Magistratura democratica
Magistratura e società

Movimento per la giustizia: la sua storia

a cura di Antonella Magaraggia **
già Presidente del Tribunale di Verona

Intervista ad Armando Spataro realizzata nell'ambito del corso Storia della magistratura e dell’associazionismo (SSM, Scandicci, 4 ottobre 2022)

Il Movimento per la Giustizia nacque nel 1988 dalla scissione di un gruppo di colleghi (i cd. “verdi”) all’interno di Unità per la Costituzione. Quali furono le ragioni? Ricordo anche che ci furono degli episodi “scatenanti”. Quali?

Coerentemente con l’impostazione del Corso, cercherò, in questo intervento, di concentrarmi sulla storia del Movimento per la Giustizia (poi “Movimento per la Giustizia-Proposta’88” ed infine “Movimento per la Giustizia–Articolo 3”), limitandomi solo quando necessario a brevi considerazioni sull’ANM, sulle altre correnti e su fatti successivi al dicembre 2018 che conosco meno a seguito della cessazione del mio servizio per raggiunti limiti di età. 

Detto questo e per rispondere alla domanda, ricordo che - come è noto - Unità per la Co­stituzione nacque nel 1980 a seguito della fusione di Impegno Costituzionale con Terzo Potere, due correnti preesistenti.

La premessa della nascita del Movimento per la Giustizia fu costituita da uno «sto­rico» documento che alcuni magistrati allora “militanti” in Unicost, ma quasi tutti provenienti da Impegno Costituzionale, diffusero all’inizio del 1988 per manifestare il proprio disagio per la gestione di quel gruppo e dell’ANM, caratterizzata dalla regola della lottizzazione correntizia.. Casualmente quel manifesto fu stampato su carta verde (perché il tipografo sotto casa di Mario Almerighi, ove fu stampato, disponeva in quel momento solo di carta di quel colore), da cui il nome di «Verdi» che, all’inizio, venne usato per designare, anche con qualche punta spregiativa, quel gruppo di per­sone che intendevano impegnarsi per riaffermare il metodo del dibattito aperto e tra le quali vi erano Mario Almerighi, Pierpaolo Casadei Monti, Vito D’Ambrosio, Enrico Di Nicola, Luciano Gerardis, Ubaldo Nannucci, Giovanni Tamburino, Vladimiro Zagrebelsky, Pasquale D’Ascola. Ci fu, anzi, qualche “avversario” che li definiva “meloni”, verdi fuori e rossi dentro.

Va doverosamente ricordato però che il primo storico documento “verde” risale al 1982 e faceva riferimento ad una tempestosa riunione del comitato di coordinamento di Unità per la Costituzione successiva alle elezioni del CDC ed allo straordinario successo elettorale della candidatura di un magistrato che, nella funzione precedentemente rivestita di componente del CSM, era stato protagonista di una interferenza presso la Procura Generale di Milano in relazione ad una nota indagine dell’epoca. MD chiese di non affidare la presidenza dell’ANM a quel magistrato, pur essendo stato nettamente il più votato tra i candidati, e soltanto i “verdi” (Tamburino, Zagrebelsky, Di Nicola, Sciacchitano, Almerighi, Condorelli, Anna Creazzo), appoggiando quella richiesta, impedirono il formarsi di una unanimità a sostegno della candidatura alla Presidenza ANM di quel magistrato plurivotato, che dovette così rinunciare all’incarico. A quella riunione dei “verdi” altre ne seguirono, sempre più partecipate. I magistrati prima citati ed altri ancora furono protagonisti di numerose mobilitazioni e “battaglie” : indimenticabile la resistenza al Pres.te Cossiga in occasione del suo primo conflitto del 1985 con il CSM, riguardante la formazione dell’odg del plenum consiliare e le prerogative dei Pubblici Ministeri. 

Così nacquero i “verdi” che, dopo essere stati minoranza dissenziente in Unicost per circa 6 anni densi di avvenimenti e fatiche, furono determinanti per la fondazione del Movimento nel 1988, grazie anche ad un'idea della giustizia che ancora oggi appassiona perché spinge ad esaminarne i problemi nell'ottica e nell’interesse del cittadino.

 

Il manifesto fondativo, sempre rigorosamente su carta verde, è del 17/4/1988. Vuoi ricordarci i contenuti essenziali? 

Il manifesto del 1988 rappresentò l’atto di nascita di un nuovo metodo di confronto e di quello che sarebbe stato il Movimento per la Giustizia. Il Movimento, infatti, nacque nell’aprile del 1988 nell’ambito dell’As­sociazione Magistrati, grazie alla citata iniziativa dei “verdi” e di altri magistrati. Quella del Movimento – come ha scritto Giovanni Tamburino - fu una storia di successive e spontanee aggregazio­ni di magistrati di varia estrazione culturale e professionale, che intendevano manifestare la propria insoddisfazione per la logica imperante che riduceva l’Anm a mero contenitore di decisioni prese dalle correnti, così minando l’effettiva unità associativa e rendendola formale e vuota di contenuti. 

L’Anm, secondo molti di noi, non era all’epoca una sede aperta di riflessione e confron­to sulla «politica» giudiziaria, bensì luogo dove le correnti “depositavano” i loro deliberati interni. 

Il nuovo gruppo decise non a caso di denominarsi “Movimento per la Giustizia”, poiché si voleva in tal modo mettere in evidenza la scelta di aprirsi agli interventi di qualsiasi componente del mondo dei giuristi, escludendo ogni rischio di autoreferenzialità. Per questa ragione lo statuto consente tuttora la formale iscrizione di avvocati e professori.

L’evento che contribuì in modo decisivo a determinare la fondazione del Movimento per la Giustizia fu la mancata nomina di Giovanni Falcone a capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, dopo che Antonino Caponnetto era stato trasferito ad analoghe funzioni al Tribunale di Firenze. Solo pochi componenti del Csm avevano tentato invano, in quella occasione, di evitare che logiche ottusamente formalistiche (secondo cui la maggiore anzianità, purché senza demerito, doveva essere il criterio prevalente nella nomina dei magistrati per incarichi direttivi e semidirettivi), quando non di mero potere, prevalessero sulla necessità di potenziare l’efficacia dell’azione giurisdizionale in terra di mafia: il 19 gennaio 1988, 16 consiglieri (tra cui 2 di MD) votarono per Antonino Meli (che “vinse”), 10 (tra cui Vito D’Ambrosio, Pietro Calogero che erano allora iscritti ad Unità per la Costituzione, nonché Stefano Racheli che era iscritto a Magistratura Indipendente e Gian Carlo Caselli di MD) per Falcone e 5 si astennero. 

Quell’episodio, che richiamava i temi della profes­sionalità e della questione morale insieme, risvegliò l’impegno associativo di decine di magistrati, fino a quel momento apprezzati soprattutto per le loro qualità professionali che furono i fondatori del gruppo.

Il manifesto fondativo di “un Movimento aperto alla partecipazione di tutti i magistrati”, che approvammo all’unanimità il 17 aprile 1988, al termine di una indimenticabile assemblea svoltasi nell’ Hotel Salus di Roma, a cento metri circa dal CSM, fu firmato da decine di magistrati. Mi limito a citarne alcuni essendo impossibile citarli tutti: Leonardo Agueci, Mario Almerighi, Walter Basilone, Pietro Calogero, Nino Condorelli, Vito D’Ambrosio, Enrico Di Nicola, Giovanni Falcone, Gabriella Luccioli, Maria Monteleone, Ippolisto Parziale, Ciro Riviezzo, Ernesto Aghina, Giuseppe Ayala, Domenico Carcano, Pierpaolo Casadei Monti, Gerardo D’Ambrosio, Mario Fresa, Luciano Gerardis, Pietro Grasso, Giovanni Kessler, Sergio Lari, Giorgio Lattanzi, Ernesto Lupo, Antonella Magaraggia, Gianni Melillo, Alfredo Morvillo, Francesca Morvillo, Ubaldo Nannucci, Nello Nappi, Gioacchino Natoli, Guido Papalia, Franco Roberti, Giovanni Tamburino, Vladimiro Za­grebelsky ed altri ancora.

I contenuti di quel “manifesto fondativo” sono tali da farlo sembrare un documento pensato e scritto oggi: infatti, oltre a tracciare le linee d’azione lungo cui il Movimento si è mosso nei decenni successivi, dava corpo ad una seria presa di distanza dalle citate deviazioni correntizie, nella prospettiva di un rilancio della democrazia associativa e del carattere preliminare e fondamentale della “questione morale”. Vi veniva affermato, altresì, la necessità del rifiuto e di pubblica denuncia di ogni forma di “professionismo” e di “carriere parallele” nell’ambito della associazione, di ogni forma di spartizione e di lottizzazione del potere, di ogni collateralismo con centri di interessi politici ed economici atti a comprimere l’indipendenza della magistratura ed a condizionarne il ruolo di garanzia imparziale.

Peraltro, in modo ancora oggi condividibile, si ricordava nel documento che il proposto mutamento di mentalità e di costume, pur necessario, non sarebbe stato da solo sufficiente a superare i denunciati fenomeni degenerativi, essendo necessario intervenire con decisione sulle loro cause strutturali.

A tal fine, venivano proposti obiettivi sul piano interno e su quello esterno. Tra i primi, per favorire professionalità e responsabilità dei magistrati, si enunciavano i seguenti:

- favorire un ampio e generale rifiuto, da parte degli associati, di arbitrati e di quegli incarichi extragiudiziari che comportassero rischi di condizionamento;
- studiare e proporre percorsi moderni di formazione e aggiornamento professionale;
- elaborare e proporre criteri obiettivi e trasparenti di scelta dei dirigenti degli uffici che attribuissero rilievo particolare alla capacità attitudinale, organizzativa e professionale;
- istituire un osservatorio permanente sulle carenze strutturali e di personale degli uffici, con rilevazioni periodiche a livello locale, al fine di consentire all’Associazione di uscire dal generico e sterile atteggiamento di denuncia di tali carenze e di farsi consapevole tramite per l’adozione di tempestivi e sistematici interventi;
- impegnare tutte le strutture associative a farsi carico di eventuali comportamenti neghittosi, inerti e devianti, e a proporre i mezzi più idonei per la loro eliminazione, al fine di tutelare nella loro effettività “il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria”;
- promuovere iniziative di studio, di approfondimento, di proposta delle condizioni utili per consentire ai Consigli giudiziari di assolvere immediatamente e con pienezza tutti i loro compiti per fornire adeguati strumenti di conoscenza e di valutazione all’organo di autogoverno.

Nel manifesto fondativo, venivano poi proposti, sempre sul “piano interno”, sforzi ed interventi vari per migliorare il processo civile, quello penale e la struttura ordinamentale, prestando particolare attenzione, anche in vista di eventuali richieste di modifica, all’applicazione della normativa sulla responsabilità civile dei giudici per valutarne l’effettiva capacità di tutela dei diritti fondamentali, nonché l’incidenza sulla indipendenza della giurisdizione, sul controllo di legalità e sulla funzionalità del servizio.

Importanti, nel documento, erano anche gli obiettivi enunciati per interventi sul “piano esterno”, di competenza dell’esecutivo e del legislativo, tra i quali:

- la revisione dell’irrazionale assetto delle circoscrizioni giudiziarie e la più congrua distribuzione e utilizzazione del personale negli uffici;
- la previsione di misure idonee alla urgente copertura delle sedi giudiziarie vacanti;
- la creazione, attorno a ciascun giudice, di una moderna ed efficiente unità operativa, composta di personale ausiliario professionalmente preparato, di attrezzature meccanizzate e di locali idonei che consentano al giudice di amministrare giustizia in tempi più rapidi e senza la necessità di far opera di supplenza;
- l’attuazione di un’organica e incisiva politica di deflazione degli enormi carichi di lavoro, sia esonerando il giudice da una serie di compiti di carattere amministrativo che istituzionalmente non gli competono, sia limitandone la competenza alle controversie nelle quali fossero realmente in gioco interessi apprezzabili nella scala dei valori individuali e collettivi della società attuale, sia estendendo sensibilmente l’area delle depenalizzazioni e della perseguibilità a querela di parte;
- l’adozione di iniziative e interventi rivolti a potenziare fortemente, al fine di dare completa attuazione alla previsione costituzionale, il ruolo del C.S.M. come organo di governo autonomo della Magistratura e garante del valore culturale della giurisdizione come servizio alla collettività .
 

Ma vorrei ricordare, infine, le belle parole con cui, in relazione a metodi e fini, si chiudeva il manifesto fondativo : 

“In vista di questi obbiettivi e, più in generale, per esercitare uno stimolo ad una corretta dinamica della politica associativa, l’Assemblea ritiene che l’esperienza attualmente più idonea sia la costituzione di un “Movimento” che si legittimi sulla forza e sulla coesione delle idee, anziché sul tipo delle etichette e sulla struttura dell’apparato; Movimento non rigidamente strutturato, ma ben definito nelle sue linee di fondo, dialetticamente rivolto alla partecipazione di tutti i magistrati, singoli o associati, ed aperto ai contributi di tutte le forze sociali e culturali”.

 

Come fu visto questo nuovo gruppo? Ci chiamavano, non proprio simpaticamente, “moralisti” e “aziendalisti” e cercarono di sbarrarci la strada cambiando la legge elettorale. Come furono quegli anni iniziali?

Il Movimento per la Giustizia, come ho già detto, sin dai suoi primi passi intese porre all’attenzione della magistratura associata le deviazioni e le criticità che già allora si manifestavano, denunciando la cd. “questione morale” e proponendo strumenti di contrasto che sarebbero stati in breve da tutti i magistrati condivisi, almeno a parole: estraneità rispetto a qualsiasi aspettativa della politica, necessità di efficienza e trasparenza nella gestione degli uffici giudiziari, controlli di professionalità tali da valorizzare, specie rispetto al conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, la specializzazione professionale dei magistrati nei diversi settori della loro attività. Temi urgenti e difficili che ci fecero guadagnare l’ap­pellativo irridente di «moralisti ed aziendalisti» e che le correnti tradizionali, seppure in misura diversa e per ragioni diver­se, avevano trascurato.

Il primo congresso nazionale del Movimento per la Giustizia si svolse a Milano nel novembre del 1988: le posizioni del gruppo erano diventate, in gran parte e in tempi relativamente brevi, oggetto di ampia conoscenza all’interno della magistratura.

Di quel convegno in tanti ricordiamo uno storico intervento di Giovanni Falcone che venne pubblicato su La Repubblica del 9 novembre e che dovrebbe oggi essere ripubblicato. Iniziava così: “Gli italiani non ci vogliono più bene? Per forza: siamo incompetenti, poco preparati, corporativi, irresponsabili. Tende a prevalere, rispetto alla figura del magistrato-professionista, quella del magistrato impiegato…Basta con un’Associazione magistrati che è sempre più un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi, basta con le correnti che si sono trasformate in macchine elettorali per il CSM”.

Tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, il Movimento fu oggetto di particolare interesse da parte di molti giovani magistrati “innamorati” della Costituzione che vedevano in tanti modi violentata. Fuor di metafora il Movimento per questi neo magistrati fu la naturale scelta di associazionismo perché costituito da persone che non badavano a sé medesimi, che non parlavano di carriera e di posti, bensì di come inverare la Costituzione e di come servirla al meglio: insomma furono in tanti a scommettere il meglio delle proprie energie sulla scelta “movimentista”.

Mentre si iniziava a discutere della nostra possibile partecipazione alle elezioni del 1990 per il rinnovo del CSM, fu varata in extremis una nuova legge elettorale che, introducendo un quorum altissimo di consensi (9%) per accedere all’assegnazione dei posti con metodo proporzionale, intendeva dichiaratamente colpire il nostro neonato gruppo «eretico», impedendone l’accesso al Csm. Ma il Movimento, ormai corpo unico con Proposta ’88, riportò un suc­cesso inaspettato, specie tra i giovani magistrati, raggiungendo il 14% circa dei consensi e portando ben tre suoi rappresentanti nel CSM.

 

Rammento le discussioni sull’essere “corrente” o “Movimento”, sull’ agire dall’interno dell’istituzione (e, quindi, ad esempio, candidarsi alle elezioni del C.S.M. del 1990) o rimanerne fuori. Come si strutturò questa aggregazione?

Alla fine degli anni ‘80, il Movimento iniziò un percorso di comune impegno associativo insieme al citato gruppo di Proposta ’88, che, nato da una scissione all’interno di Magistratura indipendente per ragioni in qualche modo simili a quelle che avevano indotto i “verdi” a lasciare Unicost, era guidato da Stefano Racheli, Alfonso Amatucci ed altri colleghi. Ad un certo punto, i due gruppi decisero di fondersi adottando inizialmente la denominazione “Movimento per la Giustizia – Proposta ‘88”, mutata poco dopo, più semplicemente, in “Movimento per la Giustizia”. La fusione fu guidata in particolare da un primo comitato paritetico provvisorio di cui facevano parte esponenti dei due gruppi. 

A quel punto, tra il 1989 e l’inizio del 1990, il Movimento si trovò di fron­te al problema che storicamente si presenta per gruppi o movi­menti che, nati per fungere da stimolo per le istituzioni di riferi­mento, devono a un certo punto decidere se andare avanti limi­tandosi a criticarle e a dare suggerimenti dall’esterno o se concorrere a renderle più trasparenti ed efficienti dell’interno. 

Partecipare o no alle elezioni del 1990 per il rinnovo del Csm, dunque, fu l’interrogativo che il Movimento affrontò in un im­portante congresso nazionale a Milano. Vladimiro Zagrebelsky, io ed altri eravamo contrari. L’assemblea decise diversamente ed eb­be ragione. Ottenemmo il successo che ho prima ricordato, ma non fu eletto Giovanni Falcone che pure, dopo la nascita del gruppo, vi si era dedicato con tutta l’energia che gli impegni di la­voro gli consentivano. Aveva accettato di candidarsi alle elezioni per il rinnovo del Csm ma non fu eletto, nonostante il suo impegno nella campagna elet­torale. Falcone reagì a quella piccola grande delusione reagì con il sorriso ironico e con il distacco proprio dei sici­liani colti, fatalisti, abituati a vivere alla giornata e a non meravi­gliarsi di nulla. 

Tornando al gruppo, inevitabilmente si manifestò la necessità di una più articolata strutturazione, pur se lo spirito ed i caratteri movimentisti non vennero certo meno. Non ho alcun problema a dire che stavamo diventando una corrente di rilievo nell’ANM e sul punto vorrei essere chiaro: non sono mai stato tra coloro che demonizzano le «correnti», ove con questo termine ci si riferisca ad aggregazioni di magistrati legati da una comune concezione del proprio ruolo, della propria indipendenza, dei rapporti possibili con l’avvocatu­ra, il mondo accademico e la società in genere. 

 

Apertura all’esterno, questione morale, professionalità, giustizia come servizio: queste le idee fondanti. Molte, ad esempio sull’organizzazione degli uffici (penso alla cd. giustizia partecipata), sono diventate patrimonio comune. 

L’attività del gruppo, poco dopo la sua fondazione, si è sviluppata negli anni ed in ogni distretto grazie a convegni, seminari di studio, pubblicazioni, assemblee, il tutto ispirato ai valori fondanti ed in particolare a quelli che hai citato nella domanda.

Basta qui citare solo alcune di tali iniziative, risalenti al periodo (2000/2010) forse di maggiore e più intensa attività del gruppo anche quale conseguenza del difficile periodo politico che il Paese stava vivendo.

Tra il 2002 ed il 2004, ad es., diffondemmo, tra gli altri, documenti in cui denunciavamo riforme e progetti di riforma in tema di giustizia (leggi sulle rogatorie e sul rientro anonimo dei capitali occulti costituiti all’estero, opposizione al mandato d’arresto europeo, legge delega sui reati societari, progetti di riforma del CSM e del sistema elettorale, ddl Cirami sul legittimo sospetto, ddl Pittelli ed il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario) che stavano superando ogni più pessimistica previsione e che erano caratterizzate da un evidente intento punitivo nei confronti dei magistrati. 

Affrontammo sin d’allora il tema della separazione delle carriere, “secolare” questione che ciclicamente affligge l’Italia, come avvenuto anche con il referendum abrogativo del 12 giugno 2022. Anche in quella occasione gli avvocati penalisti furono invitati invano ad un confronto pacato che tenesse conto della pertinenza della questione al tema delle garanzie dei cittadini.

Rispondemmo alle aggressioni di Berlusconi alla Magistratura, inclusa la celebre affermazione, diffusa anche all’estero secondo cui “I giudici sono matti, anzi doppiamente matti. Per prima cosa perché lo sono politicamente e, secondo, sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dalla razza umana”. Al di là del loro modesto livello, si trattava di affermazioni che allora non potevano certo far sorridere.

Forte fu la nostra resistenza al disegno di legge delega per la riforma dell’Ordinamento giudiziario approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, che prevedeva, tra l’altro, il divieto per i magistrati di “attività di interpretazione di norme di diritto che palesemente sia contro la lettera e la volontà della legge o abbia contenuto creativo”. Insomma, interpretazione della legge possibile solo in termini graditi alla maggioranza di turno ! E sempre dello stesso ddl, al di là del condiviso divieto di iscrizione a partiti politici, già presente nello Statuto dell’ANM ed affermato nella giurisprudenza disciplinare, analizzavamo il divieto di partecipazione dei magistrati “…ad attività o iniziative di carattere interne ovvero ad ogni altra attività che non abbia carattere scientifico, ricreativo, sportivo o solidaristico”, ovviamente elencando i diritti costituzionali negati, specie a magistrati che – come quelli del Movimento e non solo – intendevano partecipare a dibattiti ed iniziative della cd. “società civile”.

Il 28 novembre 2003, in occasione, della “Giornata della giustizia dell’ANM al Brancaccio di Roma”, invitammo la politica a chiudere i cantieri aperti per la “demolizione della giustizia”, richiamando l’impegno di tutti alla diffusione di una corretta informazione, “di gruppo in gruppo, di persona in persona”, sui gravi rischi per l’assetto costituzionale che avrebbero preso corpo in caso di approvazione della “controriforma” ordinamentale messa a punto dalla “Casa della Libertà”.

E poco dopo, sempre a proposito delle riforme in cantiere, denunciammo anche l’ambiguità di ampi settori del centrosinistra dichiaratisi d’accordo sulla necessità di una penalizzante riforma della giustizia.

Nel luglio 2004, in documenti importanti relativi alle Riforme della Costituzione e dell’Ordinamento giudiziario, veniva ribadita la necessità di un impegno diffuso contro i predetti progetti di riforme, di cui alcuni politici (i cd. “quattro saggi”) avevano individuato i principi fondanti durante quattro giorni di vacanze in Valle di Cadore.

Ma furono tanti anche gli eventi organizzati in quegli anni, come sempre aperti ad altri ambiti sociali ed istituzionali.

Sempre a difesa della Costituzione, il Movimento per la Giustizia - con le associazioni della società civile Articolo 21 e Libertà e Giustizia - organizzò il 15 gennaio del 2004, nell’Auditorium della Provincia di Milano un convegno pluritematico su “Controriforme e diritti dei cittadini”, preceduto dalla diffusione di documenti in cui venivano affrontati i problemi che riforme e progetti di riforme in quel periodo stavano determinavano nei settori pubblici dell’istruzione e della ricerca, della informazione, della sanità e del lavoro. Nella sala affollatissima della Provincia, con centinaia di persone impossibilitate ad entrarvi per esaurimento dei posti, furono molte le voci autorevoli che intervennero sulle sofferenze del settore pub­blico, introdotte da Sandra Bonsanti e Nino Condorelli: Carlo Bernardini sulla crisi della ricerca, Rosy Bindi sulla sa­nità, Giuseppe Casadio sul mondo del lavoro, Tullio De Mauro su quello dell’istruzione pubblica, Paolo Ferrua sulla giustizia, Ales­sandro Pizzorusso sui progetti di riforma della Costituzione, Ser­gio Zavoli sull’attacco a stampa ed informazione televisiva, Paolo Flores d’Arcais su «Passione civile, storia e verità di Sta­to». La manifestazione registrò, soprattutto, un grande intervento finale di Oscar Luigi Scalfaro, capace anche quella sera di sintetizzare le ragioni della perdurante modernità della nostra Carta Costituzio­nale: i quotidiani diedero grande rilievo all’evento e La Repubblica parlò di un nostro “trionfo”.

Pochi giorni dopo, il 24 gennaio, a Catania, il Movimento per la Giustizia organizzò un magnifico evento in ricordo di Gabriele Chelazzi, magistrato fiorentino anch’egli tra i fondatori del gruppo, deceduto nel 2003, esperto di mafia e terrorismo e cultore del coordinamento investigativo. Il convegno era intitolato Lo stato della risposta istituzionale alla mafia ed al terrorismo, settori criminali in cui moltissimi magistrati del Movimento hanno lavorato per anni ed anni. Intervennero, tra gli altri, Virginio Rognoni (Vice Presidente del CSM), Pierluigi Vigna (Procuratore Nazionale Antimafia), i prof.ri Eligio Resta ed Alfredo Galasso, gli on.li Enzo Bianco, Anna Finocchiaro, Ignazio La Russa e Giovanni Burtone.

Il 3 ed il 4 ottobre 2008, a Reggio Calabria, il Movimento organizzò un altro importante convegno intitolato “La nuova dirigenza degli uffici giudiziari. Progetto per una gestione partecipata”, riguardante, cioè, un tema particolarmente caro al gruppo. Vi parteciparono i dirigenti del Movimento dell’epoca, nonché componenti del CSM e del CDC (appartenenti anche ad altri gruppi), vari magistrati esperti ed avvocati che dedicarono molta attenzione alla organizzazione e gestione degli uffici giudicanti e requirenti. Ricordando che il CSM aveva finalmente stabilito che l’anzianità costituisce soltanto presupposto di legittimazione per la partecipazione ai concorsi per assegnazioni di incarichi di dirigenza, veniva manifestato apprezzamento per tale radicale cambiamento culturale, aggiungendo che la consapevolezza della temporaneità dell’incarico e dell’ineludibilità della verifica dell’operato e dei risultati imponeva una costante attenzione al progetto organizzativo. E finalmente si faceva strada l’idea che la stessa organizzazione degli uffici non fosse appannaggio esclusivo dei dirigenti, ma avrebbe dovuto coinvolgere, sia pure con funzioni e responsabilità differenti, tutti i magistrati, anche i più giovani, chiamati da subito a fornire ogni utile apporto, così dando vita ad una nuova cultura della gestione ed organizzazione degli uffici. Eravamo insomma convinti che fosse ormai tempo di cambiare profondamente i moduli organizzativi degli uffici giudiziari. Evidente l’attualità e l’importanza degli argomenti trattati in quella occasione. 

Mi fermo qui, pur se vi sarebbero molti altri importanti eventi da citare.

 

Il Movimento per la giustizia è sempre stato “in movimento”: uno tra i primi gruppi a organizzare iniziative per indirizzare i magistrati all’utilizzazione di internet, ha fondato una rivista (Giustizia Insieme) che, insieme a Questione Giustizia, è tra le più impegnate nell’affrontare i temi della giurisdizione. Quali sono i contenuti portati avanti dal gruppo?

Ricordo che, in un crescendo di impegno diffuso, il Movimento aveva per la prima volta pubblicato un proprio periodico autofinanziato, Impegno per la Giustizia, ovviamente in cartaceo verde. Il primo numero fu quello dell’ottobre/dicembre 1989. Stampa, pubblicazione e diffusione del periodico, come tutte le attività del Movimento ancora oggi, furono autofinanziate.

Un ulteriore salto di qualità segnò la storia del Movimento tra la fine del 2008 ed il 2009, allorché, dopo la fusione con Articolo 3, i due gruppi unificati diedero vita alla rivista quadrimestrale in cartaceo Giustizia Insieme (Aracne Editrice srl): il primo numero risale al dicembre 2008 (n. 0/2008). Sin dalle prime pubblicazioni, la rivista è stata una piattaforma “aperta” ai contributi non solo degli appartenenti al gruppo, ma anche di avvocati, accademici, giornalisti: il modo migliore per parlare di giustizia e dei suoi rapporti con la società senza isolarsi in una grotta.

Dopo vari anni di pubblicazione in cartaceo, con copertina rigidamente verde, l’ultimo numero (nn. 2.3/2013) fu pubblicato nel dicembre 2014, ma da quel momento la rivista iniziò ad essere diffusa solo sul web (https://www.giustiziainsieme.it/) e diventò, unitamente a Questione Giustizia che fa capo ad MD, una delle più importanti sedi di dibattito su temi giuridici di ogni natura, incluse la giustizia dell’UE, quella amministrativa e tributaria, la materia ordinamentale, la tematica dei diritti umani etc. Redazione e comitato scientifico sono ricchi di saperi di diversa estrazione. E’ interessante leggere alcune parole che spiegano “gli obiettivi” di Giustizia Insieme, illustrati nella sua homepage (anch’essa con sfondo verde e logo immutato):

Giustizia Insieme, si propone l’ambizioso progetto di realizzare una piattaforma permanente dedicata al confronto tra magistrati, avvocati, studiosi del diritto e società civile”...per “diffondere il modello di magistrato non autoreferenziale ma capace di ascoltare e confrontarsi con la società ...” 

“Un Filo rosso da dipanare in termini di aspirazione al miglioramento dell’esercizio della funzione giurisdizionale nella consapevolezza della molteplicità degli effetti diretti e indiretti che ognuna delle decisioni del magistrato, dell’avvocato così come di tutti gli attori del processo, determina nell’individuale e nel sociale”.

L’evoluzione della nostra società ha mutato le nuove generazioni e con esse i giovani magistrati, i giovani avvocati e gli attori del processo. Ai giovani, per primi, si rivolge “Giustizia insieme” con l’impegno di ricordare che tra l’essere e l’apparire la scelta va rivolta all’essere con tutte le responsabilità connesse ..”

Giustizia Insieme per offrire un luogo di confronto duttile ai cambiamenti quale eredità per le future generazioni che, come noi, continueranno ad aspirare ad una magistratura che non sia corporativa, autoreferenziale e ripiegata su sé stessa bensì che sia impegnata ad ascoltare le parti del processo, a studiare, a ricercare soluzioni e a confrontarsi per poi decidere, nel silenzio della camera di consiglio, senza mai distogliere lo sguardo dal destinatario della sua decisione.

Il potere determina grandi responsabilità e, come è scritto nella prima presentazione della rivista, “la giustizia è una questione troppo importante perché se ne occupino solo i giudici”. 

Davvero incredibile il numero e la varietà degli argomenti trattati a più voci nella rivista nel corso della sua storia: mi limito a citare, a solo titolo di esempio, interventi su riforme della Giustizia e del CSM (con dibattito sull’ipotesi anticostituzionale e strampalata del sorteggio dei suoi componenti), ruolo dell’avvocatura nei Consigli giudiziari, criterio delle “pari opportunità”, carichi e condizioni di lavoro dei magistrati, rapporti tra mafia, politica e mondo degli affari, temi connessi dell’immigrazione e dei diritti fondamentali, sicurezza ed igiene sul lavoro, giudici e letteratura, approccio dei giovani magistrati ed avvocati al mondo della giustizia, comunicazione e giustizia nel mondo del web, processi e informazione, giustizia disciplinare, magistratura onoraria, ricordi non retorici di G. Falcone e P. Borsellino e del loro metodo di lavoro, l’esperienza dei magistrati nelle scuole, l’esperienza all’interno di Medel-Magistrats Européens pour la Démocratie et les libertés (cui, sulla scia di MD, il Movimento si è iscritto nel 2004, operandovi con successo e convinzione, insieme ad altre associazioni di giudici e pubblici ministeri di 16 stati europei, per sviluppare ed arricchire una comune cultura europea fondata sui valori propri dello Stato di diritto e della difesa dell’indipendenza della magistratura), il rapporto tra diritto comunitario e diritto interno, l’organizzazione degli uffici giudiziari ed il loro rapporto con i cittadini, pubblico ministero e polizia giudiziaria, giurisdizione e politica tra società e istituzione, diritto del lavoro. A proposito del citato passaggio della rivista dal formato cartaceo alla versione sul web, va detto che il Movimento per la Giustizia ha promosso anche varie iniziative – dal titolo “Il magistrato nella Rete, navigare nel diritto”- per indirizzare al meglio i magistrati all’utilizzazione di Internet e così migliorare il lavoro attraverso una capillare ricerca di testi di legge, sentenze e consultazione di siti Internet.

Il Movimento per la Giustizia, infatti, ha sempre avuto un’attenzione particolare per l’informatica ed è stato forse il primo gruppo dell’ANM ad utilizzare internet dando vita al sito www.Movimento perlagiustizia.it. 

Ma è stato sicuramente il primo gruppo a realizzare, sin dai suoi primi anni di vita, una “comunità informatica” attraverso una mailing list di discussione che raggiunse rapidamente un numero considerevole di iscritti, consentendo, cosa mai avvenuta prima, la possibilità di discutere e scambiarsi opinioni in tempo reale: una vera e propria “piazza virtuale”, peraltro da subito aperta a persone estranee alla magistratura, ma comunque interessate al mondo della giustizia (avvocati, docenti, giornalisti).

Da qualche anno, infine, il Movimento-Articolo 3 si è dotato anche di un’interessante chat su WhatsApp che consente il tuning immediato tra tutti i partecipi: il tempo di postare, di leggere e – se si vuole – di ripostare ed il dibattito è avviato ed è alla portata di tutti. Nella chat scorre la vita del Movimento così come essa è: è così realizzato pienamente il sogno di trent’anni fa, cioè l’immediata conoscenza dei fatti per tutti e la possibilità di intervento in linguaggio corrente.

 

Da Movimento per la Giustizia a Movimento per la Giustizia-Proposta 88 alla fine degli anni ’80, a Movimento per la Giustizia-Art. 3 nel 2008 e ad Area democratica per la giustizia nel 2016. Quella del gruppo, a guardarla retrospettivamente, è stata una storia di inclusioni/aggregazioni. Ce le spieghi? In particolare, vuoi parlarmi dei rapporti con Magistratura Democratica? Ricordo, per avervi partecipato personalmente, che il primo motivo di aggregazione fu culturale, nell’ambito degli Osservatori sulla giustizia civile, ove si condivideva l’idea di un magistrato che dialogava con il foro, con il personale amministrativo e con la società civile e, in un’ottica di efficienza e di trasparenza, si individuavano e diffondevano buone prassi organizzative. 

Certamente uno dei momenti più importanti della nostra storia fu prima l’avvicinamento e poi la fusione che si verificò tra il Movimento ed Articolo 3. Una storia che ricorda la già ricordata fusione con Proposta ’88, ma che è più articolata di quella. 

La storia di Articolo 3 è innanzitutto la storia dei Ghibellini o di alcuni di essi. Il Ghibellin Fuggiasco era un foglio edito per la prima volta nel marzo del 1999, come “foglio critico-informativo” di Unità per la Costituzione, da giovani rappresentanti di quel gruppo del distretto della Corte d’Appello di Napoli, diretti da Modestino Villani, alcuni dei quali ben presto lasciarono Unicost. Con le nuove elezioni dell’ottobre del 2001, la “Lista 1 marzo” , composta da magistrati facenti riferimento a MD, Movimento e Ghibellini, registrò un clamoroso successo. Intanto i Ghibellini si andavano caratterizzando per il loro movimentismo, la trasversalità dei contributi e delle partecipazioni e la critica al correntismo come metodo per l’occupazione degli organi di autogoverno. Il gruppo si arricchì nei mesi successivi grazie alla partecipazione dei magistrati del distretto di Salerno aderenti a “Impegno per la legalità”. I Ghibellini furono protagonisti di un accordo con Movimento ed MD in vista della elezione del CSM nel 2002 (furono 8 i togati conseguentemente eletti in base alla nuova legge elettorale) e nell’ottobre del 2003, assumendo per la prima volta formalmente la denominazione di Articolo 3, parteciparono alle elezioni per il rinnovo del CDC, ottenendo l’elezione di due candidati. 

L’esperienza di cooperazione con il Movimento, ormai nota a livello nazionale, determinò poi la presentazione di una lista unica per il rinnovo del 2007 del CDC e la conseguente formazione in quell’ambito di un gruppo unico composto da cinque candidati eletti. 

Ormai la strada era spianata e finalmente, nel corso dell’Assemblea di Roma del 13 e 14 dicembre 2008, fu formalmente ratificata la fusione in un unico gruppo, il Movimento per la Giustizia – Articolo 3: ancora e sempre in Movimento, tutti, per offrire ai magistrati italiani una specifica proposta di impegno professionale e di cultura della giurisdizione, dell’associazionismo, del governo autonomo.

Professionalmente non mi sono mai occupato di giustizia civile, tranne la materia dell’ immigrazione e del diritto d’asilo. Ho però sempre seguito l’attività del Movimento in quel campo. Ricordo che, insieme ad MD, il Movimento ha costituito il “Gruppo sul civile”. Si trattava di un esempio di collaborazione tra le due correnti voluta da Carlo Verardi, che ne vantò l’importanza in un suo intervento a fine duemila in un congresso nazionale di MD, l’ultimo prima della sua prematura scomparsa nel settembre del 2001. Il gruppo gradualmente è stato assorbito nell’utilissima attività degli Osservatori per la giustizia civile cui molti magistrati del Movimento partecipano con entusiasmo visti la complessità della materia ed i contenuti delle riforme che la riguardano.

Di lì a pochi anni, vista la loro indiscutibile vicinanza culturale e le “alleanze” spesso attuate in occasioni di elezioni associative (distrettuali e nazionali), Movimento per la Giustizia-Art.3 e Magistratura Democratica, con atto fondativo (la Carta Dei Valori) approvato dall’Assemblea di Roma l’8 giugno 2013, formalizzarono la nascita di “Area”, fino a quel momento mero “cartello elettorale”, divenuta, proprio con l’approvazione di quella Carta, e grazie all’esperienza di lavoro comune maturata negli organi di autogoverno centrali e locali e nell’Associazione Nazionale Magistrati, un gruppo autonomo della magistratura associata. 

In realtà, una parte del Movimento ebbe delle perplessità quanto all’avvio del percorso che ha condotto ad Area. A coloro che dicevano con entusiasmo “contaminiamoci” si contrapponevano quelli che vedevano difficoltà di amalgama tra MD, che appariva organizzazione rigidamente strutturata, ed il Movimento, che ha sempre tratto il suo appeal dalla mancanza di una strutturazione forte e dunque, oggettivamente, da una maggiore libertà, se non una pluralità, di discussioni interne ed esterne e di giudizio sugli eventi.

Comunque, era stato il 2012 l’anno di svolta di AREA (già presente – come si è detto - in molte realtà locali), atteso che per le elezioni del CDC dell’ANM del febbraio 2012, per la prima volta MD e MOV3 presentarono una lista unica - appunto denominata AREA - e non due separate. 

Area elesse propri esponenti nel Consiglio Superiore della Magistratura, nei Consigli Giudiziari e in tutti gli organi rappresentativi dell’Associazione Nazionale Magistrati. Il Coordinamento di Area fu inizialmente composto da rappresentanti delle due predette correnti, facenti parte dei rispettivi Direttivi.

Si rese necessaria a quel punto la precisazione dei fini di Area, da intendersi come un soggetto autonomo rispetto ai gruppi che vi avevano dato vita, il che non implicava l’esaurimento della loro esperienza o il superamento dell’appartenenza essendo evidente che quei gruppi continuavano ad essere la spina dorsale di Area: un esperimento senza precedenti per l’associazionismo giudiziario, che richiedeva però struttura ben precisa e la scelta di cosa il nuovo gruppo doveva essere.

Sulla base di tali riflessioni, nel giugno 2015 fu approvata una carta di organizzazione in forza della quale, ad ottobre dello stesso anno, furono eletti i componenti del Coordinamento Nazionale di Area, chiamando al voto diretto tutti i magistrati aderenti. 

Il 21 giugno 2016 Area si costituì formalmente come associazione con atto notarile e si diede uno Statuto, approvato dall’Assemblea Nazionale il 27 novembre 2016. 

Il 26 e il 27 maggio 2017 si tenne a Napoli il Primo Congresso Nazionale che segnò una svolta, icasticamente rappresentata dal mutamento del nome: “Area” diventava “Area Democratica per la Giustizia” (AreaDG), assumeva dunque un’identità più chiara, dando avvio ad una campagna di iscrizioni e contestualmente creando il proprio sito internet. Non mutava però la propria natura di associazione plurale aperta al contributo di tutti.

Con il documento fondativo, i magistrati di “Area Democratica per la Giustizia” così si presentavano: “Siamo magistrati italiani ed europei, orgogliosi di far parte di una magistratura indipendente e autonoma, che, proprio perché tale, è stata capace di far fronte al terrorismo e alle mafie e di tutelare i diritti fondamentali delle persone. Siamo consapevoli che l’evoluzione del ruolo del magistrato e il crescente rilievo della giustizia nella vita collettiva sottolineano l’esigenza della professionalità, della responsabilità e della deontologia del magistrato. La Costituzione è il nostro punto di riferimento nell’esercizio della giurisdizione e nell’autogoverno. Area nasce da un’idea di giustizia come esigenza inalienabile di ogni persona, bene comune e funzione pubblica al servizio della società. Vogliamo realizzarla, partendo e beneficiando dell’esperienza e del patrimonio storico e ideale di Magistratura Democratica e del Movimento per la Giustizia-Art. 3.”. Dichiaravano, altresì, di riconoscersi nell’Associazione Nazionale Magistrati e nella sua funzione di presidio dell’autonomia e indipendenza della magistratura italiana, aspirando a rinnovarla uniformando la sua azione di rappresentanza a principi come l’apertura alla società, la trasparenza nel funzionamento della giurisdizione e del governo autonomo, l’affermazione dei principi di eguaglianza, solidarietà e giustizia, prestando attenzione ai diritti, particolarmente a quelli dei più deboli ed emarginati, rifuggendo da pericolose spinte corporative e burocratiche ed operando insieme agli avvocati, al personale amministrativo e a tutti gli operatori del settore per migliorare il funzionamento della Giustizia …”che è per noi – oggi come sempre – un bene comune, strumento imprescindibile ed essenziale perché i valori Costituzionali possano trovare attuazione”.

Dall’approvazione della Carta dei Valori, comunque, molto cammino è stato fatto, ma non sono mancate dialettiche e polemiche interne: ad esempio, MD, nonostante molti dei suoi iscritti “militassero” ormai convintamente in Area, ha determinato uno strappo interno non marginale, autonomamente decidendo di presentare una propria lista di candidati in occasione delle elezioni del settembre del 2022 dei componenti togati del CSM. Il Movimento, pur continuando ad esistere, non lo ha fatto, riconoscendo solo ad Area la gestione della politica associativa ed elettorale. 

Pur convinto della necessità perdurante di preservare il patrimonio culturale e storico di corrente all’interno di Area, ritengo che la scelta di MD nella predetta fase elettorale, indipendentemente dai risultati, non costituisca una bella pagina nella storia di Area Democratica per la Giustizia: non a caso molti storici magistrati aderenti ad MD, che hanno sin dalla fondazione di Area lavorato in modo convinto per la nuova comune realtà associativa, si sono dimessi da Magistratura Democratica.

In ogni caso, è bene attendere lo sviluppo di questa complessa vicenda per trarne conclusioni definitive riguardanti la storia ed il futuro del Movimento per la giustizia (che deve recuperare il suo spirito originario e riappropriarsi di una quota di autonomia politica, pur all’interno di Area), di Magistratura Democratica (che dovrebbe tornare a credere in Area DG) e di Area Democratica per la Giustizia, che deve porre al centro del suo agire la questione morale, l’impegno sociale e la resa della giustizia in senso non burocratico, attraverso una dirigenza capace di meglio ascoltare e valutare anche il dissenso interno. Continuerà o riprenderà, in tal modo, un auspicabile cammino comune.

 

Vuoi dirmi come si è svolta la vita del Movimento per la giustizia-Art.3 in questi oltre 30 anni?

Ho già ricordato molte cose della nostra storia, ma vorrei ora risponderti parlando dell’impegno che più mi affascina, l’impegno civile. Ricordarlo e valorizzarlo potrebbe servire – spero – a far rinascere passione per la vita associativa, evitando che molti magistrati si rinchiudano nel proprio ufficio (sempre che ne abbiano uno), prestando attenzione solo ai procedimenti loro assegnati, ai carichi medi di lavoro ed ai parametri per positive valutazioni della loro professionalità.

Una tale disaffezione, nel tremendo periodo che la magistratura sta vivendo, è anche conseguenza del caso Palamara e della disinformazione che lo accompagna, spesso finalizzata a ledere il senso stesso dell’associativismo, accusando indiscriminatamente tutti i giudici ed i pubblici ministeri di sistematiche violazioni dei loro doveri. 

La storia dell’Associazione Nazionale Magistrati e di alcune sue componenti (tra cui sicuramente il Movimento per la giustizia) dimostra come l’impegno civile possa rafforzare la fiducia dei magistrati nel proprio ruolo e faccia crescere quella dei cittadini nella Giustizia.

Partendo dalla fine degli anni ’80, va ricordato, ad esempio, come molti magistrati che si occupavano del contrasto del terrorismo interno, sostenuti dall’ANM, si dedicarono anche al racconto pubblico della verità. Quei magistrati, cioè, proprio nella tem­perie degli anni di piombo, sentirono il dovere di uscire dai lo­ro palazzi per discutere di legalità in scuole e università, in circoli di quartiere e nelle fabbriche, in sedi di associazioni culturali e ovunque fosse possibile, allo scopo di diffondere la conoscenza della perversa ideologia terroristica e così contrastare con fermezza il verbo di chi teorizzava la neutralità («né con lo Stato, né con le Brigate Rosse») e di quanti – anche all’interno della magistratura ed in nome di una superficiale e disinformata concezione del garantismo – affermavano che le importanti leggi approvate in quegli anni e le modalità di conduzione delle indagini (con utilizzo dei cd. “pentiti”) avessero leso i diritti fondamentali degli imputati, dei loro difensori e di tutti i cittadini in nome di una sorta di repressione del dissenso politico. Negli anni seguenti, un identico doveroso impegno è stato messo in campo contro la logica mafiosa, la corruzione, nonchè a difesa dei principi costituzionali e del principio di solidarietà.

Ed è stato così anche negli anni seguenti. Tra la fine del 2002 e la primavera del 2006 sono state numerose le iniziative cui il Movimento per la giustizia ha preso parte: il 14 settembre del 2002, ad es., alcuni suoi dirigenti, unitamente a quelli di MD, parteciparono alla indimen­ticabile manifestazione di Roma, dinanzi alla basilica di San Gio­vanni in Laterano, con centinaia di migliaia di persone arrivate da ogni parte d’Italia, sia per manifestare contro quelle che ormai venivano definite, anche da accademici, le «leggi vergogna», sia – soprattutto – per esternare le loro preoccupazioni per le sorti della democrazia in Italia. Ciò scatenò le rea­zioni di molti politici della maggioranza, nonostante avessimo spiegato a qualche importante quotidiano le ragioni della nostra pre­senza e la sua piena compatibilità con l’esercizio imparziale della nostra funzione.

Tra il 2004 e la pri­mavera del 2006, i dirigenti del Movimento parteciparono ad iniziative tese a contrastare la pessima riforma costituzio­nale messa in cantiere e poi approvata dalla maggioranza di cen­trodestra che governava il paese in quegli anni. Furono moltissimi i colleghi che si “schierarono”, oltre a varie associazioni e confederazioni sindacali, all’Anpi ed a chiunque altro fosse sensibile al tema. Il Movimento per la giustizia e Magistratura democratica aderiro­no anche formalmente al Comitato per la difesa della Costituzione di cui fu nominato presidente Oscar Luigi Scalfaro. Nonostante le riserve di qualche collega e di consistenti spezzoni della Associazione Nazionale Magistrati, fino al giugno del 2006 fu tutto un susseguirsi frenetico di manifestazioni, convegni, dibattiti e interventi organizzati ovunque possibile e sempre per lo stesso fine : il «No» vinse con il 61,3%, riforma bocciata!

Nonostante le accuse di politicizzazione che ci piovevano addosso, molti magistrati del Movimento per la giustizia e di MD si impegnarono, ancora una volta con successo e sempre a sostegno del “NO”, anche nella campagna referendaria del 2016 contro la pessima riforma costituzionale definita “renziana” e messa in campo da uno schieramento politico di orientamento apparentemente opposto rispetto al 2006 .

Potrei continuare ad elencare varie altre importanti occasioni di impegno civile del Movimento per la giustizia, ma mi limito a citare quelle che hanno riguardato il tema dell’immigrazione, tuttora oggetto di dispute politiche e sociali dai toni aspri e spesso offensivi. E’ noto che, nel 2008 e 2009 da un lato e nel 2018 e 2029 dall’altro, i governi pro tempore vararono rispettivamente “pacchetti sicurezza” e “decreti sicurezza”, colmi di previsioni lesive di valori costituzionali.

Orbene, anche in quel caso a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, cioè nel 2009 Movimento per la giustizia e Magistratura Democratica e nel 2019 Area Democratica per la Giustizia organizzarono due splendidi convegni a Lampedusa, luogo di tragedie e sofferenze, ma anche simbolo dell’accoglienza. Entrambi avevano lo stesso titolo: “La frontiere del diritto ed il diritto della Frontiera”, ma al titolo del secondo era aggiunto la frase “Dieci dopo ancora insieme a Lampedusa”

Vi parteciparono – da noi invitati - avvocati, giornalisti, magistrati, alti ufficiali della Guardia Costiera nonchè il Vescovo di Agrigento ed il sindaco che aprirono quegli incontri dedicati alla solidarietà. Intervennero anche ex presidenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, il responsabile dell’Alto Commissariato dell’ONU-UNCHR, il Vice Presidente della Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo ed un componente del Tribunale permanente dei popoli.

Naturalmente vi sarà sempre chi sosterrà che i magistrati possono parlare e scrivere solo con le sentenze ed atti giudiziari e che iniziative come quelle descritte sono motivate da orientamenti politici. Di fronte a tali accuse vorrei chiedere a chi le formula di evitare ingiustificate generalizzazioni : la Costituzione non prevede solo principi astratti, ma impone anche doveri per i cittadini che vi si riconoscono, come l’impegno per la difesa dei diritti fondamentali.

È questo il modello di magistrato che auspico per il futuro delle correnti dell’ANM, a partire ovviamente dal Movimento per la giustizia, un futuro caratterizzato cioè da un impegno civile perfettamente compatibile con la professione e con la vita associativa, ed anzi capace di “purificare” l’Associazione stessa.

La rottura della separatezza della casta, del resto, fu una delle ragioni d’essere della Associazione: proprio nella se­duta di fondazione dell’Agmi, Giovanni Sola, appena assunta la presidenza, esordì osservando: «La magistratura italiana, già da tempo, sente il bisogno di uscire dal suo isolamento di fronte allo sviluppo economico e sociale del paese e ai complessi problemi che tuttora gravano insoluti sugli ordinamenti della giustizia». Sono parole e concetti che riecheggeranno negli anni successivi e che si devono considerare attuali ancora oggi.

Sono orgoglioso di appartenere a un’associazione che ha que­sta storia e che non a caso raccoglie il 94% dei magistrati italiani. Dunque, pur dando per scontato che anche al nostro interno si manifestano talvolta condotte incompatibili con il codice deonto­logico che ci siamo dati (tra cui contiguità politiche, insufficiente operosità e scarsa sensibilità al pubblico interesse), non com­prendo come oggi sia possibile per molti magistrati dimenticare le nostre radici, reclamare per l’Anm una prevalente attenzione agli aspetti economico-sindacali e snobbare indifferenti i valori alti che ci legano, in nome di riforme o progetti di riforme che hanno il sapore del populismo.

Il Movimento per la giustizia non lo ha mai fatto.

 

Qual è stata la posizione del Movimento -Art. 3 in relazione ai temi che maggiormente hanno determinato discussioni e polemiche negli ultimi anni?

Necessariamente affronterò di seguito solo alcuni dei temi di maggior rilievo del dibattito pubblico riguardante la Giustizia. Spero di rappresentare correttamente la posizione del Movimento: qui parlo della storia che ho vissuto e delle scelte del Movimento cui, con molti altri colleghi, ho contribuito. Poi, è ben possibile che tutto cambi, ma io non me lo auguro, almeno rispetto a questi argomenti.

Parto dalla separazione delle carriere, tema che tanto affascina alcuni settori della politica e l’Unione delle Camere Penali. Gli argomenti che vi si oppongono sono numerosi e vincenti, riguardando principi costituzionali, l’assetto prevalente a livello internazionale, la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul “Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale”. Non vale la pena, pertanto, rispondere ad affermazioni di segno opposto, anche se provenienti da settori minoritari di altre correnti e da ex magistrati, in quanto infondate, incolte e talvolta offensive, come quella secondo cui i giudici, per effetto della già limitata possibilità di interscambio delle funzioni, sarebbero portati ad accogliere le tesi dei p.m. . La posizione del Movimento è sempre stata fortemente contraria, “senza se e senza ma”.

Quanto al sorteggio o pre-sorteggio dei magistrati componenti del Csm, si tratta di uno dei peggiori fantasmi che aleggiano sulla magistratura italiana e coloro che, anche magistrati, continuano a sostenerlo, ignorano valore e contenuto del diritto di voto previsto dalla Costituzione (art. 104, comma 3) che prevede elezioni vere e libere, senza alcuna possibilità di eluderne o limitarne la portata. I magistrati, infatti, hanno il diritto di inter­loquire sul funzionamento della giustizia, sulla sua organizzazio­ne, sulla difesa della propria indipendenza: ad es., è meglio nominare un dirigente più anziano o uno più dinamico e capace (vecchio tema di discussione)? È meglio privilegiare la specializzazione o la plu­ralità delle esperienze professionali? È giusto organizzare corsi di aggiornamento professionale aperti alle esperienze esterne alla magistratura? O è meglio evitarlo? E – passando alle valutazioni dei disegni di legge – è ac­cettabile che in nome della sicurezza si sacrifichino i diritti fon­damentali delle persone?

Tuttora non vedo perché dovrebbe essere vietato o criticabile che anche i magistrati rico­noscano le proprie affinità con taluni colleghi e ai colleghi affini preferiscano far riferimento per elaborazioni culturali o per desi­gnarli – attraverso il voto – a compiti di rappresentanza nell’As­sociazione o a funzioni istituzionali in seno al Csm. È normale, infatti, che le correnti, in vista delle elezioni dei dirigenti dell’Associazione ma­gistrati o dei componenti togati del Csm designino i propri can­didati ed elaborino programmi sottoponendoli al giudizio dei magistrati elettori. Ed è logico che i candidati, per presentarsi agli eletto­ri, si aggreghino per omogeneità di vedute e vogliano rendersi riconoscibili con un programma, una sigla. Sono le regole fon­damentali della democrazia Ecco perché all’interno dell’Associazione magistrati si sono for­mate le tanto vituperate correnti: luoghi di aggregazioni ideali, delle quali va contrastata non la ragion d’essere, ma solo la deriva corporativa.

Il sorteggio, insomma, è una ipotesi di riforma offensiva ed umiliante per i magistrati, con il Csm ridotto al rango di una bocciofila di quartiere e i magistrati al livello di persone che non sanno giudicare, orientarsi, scegliere, partecipare alla vita democratica e che sono costretti ad accettare che le alte funzioni consiliari siano esercitate da colleghi comunque selezionati in base al caso. Ancora una volta si conferma, in tal modo, un convincimento diffuso in politica: i magistrati sono persone da punire, persino privandoli del diritto di voto.

Ricordo con orgoglio, pertanto, la posizione assunta dal Movimento per la giustizia, fermamente contraria ad ogni tipo di sorteggio per selezionare i componenti del CSM, una fermezza mantenuta anche negli ultimi anni quando, riforma ordinamentale Cartabia alle porte, settori marginali della magistratura (tra cui anche pm e giudici noti che qui non vale la pena di nominare) hanno continuato incredibilmente a sostenere, ed ancora sostengono, la necessità del “sorteggio temperato” per vincere le degenerazioni correntizie.

La soluzione dei problemi emersi in questi anni sta altrove: nel pretendere che i magistrati, a partire dai più giovani, esercitino il diritto di voto in modo consapevole, premiando gli sforzi di chi si adopera – nel Csm, nell’Associazione e nel suo lavoro quotidiano – nell’interesse dei cittadini e della giustizia, anziché del gruppo di appartenenza. 

Insieme al sorteggio appena citato, altra proposta populista che periodicamente torna di attualità è quella della abolizione delle correnti dei magistrati, non si comprende se con legge o con atto interno dell’ANM. Prescindendo dalle già ricordate ragioni storiche e culturali della nascita e dello sviluppo delle correnti, fondate su diverse visioni del ruolo del CSM e della stessa idea di organizzazione e gestione della giustizia, ci si deve chiedere se chi formula tale ipotesi conosca la Costituzione ed il principio di libertà di associazione previsto nell’art. 18. 

Tra i magistrati circolano spesso sconcerto e rabbia, essendo tutti consapevoli che, ad es., le note conversazioni e gli incontri di cui si è parlato negli ultimi tempi costituiscono quanto meno le specchio di relazioni personali a dir poco improprie e di interessi di singoli, di correnti e di esponenti di partiti che si intrecciano al di fuori degli ambiti istituzionali. Ma deve essere chiaro che non esistono bacchette magiche per rigenerare le correnti e l’impegno associativo, così come sarà sempre impossibile eliminare una quota di discrezionalità nelle scelte consiliari . Le correnti, allora, tornino ad essere luoghi di discussione ideale e culturale come erano e come possono esserlo ancora: devono essere cancellati i frutti marci dell’associazionismo, vivendolo virtuosamente nel quotidiano. Per le correnti deve valere – e non solo in occasione delle scadenze elettorali - più la coerenza dell’agire in relazione ai principi cui si ispirano ed alla propria identità culturale, piuttosto che la ricerca del consenso o la politica dei “passi felpati” e degli accordi ad ogni costo. Questa è almeno l’idea delle correnti in cui hanno sempre creduto coloro che hanno contribuito a fondare ed a far crescere il Movimento per la giustizia. 

L’irrinunciabile pre-requisito di ogni riforma – che da sé non potrà mai essere la panacea di tutti i mali - riguarda comunque i magistrati elettori per i quali, ai fini di un voto libero e motivato va invocata, così come per i cittadini nelle elezioni politiche, una più approfondita conoscenza dei programmi e dei profili dei candidati, verificandone successivamente – se eletti – la fedeltà e la coerenza rispetto ai principi dichiarati . Lo ripeterò fino alla noia. 

Anche sul potere dei Procuratori della Repubblica, si sono registrate posizioni inaccettabili di chi confonde il loro indiscutibile e giusto “potere organizzativo” con un potere di tipo “gerarchico”. Il primo richiede una costante interlocuzione con i magistrati componenti dell’Ufficio ed il Movimento per la giustizia ha sempre sostenuto tale ultima necessità e quella delle Assemblee periodiche a ciò finalizzate.

La corretta gerarchia di tipo organizzativo deve essere soprattutto capace di esprimere un potere di indirizzo circa l’adozione, da parte degli aggiunti e dei sostituti, di criteri omogenei ai fini delle determinazioni inerenti il “corretto, puntuale ed uniforme” esercizio dell’azione penale e dell’utilizzo delle risorse disponibili: un problema reale, presente in ogni Procura, che va affrontato “facendo squadra” ed in cui il Procuratore riveste un decisivo ruolo di spinta.

Non è un caso che Area Democratica per la Giustizia sia impegnata costantemente sul tema dell’organizzazione degli uffici in nome della loro trasparenza ed efficienza, pur se si tratta di un impegno non sempre gradito ad alcuni dirigenti.

Importante è anche il tema dell’attenzione che i magistrati devono riservare ai rapporti ed al confronto con l’Avvocatura, co-protagonista della giustizia, al fine di poter individuare e superare, anche per quella via, criticità organizzative degli Uffici Giudiziari, a partire dal deficit di personale amministrativo.

Sono auspicabili incontri tra dirigenti di tali uffici ed i rappresentanti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati e delle Camere Penali che possono favorire persino alcune scelte organizzative come quelle concernenti l’assetto dei gruppi specializzati dei Pubblici Ministeri e delle Sezioni di Tribunale, l’elaborazione dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, le modalità di svolgimento delle udienze, l’accesso informatico a taluni atti e l’acquisizione di copie digitalizzate di atti, l’inoltro reciproco informatizzato di istanze ed atti.

In questa cornice, trovo condivisibile che nella cd. Riforma Cartabia si preveda il coinvolgimento di avvocati e professori in alcune delle competenze dei Consigli giudiziari, tra cui le valutazioni di professionalità, ove comunque il voto degli avvocati deve essere unanime e conforme alla valutazioni del Consiglio dell’Ordine forense competente. Non serve elevare muri – come alcune correnti e vari magistrati hanno fatto – contro questo aspetto della riforma, ipotizzando atteggiamenti vendicativi (o quasi) di avvocati, conseguenti a precedenti “scontri” processuali con i magistrati da valutare. Trovo tale argomento offensivo nei confronti della classe forense, quasi che la dialettica processuale tra le parti, che può essere spesso accesa, condizionasse il dovuto leale rapporto tra Avvocatura e Magistratura.

Il Movimento per la giustizia, al di là di isolate e criticabili eccezioni, non ha assunto fortunatamente questa posizione, pur non rinunciando ad un confronto con il Ministro della Giustizia – come del resto ha fatto l’ANM – in ordine a criticità rilevabili nella riforma.          

Particolare attenzione va da sempre riservata al tema del rapporto tra giustizia, informazione e comportamenti dei magistrati. E’ questo un argomento di discussione rispetto al quale il Movimento per la giustizia può rivendicare una linea coerente, che ha portato i suoi componenti, indipendentemente dagli incarichi direttivi eventualmente rivestiti, a rifuggire da insopportabili eccessi di retorica e di autoreferenzialità, individuabili in atteggiamenti diffusi, nelle conferenze stampa e nelle parole di alcuni magistrati, pur se lodevolmente impegnati in indagini difficili e pericolose. Non sono apprezzabili, infatti, quanti si propongono (o accettano che altri li propongano) come eroi solitari e isolati, unici custodi e ricercatori della verità, sicché chiunque osi esprimere critica e dissenso rispetto al loro operato viene solo per questo collocato nello schieramento dei nemici del bene e della verità.

Ad avviso del Movimento, si deve evitare di incorrere in simili atteggiamenti che rischiano peraltro, di indurre in errore la pubblica opinione, facendole credere che la giustizia sia terreno riservato ad una eroica élite di magistrati ed investigatori: il nostro, invece, è un lavoro normale come tanti altri e la Giustizia è un “bene comune” che può affermarsi solo con l’impegno quotidiano di una collettività sensibile, qualunque sia il lavoro ed il sistema di vita di quanti la compongono.

Si spiega dunque come il D. lgs. 8 novembre 2021, n. 188, conosciuto come “legge sulla presunzione di innocenza” di (parziale) recepimento della direttiva UE 2016/343, abbia inteso, con minime criticità e senza introdurre affatto alcun bavaglio all'informazione, contrastare prassi inaccettabili, come conferenze stampa teatrali, commenti che anticipano le decisioni quasi che i provvedimenti restrittivi equivalgano a vere e proprie sentenze. 

Il dovere di informazione va esercitato nei limiti della legge, rispettando la privacy, le regole deontologiche, e ovviamente la presunzione di innocenza, facendo piazza pulita di quella furia comunicativa che porta alcuni magistrati ad esaltare le proprie inchieste o quelle del proprio ufficio.

Tralasciandone altre, chiudo l’elenco delle problematiche di rilievo che dividono spesso anche l’ANM, citandone alcune che hanno visto il Movimento per la giustizia discuterne apertamente, pervenendo a scelte apprezzabili, anche se non sempre del tutto condivise al suo interno.

Mi riferisco a chi giudica riprovevole l’aspirazione ad assumere incarichi direttivi o semidirettivi in un ufficio requirente o giudicante, definita “carrierismo”, a chi auspica automatismi di ogni tipo per l’assegnazione di tali incarichi in modo da cancellare la discrezionalità delle scelte ed infine a chi “demonizza i magistrati fuori ruolo accusandoli delle più varie nefandezze” (espressione da me condivisa di Claudio Castelli), quasi che tale impegno comportasse un marchio eterno di inaffidabilità.

Si deve allora reagire con intelligenza sia a tali convinzioni, che alle derive effettivamente presenti nei comportamenti di taluni magistrati collocati fuori ruolo. 

Nulla autorizza a dimenticare, infatti, la cultura istituzionale di magistrati che hanno svolto importanti incarichi fuori ruolo, inclusi quelli politici, rientrando con onore ed apprezzamento diffuso nell’esercizio delle precedenti funzioni ordinarie di magistrato. Per limitarmi a quelli “movimentisti”, voglio qui ricordare i nomi di G. Falcone, V. Zagrebelsky, G. Lattanzi, E. Lupo, V. D’Ambrosio, D. Carcano, G. Melillo, ma tanti altri potrebbero essere citati, anche appartenenti ad altre correnti. Inoltre, non credo affatto che, in nome di un presunto rigore morale, sia corretto penalizzare l’aspirazione a ricoprire funzioni direttive da parte dei magistrati, senza neppure distinguerne la natura. 

E’ al CSM che tocca bocciare le ambizioni di carriera fondate sul poco o sul niente valorizzando esperienze e professionalità positive, anche se riguardanti incarichi fuori ruolo ministeriali, o di natura istituzionale o di livello internazionale, in ordine ai quali è possibile valutare il grado di indipendenza dimostrato da chi li ha rivestiti, pur nella evidente impossibilità di eliminare ogni discrezionalità. Ma la “condanna” che si vuol comminare a chi ha svolto o intende svolgere incarichi fuori ruolo ed a chi aspira ad esercitare ruoli direttivi o semidirettivi, non può in alcun modo dar luogo a misure preventive o a “cure” fondate su automatismi o su generalizzati e non mirati divieti.

Ed il Movimento per la giustizia, per quanto noto a chi scrive, si è sempre battuto per tutto questo, senza rinunciare ad un corretto confronto con chi sostiene opinioni diverse, senza rinchiudersi in certezze prive di dubbi e senza evitare le necessarie autocritiche 

 

Secondo te, negli anni, il Movimento per la giustizia-Art.3 è riuscito ad attuare gli ideali che hanno portato alla sua nascita?

Mi chiedo se, fin qui, sia stato troppo sbilanciato nel sottolineare i tanti aspetti positivi della storia del Movimento per la giustizia, tacendo su possibili criticità. Non intendo, infatti, apparire un mero “laudator temporis acti” o un “conservatore” guidato dal mero rimpianto del passato. Mi sento piuttosto un critico per antitesi di certi aspetti del presente. 

Voglio ricordare, allora, parole tratte da articoli di Vito D’Ambrosio e Giovanni Tamburino pubblicati nel numero 0/2008 di Giustizia Insieme. Il primo, rientrato in magistratura dopo dieci anni, ha affermato “di avere trovato un Movimento cambiato e non di poco..con mutamenti che non erano semplici effetti degli anni passati…un percorso che è stato un susseguirsi di stop and go, freno ed acceleratore che ha confuso la nostra immagine”. Il secondo si interrogava su coloro che, tra i magistrati, avevano “nel frattempo scelto strade diverse per ragioni che comunque sono state utili per riflettere sull’idoneità attuale del Movimento a dare risposte efficaci per una figura di magistrato adeguato alla domanda di giustizia secondo i valori della Costituzione Repubblicana e per un associazionismo giudiziario all’altezza delle sfide che vengono sia dall’interno della stessa magistratura, che dalla società e dalla politica, attento al servizio e non al corporativismo in ogni sua forma”.

I due colleghi, comunque, hanno sempre creduto nel Movimento e nella sua laicità e libertà nell’approccio ai temi della giustizia. E’ quello in cui anche io oggi credo, pur se non ci si può limitare ad “etichettare festosamente le nostre scelte di vent’anni fa” (altre parole di D’Ambrosio) . Le loro parole potrebbero essere citate ancora oggi a quasi 35 anni dalla fondazione del Gruppo.

Le vicende generazionali e la modernità influiscono certamente anche sull’associazionismo e per i giovani magistrati contano il clima sociale e culturale negli anni della formazione: ma, considerando che forse è giunto il momento per un nuovo 1988, può ben dirsi che la difesa del passato diventa talvolta un ritorno al futuro.

Ecco perché deve chiedersi all’ANM ed al Movimento di evitare il ripetersi di scelte che talvolta si sono manifestate e che non sono condivisibili: non si deve, cioè, prestare attenzione solo agli aspetti impiegatizi e corporativi della funzione del magistrato.

Il Movimento per la giustizia, in particolare, deve interrompere e ribaltare un percorso di fatto che rischia di determinare alla fine “lo scioglimento di fatto del gruppo” quasi che il proprio compito associativo sia stato raggiunto o “appaltato ad Area Democratica per la Giustizia” (parole di un’esperta collega), che solo in futuro potrà diventare una corrente in ogni senso, purchè tutte le originarie componenti fondatrici decidano di autosciogliervisi o se una di esse decidesse in modo trasparente di “sfilarsi”. 

Ma fino a quel momento, occorre preservare la identità del Movimento, esprimendo in autonomia le proprie posizioni ed altrettanto consentendo di fare agli iscritti, pur dissenzienti rispetto alle scelte dei dirigenti. La “doppia tessera” non è un falso, ma una realtà possibile e sin qui praticata, e la cultura progressista consente momenti diversi di impegno, crescita e coinvolgimento delle nuove generazioni di magistrati.

Non a caso la definizione del gruppo rimanda al comune impegno delle due correnti fondatrici: “Area” (termine che indica un terreno ampio e senza netti confini entro cui operare), “democratica” (parola finale della denominazione di MD), “per la Giustizia” (parole finali della denominazione del Movimento).

Tutti insieme, dunque, per un percorso comune, per un rinnovato impegno civile, nonché per individuare o rinforzare idee forti della cultura della giurisdizione intesa come servizio professionale e responsabile, superando senza remore o riserve o eccezioni la regola dell’appartenenza.. 

In questo quadro la “questione morale” non può e non deve mai perdere il ruolo di “stella polare” dell’agire del gruppo. E resta centrale la necessità di un impegno chiaro, forte e continuo, simile a quelle messe in campo già vent’anni fa contro “leggi vergogna” e progetti di riforma punitivi nei confronti della Magistratura. La situazione, oggi, non sembra affatto migliorata, anzi! 

Forza Movimento!

Concludo con affermazioni forse banali: la giusta decisione nel settore penale e civile, al termine di una corretta e rapida trattazione di indagini e procedimenti, costituisce la stella polare del lavoro dei magistrati, ma altre luci devono illuminarlo e tra queste la già ricordata storia e la ragione d’essere dell’Associazione Nazionale dei Magistrati. Proprio ai tanti giovani colleghi che progressivamente perdono fiducia in chi li rappresenta ed ai quali ho qui già raccomandato di esercitare il loro diritto di voto in modo consapevole, mi permetto di raccomandare di tenersi lontani da ogni forma di populismo. Ma chiedo loro anche di conoscere e ricordare la storia della nostra Associazione, che è una storia bella e ricca e che non deve essere infangata da comportamenti interni vergognosi o da accuse ingiustamente generalizzanti ed interessate.

A tal proposito, vorrei ricordare che a Napoli, nel quartiere San Lorenzo, vi sono lapidi in marmo che affollano i muri della chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta. La piaz­zetta dove la chiesa si trova è tagliata, manco a farlo apposta, da Via dei Tribunali. I testi stupendi delle lapidi sono scritti in latino. Suscitano tutti un’eco profonda, ma due, in particolare, mi hanno sempre colpi­to e sempre rileggo quando passo in quella zona. Il primo dice: Excellentium virorum est improborum negligere contumeliam a quibus etiam laudari turpe [È degli uomini miglio­ri non curarsi degli insulti degli improbi, giacché persino essere lodati da costoro è motivo di vergogna]. Il secondo è ancor più si­gnificativo: Audendo agendoque Respublica crescit non iis consiliis quae timidi cauta appellant [La cosa pubblica cresce con coraggio e con l’azione, non con le decisioni che i pavidi chiamano caute][1].

Il pensie­ro va subito a quanti, ovunque collocati, nelle istituzioni o nei par­titi, ma anche nell’Associazione Nazionale Magistrati, conoscono solo la prudenza come criterio-guida della propria azione politica. La prudenza, sia ben chiaro, è virtù per chiunque, ma quando as­sume i caratteri del compromesso sui principi diventa vizio da evitare, quasi sempre un peccato difficile da perdonare. 


 
[1] La prima frase è una traduzione di Plutarco di volgari offese che gli abitanti di Chio arrecarono ai magistrati spartani. La seconda è di Livio che parla della guerra di Roma con Cartagine. 

[**]

Antonella Magaraggia (già Presidente del Tribunale di Verona) ed Armando Spataro (già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino) sono stati tra i fondatori del Movimento per la Giustizia nel 1988, rivestendone rispettivamente ruoli di presidente e di segretario. A. Spataro è stato componente del CSM nel periodo 1998-2002 e le sue risposte contengono riflessioni in parte già pubblicate in un suo libro (Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e Mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Laterza, 2010), nonché in interviste ed articoli vari, tra cui quelli pubblicati su Giustizia Insieme, Questione Giustizia, I diritti dell’uomo, Politica del Diritto e in relazioni predisposte per Corsi di aggiornamento della SSM. 

27/10/2022
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07/12/2024
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024