Circolano già i primi commenti al recentissimo disegno di legge governativo recante, tra l'altro, deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del CSM.
Tra gli iniziali interventi si segnala quello, sotto forma di intervista ad un quotidiano, del Vice Presidente del CSM che, in modo singolare e di perplessa proprietà, anticipa il proprio giudizio (personale o nella qualità?) complessivamente critico (almeno questa è l'opinione del giornale) sul testo di riforma, ben prima che sia stato espresso il parere della competente commissione consiliare, su cui verosimilmente peserà l'influenza esercitata dalla carica.
Il nucleo centrale del dissenso riposa sulla lamentata compressione delle attribuzioni dell'organo: tesi che, come si vedrà, non sembra del tutto cogliere nel segno e, soprattutto, appare affetta da una dannosa obliterazione della prolungata esperienza della vita dell'organo.
Ben più solido si rivela il complesso (e dall'apprezzabile apertura mentale) ragionamento svolto in questo caso nelle scorse settimane dall'ANM.
Interessa qui estrarre dal comunicato dell’Associazione (che sottolinea l'ineliminabilità dei gruppi associativi, intesi nella loro dimensione di formazioni sociali e professionali) un punto di pregiudiziale interesse: quello che fondatamente si cura di chiarire che il provvedimento non vada letto, indipendentemente dalle intenzioni governative, in senso punitivo per l'ordine giudiziario, quasi che esso costituisca l'unica risposta possibile alle penose performances consiliari del periodo vicino.
E ciò per almeno due ragioni.
La prima è che molte, se non tutte, delle risposte presenti nel disegno di legge delega erano da tempo attese in connessione con problemi e disfunzioni seppelliti nel tempo e lasciati inerzialmente giacenti.
La seconda sta nei rischi intimamente e costantemente riferibili alla legislazione di natura contingente, quella mirante a replicare a specifiche esigenze della realtà con altrettanto specifiche misure, che già nascono prive dell'attitudine alla stabilità ed alla generalità.
Bene i giuristi inglesi descrivono questo fenomeno, riguardato nel suo momento ermeneutico, come della mischief rule, ossia di regola sorta per la disciplina di evenienze originanti da una determinata, probabilmente irripetibile, situazione storica meritevole di apposita, altrettanto irripetibile, disciplina. E per questo inestensibili in forma universale.
Ed allora la chiave valutativa dello strutturato tessuto normativo va resa avulsa dalle vicende dell'albergo dalle mille bollicine e concepita con esclusivo riguardo al suo merito di visione e di dettaglio.
E' ben ragionevole prevedere che su queste colonne altri contributi di esperti troveranno ospitalità. Ciò induce a circoscrivere, per il momento, queste considerazioni introduttive ad un paio di punti di centrale importanza nell'economia del provvedimento: di altri, di non minore rilievo, ci si potrà occupare nel futuro immediato.
In primo luogo, lo scandaglio critico va gettato nelle acque profonde della rivisitazione del sistema normativo afferente alla preposizione ad uffici direttivi e semi-direttivi.
In un precedente scritto avevo denunciato l'ipertrofia normativa (secondaria) che oggi affligge il CSM, dotatosi nel tempo di un pretenzioso Testo Unico sulla dirigenza, elevandolo ad idolo paralegislativo, con acribia difeso, nelle sue pratiche epifanie, davanti ad un Giudice amministrativo, considerato talvolta come fastidioso ingombro al largo dispiegamento di quelle che oggi il Vice Presidente annovera tra le prerogative di livello costituzionale (quale, per rendere visibile la forzatura argomentativa, la nomina del Presidente di Sezione, poniamo, di Tribunale non capoluogo di provincia ).
Ebbene, la prima impressione che suscita la lettura delle nuove previsioni, apparentemente infarcite di un reticolo normativo vastissimo, è che la delega che si intende consegnare al Governo si risolva nella sostanziale riproposizione sistematica del contenuto dell'attuale Testo Unico.
Di esso, infatti, rischiosamente si ricalca, con qualche commendevole eccezione (che negligentemente non ha trovato albergo nel passato) in materia di attività svolta fuori ruolo, giustamente degradata rispetto a quella propriamente d'istituto, il criterio, trasudante astrattezza e sicuro fomite di incontrollabili arbitri, degli indicatori, generali e specifici, tutti probabili oggetti di distorsioni interpretative, ad o contra personam.
Resta naturalmente da vedere se la generica (e come tale di non perspicua fedeltà costituzionale) disposizione delegante sia o meno destinata a trasformarsi, come la fenomenologia obbliga a sperare, in norma delegata che, pur con il precoce dissenso del Vice Presidente del CSM, incanali verso argini stretti e precisi l'attività selettiva dell'organo, inibendo ad esso inappropriate deliberazioni settarie. Va da sé che il tema spinge verso ancor più accurate, prossime analisi.
Il secondo ambito di riflessione preliminare riguarda l'abuso del ricorso al sorteggio come supposto metodo preventivo di iniquità o di palesi illegittimità.
Fortunatamente schivato tale metodo in materia elettorale, esso viene astrusamente proposto per la composizione delle commissioni consiliari e della sezione disciplinare.
E' grottesco, infatti, affidare alla sorte un momento in cui l'intuitus personae frutto di bagaglio culturale, attitudinale, biografico ha tutta l'aria di un'imitazione servile dell'infelicissima norma racchiusa nella legge cosiddetta Gelmini (qui l'evocazione dell'identità del Ministro proponente ne addita giustamente l'imperdonabile responsabilità politica) che, equiparando tutti i docenti universitari sulla base di parametri puramente formali, ha stabilito che le commissioni concorsuali, piuttosto che sulla chiara fama e sul prestigio dei singoli quali percepiti dalla comunità accademica, vengano nominate per sorteggio dei “todos caballeros”.
L'esperienza calcistica inglese dimostra che “the luck of the draw” può portare una società non professionistica, favorita dalla dea bendata e, quindi, sempre a confronto con club di pari grado, a vincere la FA Cup perchè la fortuna ha voluto che le maggiori squadre della Premier League si fossero tutte eliminate tra loro.
Ed insomma, prima che gli araldi del nuovo verbo ministeriale sciolgano inni e peana occorre ponderatamente procedere ad un ripensamento diffuso di un testo promettente nelle intenzioni ma gravemente claudicante nel suo impianto, e non solo, come si vedrà in seguito, in relazione agli esempi qui addotti.