La stampa internazionale si è interessata dello scontro tra il governo francese, e in particolare il ministro dell’interno Manuel Valls, e l’attore Dieudonné, nel quale è dovuto intervenire in maniera sorprendente il giudice amministrativo francese.
Di cosa si tratta
Tutto è iniziato per alcune frasi, di stampo razzista, antisionista e antiebraico, che Dieudonné ha pronunciato nel corso dei suoi spettacoli. Una delle ultime, in riferimento al giornalista di origini ebraiche Patrick Cohen : “Quando sento Patrick Cohen, io mi dico… le camere a gas… peccato!”. Dieudonné, inoltre, ha lanciato la moda del gesto della quenelle, da lui inventato, che ricorda il saluto nazista: il braccio sinistro teso verso il basso, con la mano destra poggiata sulla spalla sinistra. E’ lo stesso che Peter Sellers faceva interpretando il dottor Stranamore nel famoso film di Kubrick per dissimulare il suo passato nazista (dal minuto 1:05 qui). Difficile collocare politicamente Dieudonné, anche se in passato non ha nascosto le sue simpatie per il leader di estrema destra Jean-Marie Le Pen. Per il suo sostegno alla causa palestinese, in chiave antisraeliana e antiebraica, Dieudonné raccoglie sostegni anche in ambienti filoarabi.
Dieudonné stava per iniziare la sua tournée con lo spettacolo “Il muro”, quando il ministro dell’interno gli ha dichiarato guerra e ha deciso di intervenire.
L’intervento di Manuel Valls
Il ministro dell’interno ha deciso di rivolgersi ai prefetti con una circolare del 6 gennaio. Dopo aver ricordato le frasi pronunciate da Dieudonné e stigmatizzato il gesto della quenelle, riprodotto sulla locandina dello spettacolo, Valls ha ricordato ai prefetti che le conseguenze del comportamento di Dieudonné devono essere, in primo luogo, penali (legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa). Il riferimento non è casuale, dato che Dieudonné è stato condannato più volte in sede penale per diffamazione, ingiuria e incitazione alla violenza.
Il ministro ha poi ricordato che “l’autorità amministrativa dispone a sua volta di poteri che le permettono di far cessare i problemi di ordine pubblico. Se la libertà d’espressione deve essere garantita, come ogni libertà civile, essa deve essere conciliata con altri principi o obiettivi di valore costituzionale, tra i quali si trova la protezione dell’ordine pubblico. Questa conciliazione è altresì permessa, nello stretto rispetto del principio di proporzionalità, dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani”. Dopo aver citato la giurisprudenza amministrativa applicabile in materia (ci ritorneremo), il ministro ha ricordato che, in virtù dell’articolo L. 2212-2 del codice generale degli enti locali, il potere di polizia amministrativa generale, che comprende la polizia degli spettacoli, appartiene al sindaco. I prefetti erano sollecitati a ricordare a quest’autorità le condizioni per vietare gli spettacoli in questione, ad assisterla nell’adozione di tali misure e a utilizzare i poteri sostitutivi di cui i prefetti sono titolari in caso d’inadempienza del sindaco.
Le direttive del ministro dell’interno non erano destinate ad avere vita facile, dal momento che, in passato, il giudice amministrativo aveva sistematicamente annullato le ordinanze attraverso le quali i sindaci e i prefetti avevano cercato di vietare gli spettacoli di Dieudonné (un’analisi completa di questa giurisprudenza e della circolare è disponibile in francese sul sito della Revue générale du droit). E’ proprio il voltafaccia della giurisprudenza amministrativa ad aver stupito in questo caso e ad aver diviso i commentatori.
Il giudice amministrativo annulla il divieto
Dopo la circolare Valls, i sindaci e i prefetti hanno fatto ciò che avevano regolarmente fatto in passato, andandosi a scontrare con il rifiuto del giudice amministrativo: vietare lo svolgimento degli spettacoli di Dieudonné.
Prima tappa: Nantes, dove lo spettacolo avrebbe dovuto svolgersi giovedì 9 gennaio. Martedì, ordinanza del prefetto per vietare lo svolgimento dello spettacolo.
Dieudonné e la società di produzione si rivolgono al tribunale amministrativo di Nantes, sottoponendogli una richiesta di misura cautelare (provvisoria) in urgenza, chiamata référé-liberté, per sospendere questo divieto. Come previsto dall’articolo L. 521-2 del codice di giustizia amministrativa:
“In caso di domanda giustificata dall’urgenza, il giudice dei provvedimenti cautelari può ordinare tutte le misure necessarie alla protezione di una libertà fondamentale alla quale un’amministrazione o un organismo di diritto privato incaricato della gestione di un servizio pubblico avrebbe recato, nell’esercizio dei suoi poteri, un pregiudizio grave e manifestamente illegale. Il giudice si pronuncia entro quarantotto ore”
Come già accaduto in passato, il tribunale amministrativo ha dato ragione a Dieudonné e sospeso il divieto. La posizione della giurisprudenza era, infatti, fino a qual momento, chiara e poteva essere riassunta in due punti (un ulteriore approfondimento è disponibile su uno dei più seguiti blog giuridici francesi, Maitre Eolas):
- L’ordine pubblico, per la difesa del quale i sindaci possono adottare delle misure di polizia amministrativa, si compone di tre elementi: la sicurezza, la tranquillità e la salute pubblica. Con una celebre decisione del 27 ottobre 1995, Comune di Morsang-sur-Orge, n. 136727, il Consiglio di Stato francese ha aggiunto a questo trittico la dignità umana. Si trattava nel caso specifico di vietare degli spettacoli che consistevano nel lancio di nani (consenzienti) per il divertimento del pubblico: non potendosi fondare sui tre elementi classici, il Conseil d’Etat ha ammesso in quest’occasione che le misure di polizia di divieto possano fondarsi sul rispetto della dignità umana;
- Le misure di polizia devono essere strettamente proporzionate all’obiettivo perseguito. Questa esigenza è stata posta fin dalla decisione del 19 maggio 1933, Benjamin, nn. 17413 e 17520. Per la giurisprudenza amministrativa, le misure di divieto sono legali solo nelle ipotesi in cui non è possibile proteggere l’ordine pubblico in altro modo.
Su queste basi, il tribunale amministrativo di Nantes è arrivato alla (logica) conclusione che il divieto deciso dal prefetto fosse illegale: né la raffigurazione della quenelle sulla locandina, né l’eventualità che Dieudonné avrebbe potuto pronunciare nuove frasi razziste o antisemite potevano essere sufficienti per giustificare un divieto a priori fondato sulla violazione della dignità umana. Il tribunale ha poi considerato il divieto disproporzionato, dal momento che l’ordine pubblico avrebbe potuto essere garantito con altri mezzi. Inoltre, il tribunale ha sottolineato che lo stesso spettacolo non aveva dato luogo a problemi d’ordine pubblico all’occasione delle rappresentazioni che si erano svolte per mesi a Parigi e che, in caso di frasi razziste o antisemite, Dieudonné avrebbe potuto essere perseguito sul piano penale. La libertà è il principio, le restrizioni l’eccezione: in questo caso, le condizioni per vietare preventivamente non erano riunite e il divieto avrebbe rappresentato una violazione eccessiva della libertà d’espressione.
La messa sembrava detta. Ma è a questo punto che è intervenuto, in maniera spettacolare, il Conseil d’Etat, che si è pronunciato qualche ora dopo il tribunale amministrativo di Nantes – lo spettacolo, ricordiamolo, doveva tenersi la sera stessa ed è proprio questa circostanza a giustificare, per i giudici, il rispetto della condizione d’urgenza prevista per il référé-liberté.
Il giudice amministrativo approva il divieto
Fondandosi sulla stessa giurisprudenza che aveva, tradizionalmente, utilizzato per annullare le ordinanze “anti-Dieudonné” – citandole, in maniera inedita, nei visti della sua decisione, il Conseil d’Etat ha annullato in appello l’ordinanza del tribunale amministrativo di Nantes e considerato che il divieto fosse legale.
Dopo aver ricordato che “l’esercizio della libertà d’espressione è condizione della democrazia e una delle garanzie del rispetto degli altri diritti e libertà”, il Conseil d’Etat ha ribadito la competenza delle autorità incaricate della polizia amministrativa per prendere le misure necessarie all’esercizio della libertà di riunione e che le limitazioni all’esercizio delle libertà fondamentali per dei motivi d’ordine pubblico devono essere necessarie, adatte e proporzionate. Nel merito, il Conseil d’Etat ha considerato che “il carattere concreto e grave dei rischi di disturbo dell’ordine pubblico cui il prefetto faceva riferimento emerge dagli elementi del dossier e dagli scambi che si sono svolti tra le parti durante l’udienza. Per quanto riguarda lo spettacolo previsto, nella forma in cui esso è stato annunciato e programmato, la tesi secondo la quali le frasi, penalmente perseguibili e di natura a turbare la coesione nazionale, pronunciate durante lo spettacolo a Parigi non sarebbero ripetute a Nantes non sono sufficienti per escludere il serio rischio di nuove gravi violazioni ai valori e ai principi proclamati dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e dalla tradizione repubblicana, e in particolare alla dignità della persona”. Su queste basi, il Conseil d’Etat ha considerato che il prefetto fosse nell’esercizio dei suoi poteri, e in particolare nella sua funzione di prevenire la commissione di reati, quando ha proclamato il divieto.
Virata a 180° gradi quindi. Niente spettacolo a Nantes. Il giorno dopo, nuova ordinanza del sindaco di Tours, cui il tribunale di Orléans dà questa volta ragione, fondandosi sulla decisione del Conseil d’Etat del giorno prima. Conseil d’Etat che, pronunciandosi in appello su richiesta di Dieudonné, conferma logicamente la decisione di primo grado. Sabato 11 tocca al sindaco di Orléans di adottare una nuova ordinanza, approvata dal tribunale amministrativo e dal Conseil d’Etat in appello. Interessante – anche se giuridicamente infondato – il tentativo di Dieudonné in quest’ultimo caso di chiedere al Conseil d’Etat di sollevare una questione di costituzionalità sulla decisione presa due giorni prima. Il Conseil d’Etat risponde che soltanto le disposizioni legislative possono essere sottoposte al Conseil constitutionnel, e non le decisioni giurisdizionali.
Combattere Dieudonné nelle piazze, non nei tribunali
Le posizioni di Dieudonné devono essere messe a tacere dalla legge o da argomenti più forti? E’ la questione, alla base di tutto il dibattito sull’opportunità di vietare gli spettacoli di Dieudonné, che viene posta dal Guardian per introdurre un interessante scambio tra Andrew Hussey e Padraig Reidy. In particolare, Hussey sottolinea come Dieudonné stia testando i limiti della legge francese, e in particolare della legge Gayssot del 1990 che introduce il reato di negazionismo. Test che può essere considerato come perfettamente riuscito, dato che il Conseil d’Etat è stato portato a modificare una sua giurisprudenza pluridecennale. E’ proprio il rischio legato alle leggi anti-negazioniste che si riproduce nell’affaire Dieudonné, come sottolinea Reidy: il fatto di punire penalmente un’idea, per quanto essa possa essere indegna di qualsiasi tipo di protezione nel dibattito pubblico, rischia di permettere ai portatori di questa idea di ergersi in “vittime del sistema” e non stimola la collettività a difenderla come un patrimonio comune, un minimo comun denominatore, una linea gialla che non può essere oltrepassata.
Al di là del contesto delle leggi anti-negazioniste, è l’inesistenza di una minaccia all’ordine pubblico che viene sottolineata dagli oppositori delle ordinanze anti-Dieudonné come Reidy. La loro tesi è in qualche modo confortata dalla fragilità della posizione del Conseil d’Etat, che si è fino ad ora opposto a tali limitazioni della libertà d’espressione e ha preso la sua decisione in nome della coesione nazionale, menzionata in maniera decisamente inusuale nella sua prima decisione del 9 gennaio. Ai critici che hanno insinuato un’assenza di indipendenza dei giudici amministrativi ha già risposto il capo dell’istituzione Jean-Marc Sauvé in un’intervista a Le Monde. Più interessanti sono altri aspetti giuridici.
“Stravolgimento disinvolto e quasi insolente”, ha definito le decisioni del Conseil d’Etat il professor Sur. Per Sur, il riferimento alla dignità umana come fondamento del divieto sembra particolarmente contestabile. La libertà d’espressione è un principio riconosciuto a livello costituzionale e internazionale e, per quanto le frasi che Dieudonné avrebbe potuto pronunciare possano essere considerate odiose, non basta un fondamento così vago per una censura a priori. Il professor Sur ricorda che l’unica volta in cui la dignità umana è stata utilizzata per giustificare una misura di polizia amministrativa, si trattava di vietare degli atti (il lancio di nani) e non delle parole. La differenza è rilevante.
Non è mai un buon segno per la democrazia quando si torna a parlare di censura. La Francia, e l’Europa intera, hanno bisogno di ricostruire una coscienza civile fondata sull’avversione a ogni forma di razzismo e discriminazione, contrastando l’ascesa dell’estrema destra che ha identificato nel migrante e nel “diverso” la causa della crisi che stiamo attraversando. Non basterà un’ordinanza di un sindaco o di un prefetto per impedire l’ascesa del Front national, che si prepara a essere il primo partito nella Francia che va all’elezioni europee del maggio prossimo.