Gli strumenti della lotta all’evasione e la rilevanza in giudizio
L’articolo esamina istituti e problematiche della lotta all’evasione e al sommerso, con particolare riferimento alle indagini finanziarie (anche telematiche e internazionali), al processo verbale di constatazione e alla rilevanza in giudizio degli accertamenti della Guardia di Finanza.
1. Premessa / 2. Imposte dirette e indirette / 3. Fiscalità internazionale / 4. Commercio elettronico / 5. Lotta al sommerso / 6. Le indagini finanziarie / 7. Il processo verbale di constatazione / 8. Rilevanza in giudizio degli accertamenti della Guardia di Finanza
1. Premessa
L’azione di contrasto all’evasione fiscale, alle frodi e all’economia sommersa rappresenta un obiettivo prioritario della Guardia di Finanza e si sviluppa sia attraverso indagini di polizia giudiziaria, sia mediante verifiche e controlli fiscali.
Tali attività sono svolte nell’ambito di piani di intervento, mirati e selettivi, rivolti nei confronti dei soggetti connotati da elevati e concreti profili di pericolosità, individuati grazie all’ausilio delle analisi di rischio elaborate dai reparti speciali e alla sistematica valorizzazione delle risultanze informative e del materiale probatorio acquisito in tutti gli ambiti della missione istituzionale.
Gli illeciti fiscali, infatti, sono spesso strumentali alla commissione di altri reati a sfondo economico-finanziario, come il riciclaggio, la corruzione, la bancarotta e l’indebita percezione di provvidenze pubbliche.
Altrettanto importante è l’analisi avanzata e integrata delle informazioni presenti nelle banche dati operative.
Gli strumenti di supporto si completano con i dati acquisiti attraverso la cooperazione internazionale, nel cui ambito, oltre ai numerosi accordi bilaterali stipulati dalla Guardia di Finanza con i collaterali esteri, un contributo fondamentale viene dalla rete di esperti del Corpo dislocati presso le principali ambasciate italiane.
Su queste basi, i reparti svolgono indagini volte a neutralizzare ogni vantaggio economico derivante, anche in modo mediato, dai reati tributari, utilizzando tutte le misure di contrasto patrimoniale previste dal quadro normativo vigente, tra cui la confisca per equivalente e la confisca per sproporzione, nonché le misure di prevenzione patrimoniali previste dalla legislazione antimafia.
2. Imposte dirette e indirette
Le imposte dirette hanno come presupposto il reddito o il patrimonio: queste grandezze manifestano in modo diretto e immediato la capacità contributiva di un soggetto.
Le principali imposte dirette previste dall’ordinamento italiano sono le imposte sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), l’imposta sui redditi delle società (IRES) e l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Le imposte indirette sono quelle che colpiscono indirettamente la ricchezza, nel momento in cui viene spesa (ad esempio: l’IVA, che colpisce i consumi) o trasferita (ad esempio: l’Imposta di registro, che grava sui passaggi di proprietà).
In questo scenario si colloca l’azione della Guardia di Finanza, che si sviluppa sia attraverso verifiche e controlli fiscali, sia mediante indagini di polizia giudiziaria.
Queste attività vengono sviluppate, ogni anno, nell’ambito di specifici piani d’intervento, fondati su azioni mirate e selettive dei soggetti connotati da elevati e concreti profili di pericolosità fiscale. Un approccio “chirurgico”, che viene da tempo patrocinato dal Corpo nelle proprie direttive operative, nella convinzione che i controlli devono generare sempre una percezione di correttezza, credibilità e proporzionalità dell’azione dell’amministrazione finanziaria e che gli aspetti essenziali e più caratterizzanti della strategia di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale devono essere di immediata e semplice percezione da parte dei cittadini.
Una chiara e mirata azione di contrasto, oltre a garantire il recupero delle imposte e delle tasse indebitamente evase, determina infatti un effetto di deterrenza e un incremento dell’adempimento spontaneo degli obblighi tributari (cd. tax compliance).
3. Fiscalità internazionale
Un importante settore operativo è il contrasto all’evasione fiscale internazionale, nel cui ambito l’attenzione della Guardia di Finanza si concentra verso fenomeni particolarmente insidiosi e complessi, quali l’illecito trasferimento di capitali in paradisi fiscali, la fittizia residenza all’estero di persone fisiche e delle società, l’irregolare applicazione della disciplina sui prezzi di trasferimento, la costituzione in Italia di stabili organizzazioni occulte di multinazionali estere, nonché l’utilizzo strumentale di trust e di altri schermi societari o negoziali per finalità evasive, elusive o di frode.
In tale contesto rileva, altresì, l’azione di contrasto verso le manovre di pianificazione fiscale internazionale “aggressiva” attuate da taluni grandi gruppi imprenditoriali dell’economia digitale, che, sfruttando l’immaterialità delle transazioni e l’opacità di alcuni sistemi normativi vigenti in Paesi non collaborativi, consentono di realizzare ingenti guadagni sottratti alla tassazione nazionale.
4. Commercio elettronico
La locuzione “commercio elettronico” si riferisce generalmente a tutte quelle forme di transazioni commerciali che coinvolgono sia le organizzazioni che gli individui e che si basano sull’elaborazione e trasmissione elettronica di dati, inclusi testo, suono e immagini. Sotto la denominazione di “commercio elettronico”, quindi, è possibile individuare un consistente numero di attività, tra cui:
• la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica;
• la distribuzione online di contenuti digitali;
• l’effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa;
• la stipula di appalti pubblici e l’applicazione di procedure di tipo transattivo della pubblica amministrazione.
Ad oggi, sono tre i canali elettronici di commercio:
• la televisione interattiva, attraverso la quale il consumatore può acquistare beni e servizi mediante l’uso del telecomando;
• le vendite televisive online, mediante le quali il consumatore, persuaso all’acquisto tramite la visione di spot pubblicitari o televendite, chiama il numero dedicato;
• le vendite su internet, ossia l’acquisto da parte di un consumatore di un bene o un servizio attraverso un mezzo che consente l’accesso alla navigazione sul web.
In base ai soggetti che partecipano al processo di vendita, è possibile distinguere diverse tipologie di commercio elettronico:
• Business to Consumer (transazioni che avvengono tra organizzazioni e consumatore finale);
• Business to Business (rapporti commerciali tra le imprese);
• Consumer to Consumer (commercio tra privati consumatori, come, ad esempio, le aste online);
• Intra-Business (commercio che avviene nella stessa azienda o tra aziende dello stesso gruppo).
Una classificazione fondamentale è quella che si opera in base alle modalità di consegna, distinguendo così il commercio elettronico indiretto da quello diretto.
Il commercio elettronico indiretto è costituito da quelle transazioni che giuridicamente si perfezionano per via telematica (cessione del bene e conclusione del contratto tra venditore e acquirente), mentre la consegna del bene avviene attraverso i canali tradizionali (corriere espresso o ritiro presso istituti postali o punti di consegna). I beni oggetto di transazione sono, quindi, necessariamente beni materiali.
Il commercio elettronico diretto, invece, è caratterizzato dalla circostanza che l’intera transazione commerciale (cessione e consegna del bene) avviene unicamente per via telematica. In questo caso, dunque, i beni acquistati sono immateriali o digitalizzati e vengono recapitati al consumatore mediante un download.
Al fine di contrastare i fenomeni di evasione ed elusione fiscale nel settore del commercio elettronico, sia diretto che indiretto, la Guardia di Finanza esegue, nell’ambito di un apposito piano operativo annuale, mirate attività ispettive e indagini di polizia giudiziaria avviate sulla base delle risultanze delle attività di intelligence, analisi di rischio e controllo economico del territorio.
In tale contesto, particolare attenzione viene dedicata alle imprese che si avvalgono delle piattaforme online quale canale di intermediazione per la vendita di beni e servizi (cd. “Marketplace”) e che omettono la presentazione delle dichiarazioni fiscali ovvero di effettuare i versamenti delle imposte dovute.
A tal fine, l’azione dei reparti in materia è supportata dalle analisi di rischio svolte a livello centrale dal Nucleo speciale entrate.
5. Lotta al sommerso
Un aspetto importante dell’azione della Guardia di Finanza a tutela della legalità fiscale è rappresentato dalla lotta ai fenomeni di economia sommersa, non soltanto per via delle ingenti risorse sottratte e destinate al benessere della collettività, ma anche dei negativi effetti sulle prospettive di crescita degli imprenditori e dei professionisti onesti e rispettosi delle regole, oltre che dell’intero sistema Paese.
In quest’ambito rientrano gli interventi condotti a contrasto, da un lato, dell’esercizio, in forma occulta e in completo dispregio delle norme fiscali, di attività d’impresa o di lavoro autonomo (sommerso d’azienda) e, dall’altro, dell’utilizzo, da parte del datore di lavoro, di manodopera irregolare o “in nero” in danno del sistema contributivo e previdenziale oltre che in totale assenza di regole a tutela del lavoratore (sommerso da lavoro).
In quest’ultimo contesto, inoltre, si inscrivono gli interventi ispettivi finalizzati a contrastare le più gravi forme di prevaricazione ai danni dei lavoratori, specie se in condizioni di particolare debolezza, realizzate anche mediante condotte di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (cd. “caporalato”).
6. Le indagini finanziarie
Tra gli strumenti di lotta all’evasione fiscale[1], un cenno particolare meritano le indagini finanziarie, evoluzione dei superati accertamenti bancari – ormai non più aderenti alle moderne possibilità di impiego e movimentazione di denaro –, strumento senza dubbio di più ampia portata e realmente omnicomprensivo di tutti i possibili flussi finanziari riconducibili al contribuente.
Le indagini finanziarie si connotano per:
• l’allargamento della portata soggettiva degli accertamenti, con l’inclusione, tra i soggetti destinatari delle richieste dell’amministrazione finanziaria, oltre alle banche e a Poste Italiane S.p.a., di tutti gli intermediari finanziari, delle imprese di investimento, degli organismi di investimento collettivo del risparmio, nonché delle società di gestione del risparmio e delle società fiduciarie;
• il parallelo ampliamento della portata oggettiva delle indagini, che comprendono «tutti i dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi»;
• il riconoscimento dell’applicabilità agli esercenti attività di lavoro autonomo della presunzione legale di compenso per i prelevamenti dai conti non annotati in contabilità e non giustificati, già operante, con riferimento ai ricavi, nei confronti dei titolari di reddito di impresa;
• una notevole semplificazione della procedura di acquisizione materiale dei dati dagli intermediari, ottenuta attraverso l’introduzione di un obbligo generalizzato degli enti creditizi e finanziari di mettere a disposizione degli organi accertatori, sulla base di un’unica richiesta, tutti i dati e gli elementi in loro possesso;
• una radicale innovazione delle modalità di sviluppo delle interrelazioni tra gli organi procedenti e gli operatori finanziari, prevista con comunicazioni esclusivamente in via telematica.
7. Il processo verbale di constatazione
Una particolare rilevanza nell’ambito della riforma della giustizia tributaria può assumere il documento che rappresenta la fase terminale dell’esecuzione di una verifica fiscale, il processo verbale di constatazione. Tale atto, infatti, sottoscritto dai verificatori e dal contribuente, viene successivamente inoltrato agli uffici dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competenti in ragione del domicilio fiscale dello stesso contribuente verificato.
La funzione del processo verbale di constatazione è essenzialmente di triplice natura:
• documentare in maniera organica i controlli svolti e le metodologie adottate e compendiare le relative risultanze, principalmente con riferimento alle proposte di recupero a tassazione formulate e alle corrispondenti violazioni e sanzioni, ferma restando la necessità di compilare l’atto anche in caso di esito regolare;
• porre formalmente a conoscenza il contribuente controllato di tutto quanto precede, anche al fine di consentirgli di assumere le iniziative a difesa ritenute opportune. Sul punto, va ricordato che il processo verbale di constatazione ha natura di atto endoprocedimentale nell’ambito del più ampio procedimento di accertamento, inidoneo, per se stesso e direttamente, a incidere sulla posizione del contribuente e non autonomamente impugnabile avanti agli organi giurisdizionali;
• porre in condizioni il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate di avviare, ove necessario, le procedure per la rettifica della dichiarazione, l’accertamento e la liquidazione delle imposte dovute, nonché per l’irrogazione delle relative sanzioni e il calcolo degli interessi eventualmente dovuti in ordine alle impose non pagate.
Il processo verbale di constatazione, in quanto atto redatto da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, è, ai sensi dell’art. 2699 cc, atto pubblico e, pertanto, a mente del successivo art. 2700 cc, fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
La particolare forza probatoria del processo verbale, che deriva dalla sua natura di atto pubblico, riguarda ovviamente, come si evince chiaramente dal testo dell’articolo del codice civile da ultimo citato, i fatti e gli accadimenti materiali, oltre che le eventuali dichiarazioni, attestati nel documento; conseguentemente, nessuna valenza probatoria particolare e quindi nessun vincolo per l’ufficio competente all’accertamento o, tanto meno, per il giudice possono essere configurati per le parti dell’atto in cui si espongono argomentazioni deduttive, si elaborano presunzioni o si illustrano riflessioni di ordine giuridico-normativo.
Per quanto concerne l’esposizione dei fatti materiali, è da segnalare un orientamento diffuso nella giurisprudenza di legittimità, propenso a riconoscere appieno la fede privilegiata da cui è assistito il processo verbale di constatazione redatto al termine della verifica, con la conseguenza che l’ufficio impositore, su cui ricade l’onere di provare la sussistenza della violazione della legge fiscale contestata, può fornire detta prova, appunto, attraverso l’esibizione in giudizio del processo verbale di constatazione a carico della parte che è stata sottoposta all’attività di verifica, dal momento che questa ha sottoscritto il verbale ed è stata posta in condizione di prendere parte all’attività di verifica e di acquisire cognizione degli atti materiali attestati nell’atto medesimo.
8. Rilevanza in giudizio degli accertamenti della Guardia di Finanza
Con la legge n. 130/2022 si è proceduto a riformare il processo tributario, tema da tempo posto all’attenzione del legislatore per varie criticità e deficienze.
Si è cercato di delineare in maniera dettagliata il quadro completo della disciplina, come riscritta dalle norme in vigore dal 16 settembre 2022, che hanno riguardato sostanzialmente la revisione dell’ordinamento degli organi speciali di giustizia tributaria e le norme che regolano la dinamica del relativo processo.
Un focus particolare è stato riservato agli interventi che hanno ridefinito l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria in giudizio e la prova testimoniale nel processo tributario, disposizioni che hanno attratto l’attenzione degli “addetti ai lavori” e sulle quali sarà necessario attendere la concreta portata che la giurisprudenza riconoscerà alle stesse.
Con l’obiettivo dichiarato di rendere il contenzioso tributario in linea con le esigenze di tutela dei cittadini e dello Stato e contribuire a un’efficace azione di contrasto dell’evasione fiscale e dell’elusione, la riforma della giustizia tributaria rappresenta senz’altro un passo avanti nella direzione di un «giusto processo regolato dalla legge» (art. 111 della Costituzione).
La maggior professionalizzazione del giudice e una disciplina più articolata della fase istruttoria uniformano, infatti, l’ordinamento tributario italiano a principi di maggiore fiducia e collaborazione conducendo, di conseguenza, a un rinnovato e migliorato rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria.
Fatta questa doverosa premessa, cerchiamo ora di capire quale rilevanza abbiano gli accertamenti della Guardia di Finanza nel processo tributario e se la riforma in argomento impatti o meno – e in che maniera – su tali accertamenti.
Proprio prendendo spunto da ciò che è stato sottolineato infra sul valore esclusivamente endoprocedimentale del processo verbale di constatazione redatto a conclusione di una verifica fiscale, come tale inidoneo a rivestire autonoma rilevanza sia nell’alveo amministrativo che, soprattutto, davanti al giudice tributario, proviamo ad analizzare le modifiche introdotte dalla riforma in tema di prove.
Il testo di legge in commento merita attenzione per un importante intervento di riscrittura dell’art. 7 d.lgs n. 546/1992, rubricato «Poteri delle Commissioni Tributarie».
In primis, all’interno del citato art. 7 è stato introdotto il nuovo comma 5-bis, statuendo espressamente che è onere dell’Amministrazione fornire la prova in giudizio delle violazioni contestate con l’atto impugnato. Specularmente, la medesima disposizione prevede che la decisione del giudice dovrà fondarsi sugli elementi di prova emersi nel corso del contenzioso.
La seconda rilevante novità riguarda invece l’ammissione della prova testimoniale (scritta) nel processo tributario. In particolare, si stabilisce che il giudice tributario, ove lo ritenga necessario, ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile.
In particolare, il citato comma 5-bis prevede testualmente che «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati».
Secondo tale disposizione, con l’eccezione dei giudizi di rimborso, l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa («violazioni contestate con l’atto impugnato») spetterebbe sempre al fisco, perché è esso che fa valere una pretesa in giudizio.
Per alcuni commentatori la norma non avrebbe un carattere così innovativo, limitandosi a enunciare un generale principio già presente nell’ordinamento, e quindi, sotto questo profilo, non apporterebbe alcuna concreta innovazione, ma soltanto la finalità di evidenziare la centralità dell’istruttoria dibattimentale in sede di riforma del processo tributario.
Secondo altri, invece, la stessa avrebbe un reale contenuto innovativo, con importanti effetti sostanziali e la conseguenza che, in assenza di presunzioni legali, l’amministrazione finanziaria dovrà necessariamente farsi parte attiva nel provare la pretesa, pena il mancato assolvimento dell’onere probatorio.
Più nello specifico, basandosi sul tenore letterale della disposizione, si è ritenuto che l’assolvimento dell’onere probatorio richieda un ulteriore grado di dettaglio e di specificità delle allegazioni a carico dell’ufficio e che tale onere debba essere assolto già nella fase motivazionale, senza distinguere tra elementi indiziari, raccolti nell’istruttoria del procedimento amministrativo-tributario, e la formazione della prova, che deve avvenire necessariamente nel dibattimento tra le parti e alla presenza del giudice[2].
Sul punto, si sottolinea il fatto che il giudice deve, inoltre, fondare la decisione «sugli elementi di prova che emergono nel giudizio». Da ciò consegue che la valutazione (ovviamente processuale) deve avvenire sul materiale probatorio presente in giudizio[3], ma poiché l’amministrazione raccoglie le prove nella fase istruttoria, risulta evidente che quest’ultima dovrà essere di intensità tale da poter fondatamente sostenere la pretesa in giudizio.
L’avere stabilito ex lege che le corti debbano accertare in giudizio l’esistenza della prova da parte del fisco non significa, dunque, che l’onere probatorio si trasferisca dalla fase istruttoria a quella processuale, a tal punto da esonerare gli uffici dal preoccuparsene fin dalla fase accertativa vera e propria.
Per meglio comprendere nel complesso la questione, appare utile ricordare quelli che sono i principi generali in ordine al riparto dell’onere probatorio in materia civile.
Come noto, in base all’art. 2697 cc, «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».
Applicando tale principio alla materia dei tributi, ne consegue l’attribuzione, da un lato, all’amministrazione finanziaria dell’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fiscale, dall’altro, al contribuente dell’onere di provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi di quella medesima pretesa.
La stessa Corte di cassazione ha, da sempre, attribuito all’amministrazione finanziaria il ruolo di «attore in senso sostanziale» della pretesa; ciò significa che, al di fuori delle ipotesi in cui le norme dispongano diversamente, è pacifico come debba essere il fisco a provarne la fondatezza, fin dall’emissione dell’avviso di accertamento.
Pertanto, l’Agenzia, che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa; per contro, grava sul contribuente l’onere di provare i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi di quella stessa pretesa.
In altri termini, secondo questa impostazione “tradizionale”, spetterebbe al fisco l’onere di provare l’esistenza di maggiori ricavi sottratti “a tassazione” e, per contro, al contribuente quello di provare l’esistenza di maggiori costi[4].
Va, tuttavia, segnalata una significativa recente inversione di rotta: la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Siracusa, con sentenza 23 novembre 2022, n. 3856, nel valorizzare il concetto di “reddito d’impresa” e il criterio di determinazione ad esso sottostante, ha sovvertito la concezione secondo la quale spetterebbe al contribuente l’onere di provare l’esistenza dei costi. In particolare, i giudici siracusani hanno evidenziato come quella della dicotomia costi/ricavi, ai fini dell’incombenza dell’onere probatorio, rappresenti di fatto un equivoco in cui è incorsa la giurisprudenza di legittimità, atteso che costi e ricavi, pur se con segno opposto, concorrono entrambi alla quantificazione del reddito d’impresa, quale «valore netto». All’indomani dell’entrata in vigore del comma 5-bis, tale equivoco, secondo i giudici siciliani, non avrebbe più ragione di esistere, atteso che incombe sempre e comunque sull’ufficio l’onere di provare i presupposti della pretesa.
Per la stessa ragione, anche autorevole dottrina ha di recente confermato non doversi «gravare» il contribuente dell’onere probatorio in materia di costi, «sennonché, e sempre alla stregua dell’analisi della struttura della norma sostanziale, la suddetta imposta ha come presupposto non i ricavi, bensì il reddito, che è per l’appunto un dato differenziale fra ricavi e costi; talché sia l’esistenza degli uni che l’inesistenza degli altri devono formare oggetto di adeguata dimostrazione da parte dell’ente impositore»[5].
Una recente pronuncia della Cassazione ha, però, evidenziato la valenza sistematica del comma 5-bis in commento, andando a chiarire che con tale disposizione il legislatore non ha voluto derogare a tutti i principi già applicati e sopra richiamati, ma ha semplicemente voluto potenziare l’istruttoria processual-tributaria con una norma sostanzialmente ricognitiva di detti principi, ma che comunque contribuisce a fornire una disciplina più compiuta alla fase istruttoria nel processo tributario[6].
Si fa riferimento, in particolare, alla sentenza n. 31878 del 27 ottobre 2022, con la quale la Suprema corte, a proposito della nuova norma, ha ritenuto che essa «non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».
Sembrerebbe quindi che, per un verso, venga attribuito un ruolo centrale all’istruttoria dibattimentale; per altro, però, verrebbe ignorata l’ampiezza della nuova regola e del sensibile innalzamento “dell’asticella” sulla valutazione della consistenza della prova offerta dall’ufficio, necessaria per vederne confermata la fondatezza della pretesa in giudizio.
Si tratta, comunque, soltanto di una pronuncia di tipo incidentale, che si auspica possa essere seguita da altre che individuino con un maggior grado di dettaglio la portata applicativa delle nuove disposizioni.
Resta il fatto che il giudice, in futuro, dovrà verificare che quegli elementi ritenuti sufficienti dall’ufficio per fondare una prova per presunzione semplice, una volta introdotti in giudizio, integrino gli estremi di quelle ragioni – oggettive, circostanziate e puntuali – che la norma richiede ai fini dell’adempimento, da parte del fisco, dell’onere probatorio (o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, sempre in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni).
In altre parole, per effetto del nuovo comma 5-bis, il legislatore sembra abbia voluto declinare con maggior dettaglio i criteri in base ai quali, nel processo tributario, il giudice è tenuto a valutare i requisiti di gravità, precisione e concordanza necessari per fondare una prova per presunzione semplice che, pur sempre, può legittimare un accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d, dPR n. 600/1973.
Altra novità della riforma – forse tra quelle più importanti – è l’introduzione della prova testimoniale scritta[7] applicabile ai giudizi introdotti con ricorsi notificati dal 16 settembre 2022.
Si ricorderà come la legge processuale tributaria, all’art. 7 d.lgs n. 546/1992, escludesse espressamente, oltre al giuramento, anche la testimonianza, atteso il carattere essenzialmente documentale del processo tributario.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, l’esclusione della prova testimoniale non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di Finanza o dell’amministrazione finanziaria, anche se non rese in contraddittorio con il contribuente[8].
Le dichiarazioni di terzi, quindi, entrano – seppur indirettamente – nel processo tributario, ma in maniera asimmetrica, in concreto sempre a supporto della pretesa dell’ente impositore.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, queste dichiarazioni rese dai terzi anche non in contraddittorio con il contribuente, inserite nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore meramente indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice (vds. Cass., sez. V, 8 aprile 2015, n. 6946, in CED Cass. n. 635271).
In seguito alle novità apportate dalla legge n. 130/2022, il comma 4 dell’articolo 7 d.lgs n. 546/1992 ammette ora esplicitamente la prova testimoniale.
Viene, nello specifico, stabilito che «non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria (nuova denominazione delle commissioni tributarie), ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale».
I limiti oggettivi all’ammissibilità della testimonianza scritta sono dunque due, uno processuale e l’altro sostanziale:
• la corte di giustizia tributaria può ammettere la prova «ove lo ritenga necessario ai fini della decisione»;
• la prova può essere ammessa «soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale» quando «la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso».
La testimonianza, come anticipato, non è ammessa per i fatti dedotti nei processi verbali di constatazione. Tale inammissibilità va ovviamente gradata in relazione al livello di tutela delle circostanze attestate nei predetti processi verbali.
La Suprema corte ha infatti precisato che «in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione non ha solo e comunque pubblica fede: esso assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’articolo 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore».
Nello stesso senso, deve intendersi inammissibile la testimonianza nel caso di atti pubblici nei quali il pubblico ufficiale attesta di aver effettuato specifici atti ovvero l’avvenuta effettuazione di specifici atti in sua presenza.
Ci si domanda, a questo punto, quanto l’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario possa influenzare la trattazione delle controversie e in quali casi nel concreto sarà ammessa.
Si tratta, per prima cosa, di comprendere se le circostanze di fatto riguardino l’intero contenuto del verbale, comprese le valutazioni e le deduzioni dei verificatori, o soltanto quelle cui la legge affida tutela privilegiata (fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti).
È evidente che, se dovesse escludersi la prova testimoniale per tutte le circostanze riportate nel verbale (si pensi alla determinazione dei ricarichi, delle rimanenze, etc.), le ipotesi di ammissione della testimonianza sarebbero veramente circoscritte e spesso inutili; se invece l’esclusione riguardasse solo le circostanze assistite da fede privilegiata, la testimonianza avrebbe più spazio e, soprattutto, la norma avrebbe una sua efficacia.
È bene, altresì, evidenziare che il nuovo comma 4 dell’articolo 7, nell’ampliare le possibilità di prova, non incide sull’ammissibilità delle dichiarazioni di terzi di cui si è detto in precedenza.
Si dovrà quindi vedere anche il rapporto tra le due modalità, e in particolare se le testimonianze verranno considerate maggiormente probatorie rispetto alle semplici dichiarazioni di terzi.
Appare poi evidente che nell’applicazione della norma sarà possibile assistere a numerosi casi pratici, che porteranno in alcune ipotesi all’ammissione della prova testimoniale e, in altre, alla sua esclusione, considerato che sono diverse le tipologie accertative in cui essa potrà svolgere un’utile funzione processuale.
Si pensi, ad esempio:
• agli accertamenti da indagini finanziarie e alla possibilità per il contribuente di dimostrare la natura non reddituale dei versamenti attraverso le testimonianze di terzi[9];
• all’accertamento da redditometro, al fine di provare l’origine non reddituale (piccole elargizioni, liberalità indirette) della provvista di denaro utilizzata per far fronte alle spese sostenute[10];
• alla casistica molto diffusa degli accertamenti ai soci di società a ristretta base, nel corso dei quali la prova testimoniale potrà essere utilizzata per stabilire se il socio fosse o meno estraneo alla gestione sociale, così da escludere quella complicità tra soci che viene posta a base della presunzione semplice di evasione[11].
In conclusione, si può affermare che proprio la nuova disposizione che ammette la prova testimoniale nel processo tributario è quella che potrà avere un significativo impatto sugli accertamenti della Guardia di Finanza, atteso che, al di fuori delle circostanze dedotte nel verbale assistite da fede privilegiata, i verificatori potranno vedere le loro conclusioni basate su valutazioni e deduzioni soggettive (per esempio: le determinazioni dei ricarichi o delle rimanenze) ribaltate da una testimonianza di segno contrario.
L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario rappresenta comunque, senza dubbio, una delle novità più significative e innovative della riforma in commento, che, se correttamente utilizzata, potrà fungere non solo da efficace strumento per rafforzare l’attività difensiva del contribuente, così bilanciando l’originaria asimmetria delle posizioni delle parti processuali sotto il profilo probatorio, ma soprattutto quale valido mezzo a disposizione dei giudici per la ricerca della verità processuale e, conseguentemente, per il miglioramento della qualità delle sentenze di merito.
1. Le indagini finanziarie si collocano accanto ai tradizionali strumenti investigativi e di accertamento che derivano dall’esercizio dei poteri ispettivi da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria per l’individuazione della materia imponibile sottratta a tassazione e la prevenzione e repressione delle violazioni, previsti dalle singole leggi per gli uffici finanziari ed estesi alla Guardia di Finanza dall’art. 1 del r.d.l. 8 luglio 1937, n. 1290, tutt’ora in vigore, a mente del quale agli appartenenti al Corpo «sono conferiti tutti i poteri e diritti d’indagine, accesso, visione, controllo, richiesta di informazioni, che spettano per legge ai diversi uffici finanziari incaricati dell’applicazione dei tributi diretti ed indiretti». Si tratta, in particolare, del potere di procedere ad accessi, ispezioni e verifiche, di invitare i contribuenti a fornire dati e notizie, nonché a trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, di richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società ed enti di assicurazione, etc., la comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie.
2. Con riferimento ai rapporti tra obbligo motivazionale e onere probatorio, si sottolineano le differenze giuridico-funzionali tra l’obbligo di fornire contezza dell’iter logico seguito dall’ufficio per giungere alla determinazione della pretesa erariale e l’onere di dimostrare in giudizio la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa medesima.
3. La precisazione «in giudizio» rivela la natura processuale della norma, il che potrebbe apparire pleonastico ove si consideri che il contesto all’interno del quale nasce e si attua l’onere probatorio è proprio il processo.
4. Cfr. M. Ligrani e P. Saggese, L’onere della prova nel processo tributario, a seguito della Legge 31 agosto 2022, n. 130, paper del CNDCEC, 14 dicembre 2022.
5. Cfr. P. Russo, Problemi in tema di prova nel processo tributario dopo la riforma della giustizia tributaria, in Rivista di diritto tributario, supplemento online del 7 dicembre 2022.
6. Cfr. P. Fabbrocini, Nuovo processo tributario – 3 onere della prova senza scosse, in Fisco oggi, 15 novembre 2022.
7. L’art. 4 l. n. 130/2022 ha novellato l’art. 7, comma 4, d.lgs n. 546/1992.
8. Va ricordato che l’art. 51, comma 4, dPR n. 633/1972 sancisce che, in corso di verifica, l’ufficio può invitare qualsiasi soggetto a fornire ogni informazione utile alle operazioni di accertamento; e l’art. 32, comma 8-bis, dPR n. 600/1973 pone poi in capo all’ufficio il potere di invitare ogni altro soggetto a fornire chiarimenti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente. E l’Agenzia delle Entrate, spesso, nell’emettere l’avviso di accertamento, riporta nella motivazione del provvedimento le conclusioni dell’attività d’indagine oppure richiama per relationem il processo verbale.
9. Con la testimonianza di terzi sarà, ad esempio, possibile opporre che i versamenti bancari non contabilizzati non hanno natura reddituale, poiché derivano da elargizioni di terzi o sono il frutto del lavoro del convivente.
10. La testimonianza di terzi, se ammessa dal giudice, potrà essere usata per provare che le risorse per le spese provengono, ad esempio, da parenti o dal convivente.
11. Con la prova testimoniale si potrà quindi evidenziare, ad esempio, che il socio non era mai presente in azienda ed era estraneo alle riunioni decisionali dell’organo amministrativo.