Nella prima metà di febbraio, a Torino, a seguito di un’azione congiunta della Polizia Municipale, della Questura e dell’azienda per la raccolta dei rifiuti, alcune persone senza fissa dimora sono state invitate a spostarsi dai loro giacigli del centro cittadino. Contemporaneamente veniva chiesto loro di gettare nell’immondizia gli oggetti ritenuti non più utili. Un video dell’accaduto veniva pubblicato sul sito internet del più diffuso quotidiano cittadino.
Nei giorni seguenti, la morte per strada di due persone senza fissa dimora (di 59 e 33 anni) ha mantenuto alta l’attenzione sull’episodio. Rimangono ad oggi oggetto di dibattito le ragioni che abbiano spinto l’amministrazione comunale, in scadenza di mandato, a porre in essere l’iniziativa. Non vi è peraltro notizia, finora, dell’accertamento di eventuali profili di illiceità dell’operazione.
Per tentare di meglio comprendere lo sviluppo della situazione, può risultare interessante scorrere rapidamente in rassegna le riflessioni mosse sul tema da alcuni soggetti istituzionali, nel periodo immediatamente precedente.
Alla fine di gennaio, venivano attribuite al comandante della Polizia Municipale le seguenti affermazioni: «In questa città si fa tanto. Ed è merito di tutti. Ma i cittadini non sono consapevoli fino in fondo della situazione dei senzatetto. Per questo io dico: nessuno dia più un centesimo agli homeless del centro. Di sicuro nessuno starà peggio e tanti, anzi, staranno meglio». E ancora: «C’è chi, in un solo giorno, tira su anche cento euro»[1].
A seguito delle polemiche, a inizio febbraio interveniva la vice sindaca che, nel quadro di un più ampio ragionamento, sosteneva: «Spesso riceviamo richieste da parte di commercianti del centro che chiedono che la Città intervenga in termini di decoro (e dal momento che cambiano le monete in banconote, hanno capacità di stimare la raccolta)». Proseguiva l’amministratrice: «il denaro, che spesso ci scarica la coscienza in pochi secondi, a volte non fa del bene alle persone. Altro è il lavoro dei volontari che, coordinandosi con i Servizi della Città, cercano ogni giorno di rendere la vita di chi sta in strada meno dura e, possibilmente, di togliere dalla strada il maggior numero possibile di persone».[2]
Infine, contribuiva al dibattito la sindaca che, nel corso di una più ampia intervista sul tema[3], rispondeva: «Non stupirebbe se qualcuno» (tra chi vive in strada) «fosse vittima o strumento di fenomeni criminosi. È anche per questo che è necessaria la massima attenzione».
Le parole del Comandante della Polizia Municipale riportano alla memoria quello che la Prof.ssa Elisabetta Grande ha definito, nel libro Guai ai Poveri, «il marketing anti povero»[4]. Ricorda l’autrice che nel 1994 furono affissi nella metropolitana di New York cartelli in cui, come nei fumetti, compariva una nuvola di pensiero che faceva dire a chi era seduto nel posto sottostante: «Uh Uh, oddio, non me, non me. Oh, per piacere non starmi di fronte. Stai domandandomi soldi, fantastico! Tutto lo scompartimento ci guarda. Cosa faccio? Lo so. Farò finta di leggere un libro. Ecco. Ho un senso di rimorso. Davvero. Ma ehi, sono i miei soldi. E che ne so come li spenderai? No, mi spiace, da me non avrai nulla».
La stessa autrice ricorda poi la cartellonistica predisposta in altre città americane: ad Athens, in Georgia, sui parchimetri alcune scritte recitavano: «Un’offerta qui vi consentirà di aiutare gli homeless. Per piacere non date soldi a chi chiede l’elemosina».
In realtà, ciò che potrebbe sembrare la riproposizione di alcuni aspetti della dottrina Giuliani con un quarto di secolo di ritardo, desta preoccupazione non solo perché non sono giunte, da parte dell’amministrazione, prese di distanze dalle parole del Comandante, ma anche perché una simile riproposizione si scontra con la tradizione torinese di relazionarsi con il problema degli ultimi.
Lia Varesio, una tra le torinesi più note e attive nell’assistenza agli ultimi, scriveva nel gennaio del 1985[5]: «La povertà dell’uomo e della società odierna si possono cogliere a questi livelli e l’errore fondamentale nel quale normalmente si cade è quello di parlare di povertà in senso economico. Bene o male si può dire che la povertà abbia all’origine oggi l’assenza di valori, di qualcosa in cui credere, la mancanza di un’educazione o, se vogliamo, di un affetto familiare».
La riduzione della problematica dei senza fissa dimora al pur rilevante meccanismo economico ne consente una comunicazione più immediata e semplice, benché fuorviante, alla collettività, a cui viene implicitamente trasmesso che le persone senza fissa dimora risponderebbero razionalmente agli stimoli della domanda e dell’offerta. Essi cercherebbero di posizionarsi nei luoghi più redditizi in termini di raccolta, mentre abbandonerebbero alcune zone nel caso di riduzione dei ricavi legati all’elemosina.
Contemporaneamente, viene proposto al pubblico un messaggio contrastante e di segno opposto: la gestione diretta del denaro da parte dei senza tetto sarebbe per loro controproducente, cosicché l’elargizione di denaro dovrebbe essere indirizzata non ai diretti interessati, ma a chi si coordina con i servizi della Città, o ad organizzazioni locali. Le persone senza fissa dimora, infatti, non sarebbero in grado di gestire in autonomia il denaro nel modo per loro più vantaggioso.
I riferimenti al decoro, poi, paiono meritevoli di una riflessione. Secondo il dizionario Treccani, la parola indica, come primo significato, la «dignità che nell’aspetto, nei modi, nell’agire, è conveniente alla condizione sociale di una persona o di una categoria»[6]. Le richieste che, secondo la vice sindaca, i commercianti avrebbero rivolto alla Città (e su cui quest’ultima fonda la necessità del proprio intervento), sempre “in termini di decoro”, non sembrano riguardare le persone, bensì le cose, in particolare l’arredo urbano e la presentazione degli spazi commerciali.
In effetti, la Città non ha ritenuto di migliorare aspetto e modi delle persone, ma ha chiesto loro di spostarsi, così da privilegiare l’armonia nella presentazione degli spazi. Anche la terminologia ha una sua rilevanza: la transizione del riferimento (peraltro diffuso e generico) del decoro alle cose, piuttosto che alle persone, è indice del mutamento di priorità, se non di valori, dell’azione pubblica.
Un ulteriore elemento meritevole di attenzione riguarda l’instillazione del dubbio, nella collettività, che dietro i senza fissa dimora si celi il racket o la criminalità organizzata. Non si nega che in alcune occasione ciò sia avvenuto, o tuttora avvenga. Fenomeni simili, a ben vedere, si annidano in gran parte delle attività economiche.
Si provi a immaginare quali reazioni avrebbe provocato la dichiarazione di un sindaco di una grande città che avesse dichiarato di non provare stupore nell’apprendere che qualcuno fosse vittima o strumento di fenomeni criminosi, riferendosi però non agli homeless, ma ai ristoratori, agli avvocati, ai commercianti, alle forze dell’ordine, ai consiglieri comunali, ai baristi, ai medici. L’unica differenza è che, per gli esempi appena citati, la mancanza di stupore sarebbe giustificata da precedenti notori. Per i senza fissa dimora, invece, non si ricordano precedenti altrettanto clamorosi.
[2] http://www.comune.torino.it/cittagora/in-breve/i-senza-tetto-in-centro-e-le-politiche-sociali-della-citta-dibattito-in-consiglio.html
[3] https://www.torinotoday.it/attualita/appendino-intervista-senzatetto.html?fbclid=IwAR1GOfqbCcn1xYY3mQSzCvIazpKlpccCsrr08muCmH4dodlB68N52tMa3F4
[4] Elisabetta Grande, Guai ai poveri, edizioni Gruppo Abele, 2017, p. 144 ss.
[5] Diego Novelli, Piero Gargano, Enrica Goffi, Marco Gremo, Paola Orsi, Luca Rinarelli, Elisa Sola, Bruno Ventavoli, Dalla parte degli ultimi, Lia Varesio e la Bartolomeo & C., edizioni Gruppo Abele, 2011.
[6]https://www.treccani.it/vocabolario/decoro2/#:~:text=Dignit%C3%A0%20che%20nell'aspetto%2C%20nei,il%20d.%3B%20il%20d.&text=pi%C3%B9%20generico%20di%20dignit%C3%A0%2C%20sostenutezza,dello%20stile%2C%20dell'arte