Una norma del “decreto del fare”, contenuta nel titolo dedicato alle “semplificazioni”, e più precisamente alle “misure per la semplificazione amministrativa”, riformula un articolo del Testo unico ambientale, il 243, in materia di “gestione delle acque sotterranee emunte”, in questi termini: “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all'eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione [….]”
La norma, nella sua tensione “semplificatrice”, d'emblée abbatte come birilli una serie di disposizioni costituzionali, nell’ordine:
1) I’art. 2, che statuisce il principio “personalistico” della Costituzione, ossia quello per il quale “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” In pratica, afferma la Carta, la persona e i suoi diritti inviolabili vengono prima di tutto il resto; anche prima dei bilanci delle corporations che contaminano le acque di falda. E tra quei diritti inviolabili non pare forzatura interpretativa di conio bolscevico rinvenire anche quello alla salute.
2) l’art. 9, che prevede la tutela del paesaggio, e che, insieme all’art. 32, è stato ritenuto la base costituzionale del cosiddetto “diritto all’ambiente salubre” (“L'ambiente é protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che é necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; é imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto.”, Corte Cost. n. 6411987).
3) l’art. 41, c. 2, per cui “L’iniziativa economica privata [….] Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” Quanto possa esser compatibile con “l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana” il lasciare tranquillamente in essere la “fonte di contaminazione” delle acque di una collettività lo si lascia valutare a chi legge.
4) l’art. 42, c. 2, per il quale “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.”
5) e infine, dulcis in fundo, l’art. 32, c. 1, che sancisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”.
Su quest’ultimo precetto costituzionale e sul suo rapporto non proprio armonioso con la mirabile norma del “decreto del fare” in esame, pare francamente superflua ogni glossa.
Addirittura nel testo di legge sopra riportato non si prende in considerazione un generico “rischio ambientale” (che pure, come dovrebbe esser ormai acquisito, “qualche effetto” sulla salute pubblica di solito lo comporta); si fa, invece, espresso riferimento, con meritoria sincerità, ad una “situazione di rischio sanitario”.
In pratica, chi ha redatto il decreto in sede governativa e chi lo approverà in ambito parlamentare non potrà neanche intorbidare le acque (per rimanere in tema) con i consueti approcci sulla residualità delle questioni ambientali e sulla loro recessività di fronte alle sacre istanze dell’economia e della crescita; chi ha ideato questa norma e chi la voterà sa e saprà benissimo che essa incide direttamente su un “rischio sanitario”, ossia sulla salute e sulla malattia delle persone che vivono in un dato territorio.
Sulla loro vita e sulla loro morte.
Ed il legislatore, quello governativo e, poi, quello parlamentare, non potranno neanche accampare l’altrettanto bolso alibi per cui “ce lo chiede l’Europa”. Perché se c’è una cosa che chiede l’Europa è che “chi inquina paghi” (art. 191 Trattato di Lisbona).