Una bufala, una leggenda, a volte un pretesto oppure un alibi. Sostenere che una querela o una denuncia debbano comportare automaticamente l’iscrizione nel registro degli indagati – che perciò è un atto dovuto – è «un errore». Non sta scritto da nessuna parte. Anzi, contrasta sia con quanto affermato dalla Cassazione sia con il sistema, perché «finisce per attribuire impropriamente alla Polizia giudiziaria – o, addirittura, al privato denunciante – il potere di disporre delle iscrizioni a mod. 21». Potere che, viceversa, spetta «esclusivamente» al pubblico ministero e alla sua «ponderata valutazione», quando sussistono non «meri sospetti» ma «specifici elementi indizianti».
I virgolettati si riferiscono a quanto è scritto nella circolare che il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone ha diffuso il 2 ottobre tra gli oltre cento pm del suo ufficio, ogni anno alle prese con oltre 350mila notizie di reato (la circolare n. 3225/17). L’iniziativa nasce a seguito dell’entrata in vigore della riforma penale (legge n. 103/2017) che, fra l’altro, ha attribuito espressamente al procuratore della Repubblica il compito di assicurare «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato». Questa specifica responsabilità ha indotto Pignatone – come già aveva fatto con le intercettazioni – a puntualizzare una serie di passaggi per evitare le storture sull’”atto dovuto” verificatesi nella prassi (con effetti mediatici altrettanto distorti), che la riforma rischia di moltiplicare.
Bisognerà vedere se, come per le intercettazioni, Roma farà da apripista e sarà seguita da altre procure dando luogo ad una “buona prassi”.
Le sette cartelle vergate da Pignatone riflettono un’impostazione garantista dell’iscrizione, che però non è priva dell’altra faccia della medaglia.
La circolare mette in guardia dalla logica dell’atto dovuto anche quando è doveroso iscrivere. L’«errore» – si legge – consiste nel ritenere che, se in una querela o denuncia un certo reato viene attribuito a una persona, il pm sia tenuto ad iscrivere nel registro degli indagati. È un errore che, però, fanno molti pm (altrimenti la circolare non si spiegherebbe), forse anche per una sorta di deresponsabilizzazione (dall’iscrizione decorrono infatti i termini di durata delle indagini e perciò il ritardo nell’iscrizione è sanzionato disciplinarmente). Ebbene, Pignatone smonta questa prassi con una pignola ricostruzione del sistema – normativo e giurisprudenziale – da cui emerge che l’iscrizione è «atto dovuto» soltanto quando emergono «indizi specifici» a seguito dell’altrettanto doverosa «valutazione» del pm sul contenuto delle notizie di reato.
La «valutazione» rappresenta una garanzia per la persona denunciata o querelata, e vedremo perché. Ma al tempo stesso è l’altra faccia di questa medaglia “garantista”, poiché – soprattutto nei casi più complessi – si traduce in un potere rilevante nelle mani del pm. Il quale potrebbe anche abusarne (allungando surrettiziamente la durata delle indagini) senza che vi sia alcun controllo (peraltro realisticamente impossibile) sul suo operato da parte del procuratore (salvo note di demerito nei confronti del sostituto pm).
Un piccolo passo indietro: la riforma penale ha delineato una sorta di “indagine breve” sia con l’avocazione del procuratore generale della Corte d’appello se l’azione penale non viene esercitata entro tre mesi dalla chiusura delle indagini sia con lo specifico potere di vigilanza del procuratore della Repubblica sulla tempestiva e regolare iscrizione delle notizie di reato. Nel corso dei lavori parlamenti è stata eliminata l’esplicita previsione di una sanzione disciplinare per il ritardo nell’iscrizione, sanzione che peraltro esiste già (tant’è che di recente è scattata una condanna disciplinare proprio per un ritardo).
Il sistema delineato dalla riforma non è privo di rischi. Potrebbe essere foriero di derive burocratiche e deresponsabilizzanti nella magistratura oltre che di un uso politico strumentale delle denunce, complice la prassi dell’”atto dovuto”. Potrebbe infatti bastare una denuncia o una querela contro il premier di turno o il manager di un grande gruppo industriale per far scattare l’iscrizione automatica nel mod. 21 (notizie contro noti) e, a cascata, il risalto mediatico con relative strumentalizzazioni politiche o ricadute sul mercato… Anche perché se il pm decidesse per l’iscrizione (sempre automatica) a mod. 45 (non notizie di reato) potrebbe essere accusato di voler favorire il denunciato o di voler eludere il cronometro delle indagini (che scatta con l’iscrizione a mod. 21).
È anche alla luce di questi possibili scenari che interviene la circolare-Pignatone.
Punto di partenza è che se “l’assoluta tempestività” dell’iscrizione è un valore, lo è altrettanto «la valutazione sulla complessità dello scrutinio da effettuare». L’organizzazione dell’Ufficio deve ovviamente farsi carico di entrambe le esigenze (e a Roma, a quanto pare, funziona).
La prima iscrizione – dice la circolare – spetta ai procuratori aggiunti che, però, trasmettono ai sostituti il fascicolo «per una più approfondita verifica della completezza delle iscrizioni e della loro coerenza con i fatti oggetto della notizia di reato». Verifica – si aggiunge – che andrà fatta «con la celerità» compatibile con le altre incombenze. Inoltre, in caso di «particolare problematicità» della questione, il pm potrà confrontarsi con l’aggiunto.
Quanto alla destinazione del fascicolo, Pignatone ricorda che la prima valutazione riguarda la stessa natura di “notizia di reato”. Soltanto quando esistono «specifici elementi indizianti e non meri sospetti» è possibile iscrivere a mod. 21 un soggetto identificato; quando, invece, «un fatto non è descritto nei suoi termini minimi o è irrimediabilmente confuso ovvero quando neppure in astratto è configurabile la sussunzione di questo fatto in una fattispecie incriminatrice», si procede a iscrivere a mod. 45. L’iscrizione a mod. 44 è dunque residuale e «consente di realizzare lo scopo primario indicato, in più occasioni, dalla Corte costituzionale quale fondamento della previsione di un limite temporale per le indagini preliminari (“imprimere tempestività alle investigazioni”) senza alcun pregiudizio dell’altra esigenza costituzionalmente rilevante costantemente richiamata dalla Corte (“contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato”)».
La circolare raccomanda di non procedere a iscrizioni a mod. 21 in modo affrettato e senza i necessari presupposti. E qui c’è un passaggio importante in cui sono messi sui due piatti della bilancia gli aspetti positivi e quelli negativi dell’iscrizione dell’indagato. Se infatti «è evidente» la funzione di garanzia dell’iscrizione all’interno del procedimento, «non può essere trascurato» che la condizione di indagato è «connotata altresì da aspetti innegabilmente negativi, tanto da giustificare, secondo la Corte costituzionale con la sentenza, 174/1992, la previsione di un termine delle indagini preliminari». Insomma, non bisogna trascurare gli effetti pregiudizievoli, sul piano «professionale e reputazionale», derivanti dall’iscrizione come indagato, «diversi dal danno connesso alla notizia dell’iscrizione indebitamente diffusa». La circolare ricorda infatti che spesso l’iscrizione è «strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o da altri, per fini diversi rispetto all’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale, sindacale ecc.».
Pertanto: «l’iscrizione ha molto spesso un “costo” significativo anche per colui nel cui (astratto) interesse viene effettuata ed è inoltre soggetta ad essere sollecitata per ragioni di carattere strumentale del tutto estranee alle fisiologiche dinamiche processuali». Quanto basta per abbandonare l’idea di un favor iscritionis, che è un «criterio non formalizzato e estraneo al sistema». Perciò Pignatone avverte: «procedere a iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute».
E così sfata la leggenda dell’”atto dovuto”.
Donatella Stasio