1. L’ennesima riforma del processo civile introdotta a seguito dei prestiti concessi all’Italia dalla UE con lo strumento del PNRR e finalizzata, negli intenti, a una più rapida definizione delle controversie, a una lettura dei contenuti che ne sono scaturiti lascia un senso di smarrimento e di sconforto.
Non si comprende, infatti, quale contributo possa dare a una efficiente definizione dei processi civili il complicare le modalità di introduzione della causa nel rito civile ordinario di primo grado e il minare la collegialità del processo di cassazione.
Quanto al processo civile di primo grado, chi opera sul campo e in trincea sa bene che non serve a molto complicare le modalità di introduzione delle cause, quando il vero collo di bottiglia è costituito dall’audizione dei testimoni e dalla motivazione della sentenza. Quando in alcuni Tribunali occorre un anno per avere udienza su un pignoramento di conti bancari nel quale vi sia solo da prendere atto della capienza o meno del conto corrente sottoposto a pignoramento. Quando in alcune città per avere una sentenza da un Giudice di Pace in una causa documentale, da decidere senza necessità di audizione di testimoni e assunzione di altri mezzi di prova, possono non bastare cinque anni.
2. Quanto al processo di cassazione, chi ne conosce le dinamiche può ben comprendere quanto ridurne la collegialità attraverso il nuovo filtro preliminare che viene istituito possa risultare pericoloso: tanto più che il nuovo filtro sommario introdotto dall’ennesima riforma del processo di cassazione è suscettibile di incrementare, invece che di ridurre, la disparità di orientamenti tra un provvedimento e l’altro; con buona pace della funzione istituzionale della Corte.
La sanzione per abuso del processo di cassazione prevista dalla nuova riforma all’esito del filtro preliminare andrebbe riservata, piuttosto, a chi chiedesse la discussione in udienza per poi venire a dire un semplice mi riporto, come accade di sentire in troppi casi (spesso da procuratori domiciliatari, chissà perché), o per venire a insistere su orientamenti consolidati senza addurre argomenti realmente nuovi (magari per un malinteso dovere difensivo di un ente pubblico).
Quello che sarebbe utile nel giudizio di cassazione, a parere di chi scrive, sarebbe stabilire piuttosto che l’udienza abbia luogo in forma pubblica e partecipata non solo quando la Corte lo dispone (ad esempio, per porre alle parti quesiti sulle questioni più rilevanti poste in discussione, come accade ora nel giudizio di costituzionalità delle leggi), ma anche quando una delle parti o il Pubblico Ministero lo richiedono, similmente a quanto da sempre è stato previsto nel processo tributario.
3. Sembra inoltre estremamente pericoloso il nuovo strumento processuale del rinvio pregiudiziale in cassazione su questioni giuridiche nuove, soprattutto quando si tratti di questioni di diritto sostanziale e non di dubbi sull’interpretazione di una norma processuale oscura.
A parte il fatto che il legislatore non ha tenuto conto dell’esperienza fallimentare del rinvio pregiudiziale in materia di interpretazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e a parte il rischio di un intasamento ulteriore dei ruoli della Suprema Corte, v’è il rischio concreto che all’esito di una simile procedura si consolidino anticipatamente orientamenti che non costituiscono il frutto di un dibattito adeguatamente ponderato.
Dovrebbero invece consolidarsi orientamenti che siano frutto non solo della riflessione del primo collegio di cassazione investito della decisione (e dell’apporto dei primi avvocati che hanno avuto la ventura di occuparsi della questione), ma che siano frutto anche del contributo di altre menti, che possono suggerire argomenti nuovi e decisivi non ancora venuti in mente ai primi che hanno avuto la ventura di occuparsene.
Con riguardo al giudizio di rinvio pregiudiziale in cassazione, comunque, sarebbe necessario quanto meno istituire forme di pubblicizzazione preventiva e di intervento adesivo nei procedimenti, similmente a quanto sta maturando a poco a poco nel giudizio di costituzionalità delle leggi attraverso lo strumento delle memorie c.d. amici curiae.
4. Il rischio, dunque, è che per far vedere all’UE che si fa qualcosa ci si comporti come quei debitori incalliti, che si indebitano per frequentare alberghi, ristoranti e bottiglie di champagne, invece che per dar vita ad attività produttive: con il risultato che, dopo qualche tempo, si trovano solo più indebitati di prima.
E ciò anche in tutta buona fede: quando chi frequenta i palazzi romani a volte rischia di vedere i problemi dall’alto, senza preoccuparsi di consultare chi opera in trincea nel mondo reale. O quando v’è chi cerca di intervenire su realtà di cui non ha esperienza diretta, anche se può essere un genio nel campo, ad esempio, dell’economia monetaria, o del diritto costituzionale comparato.
Inoltre, il problema attuale non è solo quello di far vedere all’UE che si fa qualcosa: indipendentemente dal PNRR, è al cittadino che interesserebbe una giustizia efficiente, e ciò sia nel settore civile, sia nel settore penale e in tutti i settori.
A meno di fare come quel parlamentare che una quindicina di anni fa, di fronte alla stessa questione, mi chiese: e a chi interessa una giustizia efficiente?
5. Qualcuno paventa che la soluzione delle controversie civili venga affidata a poco a poco a delle macchine.
Ma se non si conoscono ancora i meccanismi di funzionamento della mente umana, i meccanismi di produzione del linguaggio a partire da un’idea, i meccanismi di ideazione musicale, pittorica, filosofica e giuridica; se non ci sono due persone con la stessa identica calligrafia; se anche la stessa persona non è in grado di apporre due firme del tutto sovrapponibili tra loro; e se anche la stessa persona non è in grado di esprimere lo stesso concetto sempre con le stesse identiche parole (si vedano gli studi sul linguaggio umano di Noam Chomsky), come possiamo pensare di poterci far sostituire da una macchina?
Qualcuno paventa che ci si avvicini a poco a poco a un processo di common law.
Ma un bravo avvocato di common law saprà sempre trovare la particolarità della fattispecie concreta che la distingue da tutti i casi decisi precedentemente, per spiegare per quali ragioni, in questo caso, si debba pervenire a una soluzione diversa.
Qualcuno attribuisce la lentezza dei processi civili principalmente al numero degli avvocati in Italia in rapporto agli abitanti.
Ma in Spagna c’è una concentrazione di avvocati maggiore che in Italia, e in Liechtenstein ancora maggiore. Il paragone viene fatto sempre con la Francia, dove gli avvocati come concentrazione rispetto agli abitanti sono un terzo che nel Regno Unito. Ma soprattutto, i paesi con la maggiore concentrazione di avvocati nel mondo non sono in Europa: come rileva il Nobel per l’economia Robert Shiller nel suo Finanza e società giusta (2012), in proporzione al numero degli abitanti il paese con più avvocati è Israele, secondo il Brasile, terzi gli Usa. E aggiunge che in Israele e Usa l’imprenditorialità s’afferma grazie al numero relativamente alto di avvocati, che permette di intraprendere azioni sempre più complesse e con una maggiore certezza sugli esiti.
6. Che fare, dunque? Un brillante Pubblico Ministero già una ventina d’anni fa mi suggeriva che il vero problema sarebbe riuscire a liberarsi di quello che chiamava il carrozzone del processo civile. Un grande avvocato suggeriva che occorrerebbe il coraggio di privatizzare il processo di primo grado, almeno in molte materie: se in Italia vi sono più avvocati (ma anche meno giudici) che in altri paesi in rapporto al numero di abitanti, ciò potrebbe dare lavoro a più avvocati e alleggerire i giudici.
La proposta non ha attecchito. Non ci si fida degli avvocati? Di tanto in tanto si incontrano delle mele marce. Ma mele marce, purtroppo, vi sono in tutte le professioni. Il problema, e non solo tra gli avvocati, sta nel riuscire a eliminarle dal cesto. E possibilmente, come in altri settori, senza interventi esterni, che potrebbero limitare l’indipendenza della professione.
Non ci si fida della qualità degli avvocati? Ma allora andiamo a vedere la qualità sconfortante di alcuni provvedimenti emessi da giudici onorari: siano essi giudici di Tribunale, Giudici di Pace, giudici tributari o che altro.
Inoltre, occorre che le università forniscano una preparazione selettiva e di alto profilo. Il ruolo dell’avvocato in una società civile non è quello di occuparsi di furti di polli o liti di condominio. Vi sono campi molto più importanti nei quali può fornire un contributo qualificato alla costruzione di una società che possa dirsi civile, e tanto più in un’epoca di materialismo teoretico, nichilismo etico e liberismo economico.
7. Infine, si dovrebbe anche iniziare a riflettere, rispettosamente e con le dovute maniere, ma senza falsi riguardi, e iniziare a rivolgere critiche ponderate sia in dottrina, sia in giurisprudenza, anche sulle modalità di redazione delle leggi.
In troppi casi lunghi dibattiti giurisprudenziali che hanno impegnato tutti i gradi di giudizio sono stati innescati dalla scarsa qualità dei testi normativi (si pensi, solo per fare un esempio tra tanti, al tema importante della decorrenza del termine di 180 giorni per la proposizione del ricorso giudiziale in materia di licenziamenti: se dalla data del licenziamento, dalla data dell’impugnazione stragiudiziale, o dal termine per l’impugnazione stragiudiziale; ma chi si occupa di diritto tributario o previdenziale potrebbe aggiungere numerosi altri esempi).
Pare anzi troppo comodo lamentarsi della funzione creativa assunta in alcuni casi dalla giurisprudenza, quando in troppi casi le controversie su questioni di diritto sono originate dalla scarsa chiarezza dei testi normativi.
Le riforme non si possono fare tutte in un colpo: ma avere chiare le direzioni di marcia permette di intraprendere strade che possano dare dei risultati utili.