1. Con sentenza allo stato non esecutiva del 24 luglio 2017, all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Genova ha dichiarato Umberto Bossi, quale legale rappresentante all’epoca dei fatti in contestazione della Lega Nord, colpevole in concorso con altri del reato di cui all’art. 640-bis cp per avere indebitamente conseguito erogazioni pubbliche, mediante raggiri ed artifizi, «consistiti, tra l’altro, nella presentazione, per gli anni 2008 e 2009, di rendiconti di esercizio contenenti false informazioni circa la destinazione delle spese sostenute, in realtà effettuate, in ampia parte, per finalità estranee agli interessi del partito» e, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero, in forza degli artt. 640-quater e 322-ter cp, ha disposto nei confronti della Lega Nord la confisca diretta della somma di 48.969.617 euro, cifra corrispondente al profitto, percepito dal partito politico, derivante dai reati per i quali vi era stata condanna.
La confisca del profitto del reato, infatti, è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della stessa, quando il profitto sia entrato nella sua disponibilità [1].
In seguito il pubblico ministero, al fine di assicurare la fruttuosità futura dell’esecuzione della predetta confisca, ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale, con provvedimento del 4 settembre 2017, dapprima l’emissione di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nei confronti della Lega Nord della suindicata somma di denaro e, successivamente, constatata la parziale infruttuosità della esecuzione del sequestro diretto, ha chiesto ed ottenuto, con provvedimento del 30 novembre 2017, l’emissione di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli imputati condannati.
2. Con la sentenza annotata la Corte suprema ha rigettato il ricorso che il difensore di Umberto Bossi ha proposto contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Genova, che ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di somme di denaro fino alla concorrenza dell’importo di euro 40.086.726, che, come si è sopra precisato, il Tribunale, quale giudice procedente, con provvedimento del 30 novembre 2017, su richiesta della pubblica accusa, ha emesso a carico dell’imputato.
In particolare, nel rigettare il ricorso, la Corte ha rimarcato la correttezza dell’operato del pubblico ministero.
Poiché infatti la sentenza di primo grado ha disposto la confisca diretta a carico della Lega Nord della somma di 48.969.617 euro e tale statuizione, sempre che non venga eliminata o modificata nel corso dei successivi gradi di giudizio, è destinata a essere eseguita soltanto dopo il giudicato, il pubblico ministero, proprio al fine di assicurare la fruttuosità futura dell’esecuzione della predetta confisca, ha intrapreso, dapprima, la via del sequestro diretto nei confronti della Lega Nord e, successivamente, preso atto della parziale infruttuosità della esecuzione del sequestro diretto, la via del sequestro di valore nei confronti degli imputati condannati in primo grado.
Secondo la Corte siamo di fronte ad «iniziative senz’altro legittime, concretizzatesi nella formulazione di domande cautelari rientranti tra quelle consentite ex art. 321, comma 2, cpp, finalizzate – come è proprio delle misure cautelari – ad assicurare l’effettività dell’eventuale, futuro giudicato, ed, in particolare, l’effettiva esecuzione della statuizione di confisca (diretta, ed in caso di infruttuosità, per legge, per equivalente) eventualmente divenuta esecutiva all’esito del giudizio».
Ovviamente la Corte tiene a precisare che se il pubblico ministero dovesse riuscire nel frattempo a recuperare l’intera somma confiscata, attingendo direttamente dalle casse del partito, anche a fronte dell’eventuale accoglimento del suo ricorso per Cassazione contro il rigetto della richiesta di estendere il sequestro diretto pure alle somme che dovessero confluire in futuro nelle casse della Lega Nord [2], «in quel momento – non prima – andrebbe chiesta al giudice procedente la caducazione della misura cautelare reale emessa nei confronti dell’odierno ricorrente, perché in ipotesi divenuta eccedente rispetto alle effettive esigenze cautelari».
Fintanto, però, che l’esecuzione del decreto preventivo finalizzato alla confisca diretta emesso nei confronti della Lega Nord si rivela infruttuosa, è pienamente legittima la permanenza della misura cautelare reale per equivalente adottata nei confronti dell’imputato.
In questo senso la Corte è categorica nell’affermare che se l’apprensione diretta delle somme di denaro nella disponibilità della Lega Nord non risulta fruttuosa fino alla concorrenza dell’importo confiscato, come è avvenuto nella specie, ciò rende «legittimo, ed anzi doveroso aggredire anche, per equivalente, i beni personali dell’imputato (fino a concorrenza del medesimo importo, e non oltre, naturalmente) sul presupposto della sua intervenuta condanna − pur allo stato non esecutiva − in ordine ai reati de quibus».
Richiamando la motivazione del Tribunale del riesame, la Corte ha chiarito che il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso a carico dell’imputato è da ritenere strettamente conseguenziale all’esito infruttuoso del precedente sequestro in forma diretta disposto a carico della Lega Nord.
Il sequestro di valore costituisce la naturale conseguenza della incapienza, non importa se parziale o anche solo temporanea, del precedente sequestro diretto.
Su questo punto, poi, la Corte non manca di osservare che per consentire la confisca diretta nei confronti della Lega Nord «sarebbe, infine, onere dell’imputato indicare al pubblico ministero dove indirizzare le ricerche per rinvenire i fondi allo stato non rinvenuti in disponibilità della Lega Nord ma, secondo il ricorrente, esistenti».
3. La sentenza in esame riconosce che le iniziative cautelari del pubblico ministero sono state poste in essere nel pieno rispetto delle regole previste in tema di confisca del profitto del reato.
L’art. 640-quater cp stabilisce che, nel caso di cui all’art. 640-bis cp, vanno osservate le disposizioni contenute nell’art. 322-ter cp, in forza del quale, nel caso di condanna, è sempre ordinata la confisca diretta dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del delitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca per equivalente di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale profitto o prezzo.
L’art. 321, comma 2, cpp, poi, chiude il cerchio consentendo al pubblico ministero, che si vuole assicurare la effettiva esecuzione della statuizione di confisca, di chiedere ed ottenere dal giudice, in via cautelare, il sequestro diretto e, in caso di esito infruttuoso della sua esecuzione, il sequestro di valore [3].
Sulla base di queste coordinate normative, dunque, correttamente l’organo dell’accusa, a fronte di una sentenza di primo grado, seppure ancora non definitiva, che ha condannato Umberto Bossi, in concorso con altri, per la violazione dell’art. 640-bis cp e ha affermato che la Lega Nord ha percepito un profitto di svariati milioni di euro derivante dai reati commessi dai suoi rappresentanti − tant’è che, sempre su richiesta del pubblico ministero, ne è stata disposta la confisca − ha chiesto ed ottenuto, al fine di mettere in sicurezza la esecuzione futura della confisca, in primis, il sequestro preventivo diretto del predetto profitto e, in seconda battuta, stante l’esito infruttuoso dell’esecuzione diretta, il sequestro per equivalente dei beni nella disponibilità degli imputati per un valore corrispondente al profitto, che il Tribunale ha ritenuto essere entrato nelle casse del partito.
Ciò in linea con quanto sostenuto, pure, dalla stessa Corte suprema che, con ben due arresti a Sezioni unite [4], ha stabilito appunto la possibilità, in caso di infruttuosità anche solo temporanea del sequestro finalizzato alla confisca diretta, di procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’imputato autore del reato, con ciò evidenziando il ruolo sussidiario che la confisca per equivalente e prima ancora il sequestro finalizzato a detta confisca assume rispetto alla confisca diretta.
La confisca diretta gioca un ruolo primario proprio perché mira a colpire le cose che rappresentano l’utilità economica direttamente o indirettamente derivata dal reato.
Se, invece, essa non è possibile, essendo stati i beni costituenti il profitto del reato occultati e/o consumati, diviene operativa, in via sussidiaria e, invero, per legge, la confisca per equivalente che, colpendo l’imputato autore dell’illecito direttamente nelle sue disponibilità economiche, lo priva dei vantaggi derivanti dalla sua attività criminosa.
La sentenza annotata fa proprie queste considerazioni, in quanto strettamente aderenti al dettato normativo, sostenendo che è lo stesso art. 322-ter cp a prevedere espressamente che «la confisca per equivalente ha luogo quando quella diretta non risulta possibile», ulteriormente precisando che «tale ultima condizione può necessariamente verificarsi soltanto all’esito di un infruttuoso tentativo di esecuzione di una statuizione di confisca diretta definitiva, ovvero di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta».
[1] In proposito va rammentato che, secondo Cass., Sez. unite, n. 31617 del 26 maggio 2015, dep. 21 luglio 2015, Lucci, «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato».
[2] In proposito, occorre ricordare che la Corte suprema, con la sentenza n. 29923, emessa dalla Sez. II penale il 12 aprile 2018 e depositata il 3 luglio 2018, pres. Cammino, rel. Verga, ha accolto il ricorso per Cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica di Genova contro l’ordinanza del Tribunale del riesame, che il 16 novembre 2017 ha respinto l’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova che il 20 ottobre 2017 non ha accolto la richiesta dell’organo dell’accusa di estendere l’esecuzione del sequestro fino alla concorrenza dell’importo, pari ad euro 48.969.617, originariamente indicato nel provvedimento di sequestro preventivo datato 4 settembre 2017, anche alle ulteriori somme che sarebbero confluite in futuro sul conto della Lega Nord. Con tale sentenza, che unitamente a quella annotata, è stata oggetto di un certo richiamo sul piano mediatico, la Corte suprema ha ritenuto corretta l’estensione dell’esecuzione del sequestro, fino alla concorrenza dell’importo confiscato, anche alle somme di denaro che dovessero affluire nel futuro nelle casse del partito, in tal modo legittimando «la confisca diretta del relativo importo, ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico».
[3] L’art. 321, comma 2, cpp, recita testualmente: «Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca».
[4] Cass., Sez. unite, n. 10561 del 30 gennaio 2014, dep. 5 marzo 2014, Gubert; Cass. Sez. unite, n. 31617 del 26/ giugno 2015, dep. 21 luglio 2015, Lucci.