L’azione amministrativa e il suo sindacato: brevi riflessioni, in un’epoca di algoritmi e crisi
Nel momento attuale, di enorme incertezza sul futuro, c’è il rischio di coltivare l’illusione che la decisione per algoritmo “stia all’amministrazione come il principio di proporzionalità sta al giudice”. In ambo i casi, l’errore sul piano cognitivo/concettuale potrebbe essere il medesimo: pensare che quella “X”, frutto dell’incertezza derivante da una situazione oggettivamente complessa e dai contorni difficilmente definibili, possa essere sostituita da qualcuno con un dato certo. Occorre dunque, da un lato, che la p.a. non tenti di sfuggire alla responsabilità connessa alla decisione adattata al caso di specie, delegandola all’algoritmo; dall’altro, che il giudice (amministrativo) non dimentichi che, almeno in linea di principio, è la p.a. a possedere quella competenza tecnica (per materia) che consente la “proporzionata ponderazione” applicata al caso di specie, traendone le relative conseguenze in termini di limiti al suo sindacato giurisdizionale.
1. Risikogesellschaft, law in context e pubblica amministrazione: notazioni introduttive / 2. Assenza di certezze e tentativi di “semplificazione”: l’esempio dell’algoritmo del Ministero della salute per classificare le Regioni sulla base dei 21 indicatori di rischio / 3. Il giudice (amministrativo) e il principio di proporzionalità di fronte alla complessità dell’emergenza: da ciò che legittimamente potrebbe essere, a ciò che il giudice avrebbe voluto che fosse? L’esempio della decisione della Corte costituzionale federale tedesca nel caso Weiss / 4. La decisione per algoritmo sta all’amministrazione come il principio di proporzionalità sta al giudice? Riflessioni conclusive
1. Risikogesellschaft, law in context e pubblica amministrazione: notazioni introduttive
Ci troviamo, oggi, nel bel mezzo di una drammatica emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19; una crisi sanitaria di durata ancora imprevedibile e che è stata anticipata, pochi anni orsono, da quella provocata (in alcune parti del mondo) dalla cd. influenza aviaria.
Questa emergenza sanitaria è da tempo affiancata da una crisi ambientale (almeno sin dall’epoca del disastro ambientale di Chernobyl) i cui nefasti effetti sono sempre più evidenti anche in Italia.
Per non parlare, poi, dell’emergenza sociale provocata dalla grave crisi economica scoppiata fra il 2007 e il 2013 e dalla quale ancora non siamo usciti, mentre già se ne affaccia all’orizzonte una nuova, quale effetto inevitabile dell’attuale crisi sanitaria: in un circolo vizioso che rischia di essere senza via d’uscita.
In un contesto siffatto occorre prendere coscienza di un fatto socialmente innegabile, di cui si era fatto già portavoce, a metà degli anni ottanta, il noto sociologo tedesco Ulrich Beck[1], col suo «Risikogesellschaft», pubblicato nel 1986[2], poco dopo il disastro nucleare di Chernobyl.
Si tratta della circostanza che la “società del rischio” è diventata ormai la condizione stessa del vivere e del decidere umano. E, se questo vale per l’agire privato di ognuno di noi, vale ovviamente a fortiori per l’agire amministrativo: sicché la pubblica amministrazione opera oramai costantemente al di fuori della comfort zone di una normale prevedibilità, foss’anche solo di breve periodo.
Questo ha certamente delle conseguenze importanti sul modo di decidere delle pubbliche amministrazioni oggi. E non può non averlo, di conseguenza – ed è questa la tesi che intendo qui sostenere – sulla maniera con la quale il giudice amministrativo opera il suo sindacato, ex post, sulla correttezza del loro operato.
Nel contesto della Risikogesellschaft testé descritta, che da società del rischio si è rapidamente tramutata in vera e propria “società dell’emergenza”, la pubblica amministrazione si trova perciò specialmente a mal partito: stretta come è fra un legislatore “ordinario” che è largamente assente dalla scena e una società civile composta di singoli individui che, travolti dal peso psicologico e materiale di una situazione di crisi permanente, richiede sempre più il suo intervento, a supporto e sostegno.
L’obiettivo di una progressiva riduzione dell’ambito di intervento pubblico, perseguito con convinzione dal legislatore italiano – e osannato da molta dottrina soprattutto negli anni Novanta, epoca d’oro delle cd. “privatizzazioni” – si allontana dunque sempre di più dall’orizzonte reale.
Lungi, infatti, dal vedere il suo ambito di azione ridotto, e il suo intervento nelle dinamiche della società e del mercato limitato al minimo essenziale, la pubblica amministrazione è sempre più chiamata ad agire di nuovo in prima persona, in contesti caratterizzati da enorme incertezza sugli sviluppi futuri.
Sicché, oggi più che mai, diventa urgente adeguare lo schema di ragionamento del gius-amministrativista alle circostanze concrete che caratterizzano il contesto decisionale della pubblica amministrazione e alle conseguenze che queste inevitabilmente determinano sul decisore stesso.
Essendo infatti il diritto una scienza sociale, le soluzioni che esso propone (o intende proporre) devono potersi applicare adeguatamente all’essere umano: con i suoi difetti e le sue virtù, le sue potenzialità e i suoi limiti.
Disconoscere questa circostanza, significa depotenziare totalmente lo strumento; e condannare la scienza giuridica a soccombere, nella competizione con le altre scienze sociali: con il rischio di scenari futuri dove la cd. “law in context”, da importante riflessione dottrinaria[3], rischia invece di ridursi a una pericolosa retorica, che ci conduce ineluttabilmente verso uno scenario futuro di “context without law”[4].
In questo contesto particolare, occorre inevitabilmente interrogarsi anche sul ruolo e la funzione del giudice amministrativo e del suo sindacato giurisdizionale: alla ricerca di un punto di equilibrio nel contesto di un gioco che rischia, altrimenti, di essere inevitabilmente a somma zero.
2. Assenza di certezze e tentativi di “semplificazione”: l’esempio dell’algoritmo del Ministero della salute per classificare le Regioni sulla base dei 21 indicatori di rischio
Non intendo soffermarmi, tuttavia, sul tema delle fonti extra ordinem, che è stato ampiamente trattato in dottrina, anche di recente[5]. Piuttosto che concentrarmi sul “cosa” (quale atto viene adottato), vorrei focalizzare infatti l’attenzione sul “come” dell’adozione del relativo atto.
A questo riguardo, è interessante richiamare l’attenzione sulla vicenda dell’algoritmo del Ministero della salute, che viene tuttora[6] utilizzato per classificare le Regioni sulla base dei 21 indicatori di rischio identificati rispetto alla pandemia da Covid-19. Questa vicenda rappresenta infatti, dalla mia prospettiva, un ottimo esempio di come la pubblica amministrazione possa tentare di reagire alla situazione sopra descritta.
Sicché, di fronte alla crisi e all’emergenza, vengono adottati provvedimenti che, indipendentemente dalla forma che assumono, nei contenuti paiono basarsi su certezze di tipo scientifico-matematico: quelle prodotte da un algoritmo.
Per spiegare meglio il ragionamento occorre precisare che – come è ormai noto – l’identificazione delle aree con relativa “colorazione” (corrispondenti al territorio delle diverse Regioni e Province autonome) è determinata dal risultato (indice o livello di rischio) che consegnano al decisore pubblico (il Ministero della salute) gli algoritmi applicati per rielaborare i dati che scaturiscono dalla combinazione di ben 21 elementi di rischio. Gli indicatori (16 più 5 opzionali) permettono infatti di valutare i tre aspetti che sono stati identificati come di interesse per la valutazione del rischio da Covid-19: la probabilità di diffusione, l’impatto e la resilienza territoriale.
La questione è tecnicamente piuttosto complessa. Il tutto si basa su quanto disposto dal decreto del Ministero della salute del 30 aprile 2020[7]. L’attività di raccolta dei dati che esso prevede è attiva, infatti, sin dallo scorso mese di maggio.
Una volta raccolti i dati necessari tramite le Regioni e le Province autonome, la loro analisi viene effettuata per mezzo di due algoritmi che si riferiscono, rispettivamente, alla probabilità e all’impatto. Combinando i risultati di questi due elementi all’interno di una cd. “matrice di rischio” – allegata al dm – viene calcolato, su base settimanale, il livello di rischio per la singola Regione/Provincia autonoma.
Questa è la ragione per cui varie ordinanze si sono susseguite, in modo frenetico, nelle diverse aree del territorio della Repubblica[8], in un vero e proprio delirio di “cambi cromatici”, connotati da regole (sulla mobilità, sulla didattica e per le attività economiche, tra le altre) diverse. Il che, se è dubbio che abbia realmente contribuito a consentire un efficace contenimento della pandemia, ha certamente aumentato la percezione di incertezza e mancanza di prevedibilità sul proprio futuro da parte dei destinatari dell’azione amministrativa.
Sicché, se può certamente dirsi che, ad oggi, il tentativo di ridurre la complessità (e controllare il rischio legato alla pandemia) grazie all’algoritmo si è rivelato come una missione impossibile, dal punto di vista della pubblica amministrazione responsabile di adottare le decisioni del caso concreto si è tuttavia osservato (e si osserva), da parte delle medesima amministrazione, un tentativo di sottrarsi, grazie alla decisione per algoritmo, al peso che deriva dalla drammaticità del contesto decisionale tipico del cd. risk management.
Il decisore pubblico, in fin dei conti, invece di accettare a testa alta la sfida a cui lo sottopone la inevitabile complessità – e che gli imporrebbe di adottare coraggiose decisioni di “politica pubblica”, come tali largamente insindacabili, anche oltre e al di là dell’emergenza –, tenta di semplificare: e si affida dunque alla decisione amministrativa per algoritmo.
Tuttavia, la decisione amministrativa per algoritmo non solo non è ovviamente la migliore sul piano del bilanciamento degli interessi in gioco: tale bilanciamento è infatti “prodotto” sulla base della rielaborazione pura e semplice dei dati e sulla base delle “istruzioni” ricevute[9]; ma neppure è certo – nonostante l’aura di “matematica correttezza” che naturalmente la avvolge – che la decisione amministrativa per algoritmo sia migliore sul piano delle cd. valutazioni fattuali. Basti pensare a quanto è successo, ad esempio, lo scorso 16 gennaio: data in cui il Ministero della salute ha adottato la ben nota ordinanza 16 gennaio 2021[10], che ha collocato anche la Lombardia in zona rossa (insieme a Sicilia e Provincia autonoma di Bolzano) sulla base dei dati parzialmente errati forniti da Regione Lombardia, e che l’algoritmo, a propria volta, ha poi mal combinato, producendo il classico scenario noto in informatica con il significativo acronimo di GIGO (“garbage in, garbage out”[11]).
La certezza matematica dell’algoritmo può infatti riguardare, al massimo, il suo funzionamento; ma certamente non il suo risultato: se i dati sono scorretti, o combinati in modo errato dall’algoritmo medesimo, altrettanto scorretta sarà, infatti, la decisione finale che è il risultato della sua applicazione: non esiste cioè qui, per intenderci, un possibile scenario “garbage in, gospel out”[12]!
3. Il giudice (amministrativo) e il principio di proporzionalità di fronte alla complessità dell’emergenza: da ciò che legittimamente potrebbe essere, a ciò che il giudice avrebbe voluto che fosse? L’esempio della decisione della Corte costituzionale federale tedesca nel caso Weiss
Quanto al problema del sindacato del giudice di fronte alla complessità derivante dalla crisi e dall’emergenza, a fronte di questo inevitabile allargamento dell’ambito dell’azione amministrativa che, come si è detto, si registra in queste peculiari situazioni, vale senz’altro la riflessione di Montedoro e Scoditti nel loro saggio introduttivo a questo fascicolo: e cioè che, «A fronte di un’estensione da parte della funzione amministrativa delle proprie maglie, il diritto e la giustizia amministrativa dovrebbero diventare scienza e controllo del potere ancora più pregnanti e penetranti»[13].
Pur tuttavia, è necessario anche domandarsi quale sia il limite e, soprattutto, lo strumento con il quale può raggiungersi, in contesti siffatti, questo traguardo di maggiore pregnanza del controllo giurisdizionale sull’azione amministrativa. Il decisore della crisi e dell’emergenza si trova infatti, per definizione, di fronte a situazioni caratterizzate da estrema incertezza (e quindi imprevedibilità sugli sviluppi futuri), e in cui il fattore tempo appare come una variabile decisiva e rispetto alla quale, come si usa dire, l’ottimo è certamente nemico del bene.
Sicché, nella ricorrenza di dette circostanze, anche il dovere di istruttoria e l’obbligo di motivazione debbono necessariamente adeguarsi all’esigenza primaria di decidere rapidamente: perché il non decidere sarebbe di gran lunga più nocivo per quell’interesse pubblico (primario) che la p.a. deve per suo statuto (giuridico e ontologico) sempre perseguire!
L’inazione, nell’amministrazione dell’emergenza e nella crisi, è infatti certamente da considerarsi come il nemico numero uno dell’interesse pubblico; se si condivide l’idea di partenza, ovviamente: e cioè che, in situazioni di emergenza e crisi, la p.a. (ri)trova tutta la propria centralità (rectius essenzialità).
Un esempio dei problemi che possono derivare da un approccio eccessivamente “a gamba tesa” da parte del giudice, in un contesto decisionale siffatto, è rappresentato dal sindacato sulla proporzionalità evocato dalla Corte costituzionale federale tedesca nella sentenza Weiss del 5 maggio scorso.
Brevemente, la vicenda che fa da sfondo alle due pronunce nel caso Weiss – quella della Corte di giustizia Ue, in causa C-493/17[14], da un lato, e quella della Corte costituzionale federale tedesca del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15[15], dall’altro – merita anzitutto di essere riassunta. E lo si può fare bene facendo riferimento anzitutto alla frase, ormai iconica, “whatever it takes”! Come è infatti noto, Mario Draghi la pronunciò nel 2012: nel bel mezzo di uno scenario drammatico di crisi economica, con i mercati in fermento e l’euro sotto attacco. «Nell’ambito del suo mandato la BCE è pronta a fare tutto ciò che è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza», disse (in inglese) l’allora presidente della Banca centrale europea[16].
È in questo contesto specifico (storico-sociale) che deve inquadrarsi la decisione 2015/774/UE[17], con cui la Bce ha autorizzato un programma di acquisto sui mercati secondari (il cd. programma “Pspp”, «Programma di acquisto di titoli pubblici e privati dell’Eurosistema»[18]), nell’ambito del quale le banche centrali nazionali, in proporzione alle rispettive quote nello schema di capitale della Bce, e la Bce stessa, possono effettuare acquisti di titoli di debito negoziabili sui mercati secondari.
La decisione in questione è (seppure indirettamente) oggetto della sentenza del zweiter Senat del 5 maggio scorso[19], in tema di ammissibilità del cd. “quantitative easing” (QE)[20]. Sentenza in cui la Corte costituzionale federale tedesca offre un interessantissimo esempio di come un giudice possa essere tentato di utilizzare il principio di proporzionalità per, di fatto, travalicare la sua funzione, esercitando (nel caso di specie) prerogative che sono invece proprie della pubblica amministrazione.
Questo nella misura in cui il suo sindacato, da un mero sindacato su ciò che legittimamente avrebbe potuto essere (la decisione legittimamente possibile all’interno di quel margine di valutazione riservato alla p.a.), diviene invece un sindacato parametrato su quello che il giudice avrebbe voluto/preferito che fosse.
Ed ecco che, da utilissimo strumento per operare un sindacato sull’uso del potere discrezionale da parte della pa, che non si limiti a un mera verifica circa il rispetto di parametri unicamente formali, nella sentenza Weiss (del BVerfG) il principio di proporzionalità si trasforma, invece, nello strumento usato dal giudice per invadere quell’ambito di azione che è riservato alla p.a.; e che gli altri poteri non potrebbero né dovrebbero dunque mai conculcare. Si tratta, notoriamente, della cd. riserva di provvedimento nei confronti del potere legislativo; e della riserva nelle scelte di “merito” nei confronti del potere giurisdizionale.
In questo senso la pronuncia dei giudici di Karlsruhe del 5 maggio 2020 è evidentemente paradossale: i giudici del zweiter Senat rivolgono infatti un’aperta censura all’operato dei giudici della Corte di giustizia di Lussemburgo che, secondo la loro opinione, sarebbero “colpevoli” di avere operato un sindacato giurisdizionale della proporzionalità inadeguato. E questo per il fatto che i giudici di Lussemburgo si sono rifiutati di fare quel che nessun giudice dovrebbe fare: sostituire, attraverso il proprio sindacato ex post, la valutazione (di merito) operata a suo tempo dalla p.a. (qui la Bce), e per di più in un contesto di totale incertezza e relativa imprevedibilità circa le possibili evoluzioni del contesto di riferimento[21].
La Corte di giustizia Ue, nella pronuncia della sua Grande Sezione dell’11 dicembre 2018[22], aveva infatti osservato, a proposito della decisione 2015/774/UE della Bce:
a) che, in tema di “idoneità” della misura adottata (il primo gradino del sindacato di proporzionalità), nell’adottare le sue decisioni «la BCE ha fatto riferimento alla prassi di altre banche centrali e a diversi studi, i quali testimoniano che l’acquisto massiccio di titoli del debito pubblico è idoneo a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo suddetto» (punto 77); sicché «non risulta che l’analisi economica del SEBC, secondo cui il PSPP era idoneo, nelle condizioni monetarie e finanziarie della zona euro, a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di mantenimento della stabilità dei prezzi, sia viziata da un manifesto errore di valutazione» (punti 77-78);
b) che, in tema di “necessarietà” della misura adottata (il secondo gradino del sindacato sulla proporzionalità), «tenuto conto dei prevedibili effetti del PSPP e poiché non consta che l’obiettivo perseguito dal SEBC avrebbe potuto essere realizzato mediante un altro tipo di misure di politica monetaria, implicante un’azione più limitata del SEBC medesimo, occorre affermare che, nella sua natura stessa, il PSPP non va manifestamente al di là di quanto è necessario per raggiungere detto obiettivo» (punto 81);
c) infine che, quanto alla “proporzionalità in senso stretto”, «il SEBC ha effettuato un bilanciamento dei diversi interessi in gioco in modo da evitare concretamente che potessero prodursi, in sede di attuazione del PSPP, inconvenienti manifestamente sproporzionati rispetto all’obiettivo perseguito da quest’ultimo» (punto 93).
E ne aveva dunque concluso che la decisione 2015/774/UE non violasse il principio di proporzionalità.
La Corte di giustizia di Lussemburgo non si era dunque sottratta al proprio dovere di giudice: che consisteva, nel caso di specie, nel dovere valutare che la misura prescelta dalla Bce per fare fronte alla cd. crisi del debito sovrano fosse stata, oltre che in linea con i parametri normativi di riferimento, anche rispettosa di quei principi che guidano l’esercizio della discrezionalità amministrativa e, in particolare, del principio di proporzionalità.
Quello che la Corte di giustizia di Lussemburgo si era (correttamente) rifiutata di fare lo fanno, invece, i giudici tedeschi del zweiter Senat: che, con la loro sentenza del 5 maggio, operano un sindacato di proporzionalità sulla decisione della Bce che consiste essenzialmente nel censurare la decisione adottata dalla Bce sulla base di proprie valutazioni di politica economica, che mettono in discussione direttamente l’opportunità delle scelte compiute.
Negli ordinamenti nazionali, non a caso, si parla in un caso del genere di riesame nel merito di un atto amministrativo. Attività che è solitamente consentita, oltre che alla stessa amministrazione che abbia emesso l’atto medesimo, unicamente all’organo gerarchicamente superiore e che abbia poteri sostitutivi rispetto alla prima.
La Corte costituzionale federale tedesca ritiene invece, a torto, che la Corte di giustizia Ue, in quanto giudice amministrativo della legittimità, avrebbe dovuto di fatto – e per di più “ora per allora” – sostituire la propria valutazione a quella della Banca centrale europea operando, attraverso il prisma della proporzionalità, un giudizio di maggiore o minore opportunità, convenienza o congruità – quello che invece, e giustamente, aveva evitato di fare la Corte di Lussemburgo.
A questo si aggiunge il fatto che oggetto della decisione adottata dalla Bce erano misure destinate a contenere gli effetti negativi non già di alcuni fatti acclarati in modo certo, ma di un processo in continua e imprevedibile evoluzione: la crisi finanziaria del 2008 e la crisi dei titoli sovrani del 2010.
Sicché il sindacato giurisdizionale di legittimità qui tutto poteva essere tranne che un sindacato che – sulla base di elementi di valutazione di cui il decisore (amministrativo) non poteva in alcun modo disporre ex ante – giudicasse ex post se una misura poteva qualificarsi come contraria al principio di proporzionalità.
Ritengo, infatti, di tutta evidenza che il sindacato giurisdizionale di un’azione amministrativa venuta in essere a fronte di un quadro di estrema complessità, aggravato per di più dall’emergenza, non può trasformarsi, da giudizio su ciò che legittimamente avrebbe potuto essere, in una valutazione autonoma di ciò che il giudice avrebbe voluto che fosse.
4. La decisione per algoritmo sta all’amministrazione come il principio di proporzionalità sta al giudice? Riflessioni conclusive
Criticare – come hanno fatto i giudici tedeschi del zweiter Senat con la loro sentenza Weiss del maggio scorso – le scelte a suo tempo fatte dalla Bce per i presumibili effetti negativi che queste avrebbero avuto sull’economia è senz’altro un’operazione culturalmente inaccettabile ed errata sotto vari profili[23].
Ma, quello che più conta qui, è che si tratta di un’operazione errata sul piano squisitamente giuridico, poiché è pacifico che la cd. “prognostische Entscheidungen wertenden Charakters” (decisione prognostica a carattere valutativo) non può spettare al giudice (amministrativo). E che, in tema di “Prognosenentscheidung und Risikobewertung” (decisione previsionale e valutazione del rischio), esiste un problema di “Wertungsspielraum”, insindacabile anche da parte del giudice tedesco[24].
Il problema, tuttavia, va ben oltre e al di là della questione (pur cruciale) dei confini tra sindacato della discrezionalità e sindacato del merito della decisione amministrativa. E va anche al di là della interessante discussione sull’atteggiamento di quelle Corti supreme che, sempre di più, indulgono nella tentazione di voler essere loro a dire l’ultima parola sulle questioni più tecnicamente e talora ideologicamente/eticamente complesse: con o senza l’assenso implicito di un legislatore che ha oramai largamente abdicato al suo ruolo, lasciando sovente la pubblica amministrazione “col cerino in mano”.
Da (solo) giuridico-politico, il problema diventa qui di tipo psico-sociologico: di fronte all’inestricabile complessità che deriva dall’emergenza e dalla relativa crisi (delle certezze, anzitutto!), il giudice, invece di fare un passo indietro e riconoscere che il margine di rischio rispetto alla scelta errata è appannaggio del legislatore nel fissare gli obiettivi dell’azione, e della p.a. nel tentare di perseguirli, si trincera invece dietro l’illusione di poter conoscere meglio egli stesso quale fosse/dovesse essere la decisione giusta. E per fare questo semplifica artificiosamente la realtà: ad esempio disconoscendo, come è avvenuto nel caso Weiss, che vi sono opinioni del tutto diverse tra gli economisti, con riguardo agli effetti legati al mantenimento di un tasso d’interesse basso[25].
È chiaro invece che, in condizioni di simile incertezza, la scelta ultima è una scelta non sindacabile da parte del giudice se non travalicando quello che è il cd. “merito” della decisione sindacata: un ambito che necessariamente è, e deve essere, sottratto al sindacato giurisdizionale, per la semplice ragione che la relativa scelta è ancorata non già a parametri oggettivi di giudizio, ma a parametri soggettivi. Sicché si impone che sia il decisore pubblico ad adottarla, e non già il giudice. A meno di voler negare l’esistenza e il valore stesso di quel principio di separazione dei poteri che rappresenta uno dei capisaldi fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale.
Vorrei dunque concludere tentando di riassumere quella che è la mia percezione della situazione. E, per farlo, prenderei a prestito il quadro concettuale (e la terminologia) che sta dietro alla proporzione, intesa come formula matematica.
Nel momento attuale, di enorme (e sempre crescente) incertezza sul futuro, mi pare vi sia il rischio di coltivare l’illusione che la decisione per algoritmo “stia all’amministrazione come il principio di proporzionalità sta al giudice”. Laddove però, in ambo i casi, l’errore sul piano cognitivo/concettuale potrebbe essere il medesimo: e cioè di pensare che quella “X”, che è la tradizionale incognita frutto dell’incertezza derivante da una situazione oggettivamente complessa, e dai contorni indefiniti e difficilmente definibili – e che implica dunque il cd. giudizio prognostico incerto –, possa essere sostituita da qualcuno con un dato certo.
Così non è, purtroppo. E questo è il grosso problema del risk management che è indubbiamente chiamata a fare la pubblica amministrazione in epoca moderna. Esso è infatti composto concettualmente (e sul piano lessicale) di due elementi: il rischio e la sua gestione. Entrambi ineludibili. Entrambi non facilmente semplificabili. Entrambi certamente non sindacabili attraverso il prisma del principio di proporzionalità. A meno che non si voglia concludere che la distinzione fra valutazione discrezionale sindacabile e merito amministrativo insindacabile è morta; e che nell’agire amministrativo vi è solo la prima, che risulta tanto più sindacabile quanto maggiore è l’incertezza rispetto al quadro di riferimento e, soprattutto, rispetto agli sviluppi futuri.
Ma allora, o l’amministrare diventa davvero una mera equazione matematica, risolvibile grazie all’applicazione di oscuri algoritmi che diano una parvenza (che tale rimane, ovviamente!) di matematica certezza; oppure, è meglio che l’amministrazione si doti della famosa “sfera di cristallo”. Viceversa la sua azione, in un contesto di incertezza e (perenne) crisi quale quello attuale, sarà inevitabilmente condannata a essere costantemente travolta da quella valanga che può rappresentare un sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità inteso e applicato alla maniera della sentenza Weiss del BVerfG.
Vero è, per concludere, che entrambi esercitano un fascino magnetico. Rispettivamente l’algoritmo (meglio ancora se di intelligenza artificiale) sulla p.a.: che in contesti di enorme e crescente complessità rappresenta una promessa di intrinseca, “matematica” obiettività. E, quindi, di possibile “messa al riparo” non solo rispetto ai successivi annullamenti, ma anche e soprattutto rispetto ai possibili (e temutissimi) giudizi di responsabilità.
Sicché, sempre più, quando si trova a dover assumere decisioni in un contesto caratterizzato dalla complessità (e in cui occorre anche gestire una enorme quantità di dati e informazioni), la p.a. è tentata dalla facile via d’uscita della decisione per algoritmo: basti pensare (come si è detto nel par. 2.) all’algoritmo usato per classificare le Regioni italiane, attribuendo ad esse un colore diverso per zone di rischio, a seconda della rielaborazione dei dati relativi al contagio da Covid-19 che il relativo algoritmo opera di volta in volta.
Lo stesso avviene per il giudice (amministrativo), quando questi si trova a dover sindacare della legittimità di provvedimenti amministrativi adottati in condizioni di incertezza e complessità: più il contesto nel quale il decisore amministrativo si è trovato ad agire risulta(va) complesso e imprevedibile nei suoi sviluppi futuri, più il giudice amministrativo tenderà a ricorrere al sindacato di proporzionalità, nascondendosi dietro la promessa di matematica incontestabilità degli esiti che derivano dalla sua applicazione al caso concreto. O meglio dietro l’idea che, se la valutazione a suo tempo fatta dalla p.a. non risulta essere totalmente inconfutabile sotto il profilo dell’idoneità allo scopo, della necessarietà e addirittura della proporzionalità in senso stretto, allora il giudice potrà e dovrà annullarla.
Idea pericolosa questa, che nasconde anche un meccanismo di probatio diabolica (ora per allora) ai danni di una p.a. costretta ad adottare decisioni in contesti via via più complessi e dove le certezze matematiche stanno, in verità, a zero!
Il rischio, inutile dirlo, potrebbe essere la paralisi/inazione. Con un danno, in questo caso, più che mai certo e inconfutabile a quell’interesse pubblico che il legislatore (e la Costituzione) hanno affidato alla cura concreta della pubblica amministrazione[26], confidando proprio in quella competenza tecnica (per “materie”) che è suo tipico appannaggio. E che non è invece condivisa dagli altri poteri; certamente non dal giudice.
1. Vds. https://webarchiv-ulrich-beck.soziologie.uni-muenchen.de/biography/.
2. Il volume è stato tradotto anche in italiano: U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
3. Di cui è matura espressione, ad esempio, il volume di S. Bottomley e S. Bronitt, Law in Context, The Federation Press, Alexandria (NSW, Australia), 2006.
4. In un mondo dove le “linee-guida” la fanno ormai da padrone, e le cd. FAQ (noto acronimo dell’espressione in lingua inglese “Frequent Asked Questions”) prendono il posto di quella normazione a carattere esecutivo che dovrebbe essere appannaggio di regolamenti ex art. 17 l. n. 400/1988.
5. Vds. da ultimo S. Budelli, La società del rischio e il governo dell’emergenza. Le ordinanze extra ordinem, in AmbienteDiritto, n. 2/2019 (www.ambientediritto.it/wp-content/uploads/2020/10/Ordinanze-extra-ordinem_Budelli.pdf), e dottrina ivi ampiamente richiamata.
6. Il presente contributo è stato chiuso e consegnato per la pubblicazione in data 12 febbraio 2021.
7. Ministero della salute, decreto 30 aprile 2020: «Adozione dei criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario di cui all’allegato 10 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2020 (20A02444)», in GU, Serie generale, n. 112, 2 maggio 2020 (www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/05/02/20A02444/sg).
8. Per la situazione in Lombardia, vds. la documentazione pubblicata sul sito del CERIDAP: https://ceridap.eu/materiali-sullemergenza-covid-19/.
9. Vds. il commento, assai critico, in www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lalgoritmo-che-non-e-un-algoritmo-perche-21-parametri-sono-troppi-per-determinare-le-zone-di-rischio-covid/.
10. Ministero della salute, ord. 16 gennaio 2021: «Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 per la Regione Lombardia (21A00225)», in GU, Serie generale, n. 12, 16 gennaio 2021 (www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=78459).
11. Vds. https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/garbage-in-garbage-out.
12. L’espressione si riferisce evidentemente alla tendenza a riporre un’infondata fiducia nell’accuratezza dei dati generati in questa maniera: vds. M.R. Ault, Combating the Garbage-In, Gospel-Out Syndrome, in Radiation Protection Management, n. 6/2003, pp. 26-30 (www.researchgate.net/publication/268357767_Combating_the_Garbage-In_Gospel-Out_Syndrome).
13. G. Montedoro ed E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in questo fascicolo.
14. Cgue [GS], Weiss, C493/17, 11 dicembre 2018, ECLI:EU:C:2018:1000, http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=F0B693F580881A543D8EC04360306637?text=&docid=208741&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=3347013.
15. BVerfG, Urteil des Zweiten Senats, 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15, Rn. (1-237), in http://www.BVerfG.de/e/rs20200505_2bvr085915.html (in tema di ammissibilità del quantitative easing). Per un utile riassunto dei contenuti della pronuncia, si rinvia al comunicato stampa, tradotto in italiano a cura di A. Caravita, Corte costituzionale federale tedesca (BVerfG) – Le decisioni della BCE sul programma di acquisti di titoli di Stato eccedono le competenze (c.s. n. 32/2020, 5 maggio 2020), in Federalismi, n. 14/2020, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=42375.
16. Vds. ad esempio, www.huffingtonpost.it/entry/quando-draghi-disse-la-bce-e-pronta-a-fare-il-necessario-per-preservare-leuro-e-sara-abbastanza_it_5db1c6e1e4b0bc7f96fda902.
17. Decisione 2015/774/UE della Bce, 4 marzo 2015, su un programma di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari (BCE/2015/10), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32015D0010&from=IT.
18. Vds. www.bancaditalia.it/compiti/polmon-garanzie/pspp/index.html.
19. BVerfG, 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15, cit.
20. Vds. www.ecb.europa.eu/explainers/show-me/html/app_infographic.it.html.
21. Per approfondimenti, si rinvia per tutti a D.U. Galetta e J. Ziller, Karlsruhe über alles? Riflessioni a margine di una pronunzia “assolutamente non comprensibile” e “arbitraria” (commento a BVerfG 05.05.2020, 2 BvR 859/15, Weiss), in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 4/2020, pp. 301-345.
22. In causa C493/17, Weiss, ECLI:EU:C:2018:1000, cit.
23. Si rinvia, in merito, ai molti contributi critici sinora pubblicati. In particolare vds. il “fascicolo monografico” della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario n. 4/2020, nonché i vari contributi pubblicati in CERIDAP, https://ceridap.eu/?s=weiss&post_type=post.
24. Cfr. E. Pache, Tatbestandliche Abwägung und Beurteilungsspielraum, Mohr Siebeck, Tubinga, 2001, pp. 141 ss., e dottrina e giurisprudenza ivi citate.
25. Vds. la letteratura ampiamente citata, al riguardo, in D.U. Galetta e J. Ziller, Karlsruhe über alles?, op. cit.
26. Cfr. le recenti e interessanti riflessioni di B. Mameli, Efficienza amministrativa e discrezionalità ai tempi della pandemia, in Persona e amministrazione, n. 2/2020, pp. 193 ss. (spec. pp. 198 ss.), http://ojs.uniurb.it/index.php/pea/article/view/2331.