Quali interventi per l’efficienza del processo civile: errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
A proposito di due punti del disegno di legge delega presentato dal Governo l’11.3.2015
L’autore nella prima parte del suo intervento tratta le questioni concernenti il modello e la struttura del processo di cognizione ordinario e rileva che in ordine al processo di cognizione di primo grado il principio/criterio direttivo contenuto nella delega è generico e tale da non consentire alcuna ragionevole previsione circa il contenuto delle future norme delegate, ricavabile solo dalla lettura della relazione. Nel merito delle scelte operate dalla relazione (e non dal ddl) nega decisamente che ci si possa attendere alcuna “accelerazione evidente” dei tempi processuali in dipendenza delle modifiche proposte. Ed in ciò richiama l’esperienza, rimossa dal legislatore, del cd rito societario di cui al dlgs n. 5/2003. Secondo l’autore lo scambio di atti difensivi, anticipati rispetto alla comparizione dei difensori avanti al giudice è inefficiente costoso ed inutile. Ma segnala che tutta l’impostazione della Relazione al ddl dimostra la sua lontananza dalle aule giudiziarie di primo grado, appare volta a consolidare le prassi meno efficaci in termini di tempi complessivi di definizione, enfatizzando una trattazione scritta “anticipata” e “obbligata”, trascurando il pregio di una conduzione della trattazione orientata alla formazione progressiva della decisione, nel dialogo tra parti e giudice.
Nella seconda parte invece, ove la delega ha un contenuto effettivo, Riva Crugnola analizza nel dettaglio le proposte di modifica della disciplina del Tribunale delle imprese e alcune sue criticità in relazione alle quali formula puntuali osservazioni anche propositive.
1. Il ddl di «Delega al governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile» attualmente all’esame del Senato della Repubblica (Atto Camera n. 2953) prevede all’art.2 delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi «recanti il riassetto formale e sostanziale del cpc e della correlata legislazione speciale, mediante novelle al cpc e alle leggi processuali speciali, in funzione degli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile», formulando poi in particolare quanto al processo di cognizione di primo grado il principio/criterio direttivo di cui al successivo punto a) 2): «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela, al fine di garantire la ragionevole durata del processo, in particolare mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione nonché la rimodulazione dei termini processuali e del rapporto tra la trattazione scritta e la trattazione orale».
Tutti i primi commenti hanno sottolineato la genericità dei principi e criteri direttivi di cui all’art.2, il cui testo è «a tal punto generico da non consentire alcuna ragionevole previsione circa il contenuto delle future norme delegate»[1], contenuto in realtà ricavabile solo dalla lettura della relazione tecnica, con conseguente «lampante violazione dell’art. 76 Cost.»: l’evanescenza delle direttive è particolarmente evidente quanto al principio direttivo sub a) 2), la cui amplissima formulazione consente di per sé qualsiasi scelta di disciplina da parte del legislatore delegato.
Le finalità della delega, non tradotte in principi e criteri direttivi , sono invece ricavabili solo dalla Relazione al ddl (cfr. pagg. 15 e ss), ove si fa riferimento al progetto a suo tempo elaborato dalla commissione Vaccarella e ad una sua «razionalizzazione» nel senso che «lo scambio delle memorie, oggi previsto come appendice scritta dopo l’udienza di trattazione, avvenga prima della stessa», con la precisazione che «la prima memoria sarebbe di sola pertinenza dell’attore, a cui poi farebbe seguito la replica del convenuto» e che «contemporaneamente al maturare delle preclusioni assertive e istruttorie dovrà intervenire la preclusione per la contestazione ex art.115 secondo comma cpc».
Le considerazioni della Relazione sulla “accelerazione evidente” dei tempi processuali in dipendenza delle modifiche proposte si scontrano con i dati dell’esperienza, in particolare relativa al cd rito societario di cui al dlgs n. 5/2003, abrogato nel 2009 si può dire “a furor di popolo” e non rimpianto da alcuno, rito nel quale era stato appunto trasfuso, anticipandolo per lo specifico settore di applicazione, il progetto di riforma generale del cpc elaborato dalla commissione Vaccarella.
La macchinosità di un processo nel quale gli scambi difensivi si svolgano anticipatamente rispetto alla comparizione dei difensori avanti al giudice si è in particolare mostrata in tutti i suoi inconvenienti in riferimento ai processi con più di due parti, nei quali eventi “patologici” relativi, ad esempio, alla instaurazione del contraddittorio o alla individuazione del giudice sono più probabili e nei quali dunque si accentua il rischio di scambi difensivi costosi ma del tutto “inutili” prima dell’intervento del giudice istruttore correttivo della “patologia”; ben può dirsi quindi che l’esperienza di un rito con scambi scritti “anticipati” quale quello adottato e poi abrogato per le controversie societarie sconsigli ancora e di nuovo la reintroduzione -sia pure attenuata come è prospettata nella Relazione al ddl - di tale soluzione processuale, la quale, a fronte di un apparente “risparmio di tempo”, comporta in realtà un continuo rischio di attività “inutili” e di regressioni del processo a fasi preliminari.
Oltre a tale considerazione dettata si può dire da una infelice esperienza, va poi segnalato che tutta l’impostazione di cui alla Relazione al ddl dimostra la lontananza del legislatore (melius della sua Relazione) dalle aule giudiziarie.
Si pensi alla lettura deformata offerta al fenomeno del differimento del giorno di decorrenza dei termini di cui all’art. 183 VI comma cpc, attribuito maldestramente alla volontà dei giudici di differire l’udienza di decisione sulle prove e non invece alle necessità di agenda dei difensori, inutilmente compressi dai termini decorrenti dalla udienza precedente quando l’udienza successiva è, per ragioni di agenda del giudice necessariamente, lontana dalla scadenza dei termini (si legge erroneamente nella Relazione che tale arco di tempo andrebbe risparmiato con la riforma).
Non è così per il semplice fatto che non sono i segmenti dilatori a procrastinare la definizione del processo ma il peso specifico delle singole attività del giudice: è il processo che aspetta il giudice e non viceversa.
Ma è l’intera Relazione al ddl a prendere le mosse da prassi processuali tuttora presenti presso vari tribunali e consistenti, sostanzialmente, nello svolgimento della udienza di trattazione senza alcuno studio preventivo della causa da parte del giudice che si limita alla assegnazione di termini, il tutto in pieno contrasto con i caratteri di oralità e concentrazione prescritti dal codice processuale vigente: caratteri sviluppati invece da altre prassi di trattazione, a loro volta diffuse presso molti tribunali, prassi queste ultime che prevedono -anche grazie all’ausilio di collaboratori del giudice quali i tirocinanti ex art. 73 dl n. 69/2013 ed altri stagisti- lo studio della causa fin dalla prima udienza da parte del giudice, in grado quindi di dirigere fin da tale udienza il dialogo processuale, attraverso rilievi d’ufficio, decisioni sulla provvisoria esecuzione dei decreti ingiuntivi opposti, indicazione alle parti dei punti nodali della controversia, degli orientamenti di sezione e di soluzioni conciliative ovvero attraverso provvedimenti in tema di mediazione delegata previa analisi dei cd indici di mediabilità. Prassi queste ultime cui consegue non solo la selezione del thema decidendum (e, quindi, la “semplificazione” della lite) ma anche un alto numero di definizioni non con sentenza ma “in altro modo”, con un effetto esponenziale sui tempi di definizione medi delle controversie: il tutto, frequentemente, senza necessità di deposito di memorie ulteriori rispetto agli atti introduttivi e, dunque, con ulteriore effettivo “risparmio” di adempimenti e di costi processuali.
Sicché, rispetto a queste due contrapposte modalità di trattazione, la riforma proposta nella Relazione al ddl si limita a consolidare le prassi meno efficaci in termini di tempi complessivi di definizione, enfatizzando una trattazione scritta “anticipata” e “obbligata”, così introducendo un serio ostacolo alle prassi fondate su di un intervento del giudice volto fin dalla prima fase del processo -in presenza di un contraddittorio ancora “essenziale”- a soluzioni della controversia anche alternative alla sentenza.
Ai giudici di primo grado appare di solare evidenza che la previsione del deposito di memorie anticipate rispetto alla prima udienza costituisca un costo aggiuntivo fisso che si riversa sulle parti e sulla gestione del processo senza alcun beneficio per la selezione della materia del contendere.
Mentre un buona conduzione della trattazione richiede un’attività orientata alla formazione progressiva della decisione nel dialogo permanente tra parti e giudice in funzione anche maieutica, viceversa il dialogo lasciato alle sole parti come schermaglia realizzata con il mero scambio di atti scritti ha rivelato tutta la sua inefficienza dialettica e la sua antieconomicità funzionale, sia in termini di tempo che di appesantimento delle argomentazioni.
Simili interventi di riforma meramente processuale paiono quindi, come del resto già segnalato da molte voci[2], non utili ed anzi dannosi ai dichiarati fini di “speditezza” dei processi civili, per i quali ben più risolutive potrebbero essere misure -già da tempo richieste dall’avvocatura e dalla magistratura- di attuazione delle norme sull’ufficio del processo (art.16 octies del dl n. 179/2012, come introdotto dal dl n.90/2014) che in particolare prevedano -sulla scorta della positiva esperienza del tirocinio formativo ex art.73 dl n.69/2013- l’introduzione di figure stabili di “assistenti del processo” destinate a collaborare con il giudice nella trattazione concentrata e dialogata delle controversie civili: figure stabili, va aggiunto, delle quali non sembra esservi traccia neppure nella recentissima decretazione ministeriale in tema di Ufficio per il processo[3], riguardante la mera ricognizione della situazione esistente in termini di personale di cancelleria, giudici ausiliari e got, tirocinanti ex artt.73 dl n. 69/2013 e37 dl n.98/2011 (decreto 1.10.2015), nonché la regolamentazione delle borse di studio destinate ai tirocinanti ex art. 73 cit. (decreto 15.10.2015)e, infine, la previsione di un ulteriore periodo di perfezionamento per gli stagisti ex art.37 cit., periodo da svolgersi, «in via prioritaria a supporto dei servizi di cancelleria» (decreto 20.10.2015).
2. Se il commento alla direttiva fin qui esaminata può ridursi alla sintesi errare humanum est, perseverare autem diabolicum, le previsioni del disegno di legge delega in tema di cd Tribunale delle imprese richiedono una analisi più dettagliata.
L’art. 1 del ddl prevede delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi «recanti l’integrazione della disciplina del Tribunale delle imprese», prevedendo poi sub a) 1) e 2) principi e criteri direttivi che si risolvono nello “ampliamento” e nella “razionalizzazione” della competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa.
Quanto alla direttiva sub a) 1) -«ampliamento della competenza delle esistenti sezioni specializzate in materia di impresa, mantenendone invariato il numero e modificandone la denominazione in quella di sezioni specializzate per l’impresa e il mercato»- il ddl conferma dunque l’impianto della novella del 2012 al dlgs n. 168/2003, con il dichiarato intento di «consolidare i positivi risultati raggiunti»[4]: a tal fine la Relazione al ddl esclude «qualsiasi ampliamento delle competenze che possa comportare il rischio di despecializzazione dei giudici delle sezioni specializzate», dando poi rilievo, quanto alla razionalizzazione di cui alla direttiva sub2), alla «natura del rapporto dedotto in giudizio e quindi l’elevato tasso tecnico delle relative controversie e la potenziale rilevanza delle questioni per l’economia del Paese, caratteristiche senz’altro riscontrabili nei rapporti che attengono alla proprietà intellettuale, in quelli che attengono alla concorrenza, anche per i riflessi che possono produrre le distorsioni del mercato sugli interessi dei consumatori, nei rapporti che attengono alle regole interne di funzionamento delle società, che sono le protagoniste dinamiche del mercato, stante il ruolo ormai marginale dell’impresa individuale»[5].
Quanto alle specificazioni di cui alla direttiva sub a) 2), è previsto che la «razionalizzazione delle disciplina della competenza per materia» debba essere realizzata dal legislatore delegato attraverso una estensione della competenza delle SSI che non sempre appare coerente con le premesse di cui alla Relazione.
In particolare:
le controversie indicate ai punti 2.1), 2.2), 2.4) riguardano materie -concorrenza sleale non interferente, pubblicità ingannevole, accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi- omogenee o contigue rispetto all’attuale sfera di attribuzioni delle SSI per le quali l’ampliamento della competenza delle SSI appare opportuno e coerente con il disegno di cui alla Relazione;
le controversie indicate al punto 2.3) -azione di classe a tutela dei consumatori di cui all’art. 140bis del codice del consumo - sono già oggetto di una disciplina processuale specifica prevedente, tra l’altro, una concentrazione di competenza per territorio modulata secondo parametri diversi da quelli di cui al dlgs n. 168/2003: il disegno unitario di cui alla direttiva appare quindi opportuno sotto il profilo processuale e sotto il profilo degli interessi coinvolti, ma comporta rischi di despecializzazione, in quanto le azioni di classe possono riguardare qualsiasi materia (ad es. rapporti bancari, di intermediazione finanziaria, di somministrazione) e in particolare materie che sono già oggetto di altra “specializzazione tabellare” in molti tribunali sedi di SSI;
le controversie indicate al punto 2.5) -attinenti ai casi già previsti dal dlgs n. 168/2003, art.3 comma secondo, ma in relazione alle società di persone, non contemplate dal legislatore del 2012 - riguardano materia di per sé societaria: l’ampliamento della competenza delle SSI non ha quindi inconvenienti sul piano della specializzazione (e, infatti, in molti tribunali sede di SSI le controversie in materia di società di persone sono tabellarmente affidate, a livello circondariale, alla SSI), ma si presta a critiche sotto il profilo della prossimità, trattandosi di controversie normalmente relative a imprese di dimensioni molto contenute (piccoli esercizi commerciali, ambulanti, artigiani e simili), per i cui soci la concentrazione di competenza nel tribunale “regionale” e il connesso raddoppio dei costi di accesso alla giustizia può apparire ingiustificatamente penalizzante, senza che a tali inconvenienti sia connessa una effettiva potenziale rilevanza delle controversie «per l’economia del Paese»;
le controversie indicate al punto 2.6) riguardano la materia dei «contratti pubblici di lavori, servizi, forniture», così richiamandosi la definizione generale di cui all’art.3 dlgs n. 163/2006, senza più ancorare la competenza delle SSI alla natura di appalto del contratto pubblico, alla sua rilevanza comunitaria e all’essere l’imprenditore coinvolto in una società: ciò comporta una estensione dei casi già previsti dal dlgs n. 168/2003, art.3 comma secondo lettera f), rispetto ai quali è stata da tempo sottolineata da quasi tutti i commentatori l’eccentricità della competenza delle SSI, trattandosi di materia del tutto disomogenea rispetto a quelle “endosocietaria” e “industrialistica” e il cui affidamento alle SSI comporta quindi un «rischio di despecializzazione»[6]: il mantenimento e, anzi, l’ampliamento della competenza delle SSI appare quindi del tutto incoerente con le premesse di cui alla Relazione al ddl, semmai potendosi pensare, per tutta la materia in particolare degli appalti pubblici, a un ampliamento della competenza esclusiva della giustizia amministrativa, risolutivo anche di questioni di giurisdizione che tuttora travagliano il settore.
La successiva direttiva sub a) 3) prevede poi in primo luogo il mantenimento e il rafforzamento della riserva di collegialità, così confermando la scelta del legislatore del 2012, senza peraltro che né nel testo del ddl né nella relazione sia ricavabile in quali aree possa prodursi il “rafforzamento” di collegialità, così ancora una volta la delega lasciando del tutto aperte le possibili scelte del legislatore delegato in un settore in realtà cruciale quanto alla stessa “efficienza” del processo: si pensi alle conseguenze disfunzionali - in termini di tempi processuali, di impegno dei giudici addetti e di organizzazione delle SSI - di scelte che estendano la riserva di collegialità, ad esempio, ad alcune fasi della trattazione del procedimento contenzioso ovvero alla trattazione/decisione dei procedimenti cautelari. Quanto alle scelte di rafforzamento della collegialità ipotizzabili in senso invece “virtuoso” appare auspicabile una direttiva specifica prevedente la reintroduzione, per le sole cause riguardanti impugnazione di delibere societarie, di una ipotesi di giudizio abbreviato secondo il modello dell’abrogato art.24 dlgs n. 5/2003 (cd passerella al merito), con passaggio dalla fase cautelare (riguardante istanza per la sospensiva della delibera ex art. 2378 cc) alla fase di discussione avanti al collegio con pronuncia di sentenza contestuale.
In secondo luogo la direttiva sub a) 3) prevede la nuova figura degli «esperti nelle materie della ragioneria, della contabilità, dell’economia e del mercato» da iscriversi in apposito albo istituito presso ciascuna SSI, «con possibilità di iscrizione anche di dipendenti della Banca d’Italia e di autorità indipendenti», esperti i quali possano essere designati da parte del «presidente della sezione» «a supporto conoscitivo e valutativo del collegio giudicante relativamente alle materie diverse da quelle giuridiche», con previsione che «detti esperti possano essere ascoltati anche nell’udienza pubblica in contraddittorio con le parti», con costi a carico delle parti: si tratta di una disciplina che pare del tutto sovrapponibile a quella in tema di consulente tecnico, per il quale gli artt. 61, 62, 194, 197 cpc già prevedono la possibilità di essere chiamato (dal giudice istruttore o dal presidente del collegio) ad assistere alle udienze, a fornire chiarimenti, nonché «ad esprimere il suo parere in camera di consiglio in presenza delle parti» (art.197 cpc), e quindi del tutto superflua, salvo per la introduzione, di dubbia costituzionalità, di un singolare potere di ingerenza del «presidente della sezione» anche rispetto a processi nei quali -come spesso accade nelle SSI organizzate su più collegi- egli non fa parte del collegio giudicante.
[1] Così B. Capponi nel commento al ddl reperibile in http://questionegiustizia.it/articolo/il-d_d_l_n_2953cxvii-delega-al-governo-recante-disposizioni-per-l-efficienza-del-processo-civile_31-03-2015.php. Nello stesso senso il comunicato della Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile del 13.3.2015 nonché G. Scarselli nel commento al ddl reperibile sempre in www.questionegiustizia.it (http://questionegiustizia.it/articolo/note_critiche_sul-nuovo-schema-di-disegno-di-legge-delega-al-governo-per-l-efficienza-del-processo-civile_02-03-2015.php).
[2] Per tutti da ultimo cfr. P. Biavati, Note sullo schema di disegno di legge delega di riforma del processo civile, in RTDPC n.1 2015: «Come è noto a chiunque abbia un minimo di esperienza della concreta giustizia civile italiana,le cause del cattivo funzionamento del processo civile dipendono, in modo del tutto prevalente, da problemi strutturali ed organizzativi della macchina giudiziaria. L’efficacia di una vera riforma si misura da quanto incide su questi aspetti».
[3] Cfr. i decreti 1.10.2015, 15.10.2015 e 3.11.2015 pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale rispettivamente il 2 e il 4 novembre scorso.
[4] così la Relazione al ddl, p.7.
[5] così la Relazione al ddl, p.8.
[6]Così si esprime, testualmente, la Relazione al ddl, p.9, nella quale poi il ragionamento si interrompe bruscamente senza dare alcun conto delle ragioni del mantenimento della disciplina criticata.