Introduzione: Associazionismo giudiziario
Rivolgere l’obiettivo verso ciò che sta accadendo nella magistratura associata, il ruolo che l’associazionismo giudiziario sta in concreto svolgendo e il modo in cui viene percepito anche all’esterno è, oggi, più che opportuno indispensabile, soprattutto per una Rivista, come la nostra, animata in larga parte da magistrati che di quella straordinaria esperienza sono figli.
Esperienza straordinaria sia perché unica al mondo (in nessun altro Paese l’associazionismo dei magistrati ha avuto caratteristiche, vitalità e fecondità paragonabili a quella italiana), sia perché ha il merito storico di aver accompagnato la magistratura italiana, sotto la spinta iniziale di Magistratura democratica, verso la progressiva assimilazione dei valori e dei principi della Costituzione repubblicana, che oggi possono dirsi patrimonio comune.
L’autocompiacimento, tuttavia, finisce qui e lascia il campo alla preoccupata considerazione di una grave crisi, che riguarda tutte le espressioni della magistratura associata e in particolare Md.
Interrogarsi sulle cause di questa crisi e sui possibili rimedi è quindi doveroso. Ed ha senso farlo in una sede, come questa Rivista, che si caratterizza, crediamo, come luogo di confronto aperto, scevro da intenzioni propagandistiche ed anzi disponibile ad accogliere, all’occorrenza, anche l’autocritica.
La storia dell’associazionismo giudiziario italiano (le cui linee essenziali sono riferite in due contributi di questo obbiettivo) ci restituisce l’immagine di un movimento che ha saputo, in particolare, liberare la magistratura italiana dalla sua impostazione burocratica e gerarchica, realizzando il disegno egualitario della Costituzione (art. 101 cpv.: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge»; art. 107, terzo comma: «I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni») concepito per dare ai cittadini la garanzia di giudici sine spe ac metu e perciò indipendenti e imparziali, e ha saputo anche difenderne efficacemente l’indipendenza esterna.
È avvenuto, tuttavia, in particolare nell’ultimo ventennio, sotto l’urgenza di una necessaria autodifesa a fronte di incessanti attacchi portati da ampi settori del potere politico, che non siano state adeguatamente contrastate le tendenze, pure presenti in magistratura, a dare dell’indipendenza una interpretazione corporativa e deresponsabilizzante; o a dare dell’impegno per la legalità una interpretazione talvolta marcatamente “sostanzialistica” con cadute di attenzione al rispetto delle regole e delle garanzie processuali. E, soprattutto, è avvenuto che l’autogoverno abbia non di rado reso evidenti pratiche clientelari e lottizzatorie che hanno generato un diffuso malcontento, humus naturale per fenomeni di critica radicale, sovente connotata da toni marcatamente populistici e capace di alimentare a sua volta, paradossalmente, istanze di sindacalismo neocorporativo.
Da un’analisi siffatta non sembrano discostarsi, sostanzialmente, i contributi che compongono il presente obiettivo, provenienti da vari punti di vista: da quello interno alla magistratura, a quello esterno accademico o giornalistico.
Di particolare interesse è la testimonianza di due giovani magistrati, formatisi assai lontano dalla temperie degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso in cui il fenomeno associativo in magistratura è esploso in tutta la sua vivacità, e portatori, perciò, di un punto di vista originale e da tenere in attenta considerazione, perché da quel punto di vista va guardato, oggi, il futuro della magistratura e del suo associazionismo. Si percepisce, dalla loro testimonianza, il senso di una «distanza» (così espressamente la definisce uno di loro) da tale fenomeno, che può sfociare in totale indifferenza, ma può anche essere colmata se a quei giovani, comunque (e dichiaratamente) bisognosi di conoscenza e di figure di riferimento, si riesca a dare messaggi ed esempi positivi: insomma idee forti, progetti e persone in grado di incarnarli con coerenza.
Magistratura democratica, come accennato, non è esente dalla crisi generale dell’associazionismo giudiziario, di cui vive anzi con maggior sofferenza le contraddizioni. Nata come opposizione all’establishment, col tempo e grazie al successo della propria iniziativa ha assunto a sua volta, con propri esponenti, responsabilità di gestione; l’esercizio delle quali, tuttavia, nella direzione degli uffici e soprattutto nell’autogoverno, col tempo ha perso coerenza con la sua vocazione “alternativa”, mostrandosi troppo spesso subalterno alle logiche correnti dell’esercizio del potere. L’aggregazione del consenso, inoltre, in difetto di proposte nuove e coinvolgenti, ha preso a privilegiare sempre più la via dei legami puramente territoriali o personalistici.
Magistratura democratica ha scelto, nei suoi ultimi due congressi, di raccogliere la sfida del cambiamento investendo nella nuova aggregazione di Area. Ciò comporta, inevitabilmente, un profondo mutamento del suo modo di essere, sin qui caratterizzato non solo dall’apertura alla società civile e dal solido radicamento nella magistratura, ma anche dalla diretta assunzione di responsabilità nell’autogoverno e nell’Associazione nazionale magistrati, ora invece riservata alla nuova aggregazione.
Ciò può essere riguardato come mero ridimensionamento oppure come un’opportunità, per Magistratura democratica, di esprimere più liberamente la propria iniziativa sul terreno della critica e della elaborazione politico-culturale con riguardo ai temi dell’autogoverno e associativi, nonché a quelli dei diritti fondamentali, delle garanzie, dell’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini, legati al quotidiano lavoro dei magistrati e rientranti nella sua storica vocazione.
Alla scelta del proprio futuro il gruppo si accinge, per delibera del Consiglio nazionale del 13 dicembre 2015, sia con il varo di un’apposita Commissione, ampiamente rappresentativa, incaricata di elaborare proposte di modifica statutaria, sia sollecitando il più ampio dibattito tra gli iscritti.
Le pagine di questo obbiettivo gioveranno anche a tale dibattito.