1. Ed eccoci nuovamente in piena emergenza Covid-19. Gli ospedali nelle c.d. zone rosse ed in quelle che a breve lo diventeranno vanno verso la saturazione e l’ingestibilità. I malati in terapia intensiva aumentano, così come purtroppo aumentano i decessi. La virosi si sta estendendo sul tutto il territorio nazionale (già oggi la cartina dell’Italia ha poche “zone gialle”).
La ricaduta era del tutto prevedibile ed attesa dal mondo scientifico eppure nel periodo estivo la politica ha agito come se la pandemia fosse alle nostre spalle e non dovesse più tornare e nessuno ha utilizzato il periodo di remissione della virosi per attrezzarsi ad affrontare adeguatamente quanto oggi stiamo rivivendo.
Ora quindi dobbiamo far fronte a questa nuova ondata epidemiologica con la stessa responsabilità, determinazione e spirito di solidarietà con cui lo abbiamo fatto al primo lockdown, quando siamo riusciti a mettere in campo le migliori strategie di attacco al virus anche rispetto a tutti gli altri Paesi europei.
I dati Ipsos, pubblicati il 4 novembre, fotografano la situazione attuale del nostro Paese rispetto ai sentimenti che circolavano lo scorso marzo/aprile[1].
Persiste una forte paura per la salute propria e dei propri familiari/amici, che prevale su quella della crisi economica che il Paese attraversa, si richiede soprattutto responsabilità ai singoli nei comportamenti quotidiani anche se aumenta la sfiducia verso la classe politica ed il suo agire per non aver saputo utilizzare i mesi della stagione estiva per attrezzarsi rispetto alla prevista nuova ondata, così annullando quel vantaggio nel contrasto alla pandemia che il Paese aveva guadagnato rispetto agli altri Paesi europei.
2. La magistratura non è diversa dal Paese, e come in altre occasioni abbiamo verificato, in qualche modo ne costituisce lo specchio più immediato.
Lo vedo con gli occhi di chi ha provato sulla propria pelle il virus e oggi affronta come magistrato la vita giudiziaria all’interno del palazzo di giustizia di Milano. Se infatti la mia prima testimonianza[2], pubblicata su questa Rivista, aveva natura personale ed umana questa seconda assume più il carattere professionale e istituzionale.
La virosi galoppa, colpendo magistrati, avvocati, personale amministrativo, tirocinanti, polizia giudiziaria ecc.
Rendere giustizia rimane l’obiettivo primario di tutti che però si scontra con la realtà organizzativa ed amministrativa che dovrebbe accompagnare lo svolgimento dell’attività giudiziaria nel rispetto delle regole sanitarie necessarie ad impedire il diffondersi del virus soprattutto in quelle realtà territoriali in cui l’indice Rt è superiore a l’1,5.
Le condizioni logistiche di molti palazzi di giustizia sono assolutamente inadeguate, non vi sono sufficienti aule di udienza in grado di assicurare il distanziamento, le condizioni igieniche e di sanificazione lasciano a desiderare, gli strumenti per la protezione personale mancano e gli strumenti informatici sono del tutto insoddisfacenti.
Siamo di fronte all’inadeguatezza assoluta dei luoghi di lavoro ma la giustizia, quale servizio essenziale, non può fermarsi.
Ed ecco il rischio che sui singoli, qualunque sia il loro ruolo, si scarichi di fatto la responsabilità di far funzionare la macchina. I dirigenti (magistrati e amministrativi) cercano, con direttive più o meno stringenti, di predisporre possibili linee guida per assicurare lo svolgimento dell’attività giurisdizionale nel rispetto delle regole sanitarie poste a presidio del diffondersi della virosi.
Un lavoro improbo e quasi impossibile.
3. Anche in questa seconda fase c’è chi approfitta dell’angoscia collettiva che la pandemia ha scatenato per propinare le proprie verità tratteggiando l’idea che il virus non esiste e che sia una montatura creata da chi ha interesse a farlo: studiosi, virologi, industrie farmaceutiche. Emerge una forte divisione tra chi pensa che occorra far fronte ad una grande emergenza sanitaria e chi invece sostiene che siamo di fronte ad un’emergenza democratica, pianificata per introdurre momenti di limitazione della libertà dei cittadini da parte dei poteri forti. L’utilizzo massivo della piazza social, amplifica contenuti semplificati, spesso virali, e fake news. La posizione di alcuni politici, che sfruttano questo momento di fragilità del Paese per aumentare il proprio consenso, non aiuta a una corretta informazione sulla gravità e diffusività del virus, così come non aiutano le posizioni molto diversificate di alcuni uomini di scienza che disorientano sui rimedi che è necessario adottare per contenere la pandemia. Anche la magistratura non è esente da spinte di sottovalutazione della aggressività della virosi in atto, se si pensa che nel dibattito in corso su alcune mailing list interne all’Associazione Nazionale magistrati c’è chi richiama i dati dei decessi degli ultimi anni a dimostrazione che le cause della morte sono molteplici e non solo attribuibili al Covid-19, che quindi non è così aggressivo e non richiede limitazioni così pervasive. Dimenticando peraltro gli effetti indiretti che il Covid-19 ha provocato sul sistema sanitario rallentando moltissimo l’ambito della prevenzione con tutti i benefici connessi per la salute dei cittadini.
4. Danno non minore arrecano coloro che, pur essendo consapevoli dell’emergenza assoluta creata dalla diffusione del virus, operano come se la stessa non esistesse, per provare a gestire la propria ansia, per alimentare e mantenere vecchie forme di potere e rendite di posizione, per l’incapacità di avere uno sguardo lungo e innovativo.
Questa collettività, che con ruoli diversi opera nell’ambito della giustizia, rischia di non essere all’altezza del compito, per l’assenza di una visione generale e d’insieme su quello che è necessario fare per salvaguardare l’efficacia della giurisdizione ai tempi del Covid-19.
L’improvvisazione è il termine che meglio descrive l’azione di alcuni soggetti in questo difficile contesto.
Innanzitutto del Legislatore che ha emanato, in questa seconda fase, norme del tutto insoddisfacenti e inadeguate a garantire il funzionamento della giustizia e il rispetto delle regole sanitarie per contenere la virosi. Il D.L n.137 del 2020 ed in particolare all’art. 23 presenta una forte incongruenza rispetto alla finalità perseguita laddove consente il cd processo da remoto per una parte veramente minima della giurisdizione penale di primo grado. E senza scomodare le questioni di principio che sono state oggetto di opportuno confronto anche su questa Rivista[3] in termini di effettività del contraddittorio nell’assunzione della prova, del diritto di difesa, del modello culturale di giudice e di giurisdizione, non si comprende perché non vi sia stato un allargamento a quelle udienze che non coinvolgono quei principi e su cui vi era o poteva esservi il consenso della stessa Avvocatura. Un allargamento ovviamente limitato alla fase dell’emergenza che avrebbe consentito di non bloccare del tutto la macchina della giustizia penale.
L’ordine degli Avvocati di Milano, ad esempio, prima della emanazione del suddetto DL, con una nota trasmessa ai dirigenti degli uffici milanesi, aveva manifestato un orientamento favorevole alla tenuta delle udienze da remoto e, oltre a quelle poi consentite dal DL 137/2000, aveva indicato anche le seguenti: udienza di smistamento; udienze di conferimento di incarico peritale; udienza a seguito di opposizione al decreto penale di condanna con richiesta di patteggiamento, messa alla prova, oblazione; udienza preliminare; udienza preliminare in caso di patteggiamento e di discussione sulla richiesta di rinvio a giudizio; udienza di discussione abbreviato su istanza del difensore dell’imputato; udienza di rinvio; udienza per la valutazione della capacità dell’imputato a partecipare coscientemente al processo; udienza di declaratoria di intervenuta prescrizione; udienza di discussione in giudizio su istanza del difensore dell’imputato.
Tutti casi in cui non vi è, all’evidenza, alcuna lesione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa e che consentirebbero alla giurisdizione penale di continuare ad operare nell’emergenza e nel rispetto delle regole stabilite per fronteggiare la virosi (un accesso contenuto al palazzo di giustizia ed udienze tenute nel pieno rispetto del contraddittorio e senza rischio di possibili contagi). La vera posta in gioco la conosciamo tutti: il blocco della giurisdizione si traduce nella negazione dei diritti, ma se non si tutela innanzitutto la salute dei cittadini, non vi saranno comunque diritti da tutelare. In questa morsa occorre agire a tutti i livelli per ricercare un possibile punto di equilibrio avendo in mente la precisazione terminologica richiamata da Nello Rossi: si tratta sempre di ragionare su un diritto nell’emergenza e non di un diritto dell’emergenza[4].
Nella prima fase dell’emergenza, con l’articolo 83 del DL n.18 del 17 marzo 2020, convertito dalla Legge n. 27 del 2020, il Legislatore aveva di fatto bloccato l’attività ordinaria penale ed unitamente al Consiglio Superiore della Magistratura, aveva delegato ai dirigenti degli uffici giudiziari l’attuazione, attraverso l’emanazione di linee guida, dello svolgimento dei processi nel rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute.
In quei mesi di fatto la giustizia penale ha operato solo nei casi c.d. urgenti che sono stati sostanzialmente trattati da “remoto” o “in presenza” ma nel rispetto delle direttive sanitarie.
Il legislatore, il Consiglio Superiore ed i dirigenti hanno operato in sinergia.
Oggi questa sinergia è sicuramente più difficile da ritrovare, se si considera che l’assenza di una copertura normativa impedisce di fatto ai dirigenti (in sede di linee guida) ed ai magistrati (nell’ambito dei singoli procedimenti) di allargare le possibilità di utilizzo del processo da remoto, anche in caso di consenso degli avvocati, essendovi il rischio concreto di incorrere in una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p. . Ed in presenza di situazioni logistiche che non consentono di trattare i processi in sicurezza, sarà inevitabile un rallentamento nella trattazione di quelli non urgenti ed a carico di un numero elevato di imputati liberi. Rallentamento che peraltro deve tenere conto dell’assenza nel DL 137 del 2020 di meccanismi di sospensione dei termini di fase e della prescrizione, previsti solo in relazione a un numero limitati di casi.
Il Ministro della Giustizia non ha fornito le risorse necessarie materiali, personali e informatiche per consentire lo svolgimento dell’attività giudiziaria in piena sicurezza. I presidi di sicurezza personale stanziati sono sicuramente insufficienti, le stesse dotazioni di computer e videocamere faticano ad arrivare, l’assistenza informatica non è adeguata e vi è il rischio concreto che la piattaforma Teams, sui cui dovrebbero svolgersi i “processi da remoto”, possa non reggere effettivamente il carico di lavoro complessivo sia del settore penale sia del settore civile. Da ultimo solo lunedì 9 novembre sono stati forniti agli uffici giudiziari gli indirizzi Pec per consentire il deposito telematico di alcuni atti nel settore penale senza dare agli uffici tempi congrui per predisporre i necessari adeguamenti organizzativi.
Anche lo smart working utilizzato dal personale amministrativo, in assenza, per il settore penale, della possibilità di accedere ai registri informatrici, se si rivela utile per contenere gli accessi sul luogo di lavoro non favorisce però lo svolgimento regolare delle incombenze amministrative indispensabili per il funzionamento della attività giudiziaria.
Chi vive oggi negli uffici giudiziari ha la netta impressione che tutto continua ad essere affidato ad interventi estemporanei, non ragionati ed adottati sull’onda dell’emergenza. Certo la situazione che stiamo vivendo è senz’altro eccezionale, ed è giusto sottolinearlo e tenerne conto, ma forse, in questa seconda ondata della virosi già annunciata, ci si poteva attendere quantomeno un tempismo diverso e scelte più adeguate costruite nel periodo estivo per mettere in campo un progetto organizzativo complessivo che oggi avrebbe attenuato le disfunzioni ed i forti disagi che tutti viviamo. Purtroppo ciò non è avvenuto.
In questi giorni anche i vertici dell’Associazione Nazionale Magistrati sono in fase di rinnovo. Sabato e domenica 7, 8 novembre vi è stata la prima riunione del Comitato Direttivo Centrale che aveva il compito di nominare la nuova Giunta ed il suo Presidente. La riunione, da sempre pubblica, è stata trasmessa su radio radicale ed in tanti hanno avuto la possibilità di ascoltarla e vederla. I resoconti del dibattito pubblicati dai maggiori quotidiani[5] hanno descritto un associazionismo in stallo su questioni che attengono più alle scelte delle persone che devono ricoprire le cariche di vertice che ai programmi di politica associativa da formulare, mostrandolo come un soggetto che rischia di essere indifferente all’esigenza di dotare l’Associazione Nazionale, nel minor tempo possibile, di una voce unica, rappresentativa ed autorevole per consentirgli di instaurare quel dialogo con le altre Istituzioni sempre più necessario per affrontare tempestivamente le difficoltà connesse al difficile momento che vive il nostro Paese, se si considera che proprio sulla giurisdizione si scaricheranno, nel prossimo futuro, molte delle tensioni sanitarie ed economiche già in atto.
Sono consapevole che i tempi propri dei meccanismi democratici di formazione della rappresentanza associativa poco si conciliano con i tempi dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, e ciò è maggiormente vero per organismi collegiali in cui il pluralismo culturale deve essere portato a sintesi. E’ pur con questa consapevolezza la rappresentazione offerta dalla stampa diventa in qualche modo oggettiva se unita al disagio provato da molti nell’ascoltare un confronto che sembra essere molto lontano da quelle che sono le attuali priorità del Paese.
Ed infatti, se si guarda ai contenuti del programma che la nuova giunta dovrebbe realizzare, se appare da apprezzare la volontà della larghissima maggioranza degli eletti di porre al centro dell’azione politica associativa futura “la questione morale”, risulta incomprensibile il voler mettere sullo stesso piano un tema tutto interno alla magistratura e sicuramente distonico con le priorità del momento come è quello dei cd carichi esigibili, presentato come una priorità da molti dei magistrati che sono intervenuti nel dibattito.
In molti si aspettavano che i nuovi eletti, sentendo appieno la drammaticità del momento[6], riuscissero ad eleggere, all’esito di un confronto anche duro, che poteva proseguire senza limiti orari, la giunta esecutiva centrale ed il suo presidente predisponendo un programma anche minimo ed essenziale in grado di affrontare le questioni vere che affliggono la magistratura e la giurisdizione, in questo momento storico, senza privarla in queste settimane di una voce di rappresentanza unica e autorevole verso l’esterno. E’ auspicabile che i nodi evidenziati in quel dibattito associativo vengano sciolti al più presto per consentire all’Associazione piena agibilità politica.
Tutta la complessità della gestione della macchina organizzativa di fatto ricade sui dirigenti degli uffici giudiziari. In questo senso deve leggersi anche l’ultima circolare del Consiglio Superiore della magistratura che attribuisce loro importanti responsabilità.
E nel difficile contesto che viviamo non sono mancate fughe in avanti da parte di alcuni Procuratori della Repubblica, che, pur di far fronte alle carenze organizzative e legislative, senz’altro esistenti, si sono di fatto posti come interlocutori privilegiati del Ministro della Giustizia[7]. I risultati che ne sono conseguiti in termini di previsioni normative e di predisposizione delle risorse necessarie sottovalutano che la principale fetta della giurisdizione, cioè quella giudicante, doveva essere messa in condizione di operare. Il sistema giudiziario è come una filiera di lavoro, mettere solo un settore in condizione di operare non raggiunge l’obiettivo di far funzionare l’intero sistema. Di questo forse non si è tenuto sufficientemente conto.
In queste settimane molti dirigenti degli uffici giudiziari si stanno adoperando per trovare un possibile punto di equilibrio tra l’esigenza di consentire l’operatività della giurisdizione e l’esigenza che essa si svolga in condizioni di sicurezza per tutti gli utenti. Un punto di equilibrio che nonostante la spinta al massimo utilizzo del processo da remoto, che trova il limite del dato normativo, non può che comportare un contenimento dell’attività giudiziaria prevedendo il numero massimo di udienze che è possibile tenere nel rispetto delle indicazioni sanitarie, un contenimento della presenza del personale amministrativo, giudiziario e dell’utenza all’interno dei palazzi di giustizia, un investimento forte sui depositi telematici e sull’utilizzo, per il settore penale, di applicativi informatici, come il Tiap, che consentano la digitalizzazione del fascicolo processuale.
Anche i vertici della Corte di Cassazione stanno fornendo un contributo importante per favorire il diritto nell’emergenza. La Procura Generale della Cassazione ha, ad esempio, pubblicato sul proprio sito una serie di orientamenti[8] in materia di giustizia penale per evitare e prevenire eventuali conflitti tra i diversi uffici e a garantire il rispetto dei principi convenzionali e costituzionali del giusto processo in epoca Covid.
La strada è sicuramente impervia ma necessaria.
Sarebbe auspicabile che a fronte della possibilità per le singole regioni di adottare normative che considerino le specificità territoriali per la diversa diffusione del virus venga attribuito anche ai dirigenti degli uffici giudiziari ed ai Consigli Giudiziari il compito di adottare delle linee guida volte all’amministrazione della giurisdizione sulla base delle specificità del territorio, della diversa diffusione del virus, dei carichi di lavoro e delle condizioni logistiche dei palazzi di giustizia.
5. Per concludere credo che tutti siamo chiamati ad agire mettendo in campo tutta la responsabilità di cui siamo capaci. In questo sforzo un compito importante spetta ad ogni singolo magistrato, che deve evitare di essere intrappolato dalla paura che i cambiamenti spesso ingenerano, acquisendo uno sguardo lungo che vada oltre il rischio oggi non rimediabile di creare un arretrato sul proprio ruolo e tempi più lunghi per la fissazione e trattazione dei processi, investendo sempre di più sulle prospettive di gestione informatica del procedimento, ripensando e innovando tutti i modelli organizzativi fin qui adottati. Tutte le attività produttive e tutte quelle essenziali del Paese si stanno confrontando con questa tremenda emergenza sanitaria, la giustizia non può tirarsi fuori ed ognuno di noi deve essere responsabile anche oltre ciò che può oggi apparire un limite invalicabile. Il rischio da un lato di assumere atteggiamenti di sottovalutazione di questa emergenza sanitaria continuando ad operare come prima senza curarsi delle esigenze di tutela della salute di tutti i soggetti che entrano in rapporto con noi, e l’idea, dall’altro, che occorra rassegnarsi a questa pandemia accettando il blocco della giurisdizione, sono i due estremi a cui non bisognerebbe avvicinarsi.
Siamo chiamati tutti a metterci in gioco pensandoci non come singoli ma come collettività, in cui ognuno fa la propria parte, sapendo che la giurisdizione è una macchina complessa che richiede soluzioni non improvvisate.
Quella sinergia di lungimiranza, determinazione e solidarietà tra più soggetti è risultata vincente per contrastare la prima ondata della virosi e continua a rimanere indispensabile in questa nuova contingenza.
[1] Diminuisce la fiducia nell’operare del Governo: si registra un 51% rispetto ad un 32% di giudizio negativo sulle misure adottate dal governo Conte sotto il profilo sanitario e un 57% rispetto ad un 33% precedente di giudizio negativo in relazione alle misure di sostegno che sono state previste nelle due diverse fasi. Viene riconosciuta dalla maggioranza degli italiani (sei su dieci cioè il 62%), la responsabilità primaria dei cittadini per una scarsa adesione alle regole di protezione rispetto alla responsabilità delle istituzioni nazionali e locali. Ancora oggi si teme molto il contagio personale e dei propri familiari (65%) e questo sentimento prevale sulla preoccupazione per le difficoltà economiche che molte categorie stanno vivendo (26%).
[2]Cfr. Ezia Maccora, Il mio incontro con il Covid 19: una testimonianza personale per far memoria, in Questione Giustizia on line, https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-mio-incontro-con-il-covid-19-una-testimonianza-personale-per-far-memoria_06-04-2020.php
[3] Cfr. Mariarosaria Gugliemi, Riccardo De Vito, Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Il remoto e la giustizia, in Questione Giustizia on line https://www.questionegiustizia.it/articolo/lontano-dagli-occhi-lontano-dal-cuore-il-remoto-e-la-giustizia_24-04-2020.php
[4] Così Nello Rossi, Il diritto nell’emergenza, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2020, p. 3.4, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-diritto-nell-emergenza
[5] A titolo esemplificativo cfr. Giovanni Negri, Fumata nera per il rinnovo dei vertici dell’ANM, ne Il sole 24 ore, 8.11.2020; Giulia Merlo, L’anm ancora avvelenata dal Caso Palamara non riesce a scegliere il presidente, in https://www.editorialedomani.it/, 8.11.2020; Liana Milella, Da Bonafede stretta sui processi Covid, ma l’anm si divide sul futuro presidente, in repubblica.it, 8.11.2020;
[6] Rispettando anche le norme sanitarie che prescrivono di indossare correttamente, anche quando si è chiamati ad intervenire, le mascherine di protezione.
[7] Cfr. il documento dell’esecutivo di Magistratura Democratica sul punto https://www.magistraturademocratica.it/articolo/il-documento-delle-procure-e-la-necessita-di-un-confronto-31924
[8] Nell’ambito dell’emergenza sanitaria sono stati emanati più “orientamenti” in materia di presenza in ufficio e Covid; in materia Covid e riduzione della presenza nelle carceri; in materia di Covid e crisi di impresa; in materia di Covid e responsabilità sanitaria.