti e dello schema relativi all'esame preliminare del quesito, in preparazione della successiva discussione orale.

4. Il candidato con DSA può, inoltre, chiedere di sostenere la seconda prova orale nell'ultimo giorno previsto dal calendario per l'effettuazione delle prove orali da parte di tutti i candidati.

5. L'adozione delle misure di cui al terzo e al quarto comma è stabilita dalla commissione d'esame, sulla scorta della documentazione presentata, almeno quindici giorni prima dello svolgimento delle prove, dandone comunicazione al candidato a mezzo email entro i successivi tre giorni.

6. Le istanze motivate da situazioni sopravvenute alla scadenza del termine per la presentazione delle domande sono rivolte direttamente alla commissione esaminatrice e regolate, per quanto compatibili, dalle disposizioni di cui ai commi precedenti».

Per la prima volta, quindi, in sede di esame d’avvocato, a eventuali candidati con DSA, certificati secondo la normativa vigente, in ciascun Distretto di Corte di Appello saranno applicate le misure compensative definite e introdotte dal protocollo di Milano.

È una conquista di civiltà dal valore inestimabile, destinata sicuramente ad incoraggiare l’adozione di interventi analoghi anche rispetto ad altre professioni.

 

7. Conclusioni 

Al termine di queste pagine, di questa storia e di tante battaglie, è evidente che molta strada è stata percorsa negli ultimi anni, ma molta di più ne resta ancora da fare, se vogliamo raggiungere una piena ed effettiva parità, capace di assicurare quel sistema di eguali chances (di successo) promesse dalla Costituzione, anche a favore di un numero sempre crescente di persone con DSA.

Rispetto agli altri esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio di una professione, vi è la necessità di aprire un fronte di intervento analogo a quello avviato presso il Ministero della giustizia, al fine di estendere le misure compensative anche in tali prove.

Sarà necessario avviare una interlocuzione con il Consiglio Nazionale di ogni professione. 

L’obiettivo è quello di incoraggiare i vertici nazionali di ciascun ordine professionale ad imitare la disciplina introdotta dal decreto della Ministra della giustizia.

Tuttavia il fronte più impegnativo è quello del mercato del lavoro privato, sprovvisto di qualsiasi tutela. 

É qui che andranno concentrati i maggiori sforzi per avviare la transizione normativa verso sistemi e metodi di selezione e sviluppo di carriera sempre più inclusivi ed equi, anche nei confronti delle persone con DSA.

Infine, anche se il sistema pubblico del mercato del lavoro ha varato importanti novità, occorre vigilare affinché le misure introdotte siano effettivamente inserite nei bandi di concorso e rispettate nella loro concreta applicazione.

 

8. Ringraziamenti 

Sono davvero molto grato a tutti coloro che in questi anni si sono impegnati con coraggio, determinazione e lungimiranza per far sì che tutto questo potesse accadere. 

Sono interventi come questi che spazzano via le insicurezze e fragilità che la maggior parte dei giovani con DSA manifestano quando, troppo avventatamente, decidono di abbondonare gli studi universitari o di rinunciare al percorso post lauream, o quando, comprensibilmente, preferiscono nascondere agli altri i propri DSA, per timore di continue incomprensioni e sofferenze.

Solo parlandone apertamente si può contribuire a rimuovere la paura che molte persone con DSA hanno nei confronti del loro futuro.

É così che si ispira una nuova generazione di persone con DSA a rinnovare il proprio coraggio, a scommettere su se stesse, scolpendo nella mente di ciascuno che impegno e sacrificio saranno sostenuti e premiati.

Le nostre istituzioni hanno dunque una grande missione da compiere: dare speranza e prospettive a tutti quei giovani con DSA (e alle loro famiglie), convincendoli che il sistema - che fino ad oggi li ha squalificati - è pronto a scommettere sul successo, ma soprattutto sulla serenità e sulla soddisfazione del loro avvenire.

Concludo con un doveroso e sentito ringraziamento agli avvocati dello studio ove lavoro, che non hanno avuto paura di investire su un avvocato con DSA, quando tutti gli altri studi, a causa di quella stessa e comprensibile paura, non avevano nemmeno aperto la porta. 

Grazie per avere avuto fede e sospeso il giudizio, rendendo possibile quello che è accaduto dopo.

23/02/2022
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