Magistratura democratica

I principi di derivazione unionale: focus su Iva e categorie di diritto interno

di Angelina-Maria Perrino

Lo studio esamina le problematiche inerenti all’applicazione del diritto unionale e al ruolo del giudice nazionale, con particolare riferimento all’Iva, approfondita sia rispetto al presupposto oggettivo del tributo che con riguardo al suo presupposto soggettivo, e alle peculiarità del soggetto passivo dell’Iva.

1. L’applicazione del canone di preferenza applicativa del diritto unionale e il ruolo del giudice nazionale / 2. Il presupposto oggettivo del tributo: tratti, in generale, del confronto tra diritto unionale e diritto interno / 2.1. In particolare, la nozione di prestazione di servizi imponibile ai fini dell’Iva / 2.2. La nozione di cessione di beni imponibile ai fini dell’Iva / 3. Il presupposto soggettivo del tributo: le peculiarità del soggetto passivo dell’Iva / 3.1. Le operazioni isolate / 4. La base imponibile dell’Iva: rileva ancora la sostanza economica / 5. Chiosa finale

 

1. L’applicazione del canone di preferenza applicativa del diritto unionale e il ruolo del giudice nazionale

La dimensione europea del diritto tributario risulta dalla fusione e, talora, dalla frizione[1] di categorie e di opzioni culturali del diritto unionale e di quello nazionale. 

V’è, senz’altro, nelle materie di competenza dell’Unione, la supremazia del primo sul secondo; ma la supremazia non va intesa in chiave di gerarchia, sibbene di preferenza applicativa. Ciò perché il diritto unionale, di là dalla tecnica del regolamento, opera tramite le regole dell’ordinamento interno, il quale deve, tuttavia, rispettare i principi di equivalenza ed effettività. 

Già in generale, le categorie negoziali del diritto interno vanno connotate secondo la prospettiva tributaria, alla stregua della quale esse finiscono col perdere la loro complessità semantica: ciò che conta sono soltanto i tratti idonei a rivelare l’esistenza del presupposto d’imposta[2]

In particolare, poi, quanto ai tributi armonizzati, la regola della preferenza applicativa del diritto unionale comporta che le regole contrattuali possono e devono retrocedere al cospetto della sostanza economica dei fenomeni: con specifico riferimento all’Iva, la Corte di giustizia dell’Unione europea ripetutamente sottolinea che la valutazione della realtà economica e commerciale è criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune di quest’imposta, destinato a prevalere anche sul testo dei contratti[3].

È pur sempre al giudice nazionale, peraltro, che spetta il compito di valutare se la corretta applicazione del diritto dell’Unione s’imponga con un’evidenza tale da non ingenerare alcun ragionevole dubbio e, di conseguenza, di decidere di astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, che pure sia stata sollevata. E, al riguardo, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole[4]. Ciò perché il giudice che decide in ultima istanza può stimare, nonostante diverse interpretazioni di una norma del diritto dell’Unione operata da giudici di merito, che l’interpretazione che egli privilegia s’imponga appunto senza alcun ragionevole dubbio.

Coerentemente, la giurisprudenza di legittimità[5] ha escluso la responsabilità dello Stato per fatto del magistrato in un caso di diniego del diritto di detrazione dell’Iva al cospetto di una frode carosello, in base alla considerazione che è compito del giudice nazionale stabilire la spettanza del diritto. 

E tanto ha fatto in base ancora alla giurisprudenza unionale[6].

In questa complessa rete di relazioni, l’angolo visuale più proficuo pare quello, sia pure inevitabilmente casistico, d’individuare gli aspetti in relazione ai quali maggiormente la fisionomia dell’Iva riesce a conformare la disciplina nazionale e a interferire col regime delle categorie di diritto civile.

 

2. Il presupposto oggettivo del tributo: tratti, in generale, del confronto tra diritto unionale e diritto interno

Quel che conta per la qualificazione di un’operazione ai fini dell’identificazione del regime Iva ad essa applicabile è il suo obiettivo economico, per cui le categorie negoziali vanno filtrate dalla «realtà economica e commerciale».

E anche una delle categorie classiche del diritto dei contratti, tra le più blasonate, ossia la nullità da illiceità, assume una fisionomia del tutto peculiare, e recessiva, al cospetto del diritto unionale.

In generale, il principio di neutralità, che costituisce la trasposizione in materia d’Iva di quello di parità di trattamento[7], è d’ostacolo a una distinzione generalizzata tra contratti leciti e illeciti, a meno che non si tratti di casi in cui, per le caratteristiche particolari dell’oggetto della cessione o della prestazione, sia esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e uno illecito. Per conseguenza, le importazioni o le cessioni illegali di merci che, per loro stessa natura o a causa di particolari caratteristiche, non possono essere immesse in commercio né inserite nel circuito economico, quali gli stupefacenti[8] o il denaro falso, sono del tutto estranee alle disposizioni della sesta direttiva (e della “direttiva Iva”). 

Di contro, la qualificazione di un comportamento come “riprovevole” non comporta, di per sé, deroga alcuna all’assoggettamento all’Iva.

Si sono dunque ritenute soggette (o assoggettabili) all’imposta sul valore aggiunto:

- la cessione di prodotti contraffatti, in relazione ai quali il divieto violato non è collegato alla natura o alle caratteristiche essenziali dei prodotti, ma al pregiudizio che è arrecato ai diritti di terzi[9]

- la locazione di un’area utilizzata per la vendita di stupefacenti, attività che può rendere la locazione illecita, ma che non ne modifica il carattere economico e non impedisce che esista una concorrenza in tale settore, anche tra attività lecite e illecite[10];

- la gestione illecita di giochi d’azzardo[11];

- la concessione di crediti in violazione di leggi bancarie[12].

E, più in generale, ha stabilito la Corte di giustizia con sentenza di principio, la nullità di un contratto di vendita, per effetto di una disposizione di diritto civile di natura imperativa che sanzioni tale contratto in quanto contrario all’ordine pubblico per una causa illecita perseguita dall’alienante, non incide sul regime dell’Iva e, in particolare, sull’insorgenza del diritto di detrazione dell’acquirente, qualora non risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che costui sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con il proprio acquisto, a un’operazione che si iscriveva in una frode all’Iva[13].

Non sono frequenti le applicazioni di questi principi nella giurisprudenza interna.

Significativo è il caso della somministrazione irregolare di manodopera, schermata da un contratto di appalto di servizi, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità ha escluso l’imponibilità ai fini dell’Iva, giacché il divieto di dissociazione tra imputazione formale del rapporto di lavoro e utilizzazione effettiva del rapporto comporta che, di là dalle ipotesi di somministrazione regolare, la fornitura di mere prestazioni di lavoro sia esclusa dal circuito economico[14].

 

2.1. In particolare, la nozione di prestazione di servizi imponibile ai fini dell’Iva

Sia pure filtrate dalla «realtà economica e commerciale», le categorie negoziali conservano, peraltro, rilevanza. E lo si apprezza, in particolare, con riguardo alle prestazioni di servizi.

Una prestazione di servizi è difatti eseguita «a titolo oneroso», ai sensi dell’art. 2, par. 1, lett. c della sesta direttiva (nonché dell’art. 2, par. 1, lett. d, direttiva Iva), soltanto quando tra l’autore della prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo, come appunto precisa la Corte di giustizia[15].

Questa nozione di prestazione di servizi si specchia nel diritto interno, giacché, secondo l’art. 3 dPR n. 633/1972, «costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da (...) » (enfasi aggiunta).

Occorre quindi pur sempre che esista un nesso corrispettivo tra prestazione e compenso[16].

Risalta dunque, anche nella prospettiva del diritto unionale, la forza qualificante della corrispettività e non della mera onerosità, che si traduce nella reciprocità assicurata dallo scambio.

Lo scambio, nell’accezione conforme al diritto dell’Unione, pretende:

a) la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali;

b) la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso da costui corrisposto. 

Il fatto generatore dell’Iva e, per conseguenza, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati, in linea di massima, con la materiale esecuzione della prestazione, di modo che il comma 3 dell’art. 6 dPR n. 633/1972, a norma del quale «le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo», va inteso nel senso che il conseguimento del compenso coincide non con l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, soltanto con la sua condizione di esigibilità, estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione[17].

Il punto è che la valutazione se il pagamento di una remunerazione avvenga come corrispettivo di una prestazione di servizi è una questione di diritto dell’Unione, la quale deve essere risolta indipendentemente dalla valutazione operata nel diritto nazionale. Il fatto, dunque, che tale importo costituisca, nel diritto nazionale, un diritto al risarcimento del danno di natura extracontrattuale o una penalità contrattuale, oppure che esso venga qualificato come risarcimento del danno, indennizzo o remunerazione è del tutto irrilevante[18].

Occorre, peraltro, non soltanto la prova che dal rapporto giuridico siano scaturite le attribuzioni reciproche, ma anche che il compenso sia convenuto come «corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico» (enfasi aggiunta)[19]. Altrimenti l’attività del prestatore non si può ritenere fronteggiata da corrispettivo e sfugge all’applicazione dell’Iva[20].

In particolare, proprio perché il nucleo della corrispettività sta nel nesso diretto tra servizio fornito e compenso, il carattere incerto della stessa esistenza del compenso spezza il nesso e sottrae la prestazione all’area dell’imponibilità[21].

È quel che la giurisprudenza unionale ha ritenuto, a proposito della messa a disposizione di cavalli per la partecipazione a gare ippiche, presupposto impositivo dell’Iva soltanto se sia di per sé compensata, indipendentemente dal conseguimento di premi[22]. Ciò che conta non è la fase genetica del rapporto, ossia il contratto in sé e il consenso che lo sorregge, ma la fase dinamico-funzionale, ossia quella in cui il rapporto trova concreta attuazione e realizza la sostanza economica dell’operazione. Il pagamento del corrispettivo non è allora essenziale al riscontro del carattere oneroso che l’operazione deve assumere per costituire presupposto dell’imposta: occorre guardare alla fase in cui la prestazione è in concreto eseguita, per verificare se col compenso vi sia relazione di reciprocità. 

È quindi esclusa dall’ambito di applicazione dell’Iva l’indennità per la perdita d’avviamento dovuta al conduttore dell’immobile commerciale, nell’ipotesi di cessazione del rapporto di locazione, in ragione della funzione cui essa risponde, da un lato, di compensare il conduttore della perdita dell’avviamento, conseguente alla indisponibilità dei locali, e, dall’altro, di distribuire equitativamente l’incremento del valore locativo indotto dall’esercizio dell’attività commerciale nei locali dell’impresa a chi ha concorso all’incremento[23]. Visto che l’esistenza del rapporto giuridico che unisce le parti non dipende dal versamento dell’indennità, poiché la prestazione indennitaria sorge in un momento in cui il rapporto contrattuale è già cessato, essa non è legata da nesso di corrispettività ad alcuna altra prestazione, ma riguarda la fase successiva dell’esecuzione per rilascio in danno del conduttore, integrando una condizione dell’azione esecutiva[24].

Irrilevante è altresì la destinazione che sia impressa ai beni dall’acquirente: si rischierebbe, altrimenti, di condizionare la sorte del diritto di detrazione alle scelte di costui.

La prospettiva del diritto dell’Unione ha inoltre spogliato lo scambio, ai fini dell’Iva, del connotato della lucratività.

Ciò in quanto, in base al diritto unionale[25], al cospetto della pattuizione di un prezzo inferiore ai costi sostenuti il risultato dell’operazione economica è irrilevante rispetto al diritto a detrazione purché l’attività sia essa stessa soggetta ad Iva; se il prezzo della cessione è inferiore al prezzo di costo, la detrazione non può essere circoscritta in proporzione alla differenza tra tale prezzo e il costo, anche se il primo è considerevolmente meno elevato del secondo, a meno che non sia puramente simbolico.

Ne è scaturita, su impulso della giurisprudenza di legittimità[26], la valutazione d’incompatibilità col diritto unionale della norma interna, ossia dell’art. 8, comma 35, l. 11 marzo 1988, n. 67, a norma del quale «non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente»[27].

 

2.2. La nozione di cessione di beni imponibile ai fini dell’Iva

Anche la nozione unionale di cessione di beni rilevante ai fini dell’Iva non è del tutto corrispondente a quella civilistica.

Anzitutto, pure ai fini della configurabilità della cessione di beni occorre che, in seno al rapporto giuridico tra le parti, sia configurabile la reciprocità di prestazioni. 

Il che è da escludere, sottolinea la Corte di giustizia[28], al cospetto del trasferimento di un bene al fisco oppure all’ente impositore territoriale come mezzo di pagamento d’imposta, in ragione dell’unilateralità dell’obbligazione, gravante pur sempre soltanto sul debitore d’imposta. L’unilateralità è poi ritenuta intrinseca all’esercizio di un potere pubblico.

La giurisprudenza unionale ha quindi escluso che l’operazione contrassegnata dall’autorizzazione allo sfruttamento di una cava, rilasciata in favore di un soggetto che abbia compiuto i lavori di ampliamento di una strada comunale, possa essere configurata come permuta, proprio in ragione dell’unilateralità del potere pubblico del quale l’autorizzazione era espressione. Né i lavori di ampliamento integrano la nozione di cessione a titolo oneroso ai fini dell’Iva[29].

Distonica è la giurisprudenza interna[30], la quale, per altro verso, riconosce che la cessione di aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, conclusa in attuazione di una convenzione di lottizzazione, è modalità alternativa all’assolvimento dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione e non è, pertanto, un’operazione imponibile. Del resto, la convenzione di lottizzazione ha natura di contratto con oggetto pubblico e di accordo endoprocedimentale, strumentale al conseguimento dell’autorizzazione urbanistica o edilizia, per cui manca il rapporto sinallagmatico tra i contraenti, non essendovi alcun nesso d’interdipendenza contrattuale tra cessioni immobiliari, opere di urbanizzazione, prestazioni e contributi vari[31].

Quando il nesso di reciprocità tra prestazioni è ravvisabile, quel che conta è, anche in relazione alla cessione di beni, la sostanza economica dell’operazione.

Per conseguenza, sulla scia della giurisprudenza unionale, quella interna[32] ha equiparato, ai fini dell’Iva, l’operazione di leasing all’acquisto di un bene di investimento, con la conseguenza che per l’acquirente si verifica, anche prima dell’esercizio del diritto di riscatto, l’ipotesi di acquisto di un bene ammortizzabile.

A sostegno del principio si è appunto fatto leva sull’autonomia tra normativa civilistica e normativa fiscale sulla nozione di trasferimento di proprietà, utile alla qualificazione come ammortizzabile del bene; e, in particolare, sulla funzione del leasing, nella sua tipizzazione sociale, che sta nel fornire all’utilizzatore la disponibilità economica (con i connessi rischi) del bene oggetto del contratto, in modo analogo a un proprietario. L’utilizzatore opera, per conseguenza, un investimento economico nel bene ammortizzabile, di guisa che vale anche nei suoi confronti, quale investitore, la ratio del rimborso prevista dall’art. 30, comma 2, lett. c, dPR n. 633/1972, che è quella di consentire agli operatori economici che procedono a operazioni d’investimento in beni ammortizzabili un più veloce recupero dell’imposta assolta con riferimento ai beni acquistati ed evitare, così, un aggravio della propria esposizione finanziaria[33].

Si è così superato il precedente orientamento[34] che, invece, aveva negato all’utilizzatore di un bene in leasing il rimborso dell’eccedenza dell’Iva detraibile assolta, in base alla considerazione che, prima dell’esercizio del diritto di riscatto, non si verifica alcun effetto traslativo a suo favore. 

A fondamento del revirement c’è appunto, si diceva, la giurisprudenza unionale.

Quest’ultima si è, peraltro, essa stessa evoluta, sino a ritenere[35] che gli artt. 2, par. 1, 14 e 24, par. 1, della direttiva Iva (2006/112/CE) del Consiglio devono essere interpretati nel senso che, nell’ipotesi in cui un contratto di leasing relativo a un immobile preveda o il trasferimento di proprietà al conduttore alla scadenza di tale contratto, o che il conduttore disponga delle caratteristiche essenziali della proprietà di detto immobile – segnatamente, che gli venga trasferita la maggior parte dei rischi e benefici inerenti alla proprietà legale di quest’ultimo e che la somma delle rate, interessi inclusi, sia praticamente identica al valore venale del bene – l’operazione risultante da un siffatto contratto deve essere equiparata a un’operazione di acquisto di un bene di investimento. Si tratta di criteri che consentono, individualmente o congiuntamente, di determinare se un contratto possa essere qualificato come contratto di leasing finanziario[36]. Si esclude, invece, di poter ravvisare la cessione di beni qualora sussista, per il locatario, una reale alternativa economica che gli consenta, giunto il momento, di optare o per l’acquisizione del bene o per la sua restituzione al locatore o anche l’estensione della durata locazione, in base ai propri interessi nel momento in cui deve operare tale scelta.

Occorre quindi, ai fini della configurabilità della cessione di beni imponibile, che l’esercizio dell’opzione di acquisto, per quanto facoltativa dal punto di vista formale, sia in realtà, alla luce delle condizioni finanziarie del contratto, come la sola scelta economicamente razionale che il locatario possa fare. Tale può essere il caso in cui, quando risulti possibile esercitare l’opzione, la somma delle rate contrattuali corrisponda al valore commerciale del bene, ivi incluso il costo del finanziamento, e l’esercizio dell’opzione non imponga all’utilizzatore di corrispondere una somma supplementare importante[37].

Nelle ipotesi in cui, allora, il leasing sia equiparabile a una cessione di beni, ancora secondo la giurisprudenza unionale[38], l’inadempimento contrattuale dell’utilizzatore rientra nel novero delle ipotesi di «annullamento», «recesso» e «risoluzione», a fronte delle quali l’art. 90, par. 1 della direttiva Iva consente la riduzione della base imponibile. 

In definitiva, in questi casi, a fronte dell’inadempimento dell’utilizzatore, ai fini Iva il concedente può ottenere la riduzione della base imponibile in relazione agli importi non pagati, che si traduce nella corrispondente riduzione del credito del concedente. E la riduzione comporta che, per la restante parte, ossia per l’ammontare delle rate pagate, la base imponibile resti ferma.

Facendo leva, ancora, sulla sostanza economica dell’operazione, la giurisprudenza unionale ha escluso che risponda alla nozione di cessione di beni imponibile ai fini dell’Iva un’operazione di sale and lease back, di carattere eminentemente finanziario, volta al fine di aumentare la liquidità della società, che ne ha mantenuto il possesso, e in maniera duratura, per esigenze concernenti lo svolgimento della propria attività economica, non può essere considerata come una cessione di beni[39]

Pur sempre ispirata alla prevalenza della sostanza economica è l’equiparazione alla cessione dei beni ai fini del diritto unionale della fattispecie regolata dal paragrafo 2 dell’art. 14 della direttiva Iva, delineata da tre elementi, che consistono nel trasferimento del diritto di proprietà, nel fatto che il trasferimento avvenga in forza di un’espropriazione compiuta dalla p.a., o in suo nome, o in forza di legge, e nel versamento di un’indennità, della quale sono irrilevanti natura e importo, occorrendo soltanto che essa sia correlata al trasferimento della proprietà e che sia versata effettivamente[40]. E quando la p.a. trasferisce il diritto di proprietà attuando disposizioni di diritto nazionale, inoltre, non esercita prerogative di pubblico potere, sicché la relativa attività è di natura economica, rientrando in quanto tale nell’ambito di applicabilità dell’Iva.

La giurisprudenza interna ha fatto applicazione di questi principi, con riguardo alla vendita compiuta da un comune mediante asta di un immobile, acquisito in esito al fallimento di una società alla quale il comune aveva ceduto l’area affinché fosse destinata alla realizzazione di interventi di edilizia economica e popolare, reputandola imponibile qualora l’ente pubblico cedente abbia organizzato mezzi simili a quelli utilizzati da un produttore o da un commerciante, la proprietà sia stata effettivamente trasferita e ne sia stato incassato il controvalore[41].

 

3. Il presupposto soggettivo del tributo: le peculiarità del soggetto passivo dell’Iva

Il tema da ultimo affrontato evoca il presupposto soggettivo del tributo, anch’esso in fondo identificato mediante parametri oggettivi, perché quel che importa è pur sempre la sostanza economica dell’operazione, soprattutto quanto alle prestazioni di servizi; molto meno chi la compie.

Pure ai fini dell’identificazione del soggetto passivo, allora, assume rilevanza, prima e più della qualità di chi svolge l’attività, la sussistenza e la consistenza del compenso e quindi, ancora, l’indagine sulla corrispettività. 

Ai fini dell’Iva, dunque, quel che conta è anzitutto la natura dell’attività, che dev’essere economica, in accezione unionale, ossia rivolta a ricavare introiti con carattere di stabilità o a produrre reddito nell’esercizio di una professione. Non si è ritenuta “economica”, in particolare, l’attività consistente in servizi di consulenza e assistenza legale resi, in cambio di un parziale compenso, dagli uffici pubblici di assistenza legale a favore dei cittadini non abbienti, a meno che il contributo pagato dai beneficiari sia commisurato al valore reale dei servizi forniti[42].

Coerente è, quindi, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità[43] secondo cui, posto che l’attività svolta dall’amministratore di sostegno è precipuamente volta alla cura della persona, l’amministrazione del patrimonio non configura, di norma, attività economica e, quindi, imponibile, a meno che non sia indirizzata a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, sia espletata a titolo oneroso. 

L’attività di amministratore del patrimonio svolta dall’amministratore di sostegno, come delineata dal legislatore, difatti, anche alla luce delle indicazioni ritraibili dalla giurisprudenza costituzionale, non è contrassegnata da reciprocità di prestazioni (considerata la mera eventualità del riconoscimento di un’indennità) ed è pensata anzitutto in riferimento alla cerchia dei parenti del beneficiario. Non si è escluso tuttavia che, in concreto, l’attività sia espletata con modalità e finalità tali da evidenziarne la natura economica, nel qual caso diviene imponibile.

La giurisprudenza interna si rivela quindi in linea con quella unionale, che, giustappunto con riguardo a prestazioni svolte a favore di persone maggiorenni legalmente incapaci e dirette a proteggerle negli atti della vita civile, ha ribadito che, per essere rilevante ai fini Iva, l’attività dev’essere economica, ossia di carattere stabile, svolta a fronte di un corrispettivo e volta alla produzione di introiti, idonei almeno a garantire la copertura delle spese di funzionamento[44]. Va segnalato, al riguardo, che la legislazione in quel caso considerata (ossia quella lussemburghese) prevede la possibilità di corresponsione di un compenso all’amministratore tutelare, indipendentemente dalle necessità di gestione di patrimoni (mentre l’art. 379 cc stabilisce la gratuità dell’ufficio di tutore e l’eventualità di riconoscimento di un’indennità in base all’entità del patrimonio e alle difficoltà di gestione di esso) e, nel caso all’esame della Corte, si è ritenuto che l’importo delle remunerazione fosse stato stabilito in anticipo e secondo criteri ben definiti (punto 44).

La natura economica dell’attività è poi ravvisabile qualora si traduca nello svolgimento, da parte di una società, di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto da essa concluso con un comune. Il fatto che le attività rispondano a funzioni conferite e regolamentate per legge, per uno scopo di interesse generale, è infatti irrilevante per la configurabilità di una prestazione di servizi a titolo oneroso imponibile ai fini dell’Iva[45].

E tanto vale anche qualora l’attività considerata abbia per oggetto l’esecuzione di un obbligo costituzionale incombente esclusivamente e direttamente allo Stato membro interessato[46].

D’altronde, perfino l’ente pubblico, sinanche quando agisce come pubblica autorità, dev’essere considerato soggetto passivo, qualora il mancato assoggettamento delle operazioni relative a Iva conduca a distorsioni di concorrenza di una certa importanza. Occorre, cioè, che gli operatori economici privati non siano svantaggiati dal fatto che sono tassati mentre gli enti pubblici non lo sono.

L’applicazione della deroga alla regola del mancato assoggettamento ad Iva delle operazioni svolte da enti pubblici in veste di pubblica autorità risponde quindi, ancora una volta, alla valutazione delle circostanze economiche, che dev’essere svolta con riferimento all’attività in esame in quanto tale, senza che tale valutazione riguardi un mercato in particolare, nonché con riferimento alla concorrenza non soltanto effettiva, ma anche potenziale, sempreché la possibilità per un operatore privato di entrare nel mercato rilevante sia effettiva e non meramente ipotetica[47].

L’attività, oltre che economica, deve altresì essere esercitata in maniera indipendente.

Ai fini dell’Iva, quindi, è soggetto passivo l’imprenditore che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone individualmente il relativo rischio: « (...) un vincolo di subordinazione non sussiste qualora gli interessati sopportino il rischio della loro attività»[48]

Allora, un membro del consiglio di vigilanza di una fondazione, che, pur non essendo legato da alcun vincolo di subordinazione gerarchica all’organo direttivo di tale fondazione né legato da un siffatto vincolo al consiglio di vigilanza di detta fondazione per quanto riguarda l’esercizio della sua attività di membro di tale consiglio, non agisce né in nome proprio né per proprio conto né sotto la propria responsabilità, ma agisce per conto e sotto la responsabilità del medesimo consiglio e non sopporta neppure il rischio economico derivante dalla sua attività, non esercita un’attività economica in modo indipendente, dal momento che egli percepisce una retribuzione fissa, che non dipende né dalla sua partecipazione alle riunioni né dalle ore di lavoro che egli ha effettivamente svolto[49].

L’applicazione di questa nozione unionale ha comportato l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’Iva, in relazione alle quote di utili percepite, delle prestazioni di lavoro fornite come unico apporto dall’associato in partecipazione[50].

E una significativa messa in pratica ha riguardato anche l’“ati” (“associazione temporanea di imprese”), a prescindere dalla configurazione del raggruppamento come orizzontale, ossia concernente lo svolgimento di attività omogenee, oppure verticale, cioè riguardante l’esecuzione di attività disomogenee.

Alla luce dell’art. 4 della sesta direttiva e dell’art. 9 della direttiva Iva, dunque, l’associazione temporanea di imprese può essere qualificata come autonomo soggetto passivo soltanto se e in quanto le imprese in essa confluite non esercitino la propria attività economica in modo indipendente, ossia non sopportino individualmente il rischio concernente la propria attività. Situazione, questa, di norma estranea all’ati, la quale realizza un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale, il quale risponde alla finalità opposta, ossia all’obiettivo di associarsi temporaneamente senza obbligo di assumere vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto a un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare[51].

Ad analoghe conclusioni si è pervenuti con riguardo alle società in house, in base alla considerazione che il controllo esercitato dall’ente pubblico serve a consentirgli di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento; ma la relazione che così s’instaura non incide sull’alterità soggettiva della società rispetto all’amministrazione pubblica, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante[52]

Ancora, l’attività, oltre che di natura economica ed esercitata in maniera indipendente, deve avere anche il carattere della stabilità.

In base all’art. 12, par. 1 della direttiva Iva, dunque, una persona che effettua solo occasionalmente un’operazione generalmente svolta da un produttore, da un commerciante o da un prestatore di servizi non deve, in linea di principio, essere considerata un «soggetto passivo».

Questa disposizione non implica, tuttavia, che un soggetto passivo, operante in un certo ambito di attività, che effettui in modo occasionale un’operazione relativa a un altro ambito di attività, non sia debitore dell’Iva su tale operazione[53].

 

3.1. Le operazioni isolate

Del requisito della stabilità non è richiesta prova per le società commerciali, deputate allo svolgimento di attività commerciale, e quindi di natura economica secondo l’accezione unionale.

Per le società si pone il diverso problema della configurabilità del diritto di detrazione al cospetto di operazioni isolate e della sostanziale loro inattività.

La giurisprudenza unionale chiarisce, al riguardo, che è l’acquisto di beni o servizi da parte di un soggetto passivo che agisce come tale a determinare l’applicazione del sistema dell’Iva e, quindi, del sistema della detrazione. L’impiego dei beni o dei servizi, invece, reale o anche previsto, determina soltanto l’entità della detrazione iniziale, nonché quella delle eventuali rettifiche.

 In particolare, irrilevanti a escludere il diritto di detrazione e, per conseguenza, a comportare necessità di rettifica sono i risultati dell’attività economica.

Sull’esistenza del diritto non è quindi destinato a incidere il mancato utilizzo del bene, purché, però, esso sia indipendente dalla volontà del soggetto passivo che l’ha acquistato. Altrimenti si determinerebbe una violazione del principio di neutralità dell’imposta, che comporterebbe disparità ingiustificate tra imprese con lo stesso profilo e che esercitano la medesima attività[54].

Ampio è, peraltro, l’ambito delle circostanze estranee alla volontà del soggetto passivo[55]: anzitutto, non spetta all’amministrazione fiscale valutare la fondatezza dei motivi che hanno condotto un soggetto passivo a rinunciare all’attività economica inizialmente prevista; inoltre, la prova dell’esistenza di circostanze estranee alla volontà del soggetto passivo può essere fornita anche qualora il soggetto passivo fosse a conoscenza dell’esistenza di un rischio, connesso alla mancata approvazione da parte di un’autorità pubblica per la realizzazione dell’investimento in questione o alla perdita di redditività del progetto di investimento a causa di un cambiamento, nel corso del tempo, delle circostanze economiche, che l’attività prevista potesse non essere realizzata.

Si prospetterebbe, altrimenti, una violazione del principio di neutralità, in considerazione, da un lato, del rischio di disparità ingiustificate tra imprese che effettuano già operazioni imponibili e altre che cercano, mediante investimenti, di avviare attività da cui deriveranno operazioni soggette a imposta; dall’altro, delle possibili arbitrarie disparità tra queste ultime imprese, poiché l’accettazione definitiva delle detrazioni dipenderebbe dalla questione se tali investimenti diano luogo, o no, a operazioni soggette ad imposta.

 

4. La base imponibile dell’Iva: rileva ancora la sostanza economica

La rilevanza della sostanza economica dell’operazione conforma anche la base imponibile ai fini dell’Iva.

Quel che conta, ancora una volta, è che sia rispecchiato per intero il valore reale della cessione o della prestazione di servizi, indipendentemente da chi ne corrisponda il prezzo.

Si sostiene correntemente che la base imponibile è ragguagliata al corrispettivo che il soggetto passivo ha realmente ricevuto da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo[56].

In realtà, in base alla normativa unionale (art. 11 della sesta direttiva, art. 73 della direttiva Iva), la base imponibile è determinata dal corrispettivo versato o da versare: a norma dell’art. 73 della direttiva Iva, che riproduce sul punto la parte corrispondente dell’art. 11 della sesta direttiva, «la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo» (enfasi aggiunta).

E l’art. 13 dPR n. 633/1972, di rimando, stabilisce che «la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali».

La rilevanza di quanto ricevuto fonda poi la disciplina della rettifica, contemplata dall’art. 90, par. 1, direttiva Iva, che riguarda i casi di annullamento, di recesso, di risoluzione, di mancato pagamento totale o parziale, o di riduzione del prezzo successiva al momento in cui l’operazione viene effettuata, e che obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile e, quindi, l’importo dell’Iva dovuta ogni volta che, successivamente alla conclusione di un’operazione, non venga percepita dal soggetto passivo una parte o la totalità del corrispettivo[57]

Compongono la base imponibile anche le sovvenzioni, purché direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni. 

E ciò in applicazione dell’art. 11, parte A, par. 1, lett. a della sesta direttiva (corrispondente all’art. 73 della direttiva Iva e all’art. 13 del dPR n. 633/1972), che, nel comprendere nella base imponibile dell’Iva le sovvenzioni versate ai soggetti passivi, mira ad assoggettare all’imposta l’intero valore dei beni o delle prestazioni di servizi, e dunque a evitare che il versamento di una sovvenzione provochi un gettito d’imposta inferiore[58].

La rilevanza della sovvenzione va difatti inquadrata nel sistema dell’Iva, che si regge sulla concatenazione tra operazioni a monte e operazioni a valle: deve sussistere un nesso diretto e immediato tra beni e prestazioni di servizi utilizzati e un’operazione imponibile realizzata a valle o, eccezionalmente, un’operazione imponibile realizzata a monte, alla luce del contenuto oggettivo di esse[59]. La sovvenzione acquista quindi rilievo, anzitutto, quando sia direttamente connessa col prezzo dell’operazione, il che accade se sia versata all’operatore sovvenzionato perché questi fornisca un bene o presti un servizio determinato. È in questo caso che la sovvenzione può essere considerata come un corrispettivo della cessione di un bene o della prestazione di un servizio ed è, pertanto, imponibile.

Si deve quindi verificare se si tratti di una sovvenzione in senso proprio, ossia di un contributo finanziario a fondo perduto[60]. Qualora, difatti, un fabbricante di un prodotto, che appunto rappresenti il primo anello della catena di operazioni, conceda uno sconto al consumatore finale, ma ne ottenga poi il rimborso dal soggetto che corrisponde a un anello intermedio della catena, la base imponibile ai fini dell’Iva deve essere ridotta dello sconto suddetto[61]. Inoltre, occorre che gli acquirenti del bene o i destinatari del servizio traggano profitto dalla sovvenzione, nel senso che il prezzo che l’acquirente o il destinatario della prestazione di servizi devono pagare sia fissato in modo tale da diminuire proporzionalmente alla sovvenzione concessa al venditore del bene o al prestatore del servizio: è in questo senso che essa va a costituire un elemento di determinazione del prezzo richiesto da tale venditore o prestatore[62] .

Si deve per conseguenza accertare se, oggettivamente, il fatto che una sovvenzione sia versata al venditore o al prestatore consenta a quest’ultimo di vendere il bene o di fornire il servizio a un prezzo inferiore a quello che egli dovrebbe richiedere in mancanza di sovvenzione[63].

Quando la sovvenzione o comunque lo sconto non sia rimborsato al terzo dal quale proviene va applicato il principio, anch’esso di diritto unionale, in base al quale l’art. 11, parte A, n. 1, lett. a, e parte C, n. 1 della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che, qualora un dettagliante accetti, al momento della vendita di un prodotto, che il consumatore finale paghi il pezzo di vendita in parte in contanti e in parte a mezzo di un buono sconto emesso dal produttore dello stesso e che quest’ultimo rimborsi al dettagliante l’importo indicato su detto buono, il valore nominale del buono deve essere incluso nella base imponibile di tale dettagliante[64].

Per altro verso – si è specificato[65] – nel caso del versamento di somme da parte di terzi ai soggetti passivi, sono inevitabilmente interessate tre parti, ossia quella che corrisponde la somma, il soggetto che ne beneficia e l’acquirente del bene o il destinatario del servizio rispettivamente ceduto o fornito dal beneficiato. Ma le operazioni considerate come rilevanti ai fini dell’Iva non sono certo quelle compiute a vantaggio di chi corrisponde la somma, bensì quelle erogate in favore del cessionario o del committente; né la circostanza che il beneficiario della prestazione di servizi non sia il soggetto che versa il contributo, ma l’utente del trasporto, è di per sé idonea a interrompere il nesso diretto tra la prestazione di servizi eseguita e il corrispettivo ricevuto.

La rilevanza del valore reale dell’operazione comporta altresì che nella base imponibile devono essere compresi tutti i corrispettivi, comprese le eventuali integrazioni, dovuti al cedente o al prestatore di servizi sulla base delle condizioni contrattuali, non potendosi scomporre la prestazione economica, che è tendenzialmente unica e indissociabile, fatta eccezione per le specifiche ipotesi normativamente previste[66]. E dunque nella base imponibile vanno compresi anche: le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa imposta sul valore aggiunto, purché appunto essi presentino un legame diretto con l’operazione. Il che accade, secondo la giurisprudenza unionale, quando i dazi, le tasse e i prelievi divengano esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi[67]

Per conseguenza, la giurisprudenza interna ha ritenuto compresi nella base imponibile:

- i diritti di imbarco corrisposti dal vettore aereo, che ne trasla il costo sul passeggero[68];

- le accise sull’energia elettrica dovute dal soggetto obbligato, a condizione che le stesse siano effettivamente traslate sul consumatore finale ai sensi dell’art. 16, comma 3 del Tua (d.lgs n. 504/1995)[69];

- quanto alla cd. “tassa marmi”– ritenuta incompatibile con l’art. 23 del Trattato CEE dalla Corte di giustizia con sent. 9 settembre 2004, C-72/2003 – , si è stabilito che essa dà luogo a un’anticipazione irrilevante ai fini della determinazione della base imponibile Iva, ove regolarmente documentata, solo se il pagamento è stato effettuato dal trasportatore in nome e per conto del committente, previa spendita di un potere rappresentativo, dovendosi, in caso contrario, valutare se il costo della tassa sia dovuto in base alle previsioni negoziali e alla doverosità del tributo[70].

 

5. Chiosa finale

In definitiva, in materia di Iva, il diritto unionale, per il tramite dei grimaldelli dei principi di neutralità ed effettività, penetra nelle categorie interne e, nel farle sovrastare dalla sostanza economica dell’operazione, le rimodella. 

 

 

*  Testo aggiornato della relazione tenuta il 25 febbraio 2021, pubbl. in Dir. proc. trib., n. 2/2021, p. 181.

1. Anche la legge di delega al Governo per la riforma fiscale (l. 9 agosto 2023, n. 111) pone, tra i principi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’imposta sul valore aggiunto, quello di « (…) a) ridefinire i presupposti dell’imposta al fine di renderli più aderenti alla normativa dell’Unione europea».

2. V. Ficari e V. Mastroiacovo (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Giappichelli, Torino, 2014, passim.

3. Cgue, 9 settembre 2015, C-160/2014, in Riv. it. dir. lav., 2016 (II), p. 232, con nota di Lozito; 20 giugno 2014, C-653/2011, in Corriere trib., 2013, p. 2692, con nota di Centore (punto 40); 7 ottobre 2010, C-53/2009 e C-55/2009, in Foro it., rep. 2012, voce “Unione europea e Consiglio d’Europa”, c. 2047, punti 39 e 40, nonché la giurisprudenza ivi citata.

4. Cgue [GS], 6 ottobre 2021, C-561/2019, punto 48.

5. Cass., 9 febbraio 2016, n. 2505, in Fisco, 2016, p. 1158.

6. Facendo leva sull’indirizzo espresso, tra varie, da Cgue, 18 dicembre 2014, C-131, 163 e 164/2013, in Riv. giur. trib., 2015, p. 373, con nota di Peirolo.

7. Vds., in particolare, Cgue, 29 ottobre 2009, C174/2008, punto 41, e 10 giugno 2010, C262/2008, punto 64, in Foro it., 2011, IV, c. 43.

8. Cgue, 5 luglio 1988, C-269/1986, in Dir. prat. trib., 1990 (II), p. 992.

9. Cgue, 28 maggio 1998, C-3/1997.

10. Cgue, 29 giugno 1999, C-158/1998, in Rass. trib., 1999, p. 1287.

11. Cgue, 10 novembre 2011, C-259 e 260/2010.

12. Cgue, 17 dicembre 2020, C-801/2019, in Foro it., 2021, IV, c. 65.

13. Cgue, 6 luglio 2006, C-439 e 440/2004. 

14. Cass., 7 dicembre 2018, n. 31720.

15. Cgue, C-653/2011, in Riv. dir. trib., 2014 (IV), p. 27, con nota di Santin, punto 40; 27 marzo 2014, C-151/2013, in Ragiusan, n. 359, 2014, p. 55, punto 29, e giurisprudenza ivi richiamata.

16. Come stabilito anche da Cass., sez. unite, 15 marzo 2016, n. 5078, in Riv. giur. trib., 2016, p. 659, con nota di Giolo, secondo cui la Tia non sconta l’Iva a causa degli elementi autoritativi che la caratterizzano, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore e utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico, nonché dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento a Iva. 
In senso difforme, in relazione alla Tia 2, vds. Cass., sez. unite, 7 maggio 2020, n. 8631, in Foro it., 2020, I, c. 2286, secondo cui, in tema di Iva, posto che gli importi pretesi a titolo di tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, Tia 2, rappresentano il corrispettivo del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani nel contesto di un rapporto sinallagmatico, essi sono assoggettabili a Iva. 
Cfr. Cass., 1° febbraio 2021, nn. 2185 e 2186, che hanno fatto leva sulla discrezionalità del legislatore in materia di politica economica e fiscale evocata da Corte cost., 19 ottobre 2018, n. 188, in Foro it., 2018, I, c. 3774, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 23, comma 1, lett. a, l. reg. Calabria 23 luglio 2003, n. 11, nella parte in cui prevede che il contributo consortile di bonifica, quanto alle spese afferenti al conseguimento dei fini istituzionali del consorzio, è dovuto «indipendentemente dal beneficio fondiario», invece che «in presenza del beneficio». In linea di continuità, a proposito della cd. tariffa puntuale sui rifiuti, a norma dell’art. 1, comma 668, l. 27 dicembre 2013, n. 147, vds. Cass., sez. unite, ord. 29 aprile 2021, n. 11290.

17. Cass., sez. unite, 21 aprile 2016, n. 8059, in Foro it., 2016, I, c. 1637. 
Ne fa applicazione Cass., 1° aprile 2021, n. 9064, secondo cui l’amministrazione finanziaria che, a fronte di indicazioni contabili che prevedano l’annotazione di prestazioni di servizi dapprima in un conto “fatture da emettere” e poi in un conto relativo a crediti da riscuotere, contesti l’omessa fatturazione delle operazioni, ha l’onere di provare, anche sulla base di elementi presuntivi, che il pagamento, pure per equivalente, è stato in realtà compiuto, oppure che il contribuente intende sottrarsi all’adempimento dell’obbligo di fatturazione e di assolvimento dell’imposta.

18. Cgue, 22 novembre 2018, C-295/2017. 

19. Così Cgue, 18 gennaio 2017, C-37/2016, in Foro it., 2017, IV, c. 128, punto 27.

20. Come chiarito, tra varie, da Cgue, 22 giugno 2016, C-11/2015, in Foro it., 2016, IV, c. 416, secondo cui l’art. 2, punto 1 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che un’attività di radiodiffusione pubblica, come quella di cui al procedimento principale, finanziata mediante un canone legale obbligatorio versato dai proprietari o dai detentori di un ricevitore radiofonico ed esercitata da una società di radiodiffusione istituita dalla legge, non costituisce una prestazione di servizi «effettuata a titolo oneroso», ai sensi di tale disposizione, e non rientra quindi nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

21. In termini, Cass., 1° aprile 2021, n. 9075.

22. Cgue, 10 novembre 2016, C-432/2015, in Foro it., 2017, IV, c. 25.

23. Cass., 27 ottobre 2020, n. 23315.

24. Cass., 31 agosto 2009, n. 18899, e 12 novembre 2019, n. 29180, in Fisco, 2019, p. 4567. Anche l’indennità dovuta a titolo di indebito arricchimento, prevista dall’art. 2042 cc e liquidata con sentenza, a seguito di azione ex art. 2041 cc, nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione, esula dall’ambito di applicazione dell’Iva, perché pur sempre manca un nesso diretto e immediato tra la prestazione e l’indennizzo, il quale ha la funzione di compensare il pregiudizio economico di chi ha effettuato la prima, in tal modo impoverendosi, con la reintegra del patrimonio nei limiti di tale impoverimento, riequilibrando, così, l’incremento patrimoniale dell’arricchito: Cass., 25 gennaio 2022, n. 2040.

25. Cgue, 22 giugno 2016, C-267/15, in Foro it., 2016, IV, c. 345, punto 40.

26. Ord. n. 2385/2019.

27. Cgue, 11 marzo 2020, C-94/2019, in Foro it., 2020, IV, c. 305. Ne fa applicazione, quale giudice del rinvio, Cass., 14 gennaio 2021, n. 529.

28. Cgue, 11 maggio 2017, C-36/2017, in Foro it., 2017, IV, c. 356.

29. Cgue, 16 settembre 2020, C-528/19, in Foro it., 2021, IV, c. 115.

30. Cass., 30 gennaio 2020, n. 2146.

31. Cass., 9 luglio 2014, n. 15660. In termini, Cass., 31 maggio 2016, n. 11344, in Bollettino trib., 2016, p. 1209.

32. Cass., 16 ottobre 2015, n. 20951, in Foro it., 2015, c. 3819. Cfr. Cass., 10 maggio 2019, n. 12457 e 14 gennaio 2021, n. 535.

33. Risulta, per conseguenza, inapplicabile il regime di sospensione di imposta di cui all’art. 8, comma 2, dPR n. 633/1972, giusta l’esclusione di cui al comma 1, lett. c della disposizione in questione: Cass., n. 535/2021, cit.

34. Espresso da Cass., 24 settembre 2014, n. 20072.

35. In particolare, Cgue, 2 luglio 2015, C-209/2014, in Foro it., 2015, IV, c. 554.

36. Cgue, 16 febbraio 2012, C-118/2011, punto 38, in Corriere trib., 2012, p. 1372, con nota di Basilavecchia.

37. Cgue, 4 ottobre 2017, C-164/2016, in Corriere trib., 2017, p. 3659, con nota di Scifoni.

38. Cgue, 12 ottobre 2017, C-404/2016, in Foro it., 2017, IV, c. 596.

39. Cgue, 27 marzo 2019, C-201/18, in Foro it., 2019, IV, c. 182. Ne fa applicazione, nella giurisprudenza interna, Cass., 27 aprile 2021, n. 11023. Ad analoghe conclusioni è giunta al cospetto del contratto di sale and sale back, stabilendo che il negozio di cessione di un bene rispondente a causa di finanziamento, indipendentemente dalla sua qualificazione come sale and lease back o come sale and sale back, non costituisce operazione imponibile e non dà luogo pertanto al diritto alla detrazione, in quanto, essendo volto all’aumento delle liquidità del venditore senza che questi perda il possesso del bene, non risponde alla nozione di cessione ai fini Iva: Cass., 21 giugno 2021, n. 17710.

40. Cgue, 25 febbraio 2021, C-604/2019.

41. Cass., 15 febbraio 2022, n. 4835.

42. Cgue, 29 ottobre 2009, C-246/08, in Riv. giur. trib., 2010, p. 195, con nota di Peirolo.
Ad analoghe conclusioni si è giunti con riguardo al servizio di trasporto scolastico fornito da un ente pubblico territoriale, al cospetto di un rilevante scarto fra i costi sostenuti e gli importi percepiti come corrispettivo, di modo che il recupero dei costi da parte del comune pari – soltanto – al 3%, va qualificato come canone, e non già come corrispettivo: Cgue, 12 maggio 2016, C-520/2014, in Foro it., 2016, IV, c. 557.

43. Cass., 13 luglio 2020, n. 14846, in Foro it., 2020, I, c. 2647.

44. Cgue, 5 aprile 2021, C-846/2019.

45. Cgue, 22 febbraio 2018, C-182/2017. Vds., da ultimo, Cass., 17 luglio 2023, n. 20524, secondo cui gli operatori economici privati sono soggetti passivi Iva anche se svolgono, in regime di convenzione, attività rientranti nelle finalità istituzionali di un ente pubblico, occorrendo, ai fini dell’esclusione dal campo dell’imposta, che l’attività sia espletata direttamente dall’ente pubblico, mediante i propri dipendenti, in veste di pubblica autorità.

46. Cgue, 2 giugno 2016, C-263/2015, punto 42.

47. In termini, tra le più rilevanti, Cgue, 19 gennaio 2017, C-344/2015, secondo cui l’art. 13, par. 1, comma 2 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui non c’era una reale possibilità per un operatore privato di fare ingresso nel mercato in esame, costruendo una strada che potrebbe entrare in concorrenza con le strade nazionali già esistenti, un ente di diritto pubblico che esercita un’attività consistente nell’offrire accesso a una strada dietro pagamento di un pedaggio non deve essere considerato in concorrenza con gli operatori privati che riscuotono pedaggi su altre strade a pedaggio sulla base di un contratto con l’ente di diritto pubblico interessato in forza di disposizioni legislative nazionali.

48. Cgue, 25 luglio 1991, C-202/1990, punto 13; 18 ottobre 2007, C-355/2006, punto 24, in Corriere giur., 2007, p. 1746.

49. Cgue, 13 giugno 2019, C-420/2018, in Foro it., 2019, IV, c. 472. Ad analoghe conclusioni la Corte è giunta con riguardo all’attività del componente del consiglio di amministrazione di una società per azioni: Cgue, 21 dicembre 2023, C-288/2022.

50. Cass., 15 novembre 2013, n. 25701, in Foro it., 2014, I, c. 3588.

51. Cass., 23 novembre 2018, n. 30354, in Foro it., 2018, I, c. 3853.

52. Cass., 2 dicembre 2021, n. 37951.

53. Cgue, 13 giugno 2013, C-62/2012, in Riv. dir. trib., 2013, IV, p. 305, con nota di Centore.

54. Cgue, 28 febbraio 2018, C-672/2016, in Foro it., 2018, IV, c. 177.
Sulla medesima falsariga si pone Cgue, 15 gennaio 1998, C-37/1995, secondo cui, ai sensi dell’art. 17 della sesta direttiva CEE, il soggetto passivo, che agisce in quanto tale, può detrarre l’Iva di cui è debitore per beni che gli sono stati forniti o per servizi che gli sono stati prestati ai fini di opere di investimento destinate a essere utilizzate nell’ambito di operazioni imponibili.

55. Cgue, 12 novembre 2020, C-734/19, e 6 ottobre 2022, causa C-293/21. Ne fa applicazione, nella giurisprudenza interna, Cass., 17 marzo 2021, n. 7440.

56. Vds. Cass., 30 settembre 2020, n. 20832, secondo cui, in tema di Iva, in caso di vendite effettuate in favore di clienti dietro presentazione di buoni acquisto rilasciati da un terzo soggetto, che li ha acquistati a sua volta dal venditore a prezzo inferiore al loro valore nominale, la base imponibile dell’Iva che il venditore è tenuto a versare all’a.f. è costituita dal prezzo di cessione dei buoni acquisto effettivamente conseguito dal venditore e non da quello corrispondente al valore nominale..

57. Tra varie, Cgue, 8 maggio 2019, C-127/2018.

58. Cgue, 15 luglio 2004, C-144/2002, a, punto 26.

59. Tra varie, Cgue, 21 febbraio 2013, C-140/2012, punto 24.

60. Cass., 4 agosto 2020, n. 16660.

61. Cgue, 24 ottobre 1996, C-317/1994, punti 31, 34 e 35, in Corriere trib., 1997, p. 2589, con nota di Centore. Ne ha fatto applicazione la giurisprudenza di legittimità allorquando ha stabilito che è consentita la variazione in diminuzione della base imponibile al fornitore che, in virtù di una sua scelta imprenditoriale autonoma e spontanea, abbia distribuito buoni ai consumatori finali, da cui sia conseguita la restituzione, da parte sua, al distributore di una quota del prezzo pagato da quest’ultimo, comprensiva sia dell’imponibile sia dell’imposta, anche se derivante da sconti concessi dal cedente a consumatori finali con cui non sussista un diretto contratto di compravendita, a condizione che tale sconto sia univocamente ricollegabile all’operazione originaria tra fornitore e rivenditore: Cass., 28 maggio 2020, nn. 10104 e 10105.

62. Per tutte, Cass., 16 marzo 2016, n. 5195, in Fisco, 2016, p. 1583; in precedenza, 30 luglio 2007, nn. 16825 e 16827.

63. Cgue, 9 ottobre 2019, C-573/2018, in Foro it., 2019, IV, c. 497.

64. Cgue, 16 gennaio 2003, C-398/1999, in Foro it., 2003, IV, c. 225, con nota di Palmieri. Ne fa applicazione, nella giurisprudenza interna, Cass., 19 novembre 2020, n. 26318.

65. Cass., 18 novembre 2021, n. 35154.

66. Cass., 18 luglio 2023, n. 20909.

67. Cgue, 5 dicembre 2013, cause riunite C-618/11, C-637/11 e C-659/11, punto 41, in Foro it., 2014, IV, c. 217.

68. Cass., 7 marzo 2014, n. 5362, in Foro it., 2014, I, c. 1057; cfr. Cass., 14 gennaio 2015, n. 414.

69. Cass., 16 ottobre 2019, n. 26145, in Riv. trim. dir. trib. 2020, p. 487, con nota di Verrigni.

70. Cass., 17 luglio 2019, n. 19158.