Magistratura democratica

I regimi di invalidità degli atti dell’amministrazione finanziaria

di Mirella Guicciardi

Lo scritto offre un’analisi del regime delle invalidità degli atti tributari, in chiave comparata con i vizi degli atti amministrativi nonché alla luce del nuovo Statuto del contribuente.

1. Premessa / 2. Excursus storico prima della riforma / 3. Riflessioni sulla riforma / 4. Nullità e annullabilità / 5. La nullità del provvedimento amministrativo / 6. Invalidità tributarie e novità statutarie / 7. La nullità dell’atto amministrativo oggi / 8. La legge delega fiscale n. 111/2023 e il d.lgs n. 219/2023 / 9. La giurisprudenza

 

1. Premessa

La riforma dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000), attuata in ragione della legge n. 111/2023 («Legge di Delega al Governo per la Riforma fiscale») con il d.lgs n. 219/2023, introduce una disciplina organica sul regime di validità e sui vizi degli atti dell’amministrazione finanziaria. 

Occorre precisare che, come sottolinea anche il dossier al decreto, l’ordinamento tributario, a differenza dell’ordinamento civile e amministrativo, non contiene norme generali che identificano con precisione i vizi dell’atto impositivo e le relative conseguenze. 

 

2. Excursus storico prima della riforma 

Nelle leggi tributarie vi sono casi in cui si prevede in modo espresso che una regola dev’essere osservata sotto comminatoria di «nullità». Ad esempio, in materia di imposte dirette, è stabilita in modo esplicito la nullità degli avvisi di accertamento non motivati o non sottoscritti o privi di altre indicazioni essenziali, come le aliquote applicate. Nello Statuto è sancita espressamente la nullità degli atti dell’ufficio che non siano conformi alla risposta (anche tacita) data a un interpello. In tutti questi casi, il termine nullità è usato non per indicare che l’atto è privo di effetti (come il contratto nullo), ma che l’atto, anche se viziato, è efficace e che, se impugnato, può essere annullato. La nullità degli atti tributari non è come la nullità dei contratti, ma è come l’illegittimità-annullabilità dei provvedimenti amministrativi. Le invalidità degli atti tributari non vanno interpretate come nel diritto civile. È ben noto, del resto, che, pur se nelle leggi tributarie è usato il termine «nullità», a tale forma di invalidità non si applica la disciplina civilistica della nullità (artt. 1418 ss.: imprescrittibilità, rilevabilità d’ufficio, etc.). Il rimedio alle invalidità tributarie non è né l’azione di nullità (artt. 1421 e 1422) né l’azione di annullamento (artt. 1441 e 1442) del codice civile, ma l’azione di annullamento, che si propone, come è noto, dinanzi al giudice tributario a norma degli artt. 18 ss. d.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, entro un termine breve di decadenza. Si può dire, perciò, che la nullità degli atti tributari corrisponde, più che all’annullabilità dei contratti, all’annullabilità del diritto amministrativo. 

In molti casi il legislatore tributario, posta una regola, non chiarisce quale sia la sanzione conseguente alla violazione di quella regola. Solo in alcuni casi il legislatore rende esplicita, in termini di nullità, la sanzione collegata a quella violazione. La giurisprudenza è contraddittoria. In alcune sentenze afferma, in altre nega il principio di tassatività delle invalidità. In tema di accertamenti notificati anzitempo, la giurisprudenza li ritiene invalidi anche in assenza di comminatoria di nullità. Secondo la Corte, l’invalidità del provvedimento, pur non espressamente prevista, «deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nel quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non certo innocua o di lieve entità – non paragonabile, ad es., alla omessa indicazione del responsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da nullità per le cartelle di pagamento: Cass., sez. un., n. 11722 del 2010) di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve – sopra delineata – e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante». Così pure, è stata considerata nulla, anche in assenza di una espressa previsione della nullità, la cartella di pagamento emessa a seguito del controllo formale della dichiarazione, senza previo avviso al contribuente. La nullità, ha affermato la Suprema corte di cassazione, deriva da una divergenza dal modello normativo non di lieve entità, tenuto conto della rilevanza della funzione cui la stessa norma assolve, ossia l’instaurazione di un contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo. Anche la violazione dell’obbligo di informazione, posto a carico dell’amministrazione finanziaria dall’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente, in qualche caso è stata considerata invalidante. Nel dPR 29 settembre 1973, n. 600 la nullità degli avvisi di accertamento è prevista, in modo esplicito, solo in pochi casi (si vedano gli artt. 42, comma 3, e 43, comma 4, nonché l’abrogato art. 37-bis), e non può dedursi che tutte le altre regole sull’avviso di accertamento, non essendo espressamente previste da sanzione espressa, possano essere violate dall’amministrazione finanziaria. Al riguardo, occorre far capo alle norme del capo IV-bis della legge regolatrice del procedimento amministrativo (l. n. 241/1990), da cui si desume che per gli atti amministrativi non occorre che l’invalidità sia prevista espressamente (come dispone l’art. 156 cpc per gli atti del processo civile), perché secondo l’art. 21-octies della l. n. 241, per regola generale, ogni atto viziato da violazione di legge è annullabile. La regola generale, da applicare anche per gli atti tributari, è dunque che il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge è invalido. Ciò che l’interprete deve individuare non sono i casi in cui la violazione di legge comporta l’invalidità, ma quelli in cui non c’è invalidità (in deroga alla legge generale). Prima del 2005, in diritto amministrativo, come in diritto tributario, gli atti viziati erano considerati annullabili. E, pur se la legge usava il termine «nullità», si riteneva trattarsi di annullabilità. La novella del 2005 ha introdotto (nella legge sul procedimento amministrativo) il dualismo nullità-annullabilità, che riflette il sistema del codice civile. Il provvedimento impositivo è nullo nei casi previsti dall’art. 21-septies, comma 1, secondo cui «È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge». Anche i provvedimenti dell’amministrazione finanziaria, quindi, sono nulli quando è applicabile l’art. 21-septies. L’avviso di accertamento è nullo per mancanza di elementi essenziali: quando non è sottoscritto; quando è intestato a un soggetto inesistente, cioè a una persona defunta o a una società estinta; quando la notifica è giuridicamente inesistente; quando è totalmente privo di elementi essenziali come la motivazione o la parte dispositiva. Il provvedimento impositivo, inoltre, è nullo quando è «viziato da difetto assoluto» e «negli altri casi espressamente previsti dalla legge». Nulla è detto in diritto tributario. La legge del processo tributario stabilisce come trattare le nullità in senso debole (o annullabilità), ma ignora le nullità in senso forte. L’interprete deve quindi trarre la soluzione dal sistema (come ha fatto la dottrina del diritto amministrativo). E, poiché non sono ammesse in diritto tributario azioni meramente dichiarative (ma solo azioni costitutive di annullamento), occorre ritenere che il contribuente possa tutelarsi impugnando l’atto successivo a quello nullo e, in quella sede, far valere la nullità come accertamento pregiudiziale all’accertamento della invalidità (e all’annullamento) dell’atto successivo. La giurisprudenza, al contrario, ha ritenuto che nell’ordinamento tributario possono trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo. La giurisprudenza nega che, in diritto tributario, valga il sistema dualistico delle invalidità in vigore nel diritto amministrativo; per cui, anche quando il provvedimento tributario è nullo in senso forte, la nullità dovrebbe essere fatta valere mediante ricorso al giudice tributario, nel termine di decadenza stabilito per l’impugnazione di tali atti[1].

 

3. Riflessioni sulla riforma

Il decreto legislativo che va a riformare le norme sulla validità e vizi degli atti tributari vuole delineare un sistema “duale” delle invalidità tributarie, articolato secondo:

• i regimi generali “nullità” in senso proprio (art. 7-ter) e della “annullabilità” (art. 7-bis); 

• una ipotesi di “irregolarità” (art. 7-quater) che, come tale, non rientra nei regimi di “invalidità” propriamente detti; 

• una disciplina specifica dei vizi dell’attività istruttoria (art. 7-quinquies) e della notificazione degli atti impositivi e della riscossione (art. 7-sexies). 

L’articolo 7-bis reca il regime generale di annullabilità degli atti dell’amministrazione finanziaria. 

In particolare, si prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria impugnabili dinanzi agli organi di giurisdizione tributaria siano annullabili per violazione di legge, ivi incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti. 

I motivi di annullabilità e di infondatezza dell’atto sono dedotti, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla corte di giustizia tributaria di primo grado e non sono rilevabili d’ufficio.

L’articolo 7-ter dispone in ordine alla nullità degli atti dell’amministrazione finanziaria, chiarendo che i relativi vizi devono essere anzitutto qualificati espressamente come tali da norme di legge successive alla data di entrata in vigore della disposizione in esame. 

Essi possono essere sempre eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito. 

L’articolo 7-quater si occupa della irregolarità degli atti dell’amministrazione finanziaria, chiarendo che la mancata o erronea indicazione dei seguenti elementi non costituisce vizio di annullabilità:

a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; 

b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; 

c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. 

L’articolo 7-quinquies si occupa dei vizi dell’attività istruttoria. La norma proposta dispone al riguardo che non sono utilizzabili, ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo, gli elementi di prova acquisiti oltre i termini previsti dallo Statuto del contribuente per l’esecuzione di verifiche da parte dell’amministrazione finanziaria (di cui all’art. 12, comma 5 della medesima legge n. 212/2000) o in violazione di libertà costituzionalmente riconosciute. Il richiamato comma 5 dell’art. 12 prevede che la permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i 30 giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori 30 giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni.

Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a 15 giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente. 

L’articolo 7-sexies disciplina i vizi delle notificazioni. 

Esso intende recepire la giurisprudenza prevedendo che è inesistente la notificazione degli atti impositivi o della riscossione priva dei suoi elementi essenziali ovvero effettuata nei confronti di soggetti giuridicamente inesistenti, totalmente privi di collegamento con il destinatario o estinti. 

Fuori da tali casi, la notificazione eseguita in violazione delle norme di legge è nulla, ma la nullità può essere sanata dal raggiungimento dello scopo dell’atto, sempreché l’impugnazione sia proposta entro il termine di decadenza dell’accertamento.

Se la notifica di un atto recettizio è invalida, tale circostanza comporta l’inefficacia dell’atto stesso

Infine, a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame, gli effetti della notificazione, ivi compresi quelli interruttivi, sospensivi o impeditivi, si producono solo nei confronti del destinatario e non si estendono ai terzi, ivi inclusi i coobbligati.

 

4. Nullità e annullabilità

L’intento di creare una netta distinzione tra nullità e annullabilità trae origine dalla diversità concettuale di queste categorie in teoria generale del diritto.

La nullità attiene ai vizi che incidono profondamente sugli effetti dell’atto al punto da invalidarne la stessa esistenza sin dalla sua origine. Si tratta, in sostanza, di vizi che precludono qualsiasi possibilità che l’atto possa avere effetti.

Naturalmente, le implicazioni giuridiche di questa patologia connaturate alla propria identità concettuale sono ovvie: se l’atto non può dirsi esistente, il relativo vizio può essere rilevato anche d’ufficio in qualunque stato e grado del giudizio e senza limiti di tempo (è imprescrittibile). Questa è una categoria che viene classificata come invalidità assoluta.

L’annullabilità, invece, riguarda vizi che non precludono l’esistenza dell’atto e i relativi effetti, e riguarda in genere difformità dello stesso rispetto al paradigma legale. I vizi di annullabilità possono essere eccepiti solo dalla parte lesa entro termini perentori. Qui siamo nell’area dell’invalidità relativa.

Nel nostro ordinamento, la disciplina più completa di tali categorie è quella del codice civile in materia di invalidità del negozio giuridico. 

Dal 2005, con gli artt. 21-septies e 21-octies l. n. 241/1990, anche in materia amministrativa è stata introdotta una disciplina legale di invalidità degli atti ispirata alla distinzione concettuale nota in teoria generale del diritto. 

Con una rilevante differenza rispetto alla teoria civilistica delle invalidità in materia di contratti – ovvero che la regola è la nullità e l’eccezione è l’annullabilità –, nella disciplina del regime di invalidità degli atti amministrativi la regola è l’annullabilità e l’eccezione è la nullità. E questo, secondo il Consiglio di Stato, per esigenze di certezza dell’azione amministrativa.

Nella riforma tributaria, la legge delega ha espressamente previsto l’introduzione di una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione. E lo ha previsto nell’ambito del riassetto del compendio normativo dello Statuto del contribuente, le cui disposizioni peraltro costituiscono principi generali dell’ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice di tutta la legislazione tributaria. Nel decreto, la scelta appare chiara e coerente con la natura della materia tributaria, ispirandosi alla disciplina dell’invalidità degli atti amministrativi di cui alla l. n. 241/1990 negli artt. 21-septies e 21-octies. Con alcune rilevanti incertezze.

Il decreto prevede la disciplina amministrativa dell’annullabilità di cui all’art. 21-octies della legge n. 241, ma sulla nullità manca una definizione concettuale (presente, invece, nella disciplina amministrativa all’art. 21-septies) e rimette tout court alle leggi future la previsione espressa dei casi di nullità. Lasciando intendere, piuttosto nitidamente, che la qualificazione del vizio di invalidità assoluta dipenderà esclusivamente dalle scelte discrezionali del legislatore, senza alcun vincolo concettuale.

Le ragioni di questa scelta non sono chiare e soprattutto, essendo venuto meno il riferimento concettuale, non si capisce quale sarà il destino delle svariate previsioni di nullità contenute nelle leggi tributarie vigenti, ivi incluso lo Statuto del contribuente. Nella peggiore delle ipotesi, è quantomeno necessaria una norma di interpretazione autentica che converta in annullabilità, in blocco, tutte le previsioni di nullità attualmente previste dalle leggi tributarie.

Quindi, l’obiettivo fissato dalla legge delega di una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e di riscossione può dirsi un obiettivo monco. E, soprattutto, l’ibridità della soluzione contenuta nel decreto in oggetto non permette agevolmente, in quanto consapevolmente espressa nell’art. 7-ter, un rinvio sul piano interpretativo alla definizione concettuale contenuta nell’art. 21-septies l. n. 241/1990.

 

5. La nullità del provvedimento amministrativo

Il provvedimento amministrativo invalido è nullo o annullabile. L’invalidità del provvedimento si instaura ogni qualvolta lo stesso si presenti difforme rispetto alla normativa di riferimento. La principale conseguenza è l’inefficacia dell’atto. Difatti, l’invalidità del provvedimento si ricollega alla violazione di norme imperative, nonché alla procedimentalizzazione dell’azione amministrativa che, se da un lato ne comporta una standardizzazione delle procedure, dall’altro aumenta la probabilità di violazione delle stesse. Infine, fondamentale è anche la considerazione del principio di buona amministrazione, che valuta l’opportunità e la convenienza dell’atto in relazione all’interesse. L’articolo 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispone che «È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge». Pertanto, la nullità è una figura autonoma di invalidità, avente carattere generale, ed è la forma più grave dell’invalidità del provvedimento amministrativo. Le cause di nullità sono rinvenibili nella mancanza degli elementi essenziali, nel difetto assoluto di attribuzione, nella violazione o elusione del giudicato e nelle altre cause di nullità previste dalla legge. La riforma dello Statuto dei diritti del contribuente introduce significative novità sulle invalidità tributarie, distinguendo tra nullità e annullabilità degli atti. Mentre la nullità, viziata da difetti gravi, è sempre rilevabile, l’annullabilità riguarda vizi minori e deve essere sollevata tempestivamente. Il nuovo art. 7-quinquies stabilisce l’inutilizzabilità delle prove acquisite irregolarmente, rivoluzionando il precedente orientamento della Cassazione.

 

6. Invalidità tributarie e novità statutarie

Tra le più importanti novità della riforma dello Statuto dei diritti del contribuente di cui al d.lgs n. 219/2023, emanato in attuazione dell’art. 4 della delega fiscale (l. n. 111/2023), vi è certamente la disciplina delle invalidità tributarie.

Autorevole dottrina aveva tentato, in passato, di enucleare una categoria di nullità “in senso forte”, che avrebbe dovuto ricomprendere gli accertamenti non sottoscritti, intestati a soggetti inesistenti o totalmente privi di elementi essenziali (motivazione o parte dispositiva).

Non essendo ammesse azioni dichiarative, tuttavia, il contribuente avrebbe potuto far constatare la nullità solo ricorrendo contro il primo atto successivo.

La delega fiscale ha modificato sostanzialmente la normativa degli atti dell’amministrazione finanziaria e occorre, in primis, vedere come è disciplinato oggi l’istituto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione. 

 

7. La nullità dell’atto amministrativo oggi

Nel diritto tributario, oggi, non esiste un principio generale di nullità degli atti amministrativi, perché sono previste soltanto singole leggi d’imposta che prevedono la nullità, come nei seguenti casi.

– L’art. 42, terzo comma, dPR n. 600/1973 testualmente dispone:

«L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma».

– L’art. 43, terzo comma, dPR n. 600/1973 testualmente dispone:

«Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte».

– L’art. 10-bis, sesto comma, legge n. 212/2000 testualmente dispone:

«Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto».

Infine, si fa presente che oggi la nullità non può mai essere rilevata d’ufficio, ma solo su specifica eccezione della parte ricorrente.

 

8. La legge delega fiscale n. 111/2023 e il d.lgs n. 219/2023

– L’art. 4, primo comma, lett. g), legge n. 111/2023 testualmente dispone:

«Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governo osserva altresì i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici per la revisione dello statuto dei diritti del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, le cui disposizioni costituiscono princìpi generali dell’ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria:

(...) g) prevedere una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione; (…) ».

– L’art. 7-bis d.lgs 30 dicembre 2023, n. 219 testualmente dispone: 

«1. Gli atti dell’Amministrazione finanziaria impugnabili dinanzi agli organi di giurisdizione tributaria sono annullabili per violazione di legge, ivi incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti.

2. I motivi di annullabilità e di infondatezza dell’atto sono dedotti, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado e non sono rilevabili d’ufficio».

Infine, si precisa che ha modificato l’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente nel modo seguente:

«Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono annullabili i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma».

– L’art. 7-ter d.lgs n. 219/2023 testualmente dispone:

«1. Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono nulli se viziati per difetto assoluto di attribuzione, adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al presente decreto. 

2. I vizi di nullità di cui al presente articolo possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito. 

Gli operatori dovranno in futuro prestare particolare attenzione alla data di entrata in vigore delle singole disposizioni procedimentali, per escludere dal perimetro dei vizi di nullità in questione tutte quelle ipotesi di tassativa nullità previste dall’attuale normativa fiscale, così come evidenziato alla lettera A) del presente articolo».

– L’art. 7-quater dello stesso decreto testualmente dispone:

«La mancata o erronea indicazione delle informazioni di cui all’articolo 7, comma 2, non costituisce vizio di annullabilità».

– L’art. 7, comma 2 della legge n. 212/2000 testualmente dispone:

«Gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:

a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela;

c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili».

 

9. La giurisprudenza

Secondo la recente pronuncia della Corte di cassazione (ord. n. 3170 del 2 febbraio 2023), le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette a eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale non implicano di per sé la nullità del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni e non trovando applicazione, invece, le sanzioni civilistiche.

L’elusione della normativa tributaria (per atti negoziali compiuti per beneficiare, evidentemente, di un trattamento fiscale più vantaggioso) opera esclusivamente nei confronti  dell’amministrazione finanziaria, che ha il potere anche di riqualificare i negozi giuridici assoggettandoli al trattamento fiscale corretto ovvero interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti.

Essa non si sovrappone al piano della validità civilistica del contratto nei rapporti tra le parti contraenti. In materia contrattuale bisognerà, quindi, vedere se vi è abuso del diritto in senso civilistico, ovvero avendo riguardo agli obblighi di correttezza e buona fede nei rapporti tra le parti, con eventuale nullità del contratto ai sensi dell’art. 1344 cc («in altri termini, nella materia contrattuale, l’abuso del diritto verte nei rapporti tra le parti e non trova applicazione a tutela di interessi terzi estranei alle parti stesse, venendo in rilievo solo l’uso distorto di un potere connesso alla titolarità di un diritto e non, come nel campo tributario, la tutela di un interesse pubblico proprio dell’amministrazione finanziaria» – enfasi aggiunte).

Nella sentenza 8 maggio 2018, n. 934 della Comm. trib. Reg. Calabria, in relazione ad avviso di accertamento per elusione nullo se privo di contraddittorio, si legge che l’amministrazione finanziaria che intenda contestare fattispecie elusive è tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e a osservare il termine dilatorio di 60 giorni. Nel rispetto di tali condizioni, l’ufficio può procedere ad emettere l’avviso di accertamento che, sempre a pena di nullità, deve contenere una motivazione rafforzata in grado di spiegare le ragioni per cui non intende accogliere le argomentazioni del contribuente. Queste le conclusioni in base alle quali la CTR di Catanzaro ha accolto l’appello del contribuente che aveva lamentato la nullità dell’avviso di liquidazione per mancanza delle garanzie di cui all’art. 37-bis dPR n. 600/1973. A supporto della propria tesi, i giudici calabresi citano anche la sentenza n. 132/2015 con cui la Corte costituzionale ha confermato la piena validità della previsione sul contraddittorio endoprocedimentale per le ipotesi di abuso del diritto.

I vizi di illegittimità dell’atto contestato costituiscono “eccezioni in senso stretto”, per cui vanno fatti valere esclusivamente dal contribuente in sede di ricorso introduttivo.

L’invalidità dell’atto impugnato per mancanza degli elementi essenziali deve essere eccepita dal contribuente mediante ricorso giurisdizionale, ritualmente proposto nel termine di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto stesso. In difetto, l’atto, seppure affetto da un vizio di nullità, si consolida divenendo definitivo, e legittima l’amministrazione finanziaria alla riscossione.

È quanto chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 18448 del 18 settembre 2015, dove la Corte – nel condividere la tesi dell’Agenzia – ha chiarito che i vizi di invalidità dell’atto impugnato costituiscono “eccezioni in senso stretto”, per cui non sono rilevabili d’ufficio dal giudice, ma devono essere fatti valere soltanto dal contribuente in sede di ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Si possono, pertanto, ritenere incompatibili con l’ordinamento tributario:

• l’art. 21-septies l. n. 241/1990, che tiene distinti i vizi di nullità dell’atto amministrativo dai vizi di annullabilità (violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza), che trovano invece disciplina nel successivo art. 21-octies della stessa legge, e l’art. 31, comma 4 del d.lgs n. 104/2010, secondo cui «la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice (…) »;

• l’art. 1418 cc, che disciplina le cause civilistiche di nullità del contratto e il successivo art. 1421 cc, il quale prevede che «salvo diverse disposizioni di legge la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice».

Più precisamente, secondo la Cassazione, il vizio di nullità dell’atto tributario va inteso sul piano processuale come vizio di annullabilità, con la conseguenza che l’invalidità dell’atto non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma va eccepita dal contribuente in sede di ricorso alla commissione tributaria provinciale, da proporre entro il termine di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato (trattasi di una eccezione “in senso stretto”). In difetto di tempestiva impugnazione, «il provvedimento tributario viziato da “nullità” si consolida, rendendo definitivo il rapporto obbligatorio sottostante e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta». 

Da ultimo, si richiama Cass., 9 novembre 2015, n. 22810, secondo la quale, in tema di imposte sui redditi, deve ritenersi, in base all’art. 42, commi primo e terzo, dPR 29 settembre 1973, n. 600, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un impiegato della carriera direttiva validamente delegato (cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto delle agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005), per il quale non è richiesta la qualifica dirigenziale. Ne deriva che non incide sulla validità del predetto atto d’accertamento la declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, dl n. 16/2012, convertito nella legge n. 44/2012. 

 

 

1. Vds. F. Tesauro, Le nullità dei provvedimenti tributari, in Innovazione e diritto, n. 5/2015, pp. 30-39.