1. La questione: la mediazione quale condizione di procedibilità e compenso del difensore a carico dello Stato
Per comprendere il contesto in cui si colloca la decisione in commento pare opportuno ricordare quale sia, su un piano più generale, la questione che si pone nei rapporti tra mediazione e patrocinio a spese dello Stato: ci si chiede se il compenso professionale dell’avvocato che ha assistito una parte nella procedura di mediazione, possa essere posto a carico dello Stato. Questione particolarmente rilevante quando la mediazione sia prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Va premesso che la questione non è espressamente affrontata nella disciplina in materia di mediazione. L’art. 17 d.lgs n. 28/2010, al comma 5-bis, infatti, prevede che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2, all’organismo non sia dovuta nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi dell’art. 76 del t.u. sulle spese di giustizia (dPR n. 115/2002). A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, nonché a produrre la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato. L'unica previsione riguarda, dunque, l'indennità che sarebbe dovuta all'organismo; per quanto concerne il compenso all'avvocato, che deve obbligatoriamente assistere le parti nelle fasi di mediazione (almeno secondo l’interpretazione prevalente; v. art. 5 e 8 d.lgs n. 28/2010), nulla è previsto espressamente.
Occorre dunque richiamare il complessivo quadro normativo di riferimento, il quale non può che partire dall’art. 24 Cost.: dopo aver previsto, al primo comma, il diritto di agire a difesa dei propri diritti e interessi legittimi, si afferma, al secondo comma, che «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» Il terzo comma prevede, inoltre, che «sono assicurati ai non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione». Sul piano della legge ordinaria, l'art. 74 del dPR n. 115/2002 prevede l'istituzione del patrocinio per il non abbiente, assicurato per il processo penale, nonché per il processo civile, amministrativo, contabile, tributario e per gli affari di volontaria giurisdizione quando le sue ragioni non risultino manifestamente infondate. L'articolo 75 del medesimo dPR («Ambito di applicabilità») prevede al primo comma: «1. L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse».
2. Mediazione prevista come condizione di procedibilità seguita dal processo
La lacuna normativa sembra agevolmente colmabile in via interpretativa con riferimento al caso in cui, dopo la fase della mediazione, le parti instaurino il giudizio non avendo raggiunto un accordo sulla lite.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 24723 del 23 novembre 2011, ha riaffermato che il patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio non potendo coprire l’attività stragiudiziale. Con la pronuncia, tuttavia, la Corte, richiamando un proprio precedente, fa salva una nozione estesa di attività giudiziale perché afferma che «devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio» (sulla base di tale presupposto, nella precedente decisione, era stato riconosciuto dovuto il compenso per l'assistenza e l'attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo). Anche la pronuncia della Corte di cassazione del 19 aprile 2013, n. 9529 riconferma l'orientamento ricordato: l'attività professionale di natura stragiudiziale che l'avvocato si trovi a svolgere nell'interesse del proprio assistito, non è ammessa, di regola, al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'art. 85 del dPR 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui il relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia, «se tale attività venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è ricompresa nell'azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato ed il professionista non può chiederne il compenso al cliente ammesso al patrocinio gratuito, incorrendo altrimenti in responsabilità disciplinare». Dal principio affermato dalla S.C., si desume dunque che l’avvocato, il quale non può chiedere il compenso al cliente pena la sanzione disciplinare, deve poterlo chiedere allo Stato.
L’apertura della S.C. può agevolmente essere valorizzata e coordinata con la disciplina della mediazione prevista come condizione di procedibilità per alcune materie dal d.lgs n. 28/2010 perché, nei casi in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale la mediazione costituisce condizione di procedibilità) inizi o prosegua, l’attività dell'avvocato ben integra la nozione lata di attività giudiziale accolta dalla Corte, ossia di attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentazione e difesa in giudizio.
3. Mediazione prevista come condizione di procedibilità non seguita dal processo
Più problematico è il caso in cui la mediazione si sia conclusa con un accordo.
In tal caso non avrebbe svolgimento nessuna fase processuale nell’ambito della quale liquidare il compenso e non sarebbe possibile considerare il compenso per il difensore che ha assistito la parte in mediazione a carico dello Stato. Un tale risultato pare paradossale, dal momento che la liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione proprio quando il difensore ha probabilmente svolto al meglio le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in mediazione. E ciò anche se la mediazione è una tappa obbligatoria, come obbligatoria è l’assistenza dell’avvocato (art. 5, comma 1 bis e art. 8 d.lgs n.28/2010). Ne deriverebbe un risultato irragionevole e “di fatto” una sorta di disincentivo rispetto ad un istituto che invece il legislatore sta cercando di promuovere in vario modo.
Si è rilevato al riguardo che i legali potrebbero avvalersi della regola della solidarietà, ribadita dall'art. 13, comma 8 della legge forense (n. 247/2012). Il problema, tuttavia, è duplice. Sicuramente vi è l'esigenza di riconoscimento e remunerazione dell'attività difensiva: coloro che accennano alla solidarietà intendono rassicurare sulla esigibilità del credito professionale, se non dalla parte non abbiente, almeno dall'altra parte grazie al vincolo della solidarietà. Tuttavia, in tal modo si finisce pur sempre di riversare sui privati (il difensore[1] o la parte abbiente) un onere che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato. Se infatti quest'ultimo mostra, con una serie di interventi, un chiaro favore verso forme non giurisdizionali di tutela nell'intento di offrire più vie di soluzione dei conflitti (dalla disciplina della mediazione a quella su arbitrato e negoziazione assistita di cui al dl n. 132/2014), anche la disciplina dell'aiuto economico ai non abbienti non dovrebbe più essere limitata all'aiuto nella sede giudiziaria.
4. La giurisprudenza in materia prima della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2022
Prima della sentenza in esame, secondo alcune decisioni, anche nell’ipotesi indicata da ultimo si sarebbe potuti pervenire alla soluzione affermativa circa l’ammissibilità della liquidazione del compenso a carico dello Stato. Un'interpretazione sistematica e teleologica delle norme richiamate, si è detto, potrebbe far ritenere che l'art. 75 cit. comprenda sempre la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale[2]. Tale conclusione, rilevante anche per la mediazione demandata dal giudice ex art. 5, comma 2 d.lgs n. 28/2010, sarebbe stata sostenuta da alcune considerazioni. Si richiamava al riguardo il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva sul Legal aid, volta a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003), il quale prevede, all'art. 10, che «Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa». Si tratta di disposizioni che concernono le controversie transfrontaliere, ma si riteneva del tutto irrazionale e non conforme all’art. 3 Cost. che il cittadino potesse usufruire dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica. È significativo che il Consiglio Nazionale Forense, nella circolare n. 25 del 6.12.2013, abbia espressamente richiamato la direttiva sul Legal Aid che ammette al beneficio anche le spese legali sostenute nel corso delle procedure stragiudiziali per sostenere che l’assistenza dei legali, obbligatoria per la mediazione preprocessuale e quella demandata dal giudice, dovesse rientrare nel patrocinio a spese dello stato.
Inoltre, doveva ritenersi che la connessione tra fase mediativa e processo, dovesse essere riconosciuta già “in astratto”, quando la mediazione è condizione di procedibilità, anche se poi, “in concreto”, il processo non avrebbe più avuto luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto. Del resto, lo scopo della connessione voluta dal legislatore veniva esaltato proprio nel momento in cui il raggiungimento dell'accordo in mediazione aveva reso superfluo il successivo processo. Nel caso di accordo in mediazione, inoltre, si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio. In definitiva, secondo questo orientamento, la mediazione, quale condizione di procedibilità (o proseguibilità) del giudizio sarebbe sempre connessa e funzionale alla fase processuale anche se poi questa in concreto non fosse avviata.
In senso contrario a queste pronunce si erano pronunciati altri giudici, come Trib. Tempio Pausania, 19 luglio 2016 e Trib. Roma 11 gennaio 2018, secondo il quale l’onere in questione non sarebbe previsto da nessuna norma e il procedimento di mediazione, anche se obbligatorio, non sarebbe strumentale all’instaurazione di una controversia civile essendo semmai finalizzato ad evitarla. Si richiama anche l’art. 97 Cost. che impone di assicurare l’equilibrio di bilancio.
Anche la Corte di Cassazione, con la sentenza 31 agosto 2020 n. 18123, dalla liquidazione del patrocinio a spese dello stato quelle le attività volte per la mediazione non seguita da processo, dal momento che l’art. 74 t.u. spese di giustizia «postula l’intervenuto avvio della lite giudiziale», poiché «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento [...] civile»; la Corte ha poi espressamente precisato che siffatto limite non poteva essere superato in via interpretativa, pena lo sconfinamento «nella produzione normativa».
In una posizione ancora diversa rispetto alla questione si sono posti il Tribunale di Oristano, che, con ordinanza dell’8 luglio 2020 ha dubitato della legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 83, comma 2, del decreto del dPR. n. 115/2002, e il Tribunale di Palermo che, con ordinanza del 17 marzo 2021, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 74, comma 2, nonché dell’art. 75, comma 1, del medesimo dPR. Entrambi i tribunali hanno ritenuto che il tenore testuale delle norme citate precluderebbe la liquidazione del compenso al difensore quando al procedimento di mediazione non segua l’instaurazione del giudizio. Hanno entrambi ritenuto, tuttavia, con ampie argomentazioni, che questa conclusione comportasse la violazione dell’art. 3 e dell’art. 24, terzo comma, della Costituzione, escludendo la praticabilità̀ di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate. Secondo il giudice palermitano, inoltre, vi sarebbe stato anche contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., che sarebbe violato in quanto i difensori presterebbero «attività lavorativa obbligatoria gratuitamente».
5. La decisione della Corte costituzionale
Nel processo costituzionale l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che entrambi i giudici di merito non avevano compiutamente motivato sull’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme. Anche la violazione dell’art. 36, primo comma, Cost., sarebbe stata inoltre insussistente, in quanto l’assunzione della difesa della parte ammessa al patrocinio non sarebbe obbligatoria e, comunque, perché́ la relativa attività sarebbe svolta dall’avvocato solo occasionalmente.
Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha innanzitutto escluso che, alla luce del tenore testuale delle disposizioni denunciate, fosse possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata. Ha quindi dichiarato l’illegittimità̀ costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del dPR n.115/ 2002 nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività̀ difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’art. 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, del medesimo dPR., nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità̀ giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.
La Corte ha rilevato, quanto al canone della ragionevolezza, la palese irrazionalità dell’esclusione del patrocinio proprio quando il procedimento ha «raggiunto lo scopo deflativo prefissato dal legislatore» con il rischio, tra l’altro, che «i non abbienti e i loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire quindi comunque il giudice, all’unico scopo di ottenere, una volta introdotto il processo, le relative spese difensive». Questo «determinerebbe ulteriori irragionevoli ricadute di sistema per il sicuro aumento degli oneri a carico dello Stato, chiamato a sostenere anche i costi dello svolgimento del giudizio».
Ha ritenuto, inoltre, fondate le questioni sollevate anche in riferimento agli artt. 3, comma 2, e 24, comma 3 Cost. Quest’ultimo, infatti, prevedendo che «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», mira a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività̀ del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile». La Repubblica, d’altronde, ai sensi dell’art. 3, comma 2, ha l’obbligo di rimuovere gli ostacoli, che di fatto, per motivi economici, impediscono di compensare il difensore e quindi incidono sul diritto di difesa. La Corte affronta anche il nodo problematico del punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia. Nel caso in cui una determinata scelta legislativa giunge sino a impedire a chi versa in una condizione di non abbienza «l’effettività̀ dell’accesso alla giustizia, con conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale» (sentenza n. 157 del 2021), sono in gioco il «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo di cui ai primi due commi dell’art. 24 Cost.
È quindi naturalmente ridotto il margine di discrezionalità del legislatore, di per sé, particolarmente ampio nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 102 del 2021). Trattandosi di «spese costituzionalmente necessarie», inerenti, in senso lato, «all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016)» l’argomento dell’equilibrio di bilancio recede di fronte alla possibilità, per il legislatore, di intervenire, se del caso, a ridurre quelle spese che non rivestono il medesimo carattere di priorità: è anche in tal senso, che la Corte ha affermato nuovamente che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (sentenza n. 169 del 2017; in precedenza, sentenza n. 275 del 2016).
6. Alcune considerazioni in tema di pluralità dei sistemi di gestione dei conflitti
La sentenza della Corte si presta a diversi spunti di riflessione. Sicuramente uno dei più attuali e scottanti è quello relativo alla demarcazione del confine tra interpretazione costituzionalmente conforme e produzione di norme da parte dei giudici. A questo proposito, considerata l’ampiezza della discussione, rimando alle approfondite riflessioni svolte su questa Rivista nel n. 4 del 2020 su «La Corte Costituzionale nel XXI secolo». In questa sede, invece, preme soffermarci maggiormente su altri tre aspetti interessanti.
6.1 Ripensare il sistema del patrocinio a carico dello Stato
In primo luogo, si rileva che la sentenza non solo ripristina il rispetto dei parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), ma costituisce un importante tassello del mutamento in corso dei sistemi di soluzioni delle liti: ancorare l'aiuto dello Stato solo al patrocinio “in giudizio” è frutto di una visione superata, nella quale esclusivamente la giurisdizione statale era fonte di giustizia. Da molti anni le fonti europee ribadiscono che l'accesso alla giustizia non si riduce al "diritto a un tribunale", ma include l’accesso a procedimenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie che, in una prospettiva di “giustizia plurale”, si pongono in rapporto di complementarità rispetto alla giustizia giurisdizionale[3]. Se oggi la tutela dei diritti non è affidata solo alle procedure giudiziarie, perché il legislatore introduce differenti metodi (si veda anche il dl n. 132/2014 a proposito di negoziazione assistita e arbitrato), diviene un intervento indispensabile, sul piano della coerenza, ampliare l'aiuto economico da parte dello Stato passando dall’aiuto “giudiziario” all’aiuto “giuridico”, per chi ha bisogno di avere informazioni o consulenza legale o assistenza, in margine e al di fuori del processo (come nella maggior parte dei paesi europei).
Da questo punto di vista è tutto il sistema del patrocinio a spese dello Stato che dovrà essere ripensato in modo sistematico dal legislatore alla luce della disciplina di origine comunitaria e dovranno essere considerati anche i casi di mediazione facoltativa o di negoziazione assistita..
Per quest’ultima, in particolare, l’art. 3 d.l. n. 132/2014 si limita a stabilire che «quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda[4], all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato»: la norma appare tuttavia di dubbia costituzionalità, tenuto conto del carattere obbligatorio della procedura, proprio alla luce della sentenza in commento[5].
L’esigenza di ripensare il sistema del patrocinio per i non abbienti trova elementi di sostegno nell'ambito del diritto eurounitario (a partire dall’art. 47 della Carta di Nizza, secondo cui «a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia») e della disciplina con cui l'Italia ha recepito la direttiva europea sul Legal aid, volta a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003).
L’art. 3 di tale direttiva recita: «Art. 3. Diritto al patrocinio a spese dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una controversia ai sensi della presente direttiva, ha diritto a un patrocinio adeguato a spese dello Stato che le garantisca un accesso effettivo alla giustizia in conformità delle condizioni stabilite dalla presente direttiva. 2. Il patrocinio a spese dello Stato è considerato adeguato se garantisce: a) la consulenza legale nella fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un'azione legale; b) l'assistenza legale e la rappresentanza in sede di giudizio, nonché l'esonero totale o parziale dalle spese processuali, comprese le spese previste all'articolo 7 e gli onorari delle persone incaricate dal giudice di compiere atti durante il procedimento».
La direttiva estende inoltre il legal aid alle procedure stragiudiziali (art. 10)[6].
Il d.lgs 27 maggio 2005, n. 116, che ha recepito la direttiva, prevede all'art. 10 che «Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa».
Per quanto concerne la mediazione facoltativa e anche la negoziazione assistita, vale ricordare anche quanto dispone l’art. 6, comma 2, del d.lgs n. 116/2005: il patrocinio a spese dello Stato garantisce anche «la consulenza legale nella fase conciliativa precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un'azione legale». L’irragionevolezza della distinzione del non abbiente che abbia a che fare con una lite domestica rispetto a quello che è coinvolto in una lite transfrontaliera pare evidente.
Si tratta di disposizioni che offrono elementi ulteriori a sostegno della prospettiva che estende l’aiuto legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto irrazionale e non conforme all’art. 3 Cost. che una persona possa usufruire dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica. Questi argomenti erano in effetti contenuti in entrambe le ordinanze di rimessione sopra citate, ma la Corte non ha accennato a tali profili, ritenendo assorbite le ulteriori censure prospettate dai remittenti. Al di fuori del giudizio demandato alla Corte e in sede di riassetto globale della materia, il raffronto con la normativa eurounitaria sarà invece fondamentale per far evolvere anche la normativa interna verso un sistema moderno e poliedrico di gestione dei conflitti, non ristretto al solo settore giurisdizionale, in una prospettiva culturale più ampia che, senza negare o sopire il conflitto, valorizzi la dimensione dialogica, la partecipazione, l’autonomia.
6.2 Effettività della mediazione
Un altro aspetto mi pare da sottolineare con riferimento particolare alla mediazione. La decisione della Corte, a mio avviso, ripropone l'esigenza che, nei casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità, la mediazione stessa sia “effettiva” e offra alle parti una reale chance di soluzione del loro conflitto.
Al riguardo va ricordato molto brevemente che l’art. 5 comma 2-bis del d.lgs n. 28 del 2010, prevede che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo. L’art. 8, comma 1, prevede tuttavia che durante il primo incontro il mediatore chiarisca alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e inviti le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione. Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che la mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Tuttavia, secondo un orientamento dei giudici di merito volto a sciogliere le ambiguità della normativa, formatosi a partire dal 2014 e divenuto del tutto prevalente, il giudice potrebbe comunque richiedere che nel primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo – ciò che implica la presenza personale delle parti - e non sia stato limitato ad una mera informativa (informativa che peraltro, per legge, devono già aver ricevuto dai difensori oppure dal giudice: art.4, 3° comma e art. 5.d.lgs. n.28/2019)[7].
Da tale orientamento prevalente, si è discostata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8473 del 6.2/27.3.2019, - richiamata poi anche dalla sentenza n. 18068 del 9.5/5.7.2019 - la quale, con riferimento ai passaggi della sentenza oggetto di impugnazione ha affermato che nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d. lgs n. 28/2010, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore e che tuttavia la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale. La sentenza, inoltre, sebbene il passaggio di motivazione non fosse censurato dal ricorrente, ha comunque voluto esaminare la questione dei presupposti per ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità e ha affermato che la condizione di procedibilità possa ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, su richiesta del mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.
Rispetto a quest’ultimo orientamento, che non ha preso in considerazione nessuno dei numerosi argomenti della giurisprudenza di merito di contrario avviso[8], pare che la decisione in commento in qualche modo riporti all’attualità il tema concernente la “effettività” della mediazione e cioè se si debba entrare nel merito della lite al primo incontro. Infatti, l'esclusione del riconoscimento delle spese per il compenso di avvocato solo per i casi di mediazione non conclusa da accordo si presterebbe a concepire la fase mediativa come una fase da attraversare necessariamente, ma solo formalmente, per approdare al più presto al processo, nell'ambito del quale anche le spese, potranno essere riconosciute.
Tale evenienza, però, secondo la Corte, porterebbe nocumento alla funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflative e anche alla giurisdizione, che, invece, proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo ius dicere, anziché essere strumentalizzata per altri obiettivi. La decisione della Corte costituisce quindi un indubbio sostegno alla valorizzazione della mediazione, prevista come condizione di procedibilità, come momento in cui si debba tentare davvero l’avvio della discussione nel merito (evidentemente entro il primo incontro ex art. 8 cit.) e non possa esaurirsi nella mera comunicazione delle parti «di non avere nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione» (così invece l’obiter dictum di Cass. n. 8473/2019 cit.).
Al riguardo, merita aggiungere che la mediazione sarebbe svalutata non solo per la sua funzione deflativa - che rappresenta più un effetto, anche importante, che la sua ragion d’essere - quanto proprio nella sua funzione più profonda: quella di offrire alle parti, in certi casi, di ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale, favorendo una ripresa della comunicazione interrotta dalla crisi della relazione. Senza contare il fatto che «gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti»[9] Molteplici sono gli interessi che possono essere soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le fila del proprio conflitto sviluppando le potenzialità dell'autonomia privata, rimesse in gioco nella sede mediativa, con la conseguente esclusione del procedimento giudiziario quando non sia davvero necessario.
6.3. La formazione dei difensori che assistono la parte in mediazione
La Corte menziona poi l’importanza della difesa tecnica in mediazione (richiamando Cass. n.8473/20019 per affermarne l‘obbligatorietà), trattandosi di procedimento che comporta, sin dalla sua attivazione, il possesso di specifiche cognizioni tecniche di cui la parte non abbiente potrebbe essere priva, come, ad esempio, l’individuazione del giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, o l’indicazione delle parti, nonché́ dell’oggetto e delle ragioni della pretesa (art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs n. 28 cit.). A questi elementi la Corte aggiunge anche la rilevanza della funzione della difesa nella scelta del rifiuto della proposta conciliativa, alla luce di quanto previsto in termini di regolazione delle spese e sanzioni dall’art. 13, comma 1, del d.lgs n. 28 cit.
A queste giuste considerazioni, può essere aggiunta un’ulteriore valorizzazione del ruolo del difensore. In una prospettiva evolutiva dei sistemi di gestione dei conflitti, la funzione di assistenza dell'avvocato della parte in mediazione, funzione che comporta un mutamento culturale epocale per l'avvocatura rispetto ai ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario, è caratterizzata non solo da un sapere tecnico, ma da una formazione multidisciplinare, che valorizza anche altri saperi, specie per quanto attiene alla comunicazione e alla prospettiva psicologica. Se questa formazione è richiesta per i mediatori[10] è evidente che anche i difensori dovranno essere attrezzati per muoversi correttamente in un ambiente dove non rilevano solo i profili di diritto, richiamati dalla Corte costituzionale: un ambiente dove contano nuove competenze relazionali, permeato da una cultura diversa da quella tradizionale avversariale. Questa considerazione valorizza ancora di più l’importanza dell’assistenza dell’avvocato che deve essere assicurata ai non abbienti, anche nella prospettiva, a mio parere, del recupero della giustizia di prossimità, che nell’alveo mediativo potrebbe trovare una sede idonea.
A questo riguardo, va ricordato che proprio dal ceto forense a livello europeo proviene l’importante raccomandazione sul Legal Aid, adottata dal CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa) nel novembre 2010, al fine di promuovere il diritto all’accesso alla giustizia anche per le persone prive di mezzi. Tra le azioni raccomandate si specifica quella di «garantire il legal aid per tutte le aree legali-giurisdizionali, risoluzione alternativa delle controversie, compresa l’assistenza di un avvocato in tutte le fasi del procedimento»[11].
7. La decisione della Corte costituzionale e le prospettive di riforma
Nella decisione in commento la Corte rileva che, proprio il giorno della deliberazione della sentenza, era stata definitivamente approvata la legge 26 novembre 2021, n. 206 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché́ in materia di esecuzione forzata), con la quale viene conferita al Governo una delega legislativa che indica, tra l’altro, tra i principi e criteri direttivi, quello «dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita» (art. 1, comma 4, lettera a). La previsione non rileva nel caso esaminato dalla Corte, la quale però fa riferimento alla facoltà del legislatore «di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio».
Non c’è dubbio quindi che il legislatore delegato dovrà tener conto dei rilievi della Corte costituzionale[12] e sarà altresì l’occasione per ricostruire un quadro armonico, privo delle attuali irragionevolezze nel sistema del patrocinio per i non abbienti: tanto per fare qualche esempio, pensiamo alle differenze non giustificabili tra mediazione quale condizione di procedibilità e negoziazione obbligatoria, tra negoziazione e mediazione facoltative nei casi di liti transfrontaliere e nei casi di liti domestiche.
E probabilmente occorrerà una ricognizione degli istituti che, in vario modo, compongono questa galassia di tutele non incentrate sulla giurisdizione, anche se in vario modo a volte connesse, ancora in cerca di una forma[13]. Si tratta insomma di completare il faticoso movimento che, non senza strappi e passi all’indietro, ha cercato di rinnovare la concezione dei sistemi di gestione dei conflitti. Considerata l’ampiezza della delega si può immaginare che il patrocinio a carico dello Stato sia previsto dal legislatore delegato non solo per il processo, ma per tutte le forme di gestione delle controversie basate sull’autonomia dei soggetti coinvolti che si svolgono fuori dal processo, indipendentemente da una loro connessione obbligatoria con esso e indipendentemente dal loro risultato.
Sotto il primo profilo, è irragionevole e discriminatorio non prevedere il patrocinio a carico dello Stato per i metodi stragiudiziali di composizione delle liti anche se non sono obbligatori: è evidente la discriminazione rispetto agli abbienti o ai non abbienti coinvolti in una controversia transfrontaliera nonché la non conformità alla Direttiva europea 2008/52/CE che prevede come obiettivo fondamentale quello «di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» (art. 1).
Sotto il secondo profilo, ancorare il patrocinio a carico dello stato al raggiungimento dell’accordo[14] sarebbe irragionevole perché questo risultato prescinde dalla competenza e dalla serietà della funzione di assistenza svolta dall’avvocato e d’altronde deve essere frutto di una libera scelta delle parti.
Inoltre, non si terrebbe conto del fatto che l’attività di negoziazione, così come quella mediativa, sono attività che producono risultati complessi: quello del raggiungimento dell’accordo è certamente il più visibile e schematizzabile; in realtà, chi ha pratica di questi metodi sa bene che altri risultati, meno vistosi, ma altrettanto proficui possono essere raggiunti. Ad esempio, perché si migliora o ripristina la comunicazione tra le parti, si lavora comunque sulla loro consapevolezza delle vere ragioni del contrasto con ricadute positive anche successivamente allo svolgimento di quelle attività, prima e durante l’eventuale processo. Si semina, insomma, in un campo dove, proprio per l’importanza che vi rivestono anche gli aspetti emotivi e relazionali, si potranno avere frutti in modo non prevedibile nella forma e nel tempo.
In definitiva, la riforma del patrocinio a spese dello Stato anche per le soluzioni non giurisdizionali delle controversie è indispensabile per rendere effettivo il diritto di difesa dei non abbienti (art. 24, comma 3 e art.3, comma 2, Cost.) e promuovere la cultura della conciliazione. A maggior ragione questo obiettivo è da realizzare per la mediazione (su cui si veda anche Corte costituzionale n. 97 del 2019), se si accede alla prospettiva che considera la mediazione quale strumento di sviluppo della personalità del singolo nella comunità a cui appartiene, perché gli permette di affrontare la gestione del proprio conflitto in un contesto relazionale favorevole all’esigenza di sviluppo della personalità ex art. 2 Cost.
Rispetto ai timori di conseguenze negative economico-finanziarie a carico del bilancio dello Stato, proprio la sentenza in esame riafferma il principio che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Senza contare il fatto che, in una visione a largo raggio, l’impegno economico di cui si tratta potrà tradursi in un risparmio di spesa, riducendo naturalmente l’accesso alla tutela giurisdizionale per certi settori con conseguente risparmio della spesa pubblica.
[1] In tal caso si tratterebbe di una riesumazione dell'istituto del «gratuito patrocinio», imperniato sul principio antiquato del patrocinio dei poveri come «ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e dei procuratori» (R.d. 30 dicembre 1923, n. 3282). Istituto ormai integralmente sostituito dal principio del patrocinio a carico dell’erario su cui vedi Corte cost., sent., 1° ottobre 2019, n. 217.
[2] In questo senso si sono espressi il Trib Firenze, 13 gennaio 2015 e 13 dicembre 2016, seguito da Trib. di Bologna, 13 settembre 2017; v. anche Trib. Ascoli Piceno, 12 settembre 2016 e 25 giugno 2016.
[3] Già prima della Direttiva n. 52/2008 in tema di mediazione civile e commerciale, il Consiglio europeo aveva invitato gli Stati membri a istituire procedure extragiudiziali e alternative al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia: nei ''considerando'' della dir. 2008/52, si ricordano le varie tappe del percorso, dalla riunione di Tampère dell'ottobre 1999 al Libro verde del 2000.
[4] Ricordo che la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità̀ per le liti in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti ovvero nei giudizi in cui vi sia una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro (art. 3, comma 1, D.l. 132/2014), nonché per le controversie in materia di contratto di trasporto o di subtrasporto (art. 1, comma 249, l. 23 dicembre 2014, n. 190).
[5] Al riguardo, già nel disegno di legge presentato il 31 maggio 2019, dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze in tema di spese di giustizia e patrocinio a spese dello Stato questo veniva esteso anche nelle procedure di negoziazione assistita .quando tali procedure costituiscono condizione di procedibilità̀ della domanda giudiziale con la limitazione che il riconoscimento sarebbe valso però solo se fosse stato raggiunto un accordo, limitazione che appare irragionevole come si dirà infra.
[6] Secondo l’art. 10, «Il patrocinio a spese dello stato è altresì esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dalla presente direttiva, qualora l’uso di tali mezzi sia richiesto dalla legge ovvero quando il giudice vi abbia rinviato le parti in causa».
[7] In tal senso, per la mediazione obbligatoria iussu iudicis, si veda Trib. Firenze 19.3.2014 in Contr., 2014, 569; Trib. Firenze, sez. imprese, 17.3.2014 e ord. 18.3.2014; Trib. Roma, 30.6.2014; Trib. Bologna, 5.6.2014, Trib. Rimini, 16.7.2014; Trib. Palermo, 16.7.2014, Trib. Milano, 7.5.2015 e 27.4.2016, e molte altre successive. Di tale orientamento dà atto anche la Relazione depositata il 17.1.2017 dalla Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato presieduta dal Prof. Alpa (il testo è poi stato pubblicato anche nel volume a cura di G. ALPA ed altri, Un progetto di riforma delle ADR, Napoli, 2017). Da ultimo, si veda ancora Trib. di Firenze, 7.5.2019, Trib. di Frosinone 24.4.2019, decisioni facilmente reperibili in rete. Per la mediazione quale condizione di procedibilità ex lege, l’effettività della mediazione è affermata da Trib. Firenze 26.11.2014, in Riv. Dir. proc., 2015, 558 e successive altre decisioni, da ultimo ancora Trib. Firenze, 7.5.2019 cit.
[8] La giurisprudenza successiva alle sentenze della Corte di cassazione menzionate sembra divisa. In senso conforme a Cass. n. 8473/2019, si veda ad esempio Trib. Aosta, 14.4.2019; in senso contrario, con una consapevole e approfondita disamina critica della decisione della S.C., si veda Trib. Firenze, sentenza 8.5.2019.
[9] Dir. 2008/52, considerando 6.
[10] Sulla formazione in tema di mediazione si vedano di recente le Guidelines on Designing and Monitoring Mediation Training Schemes elaborate dalla CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice) in collaborazione con IMI (International Mediation Institute) approvate nel giugno 2019.
[11] Il CCBE raccomanda inoltre di «impostare una linea di bilancio specifica» per garantire lo sviluppo degli aiuti europei. Il testo della raccomandazione è reperibile nel sito www.ccbe.eu.
[12] Peraltro, l’estensione del patrocinio a carico dello Stato rispetto alla mediazione e alla negoziazione era già prevista nella relazione della Commissione presieduta dal Prof. Alpa, di cui alla nota 8, nonché nella relazione del successivo Tavolo tecnico istituito nel dicembre 2019 coordinato dalla prof. Lucarelli. Da ultimo, è stata chiamata a lavorare per la elaborazione di proposte e interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi la Commissione presieduta dal prof. Francesco Paolo Luiso, istituita presso l’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia che ha consegnato la relazione finale il 3 giugno 2021. Tutti questi materiali saranno sicuramente all’attenzione dei Gruppi di lavoro istituiti dalla Ministra della Giustizia Cartabia, con decreto del 14 gennaio 2022, per l’elaborazione degli schemi di decreto legislativo per l’attuazione della Legge 26 novembre 2021, n. 206, «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata».
[13] Senza approfondire il tema, pare utile almeno un cenno all’istituto della consulenza tecnica preventiva prevista dall’art. 696 bis cpc, per la sua indubbia valenza conciliativa.