Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Qualche precisazione sullo stato della giustizia in Francia *

di Simone Gaboriau
présidente de chambre honoraire de la Cour d’appel de Paris, già presidente del Syndicat de la Magistrature (France) co-fondatrice di MEDEL

1. 2021-2022: un movimento senza precedenti ha scosso la giustizia francese

1.1. Il “Manifesto dei 3000” e le sue conseguenze 

Il suicidio di Charlotte. Giovane magistrata, Charlotte Guichard si è suicidata dopo due anni di incarichi particolarmente estenuanti. Aveva ventinove anni. La sua etica professionale e l’alto livello qualitativo al quale aspirava per ritenersi una magistrata umana e rigorosa si sono scontrati con la violenza del funzionamento dell'istituzione giudiziaria.

Il 23 novembre 2021 Le Monde pubblica un manifesto firmato da 3000 tra magistrati e funzionari, che rendono omaggio alla magistrata, denunciando l'approccio gestionale della giustizia e sottolineando la «discordanza» tra l’aspirazione a una giustizia di qualità e la realtà quotidiana. Nelle conclusioni, i firmatari – che ben presto diventeranno più di 8000 – affermano: «vogliamo dirlo a voce alta: nonostante la nostra indefettibile coscienza professionale, la nostra giustizia soffre di una logica razionalizzante che disumanizza e tende a trasformare i magistrati in operatori statistici là dove, più che altrove, è anzitutto questione di umanità. Con forza, intendiamo rammentare che la nostra volontà è quella di rendere giustizia con indipendenza, imparzialità e attenzione per gli altri, come esige ogni società democratica». 

La mobilitazione del 15 dicembre 2021. Si profila così una vasta mobilitazione, e il 15 dicembre numerosi magistrati, funzionari giudiziari ed avvocati si radunano davanti al Ministero delle finanze e ai tribunali di tutto il Paese. A scioperare sono più di 1000 magistrati e – fatto senza precedenti – lo sciopero è indetto, oltre che dal Syndicat de la magistrature, anche dall'Union syndicale des magistrats, che fino ad allora aveva sempre rifiutato ogni associazione al movimento. Vengono avanzate drastiche rivendicazioni sulle condizioni e sull'organizzazione del lavoro, con particolare enfasi sulla soppressione delle udienze cd. “tardive”: una specialità in Francia, dove le udienze penali che finiscono alle 4 del mattino non hanno nulla di eccezionale. Tra le cause di questa grave deriva troviamo le “comparizioni immediate”. Si tratta di giudicare immediatamente, al termine del fermo di polizia, le persone arrestate e sospettate di aver commesso dei reati; è una procedura molto apprezzata dai procuratori francesi e ritenuta capace, nella definizione nazionale della politica penale, di dare risposte soddisfacenti alla cd. “criminalità quotidiana”, riferita a reati come la rapina, il traffico di stupefacenti, la guida in stato di ebbrezza, la violenza privata (compresa quella tra coniugi), il porto abusivo di armi, etc. La maggior parte delle condanne porta a pene detentive e all’incarcerazione immediata.

L’impatto del Manifesto. I giovani autori ed autrici del Manifesto sono stati ascoltati con benevolenza dai vertici della Corte di cassazione.

In generale, il movimento è stato sostenuto, almeno in un primo tempo, dall'insieme della gerarchia (compreso il livello più alto). Sono state effettuate numerose valutazioni con riguardo alle esigenze delle diverse giurisdizioni, in termini di risorse sia umane (magistrati e funzionari) che materiali (attrezzature e dispositivi). Per la prima volta, senza dubbio, molti presidenti non si sono autocensurati al riguardo.

Stati generali. Sono stati convocati dal Guardasigilli gli «Stati generali della Giustizia», con un costo organizzativo pari a un milione di euro e il ricorso massiccio a società private di consulenza (una pratica costosa e abituale di questo Governo). Il rapporto sulla situazione francese è opprimente: la giustizia – si legge – sta patendo una crisi profonda, esito di decenni di politiche pubbliche fallite; istituzione «al limite della rottura», essa non riesce più a definire le controversie in condizioni decenti e in tempi ragionevoli, né a proteggere le persone più fragili; le procure, sommerse dal carico di lavoro, sono «sottoposte a una pressione estrema»; tutti gli attori della giustizia risultano «sofferenti»; il sovraffollamento delle prigioni non può che frenare il reinserimento sociale – constatazioni, queste, già espresse dai professionisti del settore dopo la pubblicazione del Manifesto. Il rapporto afferma, inoltre, che la giustizia non potrà assolvere i suoi compiti finché i mezzi umani e materiali a sua disposizione resteranno tanto scarsi, ritenendo indispensabile un reclutamento massiccio generalizzato. 

Ne discende la necessaria valutazione – in particolare, da parte del Syndicat de la magistrature – per cui, se l'indispensabile aumento dei mezzi ormai riscuote consenso politico, ciò non basterà a raggiungere gli obiettivi prefissati, consentendo alla giustizia di ritrovare la fiducia perduta dei suoi utenti in quanto servizio pubblico e credibilità in quanto autorità giudiziaria. Pertanto, si impongono assolutamente delle riforme strutturali.

 

2. Un futuro non troppo luminoso

Malgrado l’aumento della dotazione finanziaria, i conti non tornano e, soprattutto, per ora non si annuncia alcuna riforma significativa. Il Ministro della giustizia promette che i progetti vedranno la luce molto presto. Tuttavia – come vedremo –, si ha ragione di temere che tale nuovo impulso non apporterà cambiamenti significativi nelle scelte politiche degli ultimi anni, che possono così essere sintetizzate: 

- finalità esclusivamente repressiva della politica penale, con slogan sulla necessità di sanzioni immediate, sistematiche e sempre più severe;  

- stretto controllo dei magistrati, sottoposti a standard di rendimento sempre più esigenti, arbitrariamente e autoritariamente decisi, che impediscono ormai di riservare ai fascicoli l'attenzione necessaria per rendere decisioni di qualità: al contrario, le si vorrebbe sempre più seriali e sommarie;

- controllo basato sull’assenza di democrazia nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria, con una gerarchia (che, dopo aver appoggiato il Manifesto, ha presto ripreso le sue vecchie abitudini) provvista di poteri esorbitanti;

- dimensione manageriale della giustizia, che ne compromette la dimensione umanistica e provoca una perdita di senso dannosa; i magistrati hanno la sensazione di “perdere l'anima” della giustizia, e la loro; proprio questo è all'origine del “Manifesto dei 3000”.

 

2.1. 22 novembre 2022: una nuova mobilitazione generale 

A un anno dal Manifesto e dalle proteste del 15 dicembre, la condizione dei giudici non è cambiata. Lo scorso 22 novembre c’è stata una nuova protesta e si è fatto appello allo sciopero, criticando:

- il dilemma costante e insostenibile: giudicare troppo rapidamente, ma male, o giudicare bene, ma con tempi inaccettabili per i destinatari della decisione;

- la sofferenza etica che ne deriva per magistrati e funzionari, senza contare quella indotta dalle condizioni lavorative (eccessiva durata delle udienze, stress generato dal dato numerico, etc.); quando i magistrati e i funzionari sono stanchi, sono i cittadini a subirne le conseguenze;

- le risposte carenti fornite dal Ministero della giustizia, che non sono all'altezza della posta in gioco. 

Si esige, inoltre, un rapido incremento sostanziale dei mezzi materiali, del numero di funzionari di cancelleria e del numero di magistrati presenti nelle giurisdizioni.

Intanto il 18 ottobre, a Nanterre, una magistrata si è improvvisamente accasciata nel bel mezzo dell'udienza di comparizione immediata che si trovava a presiedere. Tutto porta a credere che le condizioni di lavoro, definite “indegne” dall’insieme del personale di questo enorme tribunale della periferia di Parigi, siano all'origine della morte della collega. Marie Truchet aveva quarantaquattro anni. L'onda di choc emotivo sollevata da questa morte sul lavoro ha attraversato l’intera comunità giudiziaria francese.

 

3. Per un’analisi profonda delle cause, in relazione con la situazione generale della Francia 

Al pari della giustizia, in Francia i servizi pubblici (sanità - in particolare, gli ospedali e i servizi per l'infanzia - istruzione...) versano in uno stato di grave sofferenza. Inoltre, le politiche di accompagnamento sociale destinate alle categorie più precarie, dopo il “costi quel che costi” di inizio pandemia, si riducono sempre di più, e la caccia all’“immigrato clandestino” alimenta il discorso politico dietro la spinta delle recenti elezioni, dalle quali l’estrema destra e la destra, influenzata dalle ideologie della prima, sono uscite molto forti.  

Le morti di Charlotte e Marie, con l'emozione che hanno suscitato anche al di là del mondo giudiziario, contribuiscono a far comprendere, almeno a una parte dell'opinione pubblica – consistente o ridotta, è difficile dirlo – lo stato di generale afflizione della giustizia.

Per il Syndicat è importante trasmettere questo messaggio: la richiesta di maggiori risorse ha il solo scopo di far sì che il senso sotteso al funzionamento della giustizia sia quello della tutela dei diritti fondamentali di tutte e di tutti, con un'attenzione particolare ai più vulnerabili.

Da tempo, ormai, il potere politico promuove una concezione punitiva dei rapporti sociali, spesso a scapito dei soggetti più deboli, provocando una vera e propria “cannibalizzazione” della giustizia attraverso il settore penale ed esigendo una risposta penale sistematica. Non si tratta certo di una novità, ma questo processo ha subìto una forte accelerazione negli ultimi anni. Punire è una passione francese. Ancora di recente, chi governa si è preoccupato di nutrirla e, per non sovraccaricare i tribunali, ha optato per procedure semplificate, in particolare ricorrendo alla “multa forfettaria”. Quest'ultima consiste in una pena pecuniaria predefinita – di 500 o 1000 euro –, direttamente applicata dalle forze dell’ordine agli autori dei reati accertati. Il ricorso contro tale sanzione, teoricamente possibile, è di fatto irrealizzabile. Il destinatario della multa contestata è tenuto a versarne l'importo, ma si trova molto spesso in una condizione di precarietà economica e incontra enormi difficoltà.

Per ciò che riguarda gli istituti di pena, la situazione delle carceri francesi è assai degradata e, spesso, indegna. Il processo di penalizzazione attiva produce una sovrappopolazione penitenziaria, che a settembre di quest’anno ha raggiunto le 71.669 unità. 

Principali cause di sovraccarico dei tribunali sono le udienze di comparizione “immediate” e la “gestione giudiziaria” degli stranieri.

In effetti, la scelta politica di questo Governo – che amplifica ulteriormente le scelte fatte in passato – è rimandare nel proprio Paese gli immigrati irregolari. Ciò comporta, in molti casi, il loro collocamento in regime di detenzione amministrativa, la cui proroga deve essere decisa da un giudice ordinario. Si mira al continuo incremento delle capacità dei centri di detenzione amministrativa e, quindi, dell’attività giudiziaria ad essi correlata.

D’altronde, è in tale contesto che la maggior parte dei migranti della Ocean Viking, che si trovavano in «zona d’attesa» sulla penisola di Giens, sono stati liberati il 18 novembre, dopo che la Corte d'appello di Aix-en-Provence ha confermato le decisioni di rilascio dei giudici di Tolone. Destinatarie del provvedimento sono 108 delle 123 persone detenute a Giens, le quali, in base alle audizioni dell’Ufficio per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA), non soddisfano le condizioni per essere considerate beneficiarie del diritto di asilo.

Ho riportato qui solo alcune precisazioni, ma molto altro resta da dire.

[*]

Traduzione a cura di Mosé Carrara Sutour

02/12/2022
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