Magistratura democratica

I vizi dell’attività istruttoria

di Alessia Cusinato

L’articolo esamina le principali pronunce di legittimità in tema di utilizzabilità degli atti istruttori e la prospettiva della riforma dettata dal nuovo art. 7-quinquies.

1. Lo Statuto del 2000: Carta fondamentale per i diritti del contribuente / 2. Stato della giurisprudenza di Cassazione ante riforma dello Statuto / 2.1. L’ordinanza n. 5105 del 25 febbraio 2020 / 2.2. L’ordinanza 30 marzo 2022, n. 10175 / 2.3. La sentenza 30 marzo 2017, n. 2017 e l’ordinanza 24 febbraio 2022, n. 6779 / 3. Il nuovo articolo 7-quinquies 

 

1. Lo Statuto del 2000: Carta fondamentale per i diritti del contribuente

La riforma del sistema tributario (legge delega 9 agosto 2023, n. 111), che ha portato alla revisione dello Statuto del contribuente con l’approvazione del d.lgs 30 dicembre 2023, n. 219, ha riacceso i riflettori sullo Statuto e questo può essere letto come un segnale molto importante: tornare a parlare di Statuto del contribuente significa che esso è ancora “vivo”, dopo essere stato messo da parte per troppo tempo, e dovrebbe occupare il centro della scena.

La natura di Carta fondamentale, che contiene i principi immanenti nell’ordinamento tributario, deve infatti rappresentare per noi tutti operatori del settore tributario un baluardo per il nostro lavoro, a cui fare riferimento quotidianamente.

Gran parte delle modifiche apportate allo Statuto sembrano finalizzate a riequilibrare il forte squilibrio che si avverte da tempo nel rapporto fisco-contribuente, riconoscendo in maniera espressa al cittadino-contribuente delle “garanzie”, che esistono in altri settori dell’ordinamento (quello penale in particolare), ma non in quello tributario.

Infatti, come abbiamo visto già accadere, la giurisprudenza è intervenuta a colmare questi vuoti normativi consolidando dei filoni interpretativi perlopiù a scapito delle garanzie del contribuente, ossia della parte meno forte del rapporto tributario.

In particolare, l’introduzione di una garanzia fondamentale per il contribuente come quella di cui all’art. 7-quinquies in esame, sembra proprio potersi leggere come un tentativo di riequilibrio delle posizioni dopo la formazione di orientamenti della Suprema corte che hanno stabilito “principi indiscussi” in materia di utilizzabilità e validità, ai fini dell’accertamento fiscale, degli elementi probatori acquisiti o formati in maniera illecita.

 

2. Stato della giurisprudenza di Cassazione ante riforma dello Statuto

 

2.1. L’ordinanza n. 5105 del 25 febbraio 2020

Proprio negli anni successivi all’entrata in vigore dello Statuto si è formato un orientamento della Suprema corte che, sulla scorta della completa autonomia tra il procedimento penale e quello tributario, ha stabilito l’utilizzabilità da parte dell’amministrazione finanziaria anche degli elementi di prova illegittimamente acquisiti, con la sola eccezione della compatibilità dei diritti fondamentali di rango costituzionale e, solo per alcune pronunce, delle disposizioni di cui all’art. 33 dPR n. 600/1973 e all’art. 52 dPR n. 633/1972.

La pronuncia opera una ricognizione sullo stato della giurisprudenza di legittimità:

«Si è affermato, infatti, fin da Cass. n. 8344 del 2001, che nell’ordinamento tributario non esiste un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, introdotto soltanto nel “nuovo” codice di procedura penale e valevole soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale (v. art. 191 c.p.p.). Ne consegue che l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, non rinvenibile nell’art. 52 d.P.R. n. 633del 1972 né nell’art. 33 d.P.R. n. 600 del 1973, che peraltro rinvia al primo.

Secondo Cass., n. 27149 del 2011, “In materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio”, che nel caso in esame, in cui peraltro la verifica è stata effettuata presso la sede della società contribuente, non vengono neppure in rilievo. Principi, questi sopra enunciati, ribaditi in successive pronunce di questa Corte, tra cui Cass. n. 12871 del 2001 e Cass. 4987 del 2003 in tema di accertamenti bancari; Cass. n. 3388 del 2010, in tema di acquisizione di documentazione extracontabile (nella specie, documenti informatici estrapolati dai computers dell’imprenditore); Cass. n. 4066 del 2015; n. 959 del 2018, n. 13353 del 2018, n. 29132 del 2018, n. 15994 del 2019».

 

2.2. L’ordinanza 30 marzo 2022, n. 10175

Con l’ordinanza 30 marzo 2022, n. 10175, la Suprema corte torna a occuparsi della possibilità di utilizzare i dati illegittimamente acquisiti da parte della Guardia di Finanza e si riporta nel solco della più precedente giurisprudenza della Cassazione in tema di utilizzabilità dei dati acquisiti nel corso del procedimento di accertamento tributario (Cass., nn. 5105/2020 e 13711/2018). 

La Suprema corte sottolinea l’autonomia dei procedimenti penale e tributario, nonché la mancanza nell’ordinamento tributario di una specifica previsione normativa che facesse discendere, dalle irritualità compiute nella verifica fiscale, l’inutilizzabilità degli elementi raccolti ai fini dell’accertamento. 

Non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti comporta di per sé l’inutilizzabilità degli stessi, salva l’ipotesi in cui venga messa in discussione la tutela dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e ove vengano violate le disposizioni dell’art. 52 dPR n. 633/1972 e dell’art. 33 dPR n. 600/1973, che peraltro rinvia al primo (fatto: la Guardia di Finanza ha eseguito, nell’ambito di un’indagine penale, una perquisizione presso i locali di un’associazione sportiva dilettantistica pur in difetto della prescritta autorizzazione del pubblico ministero. Nel caso di specie, quindi, l’accesso presso la sede dell’associazione sportiva, non costituendo violazione di domicilio o violazione della libertà personale, non determina l’inutilizzabilità delle prove così raccolte).

 

2.3. La sentenza 30 marzo 2017, n. 2017 e l’ordinanza 24 febbraio 2022, n. 6779

Anche nel caso di mancato rispetto dei termini regolati dall’art. 12, comma 5 dello Statuto, per la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, la Suprema corte è giunta ad affermare la pacifica utilizzabilità degli elementi acquisiti nella verifica e la validità dell’accertamento conseguente, in quanto la legge non individua alcuna conseguenza espressa (se non la possibilità di rivolgersi al Garante del contribuente). Le pronunce in esame risolvono sbrigativamente la questione in poche righe, senza dare alcun rilievo alla presenza di tale previsione nello Statuto – in totale spregio dello Statuto – e alle conseguenze della sua violazione.

«La violazione dell’art. 12, comma 5, della L. 212/2000 (…) non comporta la nullità dell’accertamento, né l’inutilizzabilità dei dati acquisiti – trattandosi di effetti non previsti dall’ordinamento (in termini, Cass. civ., sez. trib., 15-04-2015, n. 75841, secondo cui “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dall’art. 12, comma 5, dello Statuto del contribuente (l. n. 212/2000) non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento”» (Cass., 30 marzo 2017, n. 2055).

«Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, l. n. 212/2000, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass., Sez. V, 27 gennaio 2017, n. 2055; Cass., Sez. V, 15 aprile 2015, n. 7584; Cass., Sez. V, 05 ottobre 2012, n. 17002)» (Cass., 24 febbraio 2022, n. 6779).

 

3. Il nuovo articolo 7-quinquies

La nuova norma introdotta dal d.lgs 219 del 2023 prevede che «Non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all’articolo 12, comma 5, o in violazione di legge».

L’introduzione dell’art. 7-quinquies nello Statuto ha colmato il vuoto normativo esistente nell’ordinamento tributario e ha determinato il superamento dell’orientamento giurisprudenziale sopra citato.

Sono, pertanto, inutilizzabili le prove illegittimamente acquisite, ai fini dell’accertamento sia in fase amministrativa sia in fase giudiziale, in violazione di norme e, in particolare, nell’ipotesi specifica della norma dello Statuto (art. 12, comma 5) che disciplina il tempo di permanenza massimo nella sede del contribuente.

Da evidenziare l’inutilizzabilità già in fase amministrativa e non solo processuale: quindi dovrebbe poter essere inibita all’amministrazione finanziaria (magari nell’ambito del contraddittorio anticipato) la trasposizione nell’atto di accertamento degli elementi probatori acquisiti illegittimamente. 

Da tempo, nell’ordinamento penale (molto più garantista di quello tributario) è regolata l’inutilizzabilità. L’art. 191 cpp stabilisce che «1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. 2. L’inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento».

Mentre nel processo penale l’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ ufficio in ogni stato e grado del procedimento, l’art. 7-quinquies non fornisce precisazioni al riguardo.  

I vizi istruttori sembrano, comunque, inquadrabili tra i casi di annullabilità regolati dal nuovo art. 7-bis («annullabili per violazione di legge»). In particolare, sembra applicabile il comma 2, il quale prevede che essi vadano dedotti, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla corte di giustizia tributaria di primo grado e non sono rilevabili d’ufficio.