In attesa di una prima lettura del Decreto legge n.18 approvato approvato da Consiglio dei Ministri del 16 marzo 2020 (cd. “Cura Italia”), contenente disposizioni di generale interesse anche per quel che riguarda il lavoro e gli ammortizzatori sociali, Questione giustizia ritiene utile pubblicare il «Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro», sottoscritto il 14 marzo da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, Confapi, Rete imprese Italia e Alleanza delle cooperative. In dodici pagine e tredici punti, l’Accordo fissa le condizioni per garantire la salute e ridurre il più possibile il rischio di contagio. Lo sforzo concertativo, direttamente incentivato dal Governo, ha individuato regole generalmente vincolanti per i datori di lavoro, cui viene affidata la specifica responsabilità di vigilare sulle condizioni di salute dei lavoratori, in modo da consentirne la prosecuzione dell’attività. Vengono posti dettagliati obblighi di informativa, e di controllo, in dettaglio per ciò che concerne il momento dell’ingresso, quando deve verificarsi la temperatura corporea dell’addetto, al fine di poterne individuare eventualmente lo stato infettivo in corso e adottare le iniziative conseguenti. Obbligo del datore di lavoro sarà anche quello di procedere a sanificazioni periodiche e di adottare tutte le precauzioni igieniche. Se non è possibile garantire il distanziamento di sicurezza, si impone la dotazione di mascherine e e di altri dispositivi di protezione individuali.
Viene contingentato l’accesso agli spazi comuni, compresi mense aziendali e spogliatoi; sono previste modulazioni a scaglione negli orari di ingresso e uscita perché siano ridotti i contatti fra i dipendenti. Nella stessa ottica, dovranno essere assicurati piani di turnazione per evitare assembramenti.
Le imprese, avendo a riferimento quanto previsto dai Contratti nazionali e favorendo le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, potranno disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione e procedere ad una diversa organizzazione del lavoro, favorendo il lavoro a distanza. In caso di chiusure andranno utilizzati in via prioritaria gli ammortizzatori sociali previsti nel decreto in corso di pubblicazione.
Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria, sarà obbligo dei responsabili del personale procedere al suo isolamento e a quello degli altri presenti nei locali, con immediata segnalazione alle autorità sanitarie.
Non si dovrà interrompere la sorveglianza sanitaria periodica, vista come misura di prevenzione di carattere generale, che da un lato può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, dall’altro può rappresentare presidio di informazione e formazione ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio, in collaborazione con il datore di lavoro e le RLS/RLST.
In ogni azienda, inoltre, dovrà essere costituito un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Le parti sociali hanno dato così un forte segnale di condivisione dell’appello alla responsabilità che riguarda tutto il Paese. Non solo, hanno messo in campo ogni possibile contromisura in grado di avversare il diffondersi del contagio negli ambienti di lavoro. La sicurezza dei lavoratori, secondo il canone dell’art. 2087 cc, è innanzitutto responsabilità del datore di lavoro, ma anche condizione e premessa per il proseguimento dell’attività produttiva.
Anche questo potrebbe diventare – almeno si auspica – un insegnamento destinato a regolare meglio in futuro i rapporti di lavoro. Al 17 marzo 2020, nel nostro Paese si contano già 105 morti sul lavoro dall’inizio dell’anno (esclusi naturalmente gli infortuni mortali in itinere): ciò che conferma, numeri alla mano, che non solo non avanza, ma sembra progressivamente regredire ogni cultura della sicurezza, nonostante il sistema sia dotato di una legislazione avanzata in grado di contrastare ogni condotta pericolosa e di prevenire il danno alla salute.
Il Protocollo (completato dalle norme sugli ammortizzatori sociali e sul blocco dei licenziamenti, contenute nel Decreto n.18), sposa dunque in termini generali la linea di principio per cui lavoro e sicurezza non devono essere mai messi in alternativa tra loro, secondo una gerarchia di valori inaccettabile: anzi, la seconda è condizione di conservazione e di progresso del primo, oltre che di consolidamento delle basi economiche delle imprese.
Come scrive Beniamino Deidda nel suo contributo al n. 4/2019 della Rivista Trimestrale, nell’articolo dedicato alla tutela penale del lavoro (www.questionegiustizia.it/rivista/2019/4/la-tutela-penale-del-lavoro_712.php), tanto nell’opinione pubblica come nelle istituzioni del Paese sembra prevalere un vuoto di consapevolezza circa il valore della tutela della salute dei lavoratori quale principio di civiltà non negoziabile. Il Protocollo segna una presa di coscienza diversa, e una diversa condivisione di responsabilità. Siamo ben consapevoli che questo ancora non basta, e che soprattutto riguarda realtà lavorative tradizionalmente sviluppate in un luogo fisico ove si svolge la prestazione. Merita comunque salutare con favore lo sforzo comune, e la scelta di fondo che ha ispirato le parti.