1. I principi fondamentali in materia di tutela del minore. Dalle convenzioni internazionali e comunitarie alle linee guida del Consiglio d’Europa del 2010.
E’ acquisizione recente del diritto internazionale e comunitario, nonché degli ordinamenti statali, il passaggio da una visione arcaica, che vedeva il bambino come soggetto passivo di diritti e di potestà parentali, ad una concezione che riconosce la soggettività giuridica del minore, in quanto portatore di interessi, di bisogni e di desideri meritevoli di ascolto e di considerazione, oltre che nelle formazioni sociali in cui si forma e si esprime la sua personalità, anche in ambito giudiziale, nei procedimenti che incidono sulla sua vita.
Una pietra miliare in questa direzione è rappresentata dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176 del 27 maggio 1991, espressione di principi generali che hanno fornito un orientamento ai governi per la sua attuazione, tra i quali particolare rilievo assumono il superiore interesse del minore (art. 3), nonché il diritto del minore di esprimere la propria opinione e la corrispondente garanzia da parte degli Stati che tale opinione venga presa in considerazione in rapporto alla sua età e al suo grado di maturità, che si traducono nel diritto del minore di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano (art. 12).
A livello comunitario, tali principi sono stati affermati dalla Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata con legge 20 marzo 2003 n. 77) che prevede un vero e proprio diritto del minore all’ “ascolto informato”, con la specificazione dei noti criteri guida in materia di esaustività dell'ascolto. La Convenzione europea infatti afferma che al minore (“purché considerato dalla legge nazionale come avente un sufficiente discernimento”) debbono essere riconosciuti una serie di diritti di informazione e di rappresentanza.
Da ultimo, sono intervenute le Linee guida del Consiglio di Europa per una giustizia a misura di minore del 17 novembre 2010, che attribuiscono primaria importanza alla partecipazione del minore, sia intesa come diritto di essere informato, che di essere ascoltato. In particolare, si dice: “Dovrebbe essere rispettato il diritto di ogni minore di essere informato sui suoi diritti, di disporre di idonee modalità per accedere alla giustizia, e di essere consultato e ascoltato nei procedimenti che lo coinvolgono o lo riguardano. In particolare, si dovrebbe dare il giusto riconoscimento alle opinioni del minore, tenendo conto del suo grado di maturità e delle sue eventuali difficoltà di comunicazione al fine di rendere significativa la sua partecipazione”.Un’ulteriore affermazione di rilievo, connessa proprio alla centralità del minore nei procedimenti che lo riguardano, è la necessità di un approccio di tipo specialistico e multidisciplinare da parte degli organismi che si occupano di minori.
S’impone dunque la costruzione di una giustizia a misura di minore, prima come durante il procedimento giudiziario. Su questa linea si pongono le riforme in materia minorile e della famiglia, già realizzate, ovvero che sono allo studio in questa legislatura.
Si segnala, infine, che è stato da ultimo costituito l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e per l’adolescenza per gli anni 2014 – 2016, suddiviso in gruppi di lavoro, uno dei quali, relativo al sostegno della genitorialità, è coordinato da un componente dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia.
2. La riforma della filiazione. Verso l’affermazione della centralità dell’interesse del minore.
In tema di affermazione della centralità dell’interesse del minore, particolare rilevanza assume la riforma della filiazione, operata con la legge 10 dicembre 2012 n. 219, contenente una delega che è stata attuata con decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, in materia di “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione”.
Tale riforma è intervenuta sulla disciplina relativa alla filiazione, al fine di proclamare l’eguaglianza giuridica di tutti figli, nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, nel pieno rispetto dei principi costituzionali e degli obblighi imposti a livello internazionale.
La presenza nel nostro ordinamento di norme, che dettavano un diverso regime e diversi diritti a seconda delle “categorie” di figli, strideva infatti con i principi fondamentali sanciti dagli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, che assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni forma di tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Peraltro, anche obblighi internazionali hanno imposto di rimuove la persistente discriminazione a carico dei figli nati fuori del matrimonio:
- l’articolo 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea, vincolante nel nostro ordinamento a seguito dell’entrata in vigore, lo scorso 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona (articolo 6 Trattato sull’Unione europea - versione consolidata) vieta ogni forma di discriminazione fondata sulla nascita;
- la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Cedu), pur non prevedendo disposizioni esplicite in materia di filiazione, all’articolo 8 protegge la vita privata e familiare e all’articolo 14 pone il divieto di qualsiasi discriminazione. Si è dunque modificato l'assetto giuridico della filiazione sulla base del principio relativo all'unificazione del relativo stato giuridico e alla sostituzione, nel codice civile e negli altri testi di legge, delle espressioni “ figli legittimi” e “figli naturali” con la parola “figli”, i primi nati nel matrimonio, e i secondi nati fuori dal matrimonio.
La ratio sottesa a tale intervento normativo è dunque quella di depotenziare, nell'ambito dei rapporti familiari, la centralità del vincolo coniugale e di mettere in primo piano i diritti dei figli.
A tal proposito, un’ulteriore rilevante innovazione introdotta da tale riforma è costituito dallamodifica delle norme che disciplinano l’esercizio della responsabilità genitoriale. Sul piano lessicale, si è proceduto alla sostituzione dell’espressione “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale”. Nella relazione illustrativa della riforma, si chiarisce che l’abbandono della nozione di potestà corrisponde alla scelta di “valorizzare il profilo dell’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio”. Tale modifica non è dunque meramente terminologica, ma corrisponde al superamento di una visione autoritativa e paternalistica del rapporto genitori – figli”, per valorizzare la primazia del superiore interesse del minore.
Tuttavia, a questa rivoluzione copernicana sul piano dei principi e del diritto sostanziale, non è ancora corrisposta un’effettiva parificazione delle tutele sul piano processuale e ordinamentale, ragion per cui questo Governo si è fatto carico di elaborare una proposta di riforma per l’istituzione di una sezione specializzata della famiglia, cui corrisponda sul piano processuale una razionalizzazione dei riti e delle modalità di tutela dei minori.
3. La riforma relativa all’istituzione della “Sezione specializzata per la famiglia”.
La complessa materia dei minori e della famiglia è allo stato frammentata tra tribunale ordinario, rispettivamente nelle funzioni di giudice della famiglia ,giudice tutelare, e tribunale per i minorenni. Inoltre, l’attuale sistema normativo registra una progressiva erosione delle competenze del tribunale per minorenni e un potenziamento delle competenze del tribunale ordinario. Da più parti, ormai, si avverte l0a necessità di assicurare concentrazione ed effettività di tutela, con un modello processuale unico e un giudice specializzato.
In data 11 marzo 2015 e’ stato presentato davanti alla Camera dei Deputati il disegno di legge delega per la riforma del processo civile, n. 2953, nella versione approvata dal Consiglio dei ministri il 10 febbraio 2015, che reca, tra l’altro, modifiche sostanziali alla disciplina dei procedimenti in materia di famiglia, concernenti la separazione dei coniugi, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio e l’affidamento e il mantenimento dei figli minori.
Tra le novità rilevanti va segnalata l’istituzione nei tribunali di una sezione specializzata per la famiglia, i minori e la persona, competente per l’esame delle controversie relative alla famiglia, anche non fondata sul matrimonio. Sono altresì devolute alla nuova sezione le controversie di competenza del giudice tutelare e, in ogni caso, tutte le controversie attualmente non rientranti nella competenza del tribunale per i minorenni in materia civile a norma dell’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali. E’ fatta salva l’attribuzione alla competenza del tribunale per i minorenni dei procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e a quelli richiedenti protezione internazionale, prevedendo la disciplina del rito secondo modalità semplificate.
In tal modo si conferma il vigente assetto di competenza del tribunale per i minorenni, assicurando però la specializzazione del tribunale ordinario in materia di famiglia e della persona.
Alla luce delle prime applicazioni della nuova formulazione dell’art. 38 disp. att. c.c., si cerca di porre rimedio alla scarsa chiarezza della sua formulazione, relativa all’attribuzione della competenza per i procedimenti in materia di decadenza dalla potestà (art. 330 c.c.), quando sia in corso un procedimento di separazione o divorzio, ovvero ai sensi dell’art. 316 c.c. Si lascia ferma in questi casi la competenza del tribunale per i minorenni. Viene in tale fattispecie preferito il tribunale per i minorenni, essendo il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale (un tempo potestà) particolarmente invasivo, dal momento che incide non già sul mero esercizio, ma sulla titolarità della stessa, secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale precedente alla citata modica, foriera delle segnalate incertezze.
Quanto all’attribuzione alla competenza del tribunale per i minorenni dei procedimenti relativi ai minori stranieri non accompagnati e a quelli richiedenti protezione internazionale, esistono prassi diversificate sul territorio nazionale, atteso che in talune realtà del settore si occupa il giudice tutelare, mentre in altre se ne occupa con maggiore celerità il tribunale per i minorenni, su impulso della procura minorile, attraverso l’apertura dei procedimenti di adottabilità, nei quali si perviene con immediatezza alla nomina del tutore. Si è ritenuto opportuno attribuire tale competenza ai tribunali minorenni, su impulso della relativa procura, essendo questo maggiormente attrezzato ad offrire una tutela più rapida ed efficace a questa tipologia di minori. Occorrerà, peraltro, disciplinare il rito secondo modalità semplificate senza dover ricorrere alla procedura di adottabilità.
Si propone, inoltre, di far confluire nelle sezioni specializzate anche le professionalità dei tecnici specializzati, che si sono formate nell’esperienza del tribunale dei minorenni - una risorsa da non disperdere ma da valorizzare - nell’ambito di una struttura processuale dai contorni certi e gestita da giudici togati.
Occorre infine, a garanzia della specializzazione delle stesse, assicurare alla sezione l’ausilio dei servizi sociali e di tecnici specializzati nelle materie di competenza.
Viene previsto, sempre al fine di assicurare il perseguimento del massimo grado di specializzazione, che le attribuzioni conferite dalla legge al pubblico ministero nelle materie di competenza delle sezioni specializzate siano esercitate da magistrati ai quali è attribuita, almeno in misura prevalente, la trattazione di affari rientranti nella competenza della sezione specializzata per la famiglia e per la persona.
Per la medesima ragione, viene altresì prevista l’attribuzione, almeno in misura prevalente, a una sezione di corte di appello delle impugnazioni avverso le decisioni di competenza delle sezioni specializzate per la famiglia e la persona e di competenza del tribunale per i minorenni.
I suindicati interventi sul quadro delle competenze in materia di famiglia e persone, anche di età minore, ormai consolidatosi anche a seguito delle recenti modifiche introdotte dalla legge n. 219/2012 e dal decreto legislativo n. 154/2013, e con i correttivi che vengono apportati, consentono di pervenire a un’adeguata specializzazione nella trattazione dei procedimenti relativi alla famiglia e alle persone, anche di età minore.
4. Le riforme in materia di affidamento e adozione: verso la valorizzazione della famiglia degli affetti.
La legge 4 maggio 1983, n. 184 sull'adozione (titolata significativamente - a seguito dellariforma introdotta con la legge 149/2001 - "Diritto del minore a una famiglia") delinea un ampiosistema di misure finalizzate a tutelare l'interesse del minore a crescere e ad essere educato nelproprio nucleo familiare. Questo diritto "naturale" del minore può "affievolirsi" solo inpresenza di specifiche condizioni. La sottrazione del minore alla famiglia, dopo l'attivazione degliinterventi di tutela temporanea previsti dalla legge, è quindi da ritenersi una soluzione "limite" che ricorre ove risultino insuperabili le difficoltà della famiglia di origine nell'assicurare al minore unambiente idoneo.
L’istituto dell’affidamento del minore mira a fornire un ambiente idoneo allo sviluppo psico – fisico del minore, in presenza di una temporanea difficoltà della famiglia di origine L'articolo 2 della legge 184/1983 prevede due distinti tipi di affidamento del minore:l'affidamento familiare, che si realizza con l'affidamento a un'altra famiglia,possibilmente con figli minori, o a una persona singola in grado di assistere il minorematerialmente e affettivamente;qualora non sia possibile un adeguato affidamento familiare, è previsto l'affidamento presso una comunità di tipo familiare, che haormai – dal 2007 – sostituito i precedenti istituti di assistenza pubblici e privati.
L’affidamento eterofamiliare può essere consensuale (se vi è il consenso dei genitori o del tutore è disposto dal servizio locale con il visto di esecutività del giudice tutelare) o giudiziale (se disposto dal tribunale per i minorenni); inoltre, ai sensi della legge 28 marzo 2001 n. 149,“Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori", nonche' al titolo VIII del libro primo del codice civile”, l’affidamento avviene previo ascolto del minore capace di discernimento, non può superare la durata di un biennio salvo proroga e comporta per l’affidatario i poteri connessi con la responsabilità parentale in ordine ai rapporti con le autorità scolastiche e quelle sanitarie. L’affidamento è, in definitiva, funzionale al rientro del minore nella famiglia di origine, con la quale d’intesa con il servizio locale deve mantenere i rapporti.
Sennonché, il rigore delle categorie giuridiche va coniugato con il principio della continuità degli affetti, secondo quanto è stato autorevolmente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti c. Italia, che distingue i casi in cui l’affidamento familiare abbia dato luogo al realizzarsi di relazioni familiari di fatto tra affidatari e minore, tali da integrare una famiglia, da quelli in cui ciò non avvenga. Secondo l’orientamento della Corte, pur escludendosi che possa essere affermato il diritto all’adozione degli affidatari, tuttavia, qualora risulti in concreto che il minore affidato abbia realizzato con i suoi affidatari un valido rapporto familiare, ben può pervenirsi all’accoglimento della domanda di adozione da costoro proposta.
Le riforme attualmente allo studio in materia di affidamento e di adozione, mirano a dare attuazione all’interesse del minore ad una famiglia fondata su validi legami affettivi, piuttosto che su meri requisiti di tipo formale.
Si segnala che, a seguito di recente approvazione davanti al Senato, è stata presentata la proposta A.C. 2957 in materia di “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”, attualmente all'esame della Camera, che intende inparticolare introdurre un favor verso i legami costruiti inragione dell'affidamento, avendo cura di specificare che questi hanno rilievo solo ove ilrapporto instauratosi abbia di fatto determinato una relazione profonda, proprio sul pianoaffettivo, tra minore e famiglia affidataria. La proposta prevede una "corsia preferenziale" per l'adozione a favore dellafamiglia affidataria, laddove - dichiarato lo stato di abbandono del minore – risultiimpossibile ricostituire il rapporto del minore con la famiglia d'origine.Inoltre, laddove sia dichiaratal'adottabilità, il tribunale dei minorenni, nel decidere in ordine alla domanda di adozionelegittimante presentata dalla famiglia affidataria, deve tenere conto dei legami affettivi"significativi" e del rapporto "stabile e duraturo" consolidatosi tra il minore e la famigliaaffidataria. In definitiva, tale corsia preferenziale opera soltanto a condizione che la coppia affidataria soddisfi tutti i requisiti per l'adozione legittimante previsti dall'articolo 6 dellalegge n. 184 del 1983 (stabile rapporto di coppia, idoneità all'adozione e differenza d'età condifferenza d'età conl'adottato), nonché quando l'affidamento, contrariamente alla natura dell’istituto, si siasostanziato di fatto in un rapporto stabile e prolungato sul piano anche affettivo tra lafamiglia (o la persona) affidataria e il minore.
Sempre in tema di rapporti tra affidamento e adozione, con riferimento ai minori provenienti da Paesi islamici, il Governo italiano ha posto all’esame del Parlamento, per la ratifica della Convenzione fatta all’Aja il 19ottobre 1996 sul riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori, il disegno di legge C - 1589, che è stato approvato dal Senato e trasmesso alla Camera, limitatamente alla “ratifica secca”. Il Governo ha successivamente presentato un autonomo disegno di legge, contenente le norme di adeguamento interno, al fine di attribuire una veste giuridica alla cosiddetta kafala, istituto affine all'affidamento familiare, previsto come unica misura di protezione del minore negli ordinamenti islamici, non operando alcuna distinzione tra bambini in stato di abbandono e bambini non abbandonati, ma che necessitano di essere affidati ad altra famiglia.
5. Le competenze del Dipartimento per la Giustizia minorile.
La Giustizia Minorile si fonda su un complesso sistema di intervento che prevede la complementarietà tra giurisdizione minorile specializzata ed esclusiva, svolta da magistrati togati e componenti privati (giudici onorari), e le funzioni di supporto e di attuazione dell’attività giurisdizionale, che possono talvolta integrare anche funzioni autonome, svolte attraverso una articolata organizzazione territoriale.
Le principali fonti normative che regolano l’attività della Giustizia Minorile sono quelle relative al processo penale minorile: un processo che mira a produrre risposte adeguate alla personalità ed alle esigenze educative del minore, alla sua capacità di comprendere e valutare l’importanza della violazione che ha commesso e di sopportare il peso della relativa sanzione. In particolare, il sistema minorile italiano è caratterizzato dal minimo ricorso alla detenzione, che assume carattere di residualità, per lasciare spazio a percorsi e risposte alternativi, pur sempre a carattere penale.
Nel sistema della Giustizia Minorile, il Dipartimento per la Giustizia Minorile svolge le funzioni attribuite dalla legge (art. 8 del DPR n. 55/2001 e art. 16 del decreto legislativo n.300/99) al Ministero della Giustizia in materia di:
- Attuazione dei provvedimenti penali emessi dall'Autorità Giudiziaria Minorile
- Sottrazione internazionale di minori
- Protezione giuridica dei minori
- Studi, ricerche e progetti in collaborazione con enti di ricerca e università
- Accordi di cooperazione con enti locali, territoriali e del privato sociale.
L'Amministrazione centrale del Dipartimento per la Giustizia Minorile si compone di tre Direzioni Generali e un Ufficio del Capo del Dipartimento:
- Direzione Generale del personale e della formazione – Risorse umane: assunzione e amministrazione del personale e dei dirigenti; formazione e aggiornamento professionale del personale civile e di polizia penitenziaria ed organizzazione delle relative strutture; relazioni sindacali; disciplina.
- Direzione Generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi: acquisizione e gestione dei beni mobili e dei servizi; acquisizione, progettazione e gestione beni immobili; procedure contrattuali.
- Direzione Generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari: esecuzione dei provvedimenti del giudice minorile; partecipazione agli interventi di prevenzione della devianza, convenzioni, consulenze, rapporti con gli enti locali, finalizzati all'attività trattamentale; organizzazione dei servizi per l'esecuzione dei provvedimenti dell'attività giudiziaria.
L’ambito amministrativo di attuazione dei provvedimenti giudiziari emessi dai Tribunali per i minorenni è gestito dal Dipartimento per la Giustizia Minorile attraverso le sue articolazioni presenti su tutto il territorio nazionale.0
Tutti i Servizi Minorili fanno capo ai Centri per la Giustizia Minorile - Organi del decentramento amministrativo - con territorio di competenza anche pluriregionale o corrispondente ai distretti di più Corti d’Appello.
Il quadro qualitativo e quantitativo dell’utenza minorile è caratterizzato da molteplici forme di disagio, dalle problematiche e dal malessere sociale derivanti in gran parte da fenomeni di mancata o incongrua integrazione sociale e di adeguato sostegno e accompagnamento educativo. Oltre alle forme di disagio psichico, di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di arruolamento nella criminalità organizzata, emergono condizioni particolari quali le “nuove povertà”, il flusso dei minori stranieri non accompagnati che alimenta spesso fenomeni quali la tratta degli esseri umani, la pedofilia e la prostituzione minorile, ed ancora l’integrazione dei minori stranieri di seconda generazione, la formazione di bande giovanili, emergente soprattutto in alcuni contesti urbani.
Per garantire l'accoglienza educativa dei minori nei Servizi Minorili, il loro mantenimento nelle strutture residenziali, le attività di mediazione culturale per i minori stranieri, le attività culturali e sportive, vengono intensificate a livello centrale e territoriale le politiche volte ad una razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse disponibili, di tipo strumentale, finanziario, umane, attraverso il coinvolgimento degli Enti locali, del volontariato e della cooperazione sociale ed internazionale.
L'offerta di risorse trattamentali, cioè le azioni compiute dai Servizi per rispondere al mandato istituzionale, è in crescita, confermando un trend positivo rispetto agli anni precedenti.
Sono in aumento e iniziative assicurate dai privati, dall’associazionismo e dal volontariato, sulla base di accordi e protocolli nazionali e locali.
Infatti, la competente Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari ha intensificato negli ultimi anni il proprio impegno finalizzato alla promozione di politiche d'intervento mira0te alla protezione dei soggetti maggiormente a rischio di esclusione sociale, in base alle normative nazionali e alle direttive internazionali di settore, attraverso la sottoscrizione di accordi, protocolli e la partecipazione ad azioni congiunte.
Si segnala la partecipazione, sia in qualità di soggetto capofila sia di soggetto partner, a progetti europei nell'ambito dei programmi FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini dei Paesi terzi), PON - Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo Sviluppo – Obiettivo Convergenza.
6. La riforma in materia di ordinamento penitenziario minorile
Il principio di specializzazione del giudice che si occupa di minori, con riferimento anche all’ambito penale, trova ampi riferimenti nella Carta costituzionale e nelle Convenzioni internazionali, in particolare nelleRegole minime per l'amministrazione della giustizia minorile(cosiddette Regole di Pechino), nonché nella costante e risalente giurisprudenza della Corte costituzionale.Il sistema di giustizia minorile deve, in particolare, avere perobiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti deigiovane sia proporzionale alle circostanze del reato e all'autore dello stesso.In considerazione delle speciali esigenze del minorecosì come della varietà delle misure applicative, è previsto un potere discrezionalenei diversi livelli dell'amministrazione della giustizia minorile, sia nell'istruttoriache nel processo e nella fase esecutiva.
Tali principi impongono di garantire una rigorosa distinzione tra processo penale ordinario e processo penale minorile, in cui, ai sensi del DPR n. 448/1988, vi è l’esigenza di “non interrompere i processi educativi” in atto per il soggetto minorenne.Anche le strutture penitenziarie per minorenni sono sottoposte ad un regime particolare, che tenga conto delle esigenze educative dei minori.
Negli Istituti Penali per i Minorenni (IPM) sono eseguite la misura della custodia cautelare e la pena detentiva.
Gli IPM sono concepiti strutturalmente in modo da fornire risposte adeguate alla particolarità della giovane utenza ed alle esigenze connesse all’esecuzione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria. L’educatore, che è la figura interna alla struttura, lavora in équipe con l’assistente sociale dell’USSM (servizio sociale ministeriale) e lo psicologo del Servizio Sanitario regionale. Negli IPM sono presenti anche altri operatori, dipendenti da altri enti o appartenenti ad associazioni di volontariato, per lo svolgimento delle attività scolastiche, di formazione professionale, di animazione culturale, sportiva e ricreativa. Accanto al personale dell’area educativa opera il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria (area della sicurezza) adeguatamente formato al rapporto con gli adolescenti.
Per i minorenni la detenzione assume carattere di residualità, per lasciare spazio a risposte e percorsi alternativi, sempre a carattere penale.
I Centri di Prima Accoglienza (CPA) accolgono temporaneamente i minorenni fermati, accompagnati o arrestati in flagranza di reato dalle forze dell’ordine su disposizione del Procuratore della Repubblica per i minorenni; il minore permane nel centro di prima accoglienza fino all’udienza di convalida, per un tempo massimo di 96 ore. Il CPA è un luogo strutturalmente differente dal contesto carcerario, pensato per ridurre al minimo il trauma dell’arresto; gli operatori lavorano per l’accoglienza del minore, la comunicazione con l’Autorità Giudiziaria e l’attivazione degli altri Servizi Minorili, in preparazione dell’udienza di convalida.
Le Comunità Ministeriali hanno dimensioni strutturali e organizzative connotate da una forte apertura all’ambiente esterno. I minori dell’area penale sono collocati sia in strutture gestite direttamente dall’Amministrazione, con personale proprio e in collaborazione con figure professionali esterne a convenzione, sia in comunità del privato sociale, gestite da associazioni e cooperative.
Di tali specificità, legate alle peculiari esigenze dei minorenni autori di reati, si tiene conto nel disegno di legge di iniziativa governativa n. 2798, recante “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”, presentato alla Camera il 23 dicembre 2014. In particolare, l’art. 26, contenente i princìpi e criteri direttivi per la riforma dell'ordinamento penitenziario, alla lett. i), prevede un apposito principio di delega relativo all’adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze rieducative dei detenuti minori di età.