Nel primo capitolo del suo libro, Katharina Pistor – Edwin B. Parker Professor of Comparative Law presso la Columbia Law School – ha voluto inserire un passaggio che ci permette immediatamente di cogliere il senso e la portata dell’analisi svolta dall’autrice. In particolare, Pistor osserva che dare una definizione di capitale o di capitalismo è tanto difficile perché nel corso del tempo il capitale, al pari dei rapporti sociali su cui si fonda, ha subìto innumerevoli metamorfosi. Per comprendere la storia e l’evoluzione del capitalismo, dunque, occorre risalire alle origini del capitale. O meglio: individuare gli strumenti per mezzo dei quali è stato – ed è tuttora – possibile creare ricchezza destinata a rimanere nelle mani di pochi, se non di pochissimi.
Nel compiere quest’operazione, è essenziale chiedersi perché il capitale abbia – se così si può dire – il dono dell’immortalità, ossia perché il capitale sia in grado di sopravvivere anche alla peggiore crisi economica.
Il capitale – afferma Pistor – non è un concetto che possa essere ridotto allo scontro fra proletariato e borghesia; il capitale e il capitalismo ignorano gli steccati della Storia e delle dottrine politiche perché il capitale altro non sarebbe se non «una qualità giuridica che contribuisce a creare e a proteggere la ricchezza», e il capitalismo un sistema economico in cui qualsiasi bene (inteso in un’accezione molto ampia) può essere trasformato in capitale per mezzo del diritto.
Da qui la scelta di intitolare il libro Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza (in originale The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality). Pistor, infatti, usa il termine “codice” per dimostrare come alcuni istituti giuridici (i contratti, la proprietà, le garanzie, il trust) e, più in generale, il diritto – ma soprattutto il diritto societario, il diritto fallimentare e il diritto della proprietà intellettuale – siano stati rimodulati e plasmati con il preciso scopo di codificare il capitale. In questa prospettiva il diritto, nella ricostruzione di Pistor, non riveste una funzione soltanto ancillare, ma diventa addirittura – adoperando la stessa metafora dell’autrice – autentico protagonista dello spettacolo.
In altre parole, decifrare il funzionamento del capitalismo significa scoprire in che modo, da chi e a vantaggio di chi il capitale viene codificato.
Nella logica del capitalismo tutto – perfino l’ingegno umano – può essere sfruttato a fini di lucro. Non a caso Pistor usa il termine “asset” (da intendersi, per l’appunto, come qualsiasi entità, materiale o immateriale, suscettibile di valutazione economica), specificando che il capitale si compone di due ingredienti: un “asset” e il diritto. Ricorrendo all’armamentario giuridico più appropriato, è, quindi, possibile assegnare a un “asset” (foss’anche immateriale come, per esempio, l’idea per un nuovo farmaco) una serie di attributi che lo rendono idoneo alla creazione di ricchezza; Pistor ne identifica quattro: 1) la priorità, che stabilisce un ordine gerarchico fra i diritti riguardanti uno specifico “asset” in modo da privilegiarne alcuni; 2) la durevolezza, che estende nel tempo tali diritti; 3) l’universalità, che permette di far valere le prerogative derivanti da priorità e durevolezza nei confronti di chiunque; 4) la convertibilità, che conferisce a chi può vantare diritti su un “asset” la garanzia esplicita o implicita di poterlo convertire in valuta corrente.
Una delle conclusioni più rilevanti cui giunge Pistor è che il capitale crea ricchezza grazie alla codificazione, perché è la codificazione a determinare il valore di un bene e, pertanto, a generare ricchezza e a indirizzarne la distribuzione. Il che spiegherebbe perché sull’elaborazione di norme e tecniche giuridiche pesa da sempre l’influenza di chi conduce il gioco feroce dell’economia mondiale.
Seguendo il ragionamento di Pistor, allora, il capitalismo ricaverebbe la sua natura mutevole e proteiforme – attributi che la finanziarizzazione dell’economia ha ulteriormente accentuato – dalla duttilità delle regole giuridiche che ne hanno veicolato l’espansione, favorita, secondo Pistor, dall’applicazione di tecniche di codificazione già sperimentate su beni materiali a nuove tipologie di beni che costituiscono una vera e propria creazione del diritto, come i brevetti.
Per Pistor, infatti, riconoscere il capitale come creazione è il presupposto fondamentale per focalizzare le sue riflessioni sui meccanismi che sorreggono la scelta degli “assets” da codificare e sul ruolo (attivo) che assumono in questo processo gli Stati nazionali, di cui il capitalismo – sottolinea l’autrice – non può fare a meno: da un lato, perché lo Stato assicura il rispetto e l’applicazione delle norme con cui viene codificato il capitale; dall’altro lato, perché senza un diritto statuale non potrebbe realizzarsi quel fenomeno – ormai irreversibile, sembra – noto come “concorrenza tra ordinamenti”, per effetto del quale le norme giuridiche sono oggetto di offerta come se fossero beni di consumo – prevarrà, quindi, chi offre il miglior prodotto al prezzo più conveniente – e scelte, col supporto di avvocati esperti (ai quali Pistor attribuisce l’esoterico titolo di «signori del codice»), da coloro che potranno essere soggetti alle medesime norme. E forse questa è una delle ragioni per cui, nell’opinione di Pistor, molti Stati non sono più in grado di controllare tanto la creazione quanto la distribuzione della ricchezza: perché la sorte delle democrazie moderne è sempre più legata alla capacità dei governi di generare crescita, lasciando mano libera al capitale.
Anche sotto questo profilo risulta, perciò, pienamente condivisibile quanto rilevano Francesco Di Ciommo, Sergio di Nola e Massimiliano Vatiero nella postfazione, sostenendo che il libro di Pistor rappresenta una novità per il concetto che l’autrice ribadisce in più occasioni, ossia che i detentori del capitale, avvalendosi dei migliori avvocati, «possono perseguire i propri interessi con ben pochi limiti». Viviamo in un sistema feudale, avverte Pistor; ammesso e non concesso che sia possibile superarlo, Il codice del capitale ha l’indubbio merito, sulla base di un’indagine rigorosa e avvincente, di sottoporre il problema all’attenzione dei suoi lettori con implacabile chiarezza.