È un privilegio raro parlare con un uomo che ha incontrato nella propria vita, non solo da testimone ma da protagonista, eventi centrali della nostra vita nazionale, dagli anni ‘40 fino ad oggi. Lo ha compreso bene Francesco Campobello, giovane storico torinese, che ha scelto di intervistare in questo bel libro Carlo Smuraglia, partigiano, politico, avvocato, professore, che è giunto all’ età di 94 anni in piena acutezza di pensiero ed entusiasmo di spirito. Realizzando, in tal modo, qualcosa che, ben più di una semplice intervista, è un felice dialogo intergenerazionale.
Non è una biografia tiene a precisare del libro Smuraglia, evidentemente alieno da autocelebrazioni ma sono i fatti a parlare da soli della sua dirittura morale e del suo spirito costituzionale che non di rado lo hanno portato a scelte impegnative e difficili.
Già l’esordio è fulminante: l’8 settembre del 1943 lo trova pronto alla vita partigiana, sentita tanto essenziale da non essere abbandonata neppure quando nel 1944 la sua città natale, Ancona, viene liberata e dunque gli offrirebbe un naturale ritorno alla vita normale: il giovane Smuraglia avverte come essenziale arrivare a liberare Venezia insieme ai suoi compagni prima che vi arrivino le truppe alleate, rivelando così la piena consapevolezza della importanza per l’Italia della propria autoliberazione dall’occupante tedesco. È in questa piena consapevolezza del valore della Resistenza che egli oggi dice che l’8 settembre non fu, come dicono altri, la fine della patria, ma, anzi, il risorgere della nazione.
Il racconto degli eventi si snoda fino al dicembre 2016 quando, da presidente dell’Anpi, Smuraglia dà, dopo un intenso lavoro di confronto interno, il suo contributo generoso alla campagna referendaria per il No alla modifica costituzionale. È una sorta di chiusura del cerchio che unisce la sua lotta partigiana giovanile all’impegno politico ancora una volta partigiano in un momento in cui egli sente attaccata la Costituzione nata dalla Resistenza.
Fra questi due estremi (1943-2016) si dipana tutta la sua vita, punteggiata di esperienze importantissime a livello nazionale.
Cominciamo con lo spirito antifascista, che lo porta a ripudiare sempre l’accostamento e la pacificazione proposti da qualcuno fra i partigiani e i fascisti della repubblica di Salò: sta a ricordarcelo la festa nazionale del 25 aprile che ancora oggi segna − e per sempre − la differenza. Ciò non significa coltivare l’odio verso i fascisti ma non dimenticare chi stava sul versante giusto e chi sullo sbagliato. Questa tentazione di pacificazione, secondo Smuraglia, nasce dalla incapacità dimostrata dal popolo e dalle istituzioni italiani di fare fino in fondo i conti col proprio passato fascista. Diversamente da altri popoli, come quello tedesco, dimostratosi impegnato a mantenere il ricordo delle atrocità commesse: fu proprio il governo tedesco a finanziare un’iniziativa dell’Anpi, cioè la redazione di un Atlante delle stragi commesse in Italia dai nazisti e dai fascisti; furono due presidenti della Repubblica tedesca a venire in Italia a chiedere scusa alle popolazioni che avevano subìto gli eccidi di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto. Questa incapacità italiana di elaborare fino in fondo il proprio passato favorisce, secondo Smuraglia, non tanto il ritorno del vecchio fascismo nostalgico quanto piuttosto forme di totalitarismo nuove, razziste, sovraniste, nere, che propugnano l’arrivo di un uomo forte al comando, che semplifichi i problemi e dia risposte forti e apparentemente risolutive. Smuraglia avverte tutta l’urgenza di contrastare questi fenomeni, ma non individua la strumentazione adatta nella mera contrapposizione politica quanto piuttosto nella crescita culturale dell’intera popolazione: da qui il suo impegno nella scuola e nelle iniziative dell’Anpi per tenere sempre vivo il ricordo della nostra storia: d’altra parte, egli ricorda che la legge Scelba del 1952 attribuisce alla Repubblica il proprio il compito di insegnare nelle scuole che cosa è stato il fascismo.
Smuraglia politico è iscritto al Pci dal 1943 al 2002 e occupa per dieci anni i banchi del Senato della Repubblica, a lungo come presidente della Commissione Lavoro (materia che egli coltiva in parallelo come professore e come avvocato), autore di disegni di legge per migliorare le condizioni dei lavoratori in fabbrica, disegni poi arenatisi alla Camera.
Il ’68 lo coglie professore universitario nella disciplina di Storia dei movimenti sindacali e dunque testimone interessato da vicino alle nuove tendenze antiautoritarie studentesche: si dimostra interessato al dialogo ma irremovibile nel non ammettere il voto politico e gli esami collettivi. A testimoniare il suo interesse per le nuove istanze sta la decisione di difendere, quale avvocato, degli studenti accusati di aver affrontato violentemente un altro docente universitario: la decisione non è ovviamente facile e gli comporterà un certo ostracismo nell’ambiente accademico.
Dal 1986 al 1990 è consigliere del Csm, sotto la presidenza della Repubblica di Francesco Cossiga che lo avversa tanto da partecipare alla votazione che gli nega l’elezione a vicepresidente; nel ruolo di consigliere, Smuraglia fa istituire all’interno del Csm un Comitato antimafia per favorire una crescita della comprensione del fenomeno da parte della magistratura e dimostra come sempre una totale autonomia di giudizio votando a favore di Giovanni Falcone per la nomina a capo dell’ufficio istruzione di Palermo.
Smuraglia avvocato: difende negli anni ’50, con Lelio Basso, alcuni partigiani accusati di vari omicidi ottenendo di farli assolvere; difende gli studenti del caso La zanzara del 1966; si costituisce parte civile per i fatti di Reggio Emilia del 1960, per la morte di Giuseppe Pinelli del dicembre 1969, per la fuga di diossina avvenuta a Seveso del 1976, per il sequestro di persona e l’omicidio di Cristina Mazzotti, rapita dalla ‘ndrangheta nel 1975. Tutti processi che hanno scandito la storia dell’intero Paese e che lo vedono schierato sempre sul versante della difesa dei diritti e della supremazia dei principi costituzionali.
Fra le sue straordinarie esperienze di vita va anche annoverata quella di aver fatto parte, nel 1977, con Marcello Gallo e Alberto Dall’Ora, dell’organo di pubblica accusa nel processo innanzi alla Corte costituzionale nei confronti dei ministri Mario Tanassi e Luigi Gui per l’affare Lockheed.
Davvero una vita fuori dalla norma.
Esiste un filo rosso che unisce tutte queste esperienze: è il patriottismo antifascista e costituzionale che gli fa vedere la Carta come il frutto più maturo e lungimirante della Resistenza ed anche quello cui rifarsi nei momenti di difficoltà. Ed è appunto ispirandosi a questo sentimento che egli ha ancora oggi, in un panorama desolante sul piano politico ed economico, un indomito ottimismo della volontà: alla domanda sconsolata di Campobello su come possa essere oggi speranzoso di miglioramenti risponde: «Lo eravamo dopo la fine della guerra quando vi era tutto da ricostruire. Perché non dovremmo esserlo oggi?».