1. Il primo CCNL nel settore del delivery-food: storia breve e disinvolta di un “contratto corsaro”
In data 15 settembre 2020 è stato sottoscritto, in Italia, il primo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro finalizzato a regolare i rapporti di lavoro dei ciclofattorini impegnati nella consegna di cibo a domicilio (d’ora in poi: CCNL rider).
La notizia, cui è stato dato grande rilievo da parte dei media italiani, è stata accolta in modi diversi e, per vero, anche diametralmente opposti: qualcuno l’ha salutata con favore e persino celebrata, parlando di «una buona notizia per l’Italia»[1], dando voce, soprattutto, alla posizione dei firmatari, AssoDelivery e il sindacato Ugl, che ne hanno sottolineato il carattere positivo e innovativo, oltre al primato europeo[2]; altri commentatori hanno privilegiato l’opinione dei sindacati confederali CGIL CISL e UIL, peraltro coincidente col giudizio almeno altrettanto severo espresso da tutte le Unions metropolitane che hanno animato le tante mobilitazioni dei rider andate in scena nell’ultimo triennio, qualificando l’accordo come un «fulmine a ciel sereno»[3], «penalizzante» e «illegittimo» per i lavoratori, concluso con un interlocutore «di comodo» allo scopo di comprimere salari e diritti[4].
Prima di entrare nel merito dei contenuti del CCNL e delle caratteristiche delle parti stipulanti, bisogna innanzitutto rammentare che, per quanti hanno seguito con attenzione la tormentata esperienza di negoziazione tra governo e parti sociali nel settore del food-delivery, tale esito era temuto e atteso, vista l’aperta ostilità delle piattaforme rispetto ai provvedimenti legislativi maturati nel corso dell’estate del 2019 e l’indisponibilità a negoziare costruttivamente con i sindacati più rappresentativi e concretamente presenti nelle mobilitazioni dei rider. In estrema sintesi, AssoDelivery – associazione che rappresenta l’industria italiana del food-delivery, cui aderiscono le piattaforme multinazionali Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats – costituitasi in vista delle ripetute convocazioni delle piattaforme da parte del Ministero del lavoro, sin dall’insediamento dell’ex Ministro del lavoro Luigi Di Maio nell’estate 2018[5], ha sempre osteggiato una disciplina legislativa dei rapporti di lavoro dei ciclofattorini, insistendo sulla natura genuinamente autonoma dei relativi rapporti, sull’insostenibilità di retribuzioni minime legate al tempo nonché sull’impossibilità di garantire diritti legati alla durevolezza del rapporto, a partire dal diritto al riposo, alle sospensioni del rapporto e alla stabilità del vincolo, ritenendo che l’interesse per i compensi “a cottimo” e per la natura giuridica prescelta per i rapporti di lavoro rispondessero pienamente alle esigenze manifestate dagli stessi rider. Per inverare tale narrazione, un anno dopo l’avvio dei tavoli ministeriali, e precisamente nell’autunno 2019, le piattaforme hanno favorito la costituzione di un “sindacato” dei ciclofattorini impegnati nel food-delivery (Sindacato Nazionale Autonomo dei Rider)[6], mai comparso in alcuna delle vertenze metropolitane del triennio 2017-2019 e mai affacciatosi ai tavoli ministeriali. Tale sindacato, manifestatosi per la prima volta nell’ottobre 2019, nella fase delle audizioni di esperti e parti sociali in Commissione lavoro del Senato della Repubblica, prodromiche alla messa a punto della legge di conversione del c.d. decreto rider (legge 3 novembre 2019, n. 128 di conversione, con modifiche, del d.l. 3 settembre 2019, n.101) ha sostenuto posizioni perfettamente coincidenti con quelle assunte delle piattaforme nei tavoli istituzionali di negoziazione e si è reso disponibile alla conclusione di un CCNL con tali contenuti[7], dopo aver trovato sponda nella neo-costituita UGL-riders che lo ha assorbito in vista della sottoscrizione.
In estrema sintesi, il CCNL del 15 settembre 2020 svolge, in primo luogo, un’inusuale attività qualificatoria, ribadendo a più riprese, sia nell’intestazione[8] sia nel corpo del testo (art. 3) il carattere genuinamente autonomo dei rapporti contrattuali che legano i ciclofattorini alle piattaforme; in secondo luogo, dietro l’apparenza di un compenso minimo orario (art. 10, primo cpv), cristallizza nella disciplina pattizia il sistema del compenso parametrato alle sole consegne effettuate (artt. 10 e 11)[9], tradizionalmente prediletto dalle piattaforme e da molte di esse unilateralmente applicato già da tempo.
Per vero, se non si volesse esser severi quanto lo sono state Unions metropolitane dei rider, che non hanno esitato a definire il CCNL AssoDelivery-Ugl un “contratto pirata”[10], bisogna quantomeno riconoscerne la natura corsara, essendo detta intesa maturata, e poi stata sottoscritta, nelle more della negoziazione che al tempo intercorreva tra AssoDelivery e CGIL CISL e UIL ai tavoli ministeriali[11], senza alcun confronto con tali sindacati confederali, che nemmeno ne sono state previamente informati e con l’evidente finalità di disapplicare la più favorevole regolamentazione contenuta nella legge n. 128 del 2019.
La “lettera di corsa” era, del resto, offerta alle parti sociali dallo stesso d.lgs. n. 81/2015 il quale, notoriamente, all’art. 2 in tema di disciplina delle collaborazioni etero-organizzate – ma pure all’art. 47 quater, iscritto nel nuovo Capo V bis ad efficacia differita di un anno rispetto all’adozione della legge n. 128/2019 e specificamente destinato a disciplinare i rapporti di lavoro dei rider aventi collaborazioni non continuative con le piattaforme – espressamente ammette, alla prima lettera del suo secondo comma, la possibilità di regolare le collaborazioni di un particolare settore tramite una disciplina specifica e diversa rispetto a quella altrimenti spettante, a condizione che detta disciplina sia contenuta in un contratto collettivo nazionale concluso da sindacati comparativamente più rappresentativi.
Non è però scontato, con ogni evidenza, che il c.d. CCNL rider sia idoneo a rispondere ai requisiti di legge.
2. Uno sguardo obliquo sull’art. 2 d.lsg. n. 81/2015: le ragioni di una “norma di disciplina”
L’art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 81/2015, nella sua prima formulazione[12], ma in modo assai più univoco e convincente nella seconda e più recente versione introdotta dalla legge n. 128 del 2019[13], ha apportato innovazioni significative all’impianto sistematico dell’ordinamento giuridico del lavoro: la figura delle collaborazioni etero-organizzate indubbiamente modifica, in senso estensivo, l’ambito d’applicazione della tutela lavoristica[14], atteso che il regime protettivo tradizionalmente assegnato ai (soli) lavoratori subordinati è oggi da applicarsi ogniqualvolta un’attività personale e continuativa sia resa entro le coordinate fissate, anche impersonalmente, dal creditore di lavoro[15].
Cionondimeno, riesce difficile negare che il legislatore abbia percorso una strada piuttosto tortuosa per pervenire a tale risultato, giacché l’articolo 2 in discorso, con la disposizione contenuta al suo primo comma, non muta la nozione di lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.), optando – in questo limitatissimo senso – per una “norma di disciplina” che ne estende lo statuto protettivo anche alle collaborazioni continuative, di carattere personale, organizzate dal committente. La locuzione, estemporanea ma efficace, posta a battesimo da autorevole dottrina in occasione di uno dei primi convegni successivi all’entrata in vigore del c.d. Jobs Act[16] è stata più volte criticata sulla base della constatazione, sin troppo ovvia, alla cui stregua ogni disciplina ha bisogno di una fattispecie che ne disegna il campo d’applicazione mentre, a propria volta, la fattispecie è per l’effetto, come insegna la migliore dottrina civilistica[17]. La critica suona, tuttavia, ingenerosa, giacché finge di ignorare che la formula sia stata impiegata al precipuo e limitato fine di escludere l’ipotesi, pure avanzata in dottrina[18], secondo la quale il legislatore, con l’art. 2, comma 1, avrebbe indirettamente modificato, in senso estensivo, la nozione di subordinazione. Pare ovvio a chi scrive che la dottrina cui si deve la richiamata locuzione non abbia certo inteso escludere che le collaborazioni etero-organizzate rappresentino una fattispecie, per quanto a-negoziale, limitandosi a evidenziare un artificio legislativo preordinato a schermare il secondo comma del medesimo articolo da censure d’incostituzionalità, altrimenti prevedibili.
Ma andiamo per ordine. La scelta lessicale utilizzata nel primo comma non può essere casuale e, anche per questo motivo, non va sottovalutata[19]: al legislatore erano, infatti, note le diverse soluzioni adottate in precedenza, prima fra tutte la formula impiegata nell’art. 69 comma 1 del d.lgs. n. 276/2003 alla cui stregua le collaborazioni coordinate e continuative prive di progetto «si considerano», ab origine, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il legislatore pare dunque aver consapevolmente scartato l’idea della conversione[20] o della presunzione di subordinazione[21], adottando una formula indicativa dell’equiparazione tra due figure che restano distinte, al mero (ancorché significativo) fine di assicurarvi analoghi effetti di tutela.
L’aspetto ulteriore che, nell’economia del ragionamento, assume indiscussa centralità, trascende il tenore letterale della disposizione, avendo a che fare con la struttura complessiva dell’articolo. Benché non sia intuitiva la rilevanza della distinzione tra una norma di fattispecie, che incide sulla nozione di lavoro subordinato, modificandola in senso estensivo, e una norma che dispone l’integrale applicazione del suo statuto protettivo anche a figure diverse da quelle per le quali è tradizionalmente previsto, l’interprete che abbia confidenza con la giurisprudenza costituzionale scopre agilmente le ragioni della malizia: piegando lo sguardo sul secondo comma dell’art. 2, si palesa una disposizione che sottrae al giudizio di equivalenza appena istituito dal primo comma svariate figure (solo in parte coincidenti con quelle del “vecchio” art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/03 in materia di lavoro a progetto), in rapporto alle quali, con la tecnica della “norma di disciplina”, il legislatore ha provato ad allontanare il rischio di una declaratoria d’incostituzionalità per violazione del principio d’indisponibilità del tipo lavoro subordinato[22].
Difatti, se il primo comma dell’art. 2 avesse modificato l’art. 2094 c.c., uno svuotamento di quell’area ad opera dell’autonomia privata collettiva, abilitata dalla legge ordinaria, avrebbe rischiato di contraddire il principio, saldo in seno alla giurisprudenza costituzionale[23], alla cui stregua non è consentito alle parti del contratto (tanto individuale quanto collettivo) e neppure al legislatore qualificare diversamente un rapporto avente oggettivamente le caratteristiche della subordinazione ove da ciò derivi una sottrazione di tutele apprestate da norme di rango costituzionale a tutela del lavoratore subordinato.
3. I contratti collettivi idonei a prevedere discipline specifiche in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore, ex art. 2, comma 2, lett. a) e 47 quater, comma 1
Spiccano in particolare, tra le ipotesi contemplate nel secondo comma dell’art. 2, le collaborazioni disciplinate da contratti collettivi nazionali di lavoro[24], con formula indubbiamente tesa a salvaguardare la prassi affermatasi in alcuni particolari contesti ove vige, da tempo, una disciplina pattizia dei rapporti di collaborazione: si tratta, com’è stato sottolineato da molti commentatori[25], innanzitutto del caso dell’Accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni nelle attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti realizzati attraverso call center “outbound”, stipulate con riferimento al CCNL TLC, concluso il 1° agosto 2013, modificato da due Accordi rispettivamente del 30 luglio 2015 e del 28 giugno 2016 e poi confluito, insieme a questi, nel testo coordinato del 31 luglio 2017, significativamente denominato Testo Unico. Del resto, con l’intesa del 30 luglio 2015, successiva all’entrata in vigore del decreto sul riordino delle tipologie contrattuali, le organizzazioni sindacali firmatarie (ASSOTELECOMUNICAZIONI – ASSITEL e SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL) hanno espressamente previsto che i trattamenti economici e normativi di cui al CCNL del 2013 «in virtù della sopravvenuta normativa» – art. 2, d.lgs. n. 81/2015 – dovessero intendersi riferiti ai «contratti di collaborazione esclusivamente personale e continuativa stipulati per lo svolgimento delle stesse attività outbound ivi regolate», così da sopravvivere al superamento del lavoro a progetto (art. 52, d.lgs. n. 81/2015) e risultare applicabili ai sensi del secondo comma dell’art. 2.
L’eccezione prevista dall’art. 2, comma 2, lett. a) ha giustamente preoccupato la dottrina[26], che ha tempestivamente segnalato le nefaste potenzialità dello “strappo” aperto nell’ombrello protettivo del primo comma. Uno strappo pronto ad allargarsi, facilitando operazioni orientate a sottrarre le protezioni assicurate dal primo comma anche in settori diversi da quelli già interessati dalla contrattazione collettiva, contrassegnati da «particolari esigenze produttive e organizzative» vere o presunte, ivi compreso il settore del food-delivery ove si affannano gli ormai famigerati ciclofattorini impegnati nella consegna di cibo a domicilio[27].
Del resto, da un anno a questa parte, sussistono almeno due elementi che rendevano prevedibile un esercizio dell’autonomia privata collettiva in tale senso.
In primo luogo, il lavoro dei rider che effettuano consegne per conto delle piattaforme di delivery-food è stato oggetto di un aspro contenzioso giudiziario, culminato nella pronuncia del 24 gennaio 2020 n. 1663 favorevole ai ciclofattorini, qualificati dalla Corte come collaboratori etero-organizzati[28]: per la Cassazione, l’art. 2, comma 1 del decreto sul riordino delle tipologie contrattuali, anche nella sua originaria formulazione (e in modo ancor più univoco a seguito della novella del 2019) dev’essere interpretato nel senso che l’intero apparato protettivo posto a tutela del lavoro subordinato si applica anche alle collaborazioni etero-organizzate – con la sola esclusione delle norme "ontologicamente incompatibili" con la figura di nuovo conio – ogniqualvolta la prestazione lavorativa sia funzionalmente iscritta in un’organizzazione unilateralmente predisposta dal suo titolare, anche quando manchi un assoggettamento del collaboratore al potere direttivo o al coordinamento spazio-temporale del creditore. Tale disposizione è stata dunque ritenuta adeguata a qualificare la concreta posizione dei ciclofattorini torinesi di Foodora i quali hanno, per tal via, ottenuto le garanzie di legge analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti e compensi parametrati alle tabelle salariali del CCNL Merci e logistica, giudicato del tutto conferente alle caratteristiche dell’attività di consegna di cibo a domicilio.
In secondo luogo, un meccanismo non troppo dissimile rispetto a quello previsto dall’art. 2, comma 2, lett. a) è stata impiegato anche nel capo V bis, introdotto dalla legge di conversione del c.d. decreto rider: ai sensi dell’art. 47 quater, primo comma, d.lgs. 81/2015, «i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale possono definire criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente» mentre, in mancanza, ai lavoratori è «garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale» (comma 2).
In ambo i casi, insomma, il legislatore, consapevole per un verso della portata di un rinvio legale alla contrattazione collettiva, in grado di imprimere efficacia generale alle disposizioni pattizie e, per l’altro, cosciente della funzione sostanzialmente derogatoria assegnata al prodotto dell’autonomia privata collettiva, ha usato massima prudenza, abilitando alla conclusione del CCNL in discorso le sole organizzazione sindacali comparativamente più rappresentative, da individuarsi, necessariamente, sulla base dei consueti indici di rappresentatività a suo tempo impiegati, in giurisprudenza, per conferire la patente di “sindacato maggiormente rappresentativo”, ma qui da utilizzare, appunto, a fini comparativi.
Va inoltre osservato che le norme declinano al plurale il riferimento agli agenti negoziali, con lo scopo d’impedire a una singola organizzazione la facoltà di esercitare la delega, cosa tanto più ragionevole quando si tratti – come nel caso del rinvio operato dal primo comma dell’art. 47 quater – di un ambito ove opera una pluralità di soggetti sindacali e di un comparto particolarmente esposto ai rischi di sfruttamento del lavoro più volte riscontrati nonché all’uso massiccio del lavoro autonomo coordinato.
Peraltro, specie nel caso del rinvio operato dall’art. 2, comma 2, lett. a), dovendosi ritagliare in un più esteso settore un ambito più circoscritto, oggetto di specifica regolazione pattizia e derogatoria, è lecito inferire che gli agenti negoziali abilitati a operare nel senso previsto dal rinvio legale debbano coincidere con le parti firmatarie del contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative applicato nel più ampio settore ove è avvertita, «in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative», l’esigenza di adottare «discipline specifiche». Il che è avvenuto, ad esempio e non a caso, nel settore delle telecomunicazioni, ove l’intesa sui collaboratori dei call center è stata conclusa dai sindacati confederali, firmatari del CCNL telecomunicazioni; e come sarebbe potuto avvenire, anche nel settore merci e logistica, con riguardo al segmento della consegna di cibo a domicilio da parte dei dei riders, se al tavolo negoziale istituito presso il ministero del lavoro AssoDelivery avesse proseguito le trattative e concluso un intesa con CGIL CISL e UIL. Del resto il rider è figura espressamente contemplata, a partire dal luglio 2018[29], nel CCNL Logistica Trasporto merci e Spedizioni – sottoscritto, per parte datoriale, da AITE, AITI, ASSOESPRESSI, ASSOLOGISTICA, FEDESPEDI, FEDIT, FISI, TRASPORTUNITO FIAP, CONFETRA, ANITA, FAI, FEDERTRASLOCHI, FEDERLOGISTICA, FIAP, UNITAI, CONFTRASPORTO, CNA Fita, Confartigianato Trasporti, CASARTIGIANI, CLAAI (e successivamente anche dal mondo cooperativo) e, per le associazioni sindacali dei lavoratori, da FILT-CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI – il cui campo d’applicazione è molto esteso, essendo destinato a regolare i rapporti di lavoro di tutto il personale impiegato in ogni attività di spedizione, trasporto e autotrasporto, servizi logistici e ausiliari del trasporto, con la sola esclusione di rapporti afferenti alle imprese destinatarie del CCNL dei lavoratori dei porti.
Una parte della dottrina, richiamando la posizione “classica” a suo tempo espressa da Gino Giugni e Federico Mancini alla cui stregua «la categoria sindacale e contrattuale non preesiste al contratto», non condivide l’opinione appena espressa, ritenendo invece che, anche nel caso dei ciclofattorini – come avvenuto, in epoca risalente, per i piloti – «la categoria nasce proprio dalla contrattazione collettiva, che sovranamente la definisce e delimita»[30]. Ma tale dottrina sottovaluta la struttura e la funzione delle due norme del D.lgs. n. 81/2015 che fanno rinvio al contratto collettivo: l’art. 2, infatti, ammette la disapplicazione del robusto regime di tutela assicurato dal primo comma «in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative», esigenze «particolari» che possono essere avvertite dai soggetti sociali che regolano il settore in generale, giudicando le particolarità di un suo segmento tali da richiedere «discipline specifiche». Diversamente, finirebbe per esser lecito ogni ritaglio nell’ambito della categoria contrattuale e ogni suo spezzettamento, vanificando, nei fatti, la cautela usata dal legislatore nel meccanismo del rinvio selettivo all’autonomia privata collettiva, e concedendo, in concreto, a piccoli sindacati di mestiere, di svuotare il macro-settore, regolamentando tanti micro-settori ove arrivano per primi, con una disciplina pattizia avente efficacia erga omnes. Il Capo V bis, dal canto suo, condiziona il potere negoziale nell’ambito di un settore individuato per legge, preoccupandosi di garantire, in difetto delle richieste condizioni, che «i lavoratori di cui all’articolo 47-bis non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e ai medesimi lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale».
Per Pietro Ichino «il contratto stipulato da AssoDelivery e Ugl-Rider è l’atto di nascita di una nuova categoria sindacale, che si stacca dal settore finora coperto dal Ccnl logistica-trasporto merci-spedizioni», sicché «per i rider, oggi, c’è solo questo contratto stipulato il 16 settembre. E non è poco, visto che l’alternativa è il nulla»[31]. L’Autore trascura, tuttavia, che un’alternativa esiste eccome, e consiste, secondo il dettato normativo, nell’applicazione di una disciplina legale e contrattual-collettiva[32] ben più organica e robusta, in tutto e per tutto analoga a quella spettante ai prestatori di lavoro subordinato in caso di collaborazioni etero organizzate, o conforme agli standard minimi e inderogabili fissati nel capo V-bis in caso di collaborazioni con continuative.
4. L’inidoneità del CCNL rider a integrare i requisiti di legge per carenza di rappresentatività del sindacato stipulante
Le osservazioni e le critiche appena sviluppate al paragrafo che precede sono state ribadite, con specifico riferimento al c.d. CCNL rider, dallo stesso Ufficio Legislativo del Ministero il quale, nella nota del 17 settembre 2020 indirizzata ad AssoDelivery all’indomani della sottoscrizione del contratto, ha rilevato che «la norma di rinvio alla contrattazione collettiva condiziona il potere negoziale» vincolandolo al pluralismo sindacale, giacché «è la stessa lettera della previsione normativa, laddove fa riferimento espresso ai contratti sottoscritti “dalle organizzazioni sindacali” a suggerire la necessità che a stipulare il contratto stesso non possa essere una sola organizzazione».
Se poi a questo elemento si aggiunge la circostanza che l’unica organizzazione sindacale stipulante è anche neocostituita, e più precisamente costituita in vista della sottoscrizione del CCNL in discorso, non avendo mai preso parte ad alcuna azione diretta, ad alcuna vertenza e ad alcun tavolo negoziale[33], risulta evidente – a parere di chi scrive – la sua carenza di legittimazione per carenza del requisito della maggiore rappresentatività comparata.
Ciò, salvo ritenere dirimente il numero di iscritti che UGL-rider realisticamente potrà vantare, specie dopo l’entrata in vigore delle norme del Capo V bis (ossia dopo il 3 novembre 2020), quando è lecito attendersi che sortiranno effetti i comportamenti assunti da alcune piattaforme le quali, con lettere indirizzate ai ciclofattorini, hanno condizionato la prosecuzione della collaborazione con le piattaforme stesse alla novazione oggettiva dei contratti individuali, e, in particolare, all’integrale accettazione del CCNL AssoDelivery – UGL-rider, assumendo una condotta certamente antisindacale ai sensi dell’art. 28 St. lav. e discriminatoria per motivi sindacali ex art. 15 St. lav., nella misura in cui viene imposto, anche a lavoratori iscritti a sindacati espressamente dissenzienti, una regolamentazione pattizia concordata con una diversa organizzazione sindacale.
Peraltro, in ordine agli indici di rappresentatività da tenere in considerazione nel preteso settore di nuova costituzione, sarebbe opportuno prendere in esame tutti gli elementi tradizionalmente impiegati da dottrina e giurisprudenza per procedere alla verifica della rappresentatività in mancanza di una disciplina legislativa, oggi quanto mai necessaria. Tra questi, accanto alla consistenza associativa basata sul numero degli iscritti – certo da relativizzare, a fronte dei resoconti giornalistici che hanno esplicitato il carattere non genuino di SNAR, costituito in un contesto lavorativo sottoposto, come noto, ad altissima ricattabilità delle maestranze – rilevano (oltre al requisito della confederalità e alla diffusione sull’intero territorio nazionale, comune sia a CGIL, CISL, UIL che a UGL) la presenza nel conflitto e il riconoscimento da parte dei pubblici poteri[34].
Ebbene, non può essere contestata la circostanza che i protagonisti dei conflitti e delle negoziazioni relative alle condizioni di lavoro dei rider siano sempre state le confederazioni storiche, le quali hanno affiancato le Unions metropolitane sia ai tavoli nazionali sia a livello locale. Ciò è avvenuto nei tavoli di negoziazione presso il Ministero del lavoro come nei tavoli apertisi, in ambito metropolitano, a seguito di scioperi e vertenze che si sono susseguite, nell’arco di un triennio, a partire dallo “sciopero della neve” andato in scena a Bologna nella famosa giornata del 17 novembre 2017[35], ove sono state concluse intese anche molto significative quali la Carta dei diritti del lavoro digitale di Bologna, e, da ultimo, la Carta dei diritti dei riders e dei lavoratori della gig economy di Napoli, adottata dall’amministrazione comunale nel gennaio 2020.
È insomma difficile porre in dubbio che CGIL, CISL e UIL risultino comparativamente più rappresentative non solo in generale ma anche certamente nel settore Logistica Trasporto merci e Spedizioni – ove la circostanza risulta persino accertata nell’ambito di una nota pronuncia della Corte costituzionale[36] – e persino che nel più circoscritto segmento del food-delivery, dove operano i ciclofattorini impegnati nella consegna di cibo a domicilio.
Per certo una parola definitiva spetterà ai giudici che saranno presto investiti della questione qui affrontata. Realisticamente, c’è da aspettarsi che il CCNL rider risulterà applicabile, secondo le regole del diritto comune che presiedono alla disciplina dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo, ai soli rider iscritti a UGL-riders (fatta salva, probabilmente, la disciplina dei compensi, non compatibile con la disciplina inderogabile prevista dall’art. 47 quater), mentre per tutti gli altri sarà ritenuta valevole la disciplina legale prevista dall’art. 2 comma 1 d.lgs. n. 81/2015 ogniqualvolta i medesimi svolgano continuativamente attività di consegna di cibo a domicilio prestando lavoro nell’ambito di un servizio organizzato, anche impersonalmente, dalle piattaforme, o la disciplina dell’art. 47 quater, comma 2, quando collaborino, in via meramente occasionale, con le piattaforme di food-delivery.
[1] G. Lev Manneimer, Un punto di partenza. Il contratto collettivo dei riders è una buona notizia per l’Italia in https://www.linkiesta.it/2020/09/rider-glovo-contratto-collettivo-italia-news/
[2] Riders, arriva il primo contratto collettivo: 10 euro l’ora e indennità per la pioggia, in IlSole24ore, 17 settembre 2020.
[3] M. Veruggio, Perché la Cgil dice no a questo contratto. Intervista a Tania Scacchetti, segretaria confederale CGIL, in https://www.glistatigenerali.com, 22 settembre 2020.
[4] Riders, arriva il primo contratto collettivo cit.
[5] Per un dettagliato resoconto della negoziazione v. Pacella, Le piattaforme di food delivery: un’indagine sulla nascita delle relazioni sindacali nel settore, LLI, n. 2/2019, specie p. 188 ss. In relazione ad AssoDelivery l’A. parla, correttamente, di un’associazione datoriale «nata come risposta all’azione istituzionale del Governo» (p. 193).
[6] Anche la dottrina che considera il CCNL rider come «un primo passo», giudicando “sopra le righe” la polemica che ne ha accompagnato la sottoscrizione, riconosce che ANAR, « secondo alcune inchieste giornalistiche, si riteneva in odore di essere costituita su interessamento o iniziativa datoriale», B. Caruso, Contratto dei rider, un primo passo, in Lavoce.info, 24.092020. L’ANAR, infatti, ha messo in atto una sola iniziativa di mobilitazione, nella giornata del 15 ottobre 2019, per opporsi al Decreto n. 101/2019, rivendicando il cottimo e rifiutando la paga minima oraria (https://www.open.online/2019/10/15/roma-i-rider-in-piazza-si-al-cottimo-no-alla-paga-oraria-video/).
[7] Come sottolinea B. Caruso, Contratto dei rider, cit., nel CCNL rider mancano «tutele d’importanza primaria: ferie retribuite e congedi per malattia, ad esempio» e «non c’è alcun cenno al principio di giustificatezza nel recesso unilaterale della piattaforma».
[8] Il CCNL si qualifica come «contratto collettivo nazionale per la disciplina dell'attività di consegna di beni per conto altrui, svolta da lavoratori autonomi, c.d. rider ai sensi e per gli effetti del capo v-bis "tutela del lavoro tramiite piattaforme digitali del d.lgs. 81/2015, così come modificato dal d.l. l0l/20l9, convertito in legge con modificazioni dalla l. 128/2019 e dell'art. 2, comma 2, lett. a) del d. lgs. 81/2015».
[9] In particolare, il CCNL si avvale in via esclusiva del criterio del numero di consegne effettuate (art. 10), riparametrato dalla piattaforma committente qualora il tempo stimato di consegna risulti inferiore ad un’ora, con un tetto massimo di 10 euro lordi l’ora, giacché l’art. 11 precisa che «nel caso in cui il tempo stimato dalla Piattaforrna per le consegne risultasse inferiore ad un’ora l'importo dovuto verrà riparametrato proporzionalmente ai minuti stimati per le consegne effettuate».
[10] In tal senso, Riders Union Bologna (comunicato del 18 settembre 2020), sindacato metropolitano cui si deve l’iniziativa per la redazione e la stipulazione della nota Carta dei diritti dei lavoratori digitali, sottoscritta anche da Cgil, Cisl e Uil sul fronte delle rappresentanze dei lavoratori, da piattaforme Sgnam e My Menù sul fronte datoriale nonché dal Comune di Bologna, in data 31 maggio 2018. Sulle esperienza di sindacalismo informale nel settore del food delivery quali Riders Union Bologna, Roma e Firenze, Deliverance Milano e Deliverance Project Torino, v. G. Pacella, Le piattaforme di food delivery: un’indagine sulla nascita delle relazioni sindacali nel settore, cit. M. Forlivesi, Alla ricerca di tutele collettive per i lavoratori digitali: organizzazione, rappresentanza, contrattazione, LLI, n. 1/2018 e M. Marrone, Rights against the machines! Food delivery, piattaforme digitali e sindacalismo informale: il caso Riders Union Bologna, ivi, n. 1/2019, pp. 1-28. Per un’agile panoramica sui contenuti della Carta di Bologna sia permesso rinviare a F. Martelloni, Individuale e collettivo: quando i diritti dei lavoratori digitali viaggiano su due ruote, LLI, n. 1/2018, pp. 16-34.
[11] Nel corso dell’estate del 2020, per l’esattezza, la Ministra del lavoro Catalfo ha convocato le parti sociali a un incontro fissato per il 3 agosto 2020, con l’esplicito scopo di addivenire ad «un accordo collettivo in grado di assicurare ai ciclo-fattorini operanti mediante piattaforme digitali un quadro di tutele certe ed effettive che permetta loro di operare con dignità e sicurezza», in vista dell’imminente entrata in vigore dell’art. 47 quater. Invito cui faceva riscontro Assodelivery, con lettera del 27 luglio 2020, rappresentando la propria «disponibilità a partecipare ai tavoli d’incontro con le parti sociali al fine dell’eventuale sottoscrizione di un accordo collettivo che abbia le caratteristiche di cui al Capo V-bis del D.lgs. 81/2015», ma non alla data prevista, rendendosi disponibile «per un eventuale incontro» da «fissare a settembre, al termine del periodo feriale».
[12] La dottrina in materia è davvero sterminata. I primi commenti “a caldo” figurano nei Colloqui giuridici sul lavoro del 2015, a cura di A. Vallebona. Tra i tanti, nel primo biennio 2015-2016, v. A. Perulli, Le collaborazioni organizzate dal committente, in Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni, a cura di L. Fiorillo e A. Perulli, Giappichelli, 2015, 279 ss.; O. Razzolini, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni, CSDLE, it., n. 265/2015; L. Nogler, La subordinazione nel d. lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’“autorità dal punto di vista giuridico, CSDLE, it., n. 267/2015; V. Nuzzo, Il lavoro personale coordinato e continuativo tra riforme e prospettive di tutela, CSDLE, it., n. 280/2015; P. Tosi, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, ADL, 2015, 6, p. 1130; G. Ferraro, Collaborazioni organizzate dal committente, RIDL, 2016, I, p. 53 ss.; S. Ciucciovino, Le “collaborazioni organizzate dal committente” nel confine tra autonomia e subordinazione, ivi, 2016, I, 3, p. 321 ss.; O. Mazzotta, Lo strano caso delle “collaborazioni organizzate dal committente”, Labor, 1-2, 2016, p. 7 ss.; R. Pessi, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, ivi, 3-4, 2016, p. 163 ss.; L. Tria, Le “collaborazioni organizzate dal committente” tra diritto europeo e giurisprudenza di legittimità, RGL, 2016, 1, p. 37 ss.; M. Pallini, Dalla eterodirezione alla eteroroganizzazione: una nuova nozione di subordinazione?, ivi, p. 65 ss.
[13] «A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali».
[14] In dottrina, da ultimo, V. Nuzzo, I confini del diritto del lavoro, cit.; A. Perulli, Collaborazioni etero-organizzate, coordinate e continuative e subordinazione: come “orientarsi nel pensiero”, DRI, n. 2, 2020, p. 267 ss.; O. Razzolini, I confini tra subordinazione, collaborazioni eteroorganizzate e lavoro autonomo coordinato: una rilettura, ivi, p. 345.
[15] Concordano su tale esito, pur con diversità di posture, anche critiche (v. specialmente M. Barbieri, Contraddizioni sistematiche e possibili effetti positivi di una legge di buone intenzioni e cattiva fattura, p. 75 ss.), i relatori al Seminario annuale della Consulta giuridica Cgil, Roma, 17 dicembre 2019, i cui atti sono ora in U. Carabelli, L. Fassina (a cura di), La nuova legge sui riders e sulle collaborazioni etero-organizzate, Ediesse, Roma, 2020.
[16] R. Del Punta, Relazione svolta al Convegno nazionale AGI, ottobre 2015, riproposta, da ultimo, in Id., Sui riders e non solo: il rebus delle collaborazioni organizzate dal committente (nota a A. Torino n. 26/2019, cit.), Riv. It. Dir. Lav., 2019, n. 2, II, p. 358 s.
[17] N. Irti, La crisi della fattispecie, Riv. dir. proc., 2014, 41 ss.
[18] Cfr., tra gli altri, G. Ferraro, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., spec. p. 62 s.; G. Santoro Passarelli, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro, cit., spec. p. 774 e Id, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente, cit., p. 20; O. Mazzotta, L’inafferrabile etero-direzione: a proposito di ciclo fattorini e modelli contrattuali, in Labor, 2020, n. 1, p. 3 ss.
[19] Contra V. Nuzzo, I confini del diritto del lavoro, cit.
[20] Sul punto, per tutti, L. Ratti, Conversione del contratto e rapporti di lavoro, Giappichelli, 2017, p. 125 ss.
[21] Contra L. Nogler, La subordinazione nel d. lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’«autorità del punto di vista giuridico», in CSDLE, it., n. 267/2015, il quale, ovviamente con riguardo alla prima formulazione della norma, ha ritenuto che una tal presunzione operasse in tutte le ipotesi di lavoro esclusivamente personale.
[22] Da ultimo, O. Razzolini, I confini tra subordinazione, collaborazioni eteroorganizzate, cit.
[23] Su C. Cost. n. 121/1993 e 115/1994 v, per tutti, M. D’Antona, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in ADL, 1995, p. 62 e ora in Opere, vol. I, p. 189. Il principio è stato da ultimo ribadito da C. Cost. n. 76/2015 la quale lo ha, tuttavia, improvvidamente saldato al lavoro strettamente eterodiretto, mostrando di sottovalutare la portata dell’art. 35 cost. Per una critica complessiva a detto impianto sia permesso rinviare a F. Martelloni, La tutela del lavoro nel prisma dell’art. 35 cost., spec. par. 4.1., RIDL, n. 3, 2020, in corso di pubblicazione.
[24] In base al secondo comma dell’art. 2, «La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore».
[25] Cfr. Colloqui giuridici sul lavoro del 2015, a cura di A. Vallebona.
[26] Tra gli altri P. Albi, Il lavoro mediante piattaforme digitali tra autonomia e subordinazione, in Labor, 2019, p. 125 ss. e spec. 128 s.; M. Barbieri, Della subordinazione dei ciclofattorini, LLI, n. 2/2019, pp. 1-56, spec. 9 ss.
[27] Mi permetto di rinviare, per l’ultimo richiamo in tal senso, a F. Martelloni, La tutela del lavoro nel prisma dell’art. 35 cost., cit., spec. par. 4.1., ove segnalavo, con preoccupazione, proprio l’esistenza di un sindacato di dubbia genuinità quale lo SNAR, poi assorbito da UGL-riders alla vigilia della sottoscrizione del CCNL in discorso (nt. 38).
[28] Il riferimento è alla notissima Cass. n. 1663/2020 che ha felicemente concluso la saga dei riders torinesi di Foodora, in LDE, n. 1, 2020 con commenti di M Biasi, F. Carinci, E. Dagnino, G. Fava, S. Gheno, M. Magnani, F. Martelloni, V. Martino, M. Persiani, A. Perulli G. Santoro Passarelli, V. Speziale, P. Tosi, A. Tursi e in DLM, con commento di Lassandari A., La Corte di Cassazione sui riders e l’art. 2, cit. Per un confronto di opinioni si vedano, M.T. Carinci, Il lavoro etero-organizzato secondo Cass. n. 1663/2020: verso un nuovo sistema dei contratti in cui è dedotta un’attività di lavoro, DRI, n. 2, 2020, p. 488 ss.; G. Proia, Le “collaborazioni organizzate” dal committente: punti fermi (pochi) e incertezze (tante), ivi, p. 499 ss.; G. Santoro Passarelli, L’interpretazione dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015 e i riders nella sentenza della Cassazione n. 1663/2020, ivi, p. 512 ss.
[29] Come noto, con Accordo sindacale del 18 luglio 2018, le parti firmatarie hanno precisato il campo di applicazione del CCNL con particolare riferimento alla Distribuzione delle merci con cicli, ciclomotori e motocicli (c.d. riders), e, per «cogliere tutte le opportunità di crescita fornite dalla forte implementazione della distribuzione urbana delle merci» integrando l’accordo di rinnovo del 3 dicembre 2017, hanno incluso la figure del rider nella regolamentazione pattizia, proprio «al fine di disciplinare i rapporti di lavoro» nel campo della «distribuzione di merci con mezzi quali cicli, ciclomotori e motocicli (anche a tre ruote) che avvengono in ambito urbano, anche attraverso l'utilizzo di tecnologie innovative (piattaforme, palmari ecc)».
[30] Le citazione sono tratte da P. Ichino, Contratto per i rider: è davvero “pirata”?, Lavoce.info, 21.09.2020. Sul concetto di categoria v., per tutti, il recente studio di G. Centamore, Contrattazione collettiva e pluralità di categorie, Bup, 2020.
[31] P. Ichino, Contratto per i rider, cit.
[32] Il CCNL Logistica Trasporto merci e Spedizioni è stato, del resto, ritenuto applicabile ai rapporti di lavoro dei rider anche nel contenzioso giudiziario che ha opposto i ciclofattorini di Foodora alla nota piattaforma di food delivery, come attesta, da ultimo, la pronuncia dei giudici di legittimità richiamata in nota 28.
[33] V. l’approfondita indagine di Pacella, Le piattaforme di food delivery, cit., ove, assai significativamente, SNAR e UGL-rider sono le uniche organizzazioni sindacali mai menzionate.
[34] Si vedano, a titilo di esempio, C. cost. n. 51/2015; Tar Lazio, sent. 1522/2018 e 8865/2015; Consiglio di Stato, sent. 537/2019; Cass. n. 4951/2019; Cass. n. 12166/2019; Corte d’Appello Torino 2.11.2017.
[35] Sull’importanza dello sciopero della neve nell’avvio del processo di negoziazione con l’Amministrazione comunale di Bologna e, poi, con lo stesso Ministero del lavoro, v. N. Quondamatteo, Non per noi ma per tutti. La lotta dei rider e il futuro del mondo del lavoro, Asterios, 2019.
[36] Il riferimento è alla nota sentenza n. 51/2015 con la quale la Corte Costituzionale, dichiarando non fondata la questione di costituzionalità, sollevata dal Tribunale di Lucca, in riferimento all’art. 39 Cost., dell’art. 7, c. 4, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, dall’art. 1, c. 1, Legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha statuito che «nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative (fra le tante, la sentenza già citata della Corte di cassazione n. 17583 del 2014) ».