Pubblichiamo un breve scambio epistolare tra Marco Ramat e Beniamino Deidda che appartiene ad un passato lontano, ma non troppo, della vita e dell’esperienza di Magistratura democratica.
Con l’ovvia avvertenza che la brevissima lettera manoscritta di Marco Ramat – grande intellettuale e indimenticabile maestro per intere generazioni di magistrati – è qui solo il pungolo occasionale (come chiarisce in una nota lo stesso Beniamino Deidda) che sollecita la più ampia risposta del suo interlocutore.
Diranno i lettori se si tratti di una scelta felice. A noi è sembrata una boccata di aria fina, di alta montagna, rigenerante in giorni nei quali la magistratura è immersa nell’atmosfera, assai meno salubre, delle vicende in vario modo collegate alla nomina del nuovo procuratore della Repubblica di Roma.
Il frenetico carosello di notizie e di commenti su quanto è accaduto non ci impedisce di percepire che nel pastiche romano precipitano e si confondono, come accade in ogni pastiche, materiali diversissimi per la natura delle condotte tenute, per le finalità perseguite, per gli intendimenti soggettivi delle persone coinvolte.
A chi ha il dovere di accertare fatti e responsabilità individuali spetterà dunque un compito arduo, da svolgere con la stessa serenità che si riserva a tutti i cittadini: fare piena luce senza compiacenze di alcun tipo, stigmatizzare, sanzionare, ma anche, ove necessario, chiarire, distinguere, ridimensionare o escludere ipotesi gravi o infamanti.
Ciò avrà una straordinaria importanza per tutte le persone coinvolte e per il loro onore professionale. E questo è un aspetto che non saremo certo noi a sottovalutare.
Ma quali che siano gli sviluppi sui differenti piani istituzionali dei necessari accertamenti, resteranno gli interrogativi di fondo posti dalla vicenda.
Domande che riguardano il modo di essere della moderna magistratura, le sue forme di organizzazione, il funzionamento del suo Governo, la cultura che la anima e l’ethos che la ispira. E da ultimo, ma non certo per ultimo, i legami con uomini politici interessati ad influire sulle scelte della magistratura.
Occorrerà che la magistratura guardi in profondità dentro di sé nel ridiscutere tutti questi temi e non si accontenti di giaculatorie o di frasi di circostanza.
Un lavoro di lunga lena, che immaginiamo difficile e doloroso.
Per parte nostra cominciamo con il porre una questione sollecitata dai fatti e da recenti polemiche.
È possibile che ad essere accusati di “fare politica” debbano essere i magistrati che discutono apertamente (con spirito critico certo ma questo non è “ancora” una colpa) di diritti dei lavoratori, di questioni dell’immigrazione, di legittima difesa, di carcere e dei tanti altri temi che hanno a che fare con il loro quotidiano lavoro di interpretazione e di applicazione del diritto?
Come è accaduto da ultimo a chi, come Luciana Breggia, ha adottato un provvedimento sgradito al Ministro degli interni Matteo Salvini e contestato con l’ormai stucchevole invito a candidarsi, invito che nel recente passato è stato perfino rivolto ad un ragazzino di 16 anni!
Ed è accettabile che questa accusa risuoni, all’esterno ma ormai anche all’interno della magistratura, mentre alcuni dei magistrati che si autodefiniscono “apolitici” si occupano di posti, carriere, cordate, intrighi, magari incontrando uomini politici non per discutere leggi e politiche del diritto ma delle nomine ritenute più convenienti?
Se ci sarà un confronto vero all’interno della magistratura anche di questo bisognerà parlare.
Ecco perché uno scambio epistolare del passato stimola riflessioni sulla magistratura e sull'Md di oggi.
Un gruppo di magistrati che nelle tre ultime consiliature non opera nella diretta gestione della discrezionalità amministrativa del Csm ma è principalmente impegnato sul versante delle prassi e della cultura della giurisdizione. E proprio per questo continuo bersaglio di attacchi, spesso provenienti da chi, a parole, rimpiange le antiche “correnti delle idee”.
Un paradosso rivelatore della vitalità del gruppo. Forse sta commettendo un errore chi immagina che «Md morirà per inedia...».
La Direzione della Rivista